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Autore: Pluma    05/04/2007    2 recensioni
“Artù tu rimarrai qui e governerai questa terra, ma io non andrò più a casa mia.” “Perché? Ora sei libero!” “Arthorius, io sono morto!” “Non è vero. Sei qui, mi stai parlando.” “Pensavi che me ne sarei andato senza salutarti?”
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Artù lasciò la presa e il corpo del re dei sassoni cadde con un tonfo sordo sulla terra  umida e molliccia della Britannia. Si girò, e vide il corpo di uno dei suoi valorosi cavalieri sarmati morto: Tristano. Una fastidiosa insoddisfazione gli pungolava il cuore.

Alzò lo sguardo sul campo di battaglia, qua e là c’era ancora qualche britanno occupato a uccidere gli ultimi sassoni che ancora resistevano. Ad un tratto i suoi occhi furono attratti da una figura da lui molto amata, seppure da poco tempo, che si aggirava al di là del fumo dei fuochi ormai spenti. Vide Ginevra inginocchiarsi a fianco di un soldato.

“No, non può essere!” sussurrò.

Corse, corse come non aveva mai fatto, dimentico delle ferite e del peso dell’armatura. Arrivò vicino alla donna piangente, che lo guardò con occhi gonfi; il suo cuore si rifiutò di battere per un attimo, poi riprese, martellandogli nel petto, quasi volesse uscire da quel corpo per non soffrire più.

A terra, con gli occhi aperti ma privi di vita c’era il suo migliore amico, Lancillotto. I riccioli neri sporchi di fango, così come il volto che lo stesso Artù  aveva visto trasformarsi in mille smorfie. Dal più terribile furore, alla ceca stupidità, fino ad essere quella del più simpatico dei compagni.

Le ginocchia gli cedettero, le mani tremanti presero la testa dell’amico, e le lacrime… le lacrime uscirono senza ritegno, senza pudore, senza chiedere il permesso.

Arrivarono il resto dei cavalieri, gli unici tre che in quindici anni di battaglie erano riusciti a sopravvivere. Anche loro furono sorpresi ed addolorati, ma mai come il loro comandante che intanto urlava contro il cielo.

Dopo non pochi sforzi, i cavalieri riuscirono ad allontanare Artù da Lancillotto, portandolo nel suo alloggio. Alla domanda se potevano fare qualche cosa per lui, il condottiero rispose di no, voleva rimanere solo. Arrivò la Luna che prese il posto del Sole pallido di quelle terre, e con lei anche il sonno sopraggiunse portando tranquillità alle membra del soldato, anche se non nel suo cuore e nella sua mente.

Quando si svegliò, la stanza era in penombra. Percepì la presenza di qualcuno, alzò la testa e vide tra le ombre una più scura e più compatta.

“Non hai dormito molto, amico mio.” Affermò Lancillotto.

“Sei tu che mi hai svegliato, è colpa tua. Sono talmente stanco che dormirei tutta la mattina.” Rispose quasi seccato Artù, riappoggiando la testa sul cuscino e chiudendo di nuovo gli occhi.

Lancillotto abbassò lo sguardo. “Sì è vero, è colpa mia. In effetti non capisco come hai fatto a sopportarmi per tutto questo tempo!”

“A me piace la tua compagnia Lancillotto. Anche se ora io rimarrò qui e tu ritornerai a casa tua, sarai sempre un mio compagno.”

“Artù” disse Lancillotto con voce calma, paziente come se si stesse rivolgendo ad un bambino. “Tu rimarrai qui e governerai questa terra, ma io non andrò più a casa mia.”

Artù aprì gli occhi che fissò sull’ombra appoggiata ad un angolo.

“Perché? Ora sei libero!”

“Arthorius, io sono morto!”

“Non è vero. Sei qui, mi stai parlando.”

Con un colpo di reni Lancillotto uscì dall’oscurità, avvicinandosi all’amico.

“Pensavi che me ne sarei andato senza salutarti?”

In quel momento la mente di Artù ebbe un lampo: la battaglia, i sassoni, Tristano e Lancillotto a terra, morti. L’uomo ritornò a piangere.

“Non è giusto, io dovevo morire.” Si lamentò tra i singhiozzi il futuro re. “Tu dovevi essere libero:”

“Artù ascoltami” ordinò Lancillotto. “Per tutta la mia vita non ho mai creduto in niente. Non ho un dio, né una fede, non volevo una famiglia. Fatta eccezione per una cosa, solo in un’idea credevo: tu. Hai un grande destino, Arthorius, che ti aspetta e queste persone hanno bisogno di te. In fondo sei sempre stato britanno, mai romano. Porta la pace Artù. Lo puoi fare!

“Per quanto riguarda me, non ho mai avuto molte speranze di poter cavalcare di nuovo nelle pianure da cui provengo. Ogni volta che sfoderavo le mie spade non ero mai sicuro di sopravvivere, perciò non mi ha mai sorpreso quando quel sassone mi ha colpito. Non volevo morire per qualcosa che non avevo scelto io spontaneamente. Volevo che l’ultima battaglia avesse un senso per me, che il mio sangue sparso per terra avesse un valore! E non solo una stupida motivazione che risale a degli antenati di cui non conosco nemmeno il nome.

“Sono morto così Artù; sono morto come sono nato: libero. Ero libero di seguirti e così ho fatto.”

Artù ascoltò l’amico, non ricordava che avesse mai parlato così tanto se non quando era infuriato. Lancillotto era capace di monologhi lunghissimi pieni di rabbia e rancore, contro il mondo intero. Questa volta, invece, aveva sì parlato tanto, ma nella sua voce non traspariva nulla di ciò.

Artù si avvicinò all’amico, volevo abbracciarlo, ma Lancillotto si spostò prima, lasciando il suo ex comandante sbigottito.

“Non è mai successo che ci abbracciassimo in vita, perché ora dovrebbe cambiare qualche cosa?”

chiese ironico il cavaliere sarmata prima di scomparire.

Il giorno dopo, si celebrò il funerale dove i corpi di Lancillotto e Tristano vennero bruciati. Mentre il fuoco divampava e le ceneri venivano sparse dal vento, Artù prese in moglie Ginevra.

I volti di tutti i presenti erano rivolti verso il loro re Arthorius che garantì a ciascuna persona della Britannia la libertà che si sarebbe meritata. I due sposi erano abbracciati l’uno all’altra felici e radiosi, ma ogni tanto il dolore che lui portava dentro si faceva risentire.

“Mi mancherai Lancelot!” sussurrò il re impercettibilmente.

In quel momento qualcosa di caldo lo circondò completamente, come un abbraccio.

“Non può essere lui.” Pensò Artù.

“Ti sbagli amico mio.” Risuonò una risata nelle orecchie e subito dopo il vestito di Ginevra si alzò lasciando vedere per pochi istanti le lunghe gambe affusolate della regina.

Artù sorrise al vento e sospirando disse:
”non cambierai mai!”

   
 
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