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Autore: Ronnie02    18/09/2012    5 recensioni
(Sequel "One Day Maybe We'll Meet Again)
Ormai le famiglie dei nostri pazzi marziani sono stabilite e la normalità regna nella loro vita. Tra famiglia, album e concerti, però Jeremy, come l'ultima volta, si ritrova a sfogliare un vecchio album fotografico. Cosa scoprirà attraverso quelle foto? Che ricordi nascondo quegli scatti?
*slide of life della storia principale*
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'One Day Maybe We'll Meet Again'
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SALVE GENTE!!! Ok, prima di tutto bentornati, ovviamente visto che questo è un sequel. Per chi non avesse letto la storia principale si chiama "One Day Maybe We'll Meet Again" ed è meglio che prima passiate a leggere quella a capirete ben poco :)
Ronnie è tornata, io con lei, e si è portata dietro delle foto da raccontare. Ora capirete bene come funziona questa storia, spero vi piaccia quanto la prima e mi farebbe tanto piacere sapere cosa ne pensate :)
Ora però vi lascio leggere, belli miei.

 
 


Prologue

 



Era una storia così bella che certe volte raccontarla mi emoziona, lasciandomi brillare.
E che fosse la mia storia non cambia le cose, perché è così piena di amore, odio, passioni, amicizia e sentimenti, che tutti l’ amerebbero. Ho passato la mia vita trasmettendo i miei ricordi a mio figlio, che a sua volta l’ha raccontato ai suoi.
Perché insegna che bisogna aspettare e non si può avere tutto dalla vita in men che non si dica. Oppure che la felicità ha un prezzo e a volte molto alto. Per raggiungerla ci vuole fatica e impegno, anni di esperienza e emozioni a non finire.
Però, quando finalmente la vedi arrivare, la sensazione che provi ti appaga così tanto da dimenticare tutti i dolori passati.
Sono sempre io, non sono cambiata dall’ultima volta, tranne per il fatto che sono diventata nonna di due splendidi bambini.
Sono sempre la solita canterina dai capelli rosso sangue e i boccoli pazzerelli.
Sono sempre io: l’innamorata persa di Jared Leto, che ora è seduto sulla sedia a dondolo davanti alla nostra piscina, con la sua vecchia chitarra intagliata, She, cantando le note di Closer To The Edge.
“No, no, no, no…. I will never forget… no, no, no, no…”, canta.
Sono sempre io: Veronica McLogan… in Leto.





Chapter 1. Starting a new adventure




 
“Jeremy, ancora guardi quell’album?”, mi chiese mia madre mentre ero seduto sul divano di casa nostra. Oh, bè… non esattamente seduto.  
“E’ da un po’ che non ci davo un’occhiata e tanto non ho nulla da fare”, risposi sfogliando le pagine e guardando di rado le foto. Era più un passatempo apatico che vera curiosità.
“Non devi suonare?”, mi domandò venendo vicino a me con in braccio Sandy, coccolando il suo pelo rossiccio e vecchio. Quel gatto c’era da prima di me e in un certo senso avevo la sensazione che mi odiasse.
“Liam è in giro con Denise stasera. Astrid è al saggio di danza moderna e Leslie non ho idea di dove sia, anche se tanto non sarebbe d’aiuto”, la informai facendole alzare gli occhi al cielo.
“Ma se vi fa dei photoshoot da urlo, quella piccolina”, mi riprese lei, difendendola.
Mi staccai dall’album e mi sedetti in modo decente, mentre Sandy saltava dalle braccia di mia madre per finire di fianco a me e fare le fusa. Bè, forse non mi odiava più così tanto…
“Sì lo so, ed è un genio. Ma se sono solo io non ha senso”, la chiusi lì cercando di farle capire che non avevo proprio voglia di prendere una chitarra e mettermi a suonare, per quanto mi piacesse farlo.
Era uno di quei giorni… vuoti. Che se anche tutti ti danno consigli su cosa fare o come scacciare la noia, non ce ne sarà uno che ti convincerà e rimarrai sul divano. A fare che? Magari a sfogliare vecchi album.
“Quando torna papà?”, chiesi guardando l’orologio. Erano le undici e mezza di sabato sera. Non sarebbe arrivato prima delle due, se andava bene.
“Tardi, tesoro. Oggi ha un concerto, lo sai. Pensavo che anche tu e gli altri vi foste messi d’accordo per suonare in qualche bar”, commentò curiosa.
“Lo so, ma poi abbiamo rimandato. E uscire non mi sembra una grande idea, oggi mi sa che vado a dormire presto”, chiusi l’album e sbadigliai, mettendo una mano davanti alla bocca.
“Oddio! Che ne hai fatto di mio figlio, chi sei tu?”, mi prese in giro con il suo solito ottimo umorismo, e scoppiai a ridere.
“Se l’è mangiato Shanimal”, scherzai.
“Ah, adesso vedrà tuo zio. Oh, come lo concerò per le feste, stavolta”, continuò la recita per poi sedersi di fianco a me e abbracciarmi le spalle.
Mi voltai a guardarla: quel volto sui quaranta e passa aveva pochissime rughe, gli occhi smeraldo come i miei e i capelli rossi erano ancora vivaci come nelle foto che stavo guardando e la sua voce era ancora corallina.
Come mio padre… non sarebbe invecchiata mai! E forse, avendo il loro stesso dna, io li avrei imitati.
“Ho trovato un modo per passare questa serata”, disse convinta mentre prendeva l’album e lo sfogliava. Poi scosse la testa e lo richiuse, passandolo a me. “Aprilo, scegli una foto e io ti racconterò tutto quello che so, senza segreti”.
“Davvero tutti? Senza segreti o censure?”, la sfidai. Lei scosse la testa, convincendomi. “Di tutte quelle che voglio?”.
“Se non ti muovi però mi rimangio la parola”, mi fece l’occhiolino e scoppiai a ridere. Ora capivo perché papà era tanto innamorato… persone come mia madre erano rare e sperai un giorno di trovarne una anche io.
“Vediamo…”, sussurrai mentre aprivo l’album e lo guardavo con molta più attenzione di prima.
Eccola. Una foto particolare, chiara, con colori limpidi e stampata su carta plastificata. Era una foto fatta sul set di un film che aveva visto come protagonisti entrambi i miei genitori.
C’era mamma che ballava con delle ragazze, sull’età di trent’anni e le telecamere riprendevano ogni loro movimento.
Erano vestite con body tutti colorati e con pettinature divertenti ma non eccessive.
“Questa”, decretai e lei sorrise.
“Questo momento lo ricordo bene! Fu tanto tempo fa, avevo ventinove anni e la mia carriera stava andando molto bene…”, cominciò a raccontare.
 
Solon mi aveva costretta, non era giusto.
Questa sarà un opportunità da non perdere, continuava a dire, ma la cosa, chissà perché mi lasciava sospetta. C’era qualcosa che non mi convinceva in quel sorriso, dovevo aspettarmi qualcosa.
L’unica nota positiva era che stavo di nuovo nella mia vecchia, dolce e trafficata città: New York. E così starei stata pure con Andy.
Infatti ora ero in giro con lei, tanto perché sul set nessuno stava combinando niente e me l’ero svignata. Solon mi avrebbe fatto la paternale al mio ritorno, ne ero certa, ma non mi importava.
“Ronnie!”, urlò la pazza appena la scorsi nel centro di Central Park. Ero seduta su una panchina, sentendo la musica nel mio iPhone rosso fuoco  e il vento mi scompigliava i miei capelli, lisci come il grano. Che stano averli così, ci dovevo ancora fare l’abitudine.
“Ciao Andy! Come stai?”, mi tolsi le cuffie, misi tutto nella tasca della giacca di pelle e mi alzai per abbracciarla.
Sentire il suo calore era una bella cosa, mi mancava ormai da troppo tempo. Mi stritolò il collo ma forse anche io stavo facendo la stessa cosa con lei.
“Bene, sono così felice di riaverti di nuovo qui!”, disse lei staccandosi da me e guardandomi confusa. “I boccoli?”.
“Spariti… ma solo per il film”, corressi vedendo il suo viso farsi sempre più scioccato. “Tra qualche mese torneranno normali, calmati”.
“Oh meno male! Sarebbe stato un trauma”, disse mentre io alzavo le sopracciglia. “Voglio dire, stai benissimo anche così, ma ovviamente una Ronnie senza ricci non è una Ronnie”.
“Già…”, sussurrai mentre lei rideva e, prendendomi a braccetto, mi portava in giro per il parco.
Ronnie… non era stata lei a darmi questo nomignolo. In realtà non capivo nemmeno perché avevo fatto scrivere Ronnie sul disco, invece di Veronica McLogan. Quel soprannome sarebbe dovuto sparire, finire nel fondo dell’oceano, come la persona che l’aveva inventato, ma invece avevo chiesto di tenerlo sempre con me.
Prima dicevo che era per via di Solon: lui era abituato a questo nome, mi aveva conosciuta così. Ma alla fine capii che stavo solo fingendo, per l’ennesima volta.
Non era Solon il motivo. Era lui e lo sarebbe sempre stato.
Perché per quanto potessi odiarlo, e lo odiavo davvero, qualcosa di lui mi era restato dentro e non riuscivo a buttarlo via. Come se fosse marchiato a fuoco sulla mia pelle, sul mio cuore, e non riuscissi a grattare via le cicatrici per far guarire la ferita.
Quel nome era l’unica cosa che mi rimaneva di lui. O meglio, l’unica cosa che mi faceva credere che c’era stato realmente senza che mi facesse male.
Perché qualcos’altro mi aveva lasciato, ma li avevo rinchiusi in una scatola nel profondo del mio armadio a Los Angeles, e non avevo la minima intenzione di riesumarli da lì.
“Ronnie? Ronnie sei viva?”, mi chiese Andy. Mi ritrovai la sua mano davanti alla faccia e capii che mi aveva chiesto qualcosa che non avevo sentito, persa com’ero nei miei ricordi.
“Sì, scusami. È che sono un po’ stanca”, lasciai perdere mentre lei cominciava a ridere. “Senti, è vero! Fino a pochi giorni fa io ero nella mia bella casetta al caldo della California a godermi beata la mia pausa dalla musica, finchè non è arrivato Solon e mi ha trascinata qui”.
“Ma se due mesi fa sei venuta a fare il provino! Era ovvio che ti prendessero”, ribatté ridendo mentre io le facevo la linguaccia.
“Sempre colpa di Solon. Scherzi? Al posto che gelare qui sarei potuta essere in spiaggia e farmi una bella tintarella”, la presi in giro, mentre lei faceva il broncio.
“Preferisci una tintarella a me? Bè grazie ragazza-che-prima-consideravo-come-sorella!”, disse accelerando il passo e lasciandomi indietro.
“Oh Andy, mi dispiace, chiedo venia!”, dissi raggiungendola e piantandomi davanti a lei, con il miglior sorriso alla faccia da cucciolo abbandonato.
Lei socchiuse gli occhi, mi guardò per qualche secondo e poi mi si aggrappò di nuovo al collo. “Oh Ronnie! Non hai idea di quanto tu mi sia mancata, sul serio! E’ stupendo che tu sia qui e non vedo l’ora di venirti a trovare sul set! Finalmente anche tu attrice”.
“Ho già fatto un film, Andy, e tu sei già venuta a trovarmi”, la presi in giro mentre lei non mi mollava. Le carezzai i capelli castano chiaro, quasi biondiccio, e mi sentii a casa.
“Era diverso, lì non eri la vera e sola protagonista”, disse mentre sentivo il suo respiro sul mio collo. Lo mossi, come per dire che mi dava fastidio, e lei per ripicca soffiò.
“Mi fai il solletico, idiota!”, la spintonai via ridendo mentre lei mi faceva la linguaccia. “E in ogni caso non solo la unica protagonista. C’è anche il personaggio maschile”.
“Sai già chi lo interpreterà?”, chiese Andy curiosa mentre uscivamo finalmente dal parco e cominciavano a farci un giro per la vera città. Qualche flash ci diede un po’ fastidio, ma lasciammo passare e continuammo a discutere.
“No, ma spero in bene. Solon dice che Will ha dei nomi importanti su cui ripone molta fiducia, ma gli è stato proibito di rivelarmelo”, ripetei le stesse parole del mio manager.
“Gli è stato proibito di rivelartelo?”, chiese ridacchiando sotto i baffi.
“Lo so, lo so: è la scusa più assurda e stupida che esista su questo pianeta, davvero! Solon è negato nel dire bugie”, scoppiai a ridere con lei. “Ma mi fido di lui, e forse anche un po’ di Will, quindi spero in bene”.
“Oh ne sono certa. Ci sono un sacco di persone che potrebbe scegliere, di certo non assumerà uno sfigatello che non sa nemmeno dove si parte a recitare”, disse sicura.
“Anche perché voglio finire presto: ho altro da fare”, continuai indicandole il telefono.
“Ancora Vicky? Che ha fatto quella donna, ora?”, scoppiò subito a ridere, capendo a chi, a cosa mi riferissi e anche il perché. “Il matrimonio sarà a luglio, e già impazzisce? Non voglio essere presente quando mancheranno pochi giorni!”.
“Ah ah ah, sbagliato cara mia Andy. È esattamente qui l’errore”, dissi facendola preoccupare. Risi malefica e continuai. “Li farò sposare niente popò di meno che sulla spiaggia cristallina di Candia, in Grecia”.
“Il che significa che…”, cominciò terrorizzata.
“Significa che noi due, essendo testimoni, dobbiamo partire con gli sposini almeno il giorno prima… se non due o tre”, finii la sua frase.
“No! Ti prego, Ronnie, no! Non puoi farmi questo, sono la tua migliore amica! Lo sai com’è Vicky quando è nervosa!”, mi chiese pietà, anche se sapevo che faceva finta. Era tutta un recita, ma era bravissima e mi piaceva darle corda. “Non puoi portarmi in quella gabbia di matti! Non con quella dannata pazza, non con il suo orsetto porta fortuna! No, Ronnie, non io!”.
“Hai finito?”, domandai dopo qualche minuto che ebbe fatto la sua sceneggiata.
“No… Ronnie, ti prego!”, gracchiò ancora una volta, per poi scoppiare a ridere. “Ok, ora ho finito”. 
“Tu non sei normale, dolcezza… e lo dico con affetto”, dissi scuotendo la testa e vedere lei che mi guardava malissimo per poi ammettere che avevo fermamente ragione.
Non parlammo per un po’, o almeno limitammo i nostri discorsi alle bellezze della città e a tutto ciò che Andy aveva imparato e che ora mi stava appioppando senza pietà.
Per i primi trenta minuti le diedi retta, partecipando attivamente al giro turistico, ma poi cominciai a divagare come sempre nei miei pensieri, ma soprattutto tanto ricordi, che quella città portava con sé. Lì avevo passato tre o più anni della mia vita e a volte era assurdo pensare alla facilità con cui l’avevo tradita con Los Angeles.
Insomma questi edifici, queste strade, questi parchi e perfino l’aria erano ripieni di ricordi del mio passato. Quante volte avevo camminato per di qui, guardando distrattamente tutto quello che avevo intorno, di fretta, senza pensare che un giorno non gli avrei più rivisti?
Mi mancava la vita qui a New York, era così diversa da quella che facevo ora a Los Angeles. Qui ero piena di creatività e ispirazione, con i sensi all’erta, contando i minuti che mancavano alla consegna dell’ultima foto. Come sempre, ero di corsa; e la fretta si vedeva anche nei miei prodotti, cosa che mi faceva parecchio innervosire.
A Los Angeles, invece, mi ero presa la liberà di fare con calma e Solon mi aveva seguita in tutto e per tutto. Facevo le cose nel giusto tempo, dando ad ogni lettera e ad ogni nota lo spazio che meritava: ricontrollavamo i testi dieci volte, creavamo la musica in giorni e giorni, registravamo il tutto in ore infinite.
Ma alla fine il risultato finale era stato sorprendente ed ero fiera del mio primo disco.
“Ronnie, ti va di fare un po’ di foto? Così, come per tornare ai vecchi tempi!”, mi propose Andy, facendomi tornare in un attimo alla realtà, dove quella città mi stava di nuovo aprendo le sue braccia per accogliermi.
“Pronta a metterti in posa? Io scatto, eh?!”, l’avvisa, prendendo veloce la mia macchina fotografica digitale e accendendola in fretta. No, stavolta con calma.
Andy si mise a sorridere, mettendosi ad angelo sopra un murettino, ai lati del marciapiede. “Guarda che se non ti muovi cado per terra”, scherzò ridendo. “Qui non siamo sul ghiaccio: non scivolo!”.
“Arrivo arrivo!”, la calmai scoppiando a ridere. Guardai nell’obiettivo della fotocamera, misi bene a fuoco e, con un simpatico click, scattai la foto.
“Passamela, mi tocca immortalare il ritorno di fiamma di Ronnie nella città delle meraviglie”, disse lei saltando giù dal muretto e chiedendomi la macchina. Scossi la testa e gliela passai.
Si mise a fare foto a raffica, prendendomi in ogni angolazione e in ogni movimento che compivo. Lei era specializzata in questo: foto a sequenza.
Poi sceglieva la migliore, quella in cui magari si vedono i tuo capelli muoversi con il vento, o il nascere di un sorriso, le foglie che si staccano dal ramo.
“Sei peggio di un paparazzo a volte, sai?”, dissi indicandole un flash che non veniva dalla mia macchina fotografica. Proveniva da un uomo, in ginocchio, dalla parte opposta alla nostra, che cliccava un pulsante sulla sua fotocamera professionale. “Secondo me pensano che ora avranno della concorrenza”.
“Sì, certo!”, scoppiò a ridere lei mentre tornò da me, mi mise la macchina fotografica in borsa e cominciò a camminare. La seguii. “Ora è meglio che torniamo a casa… se casa si può definire, per te. Solon sarà arrabbiato: hai marinato la scuola, bambina cattiva”.
“Oh, quale disgrazia ho commesso! La prego di perdonarmi immensamente con la sua infinta bontà, signorina Mercia”, scherzai facendole un inchino, per poi scoppiare a ridere, darle ragione e avviarci verso il set.
Arrivate alla macchina ci salutammo e lei tornò a casa, mentre io mi mossi verso il luogo di lavoro… che strano definirlo così!
 
“Non ci posso credere. Ma sei impazzita?!”, urlò il mio manager. Ovvio.
“Ma dai Solon, era una giornata buca, non stavamo facendo nulla, lo sai anche tu”, dissi annoiata, nella mia roulotte, mentre sceglievo i vestiti da mettere dopo che lui se ne fosse andato e io mi sarei prestata alla mia solita doccia.
“Non ti è stato permesso di uscire, non importa quanto ti annoi stare qui”, mi rimproverò manco avessi due anni.
“Non vedevo Andy da una vita e se permetti avevo voglia di rivedere la mia migliore amica, visto che siamo nella stessa città! È ridicola questa discussione”, commentai sbattendo l’anta dell’armadio e guardandolo negli occhi, sapendo di aver ragione.
Si alzò e mi venne vicino, troppo vicino. “Avevo solo paura per te perché non hai avvisato nessuno! Bel ringraziamento, dolcezza!”.
“Sapevi che sarei stata bene, so badare a me stessa”, commentai calmandolo. Dopo quello che mi ha fatto lui e i miei genitori stare da sola, abbandonata dal mondo, è ciò che so fare meglio, volevo dirgli, ma non era il caso di portare avanti quel discorso.
“Ti prego… avvisami la prossima volta”, chiese supplicandomi e guardandomi negli occhi. Era solo un po’ spaventato e nel suo mare scuro delle iridi vedevo solo paura di perdermi. Era un buon amico, lo era davvero.
“Lo farò, sta tranquillo”, lo abbracciai poggiando la mia testa sulle sue spalle, stringendomi al suo collo. Sentii le sue braccia stringermi la vita e sapevo che aveva chiuso gli occhi. Lo faceva sempre. “Ti voglio bene, Solon, e te lo chiederò prima di scappare via. Lo giuro”.
“Mi dispiace metterti in gabbia, piccola libertina, ma non posso fare altro”, mi disse dolce.
Non risposi, lasciai quel momento cadere così. Non era lui a mettermi in gabbia. Erano i ricordi, era il passato.
Quelle cose che più cercavo di posare nel fondo dell’oceano, più risalivano a galla. Facendomi male… molto male.

...
Note dell'autrice:
Tutto più chiaro ora? Vi piace?
Spero di sì cavolo xD
Allora, qualche PS che mi sono dimenticata di mettere la volta scorsa. Nel capitolo 39 (sono sbadata sì lo so xD) se avete voglia di rileggervelo sentitevi 
http://www.youtube.com/watch?v=j4y-RzVGrHg (Far Away dei Nickelback) e immaginatevi una specie di trailer con tutte le avventure di Ronnie e Jared. Secondo me questa canzone è perfetta.
Secondo, questo sequel sarà cortino, saranno 11 capitoli più il mini epilogo. Lo so, è indecente visto che si potrebbe raccontare un sacco di cose, ma non posso fare la cronaca di ogni giorno di questi personaggi, sono però gli eventi che hanno caratterizzato maggiormente la loro vita. E altro PS, i ricordi non saranno solo di Ronnie o Jared, ma ci sarà anche spazio per protagonisti come Andy, oppure persino Lucy. 
Spero di avervi incuriosita e che mi seguiate ancora.
VI AMO! :)
Ronnie02
   
 
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