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Autore: Sophie Hatter    19/09/2012    4 recensioni
"Litigavano di cuore come spesso fanno le persone che si amano, ma non vogliono capirlo."
(Laura Mancinelli, "I dodici abati di Challant")
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chew Becca, Han Solo, Luke Skywalker, Principessa Leia Organa
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Nota di doverosa premessa: non credevo che avrei mai ripreso in mano questa mini-fanfiction, considerata la disastrosa mancanza di tempo che ormai mi sta facendo abbandonare praticamente tutto il mondo della scrittura. Poi quest’estate ho rivisto la vecchia trilogia, quasi per gioco e... mi sono di nuovo innamorata di questa coppia. Non c’è niente da fare, hanno radici troppo profonde nel mio debole cuore. Avevo già deciso anni fa che avrei scritto di questo momento, perciò non ho fatto altro che completare una vecchia idea. Come per gli altri capitoli, non si tratta di niente di più che di una storia d’amore; ma ho ricevuto delle recensioni talmente belle che, per quanto il tema sia banale, ho avuto modo di scoprire che c’è chi ama questi due personaggi tanto quanto me.

Se qualcuno decidesse quindi di avventurarsi nella lettura di questo stralcio arrugginito, ha già i miei ringraziamenti.

S.

 

 

 

 

 

 

3. “Comunque presto ce ne andremo.” “E anche tu te ne andrai...”

 

 

 

 

 

 

Don't make me sad, don't make me cry

Sometimes love is not enough and the road gets tough

I don't know why

Keep making me laugh,

Let's go get high

The road is long, we carry on

Try to have fun in the meantime

 

(Lana Del Rey, “Born To Die”)

 

 

 

 

 

 

 

Erano ormai trascorsi quasi un paio di giorni dal fattaccio, ma io ancora perseveravo nel sentirmi l’uomo più fortunato di tutti gli universi conosciuti.

Ci ripensavo in ogni momento, tutte le volte che per sbaglio posavo gli occhi su di lei – davanti a Chewie e agli altri cercavo di darmi un certo contegno, ma Sua Altezza sembrava comparirmi davanti ovunque, quasi lo facesse apposta – e perfino quando le ero lontano, nonostante le molte cose di cui avrei dovuto occuparmi in quegli attimi così densi di preoccupazioni. Ripensarci mi faceva sentire incredibilmente ottimista, quasi invincibile; fu un sollievo scacciare il pensiero fisso della taglia che pendeva sulla mia testa per sostituirlo con il ricordo della morbida sensazione che avevo provato nell’incontrare le sue labbra per la prima – e probabilmente unica – volta.

Avevo volontariamente rimosso la reminescenza della successiva fuga imbarazzata di lei, perché semplicemente non volevo guastarmi la vittoria. D’altronde, quell’idiota spaziale di un droide ci aveva interrotti in maniera molto poco delicata, perciò il fatto che lei avesse scelto di tagliare la corda era comprensibile. Era compito mio infliggergli un’adeguata punizione assegnandogli il triplo del lavoro da fare, essendo stato io ad aver avuto la malaugurata idea di assegnargli un compito di qualche genere anziché spegnerlo del tutto come in seguito aveva fatto lei.

Non era esagerato definirla una vittoria, pensai mentre mi liberavo con impazienza dei vestiti che avevo indosso, una volta chiusa alle mie spalle la porta del mio temporaneo alloggio su Bespin. Mi ci era voluto un anno per arrivarci, dodici mesi di frustrazioni, sconfitte, sarcasmo, derisioni, frasi taglienti, occhiate gelide, sguardi rabbiosi, negazioni e rifiuti. A onor del vero, nei minuti che avevano preceduto il suggellarsi del mio trionfo un qualche segnale di inversione di rotta mi era stato inviato: quando era caracollata fra le mie braccia in seguito a quello scossone, era evidentemente turbata. Rossa in viso, furente, sguardo altezzoso e camminata rigida, ma non era riuscita a mentire efficacemente come le altre volte. Inconsciamente dovevo essermene reso conto, considerando cosa mi ero spinto a fare dopo: qualcosa per cui, in un anno intero, mai avevo raccolto l’audacia necessaria.

Non si era trattato di un bacio svogliato o forzato, di questo ne ero certo; avevo fatto attenzione ad essere molto delicato, di modo che lei non potesse respingermi per via della mia irruenza, come accadeva di solito nei nostri scontri verbali. Con un inevitabile ghigno mi domandai se quel bacio fosse stato sufficiente a farla eccitare, dopodiché mi infilai dentro la vasca di acqua calda riempita in fretta per darmi una ripulita prima di andare a dormire.

Ero terribilmente stanco, ma finii per rimanere a mollo lì dentro per almeno un’ora. Con tutto quello che era successo dopo, non avevo ancora avuto il tempo necessario per metabolizzare completamente l’accaduto. Tuttavia, il rapporto con lei mi aveva talmente consumato i visceri da necessitare di una simile pausa di riflessione.

Avrei dovuto farlo molto tempo prima, questa fu la conclusione a cui giunsi. Tuttavia, a dispetto di ogni apparenza, ero sempre stato certo che mi avrebbe respinto. Per via di Luke, ma anche perché non ero il suo tipo. Soprattutto per questo, forse. All’inizio era solo un dubbio, poi era diventata una solida convinzione che aveva ridotto al minimo ogni gesto carino nei suoi confronti e accentuato a dismisura le risposte sarcastiche con cui mi divertivo a prenderla in giro. Non puntavo più a piacerle, semplicemente a schermarmi contro il suo disprezzo e a salvare la mia dignità; se qualcuno si fosse accorto di quello che in realtà provavo per lei – qualcuno in grado di comunicare con altre persone, quindi Chewie non contava – sarebbe stata la mia fine. Altro che leggendario contrabbandiere e formidabile pilota; tutti avrebbero iniziato a vedermi come un banale rammollito. E alle donne non piacciono i rammolliti. Per questo Jabba doveva incatenare le sue schiave per tenersele vicine – ma questo era un altro discorso.

Se non ci fossero stati tutti quei sistemi di emissione di vapore bollente, l’acqua sarebbe stata completamente fredda nel momento in cui mi decisi finalmente ad uscirne. Passai immediatamente attraverso i pannelli di asciugatura istantanea, altrimenti avrei corso il rischio di rimanere lì per un’altra ora, fradicio e tremante. Non riuscivo più a concentrarmi sulla realtà, cosa che mi rendeva estremamente patetico ai miei stessi occhi, ma da cui non sapevo come riprendermi.

Mi infilai gli abiti da camera, una semplice camicia pulita e un paio di calzoni neri, rivolgendo un pensiero di gratitudine a quella vecchia faina di Lando Calrissian per quell’ospitalità così inaspettatamente calorosa. Dopo giorni e giorni in fuga dalle navi imperiali a bordo del Falcon, un po’ di comodità non poteva che essere estremamente gradita – perfino a quello stupido droide, probabilmente. Quantomeno, avrebbe smesso per un po’ di lamentarsi dei sistemi operativi della mia nave.

Quando bussarono alla porta, portai istintivamente una mano alla fondina. L’attimo dopo scossi la testa e andai ad aprire con calma; gli alloggi avevano serrature di sicurezza e microcamere rivolte all’esterno, segno che Lando non era esattamente uno sprovveduto.

Tuttavia, pensavo fosse lui a trovarsi al di là della soglia, o tutt’al più Chewie; non ero preparato a ricevere una visita regale, e invece mi toccò constatare che proprio di quello si trattava.

Non potevo mostrarmi insicuro, perciò le aprii immediatamente, sfoggiando un sorriso accogliente e cordiale.

“Ehi, tutto bene?”

“A dire il vero non saprei...” – voleva un bacio di buonanotte? – “...non ho visto rientrare 3BO.”

Certo, era ovvio che non potevo aspettarmi niente di meglio. Che stupido povero illuso.

“Neanche io l’ho visto,” risposi. “Ma non ti preoccupare, starà sicuramente ammorbando qualche suo simile con le sue chiacchiere in sei milioni di lingue qua intorno. Se proprio si è perso, domani mattina andremo a cercarlo. Non abbiamo fatto molta strada per arrivare fin qui, la città è piccola. Ma non farlo notare a Lando, potrebbe offendersi.”

Cercai di farla ridere, ma non ottenni granché. Ripensai ai salamelecchi di Lando e mi domandai con astio se Leia preferisse la sua compagnia, ma scacciai quel pensiero subito dopo; non era il momento adatto per simili riflessioni.

“Spero solo stia bene. Domattina andrò a chiedere in giro.”

Annuii in segno di approvazione.

“Stai tranquilla, non potrebbero mai prenderlo come ostaggio. È talmente noioso e fastidioso che lo lascerebbero subito libero.”

Questa volta ottenni un sorriso un po’ più convincente. Non potei fare a meno di gongolare interiormente.

“La tua... stanza è ok?”

“Sì, ha l’aria molto comoda.”

“Degna di una principessa?”

“Han, io non sono più la principessa di un bel niente. Il mio pianeta è stato distrutto, pertanto non vivo più in palazzi lussuosi e non indosso più abiti regali da un bel po’ di tempo, ormai.”

“Io ti preferisco così.”

Lanciai quel complimento con una sorta di noncuranza sfacciata, appoggiandomi blandamente allo stipite della porta. Mi sembrò vederla arrossire lievemente, ma avevo la testa talmente annebbiata da non poterne essere sicuro.

Decisi tuttavia di fidarmi del mio istinto e di piantarla con le paranoie.

“Beh, se vuoi entrare possiamo discutere dei nostri prossimi spostamenti, non appena gli uomini di Lando avranno riparato il Falcon saremo liberi di andarcene... meglio parlarne al riparo da orecchie indiscrete, però.”

Lei si gettò qualche furtiva occhiata intorno, poi sembrò decidere che come scusa le andava bene.

Entrò in fretta, senza mostrare indecisione o tradire emozioni troppo forti, evitando semplicemente di guardarmi negli occhi per quegli attimi che le ci vollero a varcare la soglia. Improvvisamente, sentii defluire tutta la stanchezza che mi aveva assalito fino a un attimo prima: di colpo ero sveglio, i muscoli in tensione, il cervello in pieno funzionamento. Dovevo assolutamente stare attento a ciò che dicevo, non volevo più farla irritare; il mio obiettivo ora era colpire definitivamente nel segno, farle capire che ero davvero io l’uomo giusto.

In fondo, se lei non ci avesse creduto almeno un po’, al posto di un bacio mi sarebbe arrivato un sonoro ceffone. Di sicuro, per quanto all’apparenza Leia fosse minuta, ne era perfettamente capace.

E invece almeno in qualcosa l’avevo colpita, anche se non ero un cavaliere Jedi con la spada e l’armatura ma semplicemente un essere umano qualsiasi che cercava di non farsi portare via la testa dai cacciatori di taglie.

“Il rendez-vous ormai è saltato da un pezzo. Dato che non eravamo presenti, non siamo stati messi al corrente di dove i nostri si siano attualmente spostati. Pensi di poterti mettere in contatto con qualcuno degli ammiragli della flotta? Se non sono tanto lontani, forse faremmo prima ad unirci a loro...”

Mi resi conto che Leia non mi stava ascoltando. Si era seduta sul letto, china su se stessa, lo sguardo perso in qualcuna delle sue riflessioni. Avevo lasciato acceso il minimo indispensabile dell’illuminazione presente nella camera, eppure anche così riuscivo a vederla con estrema chiarezza: era bellissima, e io non potevo fare niente per non pensarlo. Probabilmente se l’era già sentito dire un milione di volte, quindi io sarei stato solo l’ennesimo cretino a cui non dare credito; ma chissà quanti l’avevano vista così, con una semplice veste di seta color corallo e una cappa leggera, quasi impalpabile, posata sulle spalle. Chissà quanti l’avevano ammirata con le lunghe trecce semidisfatte, il volto stanco dopo giorni di inseguimenti e di fughe, senza mai un attimo di pace.

Finalmente, dopo qualche secondo, mi parlò.
“Perché ti dai tanto da fare per me? Potrei chiedere una nave al tuo amico Lando e trovare da sola la flotta, se davvero ti fidi di lui. E tu potresti fare ciò che dovevi fare prima di perdere tempo ancora... per colpa mia.”

Ma che razza di domanda era? Fui quasi tentato di spazientirmi, ma poi riuscii a controllare quell’impeto e le risposi con calma e un sorriso ben piazzato.

“Tesoro, se io me ne fossi andato quando dovevo farlo tu ora saresti sepolta sotto le rovine della base di Hoth o peggio, prigioniera di Vader. Il mio aiuto ti è servito e, per quanto ti piaccia non dipendere da nessuno, accettalo ancora per qualche giorno. Ti scorterò fino al contingente ribelle più vicino, poi sbrigherò le mie faccende. Ho aspettato fino ad ora, ormai non cambia poi molto.”

Già, pensai dentro di me, ormai sei un uomo morto, Han Solo. Jabba ci si pulirà i denti con il denaro che gli porterai.

“Solo perché sono una donna non significa che non possa cavarmela da sola...”

“Non voglio che ti accada nulla di male. Non voglio più discuterne, e se davvero non ti senti più una principessa non puoi darmi ordini, Altezza.”

Lei si rabbuiò.

“Ti ho detto di non chiamarmi così.”

“Ti accontenterò se accetti le mie condizioni. Altrimenti, a che sarebbe servito tutto quel mirabolante salvataggio sulla Morte Nera di un anno fa?”

Sembrava passato un secolo, da allora. Ricordai improvvisamente che avevo detto a Luke “non so se ucciderla o innamorarmi di lei”, senza sapere che avevo già optato per la seconda scelta. Fin da allora ce l’avevo avuta in testa; non mi sembrava vero di aver trovato una donna così bella e di carattere, così irritante e seducente allo stesso tempo.

Lei mi fissò a lungo, con una strana espressione, che non le avevo mai visto rivolgere a me. Sembrava... angosciata.

“Non devi andare. Se resti con i Ribelli, i cacciatori di taglie non potranno avvicinarsi. Glielo impediremo noi.”

“Purtroppo sono più furbi di quanto credi. Non avrò certezze, fino a che non avrò pagato i miei debiti.”

In realtà, sapevo che stavo andando a morire. Ma non potevo dirglielo, e neppure volevo. Finalmente, a poco a poco, stavo riuscendo a farle ammettere il vero motivo per cui non voleva lasciarmi andare.

“Non riesco ad essere così ottimista come lo sei tu, Han,” mi disse, scuotendo la testa.

Probabilmente quelle erano le ultime ore che mi restavano da passare con lei. Dovevo cercare di rendermene conto, altrimenti sarei rimasto lì e non avrei fatto niente, come avevo fatto per un anno intero prima di trovare il coraggio necessario per avvicinarmi oltre i trenta centimetri di distanza di sicurezza.

Mi sedetti accanto a lei e le posai una mano sulla spalla, cercando di essere amichevole.

“Non ti preoccupare, andrà tutto magnificamente.”

Sapevo mentire benissimo all’occorrenza, ero sempre stato bravo; ma aver dovuto imparare a celare i sentimenti che provavo per lei non era servito ad altro che migliorarmi.

“Sono tanto stanca,” mormorò Leia, appoggiando la testa al mio braccio. Le accarezzai goffamente i capelli, cercando di scacciare tutti i pensieri che mi affollavano la mente. Quella frase poteva voler dire tutto e niente: che era stanca di lottare, di vivere, di essere in conflitto con me, di sopportarmi, di detestarmi.

Ma ormai avevo preso confidenza, perciò mi lanciai.

Prima le sfiorai la testa con le labbra, poi le sollevai il viso con decisione e non mi feci molti scrupoli nel baciarla con più ardore di quanto avessi osato la prima volta. Tanto ormai mi ero scoperto, era inutile giocare ancora a far finta che lei mi fosse indifferente. Sapeva benissimo che non era successo tutto quanto perché l’ennesimo scossone dell’asteroide ci aveva fatti scontrare casualmente proprio in quella posizione. Potevo accusarla di tutto, ma non d’ingenuità.

Non mi arrivò nessuno spintone, perciò lo interpretai come un segnale favorevole. All’inizio era incerta e potevo quasi giurare che avesse smesso di respirare, ma poi, lentamente, iniziò a sciogliersi.

Sapevo come riuscirci, del resto.

Per tutto il tempo trascorso dalla prima volta che ci eravamo incontrati, avevo fatto di tutto per non darle l’idea di essere un tipo romantico. Sguardi sfacciati, parole impudenti e gesti rudi erano sempre stati all’ordine del giorno. Ma ora intendevo stupirla in ogni senso: iniziai a carezzarle lievemente la testa, poi scesi lungo la schiena, infine decisi di azzardare e le passai l’altra mano su un fianco.

Lei si staccò, ma continuò a rimanere a pochissimi centimetri di distanza. Ci avevo visto giusto, non stava respirando. Ora riprendeva fiato, tremando leggermente.

Mi scostai per non opprimerla, ma anche per guardarla meglio. Sembrava che l’avessi sorpresa davvero. Mi scrutava ad occhi spalancati, turbati.

“Ti sei sempre comportato come se non te ne importasse niente...” sussurrò, confusa. Sulle prime rimasi perplesso. Come diamine aveva potuto non cogliere tutti i segnali che mi ero inevitabilmente e stupidamente lasciato scappare, pur maledicendomi ogni volta, nel corso di tutti quei mesi trascorsi a contatto con lei?

Poi le sorrisi sfacciatamente.

“Allora significa che so fingere bene”, replicai.

Mi aspettavo, a quel punto, che mi domandasse perché l’avevo fatto. Sarebbe stato tutto molto più semplice se mi fossi dichiarato fin dall’inizio. Non ero esattamente sicuro su quale fosse stato il motivo principale: il mio orgoglio, la convinzione che le piacesse Luke, il pensiero che teoricamente non avrei dovuto fermarmi a lungo con i Ribelli e che prima o poi avrei levato le tende, o forse il fatto che lei era una Principessa Senatrice della Repubblica che non aveva nessuna ragione al mondo per trovare interesse in un contrabbandiere dei bassifondi.

Le mie congetture, però, si rivelarono errate. Dopo un attimo di pausa, stavolta, incredibilmente, fu Leia a baciarmi.

Mentre mi adagiavo delicatamente sul letto insieme a lei, scacciando finalmente ogni pensiero sul futuro angosciante che mi attendeva, mi ritrovai a considerare che quella di fermarsi a Bespin era stata davvero una grande idea.

 

   
 
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