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Autore: Clovely    20/09/2012    11 recensioni
«La storia di Cato e Clove ebbe inizio molto prima dei Giochi, quando erano ancora dei bambini. A Clove bastò solo uno sguardo per capire che c'era qualcosa di più sotto l'espression beffarda di Cato, il ragazzo dai profondi occhi di ghiaccio. Qualcosa di irresistibile e misterioso. Fu così, dopo un solo, breve incontro, che le loro vite iniziarono ad intrecciarsi, portandoli lentamente verso il loro destino.»
Noi tutti conosciamo Cato e Clove come i Tributi letali e spietati dal Distretto 2. Ma cosa sappiamo veramente di loro? La risposta è semplice: nulla. Per questo motivo ho deciso di scrivere questa fanfiction, per tutti quelli che credono ci sia stato qualcosa di più, sotto la superficie dei due Favoriti. Anche loro devono avere una storia, una vita... un passato.
Questa è la mia storia di Cato e Clove, prima e durante gli Hunger Games e se vi ho incuriositi, leggete e lasciatemi una recensione, mi farebbe davvero piacere ;)
Genere: Azione, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri tributi, Cato, Clove, Favoriti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Till your last breath


PARTE PRIMA

~


CAPITOLO 1
FIRST SIGHT


Era una tipica giornata invernale nel Distretto 2. La neve cadeva in lenti vortici candidi, celando sotto le sue coltri il paesaggio del Distretto e tingendo tutto ciò che toccava di un bianco cristallino, quasi irreale.
Quando fuori faceva così freddo la cosa più bella che si potesse fare era restare al caldo, magari avvolti in una morbida coperta di lana, vicino ad un camino scoppiettante e con un tazza calda tra le mani. Ma qualcuno preferiva il contrario.
Essere fuori, all’aperto, con addosso più strati di vestiti che di pelle, correndo nella neve e sprofondandovi, con gli stivali inzuppati e le dita umide dei piedi, le guance arrossate dal freddo e le labbra screpolate.
Questo, senza ombra di dubbio, era più divertente.
Clove osservava la neve cadere da dietro una grande finestra chiusa. Il caldo del salotto di casa sua era confortevole ed accogliente e la bevanda che le aveva preparato sua madre la riscaldava dall’interno ma... ma mentre seguiva con lo sguardo gli altri bambini che giocavano a palle di neve, facevano angeli per terra e sfrecciavano in ogni direzione con gli slittini di legno, sentì una punta di invidia.
Clove amava l’inverno. Amava l’avventura. Amava la neve. Le piaceva anche il freddo, ma solo quando era all’aperto e poteva farlo passare correndo.
Eppure quella domenica non le era permesso uscire, pensò sbuffando.
Posò la tazza, ormai vuota, sul tavolino di legno di fianco al divano dove si era messa per fissare gli altri ragazzini e si sistemò con stizza il fiocchetto rosso di velluto che sua madre Maryse le aveva appuntato tra i capelli corvini. Odiava sembrare una dolce e brava bambina. Soprattutto perché non lo era affatto. Clove, otto anni, era la ragazzina più indisciplinata del Distretto, tanto che i bambini del suo quartiere avevano paura di lei e le giravano allargo quando la vedevano avvicinarsi. Ma del resto la sua reputazione se la era guadagnata. Non le piaceva stare in compagnia degli altri bambini della sua età, per questo preferiva starsene sola. Ma comunque sua madre amava conciarla come una bambolina e lei non poteva far altro che lasciarglielo fare. In fondo a lavoro finito sembrava davvero una bambola, pensò Clove, scorgendo la sua immagine riflessa nel vetro della finestra: capelli neri come la notte e mossi come le onde del mare in tempesta. Occhi di un blu scuro e intenso che con il buio sembravano quasi neri. Pelle candida come porcellana e una spolverata di odiose lentiggini sul naso e sulle guance; labbra piccole e rosse che in quel momento si incurvarono ai lati, dipingendole in viso uno studiato sorriso da brava bambina. Clove sorrise alla sua immagine riflessa, pensando che non doveva farne poi una così grossa tragedia: solo poche ore e poi avrebbe potuto uscire fuori a rovinare il divertimento agli altri bambini. Quel pensiero parve elettrizzarla. Forse non era del tutto normale che una bimba di otto anni si divertisse spaventando i suoi coetanei. Ma Clove era fatta così. Per esempio quando trovava un pupazzo di neve, probabilmente costruito con tanta cura e dedizione da qualche altro bimbo, non poteva fare a meno di distruggerlo. Non capiva cosa ci fosse di male. Era divertente!
Quando qualcuno bussò alla porta la bambina balzò in piedi, mettendo da parte i ricordi delle sue scorribande e lisciandosi le pieghe della gonna rosso vinaccio, come il fiocchetto che aveva tra i capelli. Sua madre e suo padre sbucarono dalla cucina e si precipitarono all’ingresso. La mamma indossava ancora il grembiule ma se ne liberò in pochi secondi e lo gettò con noncuranza su una sedia nell’ingresso. Clove li seguì a qualche passo di distanza, mentre loro aprivano la porta, cercando di mascherare l’espressione scocciata ed annoiata che aveva sul volto.
Ed ecco apparire davanti ai suoi occhi la causa della sua reclusione in una così bella domenica invernale. Gli amici dei suoi genitori.
Clove non se li ricordava minimamente. Sapeva solo che suo padre e l’uomo lavoravano assieme ed erano due pezzi grossi nell'industria del Distretto. Mamma e papà le avevano anche detto che erano stati loro ospiti parecchie volte dalla sua nascita. Probabilmente era troppo piccola per ricordarselo. O forse non le importava proprio, pensò Clove osservando a turno i visi sconosciuti della donna e di suo marito. I suoi genitori salutarono calorosamente gli ospiti, cominciando subito con i convenevoli di rito, i complimenti e le domande da copione. Clove rimase alle loro spalle, con le mani intrecciate dietro la schiena, mordicchiandosi un labbro in attesa che i grandi la smettessero di parlare. Ma mentre fissava i volti dei nuovi arrivati cercando di ricordarsi qualcosa di loro, i suoi occhi ne incontrarono un altro paio.
Erano azzurri come il cielo d’estate o come il ghiaccio in cima a una montagna altissima. E le parvero curiosi e beffardi. Improvvisamente si ricordò che anche quei due sconosciuti avevano un figlio. Glielo aveva detto sua madre la sera prima.
Il ragazzino doveva essere solo qualche anno più grande di lei e continuava a fissarla con le labbra piegate in un sorriso di scherno. Clove, in risposta, lo osservò con aria di sfida e un sorrisetto divertito, mentre la tanto studiata espressione da bambina innocente lasciava il suo viso.
«Oh Clove! Santo cielo come sei cresciuta!» Esclamò la donna della quale Clove non si era ricordata il nome almeno fino a quando non aveva sentito sua madre chiamarla Grace. La piccola distolse lo sguardo per posarlo su di lei. Era una signora ben curata sui quarant’anni con i capelli color biondo miele raccolti in un’acconciatura impeccabile, un tailleur elegante di un verde smeraldo, gli occhi di un castano intenso e un’espressione calorosa sulle labbra rosse. Era molto diversa da sua madre, che invece non dava mai troppo peso all’aspetto esteriore, figurarsi indossare un tailleur o raccogliere i capelli in quel modo! L’uomo dietro di lei invece sembra più vecchio perché nei capelli castani si intravedevano ciuffi di grigio e in più la sua espressione sembrava tirata, quasi finta e sicuramente meno entusiasta di quella della moglie, visto che guardando l’orologio ad intervalli regolari, con una strana espressione in volto, come se avesse fretta.
Bé, allora non era l’unica che non vedeva l’ora che quel pranzo finisse. E pensare che non era ancora nemmeno cominciato.
«Clove, ti ricordi di lui?» Le chiese sua mamma, indicando il ragazzino spavaldo che la donna, Grace, stava spingendo in avanti senza molto garbo.
«Credo proprio che non se lo ricordi, dico bene Clove?»
La bambina scosse la testa senza parlare.
«Suvvia, non essere maleducato!» Esclamò Grace rivolta al figlio. Il ragazzino la guardò con astio e con una smorfia indistinta sulle labbra. Quell’espressione era davvero irritante, pensò la bambina mentre studiava con sguardo indagatore il ragazzo biondo. Alla fine lui posò di nuovo lo sguardo su di lei, fece un passo avanti e allungò la mano nella sua direzione.
«Ciao. Io sono Cato.»
«Clove.» Sussurrò la piccola, con voce vellutata.



~

SPAZIO AUTORE


Salve a tutti popolo di efp! Eccomi per la seconda a pubblicare qualcosa su questi bellissimi libri. Questa volta però ho deciso di spostare la mia attenzione non sui protagonisti, bensì su quelli che, per certi versi, potrebbero essere definiti gli antagonisti della storia: Cato e Clove.
Di fatto, sappiamo ben poco di loro: che vengono dal Distretto 2, che sono forti ed allenati, che vogliono vincere. Ma cosa sappiamo veramente di loro? Bé, io direi nulla.
Per questo ho deciso di scrivere la mia fanfiction. Credo che anche loro si meritino un passato, una vita e una loro storia.
Ma ora passiamo alla fanfic. Il primo capitolo è una sorta di introduzione ai personaggi principale e le loro famiglia. Ed è anche abbastanza corto e posso dirvi che anche i prossimi non saranno lunghissimi. Ma c’è un perché. I capitoli a seguire, più o meno fino al quinto, saranno sul passato più remoto di Cato e Clove, quando erano ancora dei bambini. Per questo potrebbe capitare che, tra un capitolo e un altro, ci sia un grandissimo sbalzo temporale, anche di anni. Ma capirete meglio leggendo, lo giuro ;)
Ed ora... bé, direi che posso anche smetterla di tediarvi con tutto questo poema e lascio la parola a voi. Non so ancora se la storia sarà un flop totale oppure no, ma mi farebbe davvero
davvero piacere sentire cosa ne pensate voi. Quindi... sentitevi liberi di recensire ;)
Ora vi saluto e, ovviamente, possa la fortuna essere sempre a vostro favore u.u

~ C


   
 
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