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Autore: cheesecake94    17/09/2012    0 recensioni
Facciamo finta di riscaldarci come se nulla fosse, come se l’ansia che ci pervade e che passa dall’una all’altra di noi fosse dovuta unicamente all’approssimarsi dell’inizio di una gara importante. Ci muoviamo a scatti, ed i pensieri che attraversano le nostre menti in questo momento sono visibili come un filo di errori che ingarbuglia la squadra srotolandosi dalla mia gamba piegata durante un salto teso al braccio di Marzia che si volge indietro quando dovrebbe stare raccolto al petto, giù giù ad arrivare fino a Cristina che termina il suo volteggio a terra, gambe all’aria. Eppure, nessuno ancora ha il coraggio di rompere quest’incantesimo collettivo e di dare voce alla domanda che tutti ci stiamo ponendo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ebbene sì, ammetto di essermi recentemente interessata a questo sport dopo aver seguito in TV un notissimo reality che lo riguarda, e di essermi dallo stesso reality lasciata ispirare. Che volete, non si può vivere solo di Report :) Ad ogni modo, la mia storia sarà seria, come sempre. Non scrivo da parecchio per varie ragioni e il desiderio di ricominciare è vivo e vitale; le mie tematiche, credo, non sono cambiate, anche se mi auguro siano maturate un po’. Come sempre, spero di risvegliare l’interesse di qualcuno e resto aperta a critiche e suggerimenti.

SIA CHIARO, NESSUNO DEI PERSONAGGI DI QUESTO RACCONTO HA A CHE FARE CON ATLETI REALMENTE ESISTENTI. SITUAZIONI, EVENTI, PROTAGONISTI E PERSONAGGI MINORI SONO FRUTTO DI INVENTIVA.
 
Campionati mondiali di ginnastica artistica, Palais Omnisports, Parigi

Facciamo finta di riscaldarci come se nulla fosse, come se l’ansia che ci pervade e che passa dall’una all’altra di noi fosse dovuta unicamente all’approssimarsi dell’inizio di una gara importante. Ci muoviamo a scatti, ed i pensieri che attraversano le nostre menti in questo momento sono visibili come un filo di errori che ingarbuglia la squadra srotolandosi dalla mia gamba piegata durante un salto teso al braccio di Marzia che si volge indietro quando dovrebbe stare raccolto al petto, giù giù ad arrivare fino a Cristina che termina il suo volteggio a terra, gambe all’aria. Eppure, nessuno ancora ha il coraggio di rompere quest’incantesimo collettivo e di dare voce alla domanda che tutti ci stiamo ponendo.

 Dov'è Anna?

Leonardo cammina su e giù, volge di continuo la testa all’ingresso, poi tra noi, come se, guardando meglio, potesse accorgersi che lei è qui e che è tutto solo uno scherzo del quale nessuno sta ridendo. Estrae per l’ennesima volta l’I-phone dalla tasca della giacca, nervosamente fa scorrere il dito sullo schermo per accertarsi che non ci siano chiamate perse, lo ripone, poi ci ripensa, ricordando a se stesso che in fondo lui non è un esperto in materia di tecnologia, che potrebbe non essersi reso conto di una chiamata –più d’una magari- nella quale lei avrebbe voluto avvisarlo del suo ritardo, spiegare dove si trova adesso e perché non è  qui e soprattutto tranquillizzarlo sul fatto che sì, questa è la cosa più importante della sua vita in questo preciso istante e che no, non ha intenzione di non presentarsi alla gara. Lo guardo ed è come se potessi leggere sulla sua fronte tutte queste idee, come se scorressero sulla sua pelle collegate l’una all’altra, così, non mi stupisco quando sfodera nuovamente il cellulare e fa scorrere rapidamente le dita sullo schermo, per la fretta digita senza precisione ed entra nell’applicazione sbagliata, si innervosisce e smette di fingere di non essere attento a ciò che sta facendo, come se stesse controllando i messaggi della moglie rimasta a casa e non cercando di rintracciare la sua migliore ginnasta, il perno indiscusso della sua squadra nazionale che non è presente in palestra a meno di due ore dall’inizio dei campionati europei. Alla fine riesce a  raggiungere il registro delle chiamate, e lo studia rapidamente, indugiando sui nomi che compaiono nella lista non più con indifferenza, semmai con cupa rassegnazione. Sa benissimo che non troverà sue notizie. Il suo nome compare solo nelle chiamate in uscita.

Non ha chiesto a nessuna di noi se avessimo idea di dove si trova. Elena, con cui divide la camera in albergo, ha spontaneamente dichiarato di essersi coricata prima di lei ieri sera e di essersi svegliata questa mattina accanto ad un letto intonso. Al di fuori di una questione meramente pratica come la condivisione di uno spazio necessariamente pari, Leonardo non si aspetta che noi sappiamo qualcosa di più. Sa bene come stanno le cose; ha cercato, un anno fa, all’inizio di questo quadriennio olimpico, di renderci squadra in un senso più ampio del termine, utilizzando trucchetti psicologici che sostiene di aver studiato in luogo e tempo imprecisati come parte fondamentale del proprio mestiere di allenatore.

Non ci ha mai ingannate.

Ad ogni modo, in palestra siamo squadra, e nessuno potrebbe sostenere il contrario. Ci diamo forza nei momenti di difficoltà, ci aiutiamo reciprocamente a migliorare, ci sgridiamo vicendevolmente quando serve, ed ognuna di noi ha medicato, fasciato, disinfettato ogni scampolo di pelle delle altre innumerevoli volte. Fuori dalla palestra, invece, esistono un “noi” ed un “lei” che coesistono come immagini che si specchiano l’una nell’altra, su piani differenti dello spazio, non mescibili per una delle tante leggi non scritte che regolano il nostro vivere comune, due entità diverse che si guardano dritte negli occhi ogni giorno, ma non si amano.

A nessuno viene alla mente che potrebbe esserle accaduto qualcosa di brutto. In effetti, potremmo sembrare senza cuore. Nemmeno Ludovico sembra porsi il problema, anche se, ai suoi occhi di uomo adulto, Anna non dovrebbe avere quell’aura di soprannaturalità che è così evidente ai nostri. I suoi 42 kg ripartiti in un metro e cinquanta di statura sarebbero un facile bersaglio per chiunque volesse farle del male; eppure, la sola idea che Anna possa essere una vittima, passiva e priva di controllo su quanto accade, è oltraggiosa, irriverente. Il solo pensiero mi crea quell’imbarazzo sottile di quando vedi tua madre piangere, o il preside della scuola in bermuda e pelata scottata sulla spiaggia, quel senso di disgusto un po’ colpevole che si prova quando qualcuno osa travalicare il proprio ruolo mostrando la propria debole umanità, come se l’ammissione di essere preda di banali eventi umani come il pianto fosse un’offesa imperdonabile.

Mi rendo conto che mi sto perdendo in pensieri filosofici per difendermi da quella realtà che dovrebbe essere il mio unico pensiero: oggi, non c’è storia senza di lei. Con questo non voglio dire che lei sia l’unica responsabile dei nostri successi; è innegabile che nessuna di noi può competere con lei, se non occasionalmente sul proprio attrezzo di punta, ma tutte possiamo competere con le atlete presenti in quest’arena, chi ad armi pari chi se non altro dignitosamente; eppure, non siamo pronte per farlo da sole. E’ un atteggiamento mentale, una barriera che non sappiamo infrangere; mi chiedo spesso se davvero nessuna di noi abbia tecnica o talento sufficienti a superarla o se piuttosto qualcosa ci blocchi, come se la sola idea di fare meglio di lei fosse così oltraggiosa da impedirci persino di immaginarla.

Da che io ricordi, non è mai accaduto che Anna arrivasse in ritardo a qualsivoglia appuntamento della squadra. Dio, Anna spacca il minuto persino ai turni di lavanderia in collegio. Tu sei lì tranquilla con la centrifuga appena iniziata –eri in ritardo, ti eri scordata di preparare i panni sporchi prima di scendere nel seminterrato, hai dovuto risalire perché hai scordato l’ammorbidente e non vuoi che i tuoi body da allenamento siano trasformati in carta vetrata dall’acqua calcarea di Torino- e devi ancora avviare l’asciugatura e poi stendere, e lei si presenta con il cesto di plastica blu, gli abiti sporchi ordinatamente ripiegati (a cosa servirà poi ripiegare i vestiti prima del bucato) e divisi in bianchi e colorati, il detersivo negli appositi misurini, già dosato.

Nessuno vuole il turno dopo il suo.

Non ricordo, a dire il vero, di essere mai arrivata in palestra dopo di lei. Per quanto mi impegnassi, lei era sempre già lì, già riscaldata, la treccia appuntata alla nuca con le forcine. Che non si presenti al riscaldamento prima della gara, alla gara addirittura, è pura follia.

Nel frattempo, Marzia mi si avvicina, con circospezione si tende in una posizione di allungamento e mi rivolge le labbra rosee, una mano bianchissima sollevata quel tanto che basta a nascondere le sue parole –oltraggiose, ancora irripetibili- ad occhi indiscreti.

“Non arriverà. Siamo finite.”

Le rivolgo uno sguardo acuto e mi volto dall’altra parte.

“Non dirlo nemmeno. E poi, chi dice che abbiamo bisogno di lei?”

Sto mentendo, ma né io ne Marzia abbiamo bisogno che ci venga ricordato.

E poi, in un attimo lei è lì, accanto a me, forse un po’ spettinata, leggermente trafelata, ma lì. Mi sembra che mormori uno “scusate il ritardo” a mezza voce, come se ci fossimo date appuntamento al bar per un caffè, come se lei non avesse appena mancato la maggior parte del riscaldamento –essenziale, irrinunciabile- prima della gara più importante dell’anno. Comincia a sciogliersi, stende la gambe scure, le punte dei piedi flesse allo spasimo, le caviglie torte in quella posa innaturale che fa male solo a guardarla.

Ludovico si slancia verso di lei, inspira come se stesse per urlare, allunga appena una mano, come se volesse colpirla, poi si blocca. In quel gesto che si arresta c’è tutta la sua rabbia, tutta l’ansia che ha provato, tutto il lavoro –la fatica, la sua, la nostra- di questi mesi che stava per sfumare. Eppure nemmeno Ludovico ha il coraggio di parlarle a volto scoperto. Non si può, con Anna. Forse la sgriderà, esitante, di nascosto, più tardi, quando nessuna di noi potrà ascoltare. Ora la sua rabbia dovrà aspettare.

Piano piano, tutte quante cerchiamo di dimenticare ciò che è appena accaduto e di concentrarci sui nostri corpi tesi, e sulla gara vicinissima. Anna è accanto a noi, in silenzio come sempre. Il sole è tornato al suo posto e la terra non è più sottosopra, bando a tutto il resto, ora non si scherza più.
  
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