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Autore: LaniePaciock    21/09/2012    11 recensioni
Rick e Kate finalmente c’è l’hanno fatta, ma a che prezzo? Le dimissioni, la rottura tra Esposito e Ryan… Kate pensava di smettere, di essere in salvo, ma se venisse assassinato Smith? Se fosse di nuovo in pericolo? Ma soprattutto, cosa succederebbe se l’uomo misterioso di nome Smith non fosse stato l’unico a ricevere i fascicoli sul caso Beckett da Montgomery?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rick's dad'
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Ok, ehm... prima di predere fucili, pistole, pugnali, forconi, lance e quant'altro, leggete fino in fondo! ;) (ci tengo alla mia vita ù.ù)
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Cap.19 Buona fortuna

Rick finì automaticamente di legarsi la cravatta al collo. Quando si guardò allo specchio si stupì di trovarsi già pronto nel suo completo nero. Si era alzato, lavato e vestito senza nemmeno accorgersene. Non aveva neanche percepito il consueto dolore al fianco che da un mese lo perseguitava in ogni movimento.
È davvero già passato un mese? si ritrovò a pensare sorpreso. Scosse la testa e si guardò di nuovo allo specchio, ricordando ancora una volta quella notte d’inferno. La ferita che Maddox gli aveva inferto al volto si era cicatrizzata e ora rimaneva solo una lunga, ma sottile, striscia rossiccia che partiva da sopra il sopracciglio e gli finiva al mento. I medici gli avevano detto che presto sarebbe sbiadita e che col tempo forse non si sarebbe neanche notata troppo. Quella al fianco invece avrebbe lasciato un segno evidente e indelebile. Kate però gli aveva assicurato che le cicatrici lo rendevano ancora più affascinante e misterioso. Sorrise appena pensando alla sua musa. Quella notte lei aveva conquistato una cicatrice in più alla gamba. E si era riconquistata la sua vita. Questo l’aveva spaventata a morte, lui aveva capito subito dal suo sguardo. Ma era riuscito a farle comprendere e a convincerla che il suo modo di interagire con le vittime e con i parenti non sarebbe cambiato. Anzi avrebbe agito anche meglio sapendo come ci si sente ad avere finalmente giustizia. Aiutando anche gli altri a guardare avanti nonostante il dolore.
“Papà, sei pronto?” La voce di Alexis che lo chiamava lo risvegliò dai suoi pensieri.
“Sì, tesoro, arrivo” rispose. Si diede un’ultima occhiata distratta dallo specchio e uscì dalla camera. La ragazza era seduta al piano bar della cucina. Indossava un vestito nero a maniche lunghe. Notò che quell’oscurità la rendeva più pallida. O forse era proprio la sua bambina a essere più pallida quel giorno. La ragazza aveva davanti a sé una tazza da colazione e un cartone di latte, ma sembrava non volersi decidere a versarlo. “Tutto bene?” domandò lo scrittore avvicinandosi a lei e lasciandole un piccolo bacio sulla testa. Alexis si voltò verso il padre e annuì facendogli un mezzo sorriso. Il suo sguardo però era triste. Rick avrebbe voluto far qualcosa per risollevarle il morale, ma non credeva ne sarebbe stato capace quel giorno. “Non fai colazione?” chiese ancora l’uomo facendo un cenno con la testa alla tazza vuota di fronte a lei. La ragazza scosse la testa.
“Non ho molta fame…” mormorò osservando lei stessa con sguardo perso la ciotola. L’uomo sospirò e la tirò a sé per abbracciarla, poggiando il mento sulla sua testa. La figlia si strinse subito a lui.
“La nonna?” domandò dopo qualche secondo lo scrittore.
“Era quasi pronta. Dovrebbe scendere tra poco” rispose piano. Rimasero in quella posizione per un tempo che avrebbero detto infinito, ma che durò solo pochi minuti. “Mi sarebbe piaciuto conoscerlo di più…” sussurrò quindi Alexis sul suo petto. La sua voce era appena incrinata. Rick non ebbe bisogno di chiederle di chi stava parlando. L’uomo non poté fare altro che accarezzarle la schiena dolcemente e lasciarle un altro bacio sulla testa. “So che non andate d’accordo, che ti ha lasciato, ma non era cattivo…” continuò la ragazza, mentre la voce minacciava di spezzarsi. “E lo so che l’ho conosciuto per poco, ma sono… sono certa che ti volesse bene, papà. Davvero bene. Tanto quanto tu ne vuoi a me.” Allo scrittore si formò un groppo in gola. Strinse di più a sé la figlia.
“Questo è impossibile” replicò piano Rick dopo qualche secondo staccandola appena da sé per guardarla negli occhi. “Nessuno ama un figlio tanto quanto io amo te, piccola” spiegò con un lieve sorriso. Alexis gli sorrise di rimando, gli occhi umidi.
“Mi mancherà…” mormorò quindi la ragazza aggrappandosi di nuovo al padre e nascondendo la testa sul suo petto. Rick rivide in lei la bambina che era stata e che credeva di aver perso con il diploma. Ma non era vero. Lei era sempre lì. E lui ci sarebbe stato sempre per lei.
Non seppe cosa replicare, quindi semplicemente continuò a tenerla contro di sé e ad carezzarle la schiena. In quel momento sentirono dei passi in cima alle scale e videro Martha scendere. Indossava un tailleur nero e sulla faccia aveva già posizionato un paio di grandi occhiali da sole. Rick sospettava li avesse già messi per nascondere loro le profonde occhiaie. Non aveva dormito molto nell’ultima settimana, anzi quasi nulla, e sempre più spesso l’avevano sorpresa con un bicchiere pieno di chissà quale alcool in mano.
“Andiamo?” domandò l’attrice. Il tono era spento e rassegnato. La vitalità che l’aveva sempre caratterizzata sembrava essersi spenta del tutto. Perfino alla morte di Chet, dopo qualche tempo, si era ripresa e aveva fondato la scuola a suo nome. Ma ora sembrava ben lontana dal volersi rimettere.
Rick sospirò e annuì. Quindi rilasciò Alexis e tutti e tre si diressero silenziosamente alla porta di casa.
 
Passarono a prendere Kate al suo appartamento. Quando la donna uscì dal portone, notarono che zoppicava appena dalla gamba ferita. Faceva ancora un po’ fatica a camminare, ma non aveva voluto saperne di tenere delle stampelle. Videro anche che indossava la divisa della polizia come al funerale di Montgomery.
Arrivarono al cimitero un quarto d’ora dopo. La tomba era stata posizionata quasi al centro di esso, sotto un grande albero che gli faceva ombra. Con un certo umorismo nero, Rick pensò che così com’era stata la sua vita, ora sarebbe stata anche la sua morte: nell’ombra. Solo in un secondo momento si ricordò che in realtà quella cassa da morto era vuota. Trovarono il prete già lì accanto che scambiava qualche parola con due uomini. Dalle vanghe in mano, capì che dovevano essere quelli che avevano scavato la fossa e che l’avrebbero poi riempita più tardi. Rick, Kate, Martha e Alexis furono i primi ad arrivare. In pochi minuti però furono raggiunti anche da Esposito e Ryan, anche loro in divisa, da Lanie e dal capitano Gates. Con grande sorpresa dello scrittore, arrivò anche il padre di Kate, Jim.
Tre sedie erano posizionate a lato della fossa. Erano lì per i familiari, ma solo Martha e Alexis si sedettero. Rick rimase in piedi, davanti a quel buco con sopra una tomba vuota pronta per essere sotterrata. Ad un tratto sentì una mano che si intrecciava con la sua. Conosceva quel calore. Conosceva quel profumo di ciliegie che si portava dietro. Voltò appena la testa e incontrò lo sguardo comprensivo di Kate. Le fece un mezzo sorriso triste e grato e lei gli strinse appena la mano in risposta, a indicargli che sarebbe stata lì con lui. Nonostante ancora Rick non sapesse che sentimenti provare verso quella tomba vuota, la sua musa l’aveva aiutato molto a cercare di comprenderli durante il mese trascorso. E non lo aveva soccorso solo in quel caso. Kate aveva cercato di infondergli speranza, quando la sua vacillava. Lo aveva tirato su, quando il suo morale era caduto a terra. Lo aveva calmato, quando aveva avuto qualche scoppio d’ira. Lo aveva risvegliato dal suo personale dormiveglia, quando aveva iniziato a trascurare sua figlia e sua madre aveva cominciato a bere in modo preoccupante. Lo aveva cullato, stretto e amato, quando si era sentito solo e abbandonato. Se non fosse stato per la presenza della sua musa, lui sarebbe rimasto per un mese chiuso in camera, diviso internamente, sdraiato sul suo letto a fissare il soffitto con una bottiglia di whiskey in mano.
Entrambi si girarono a osservare la tomba. La lapide su di essa era molto semplice, in marmo bianco e ad arco. Non c’erano foto. Solo poche parole. Il nome Alex Tully era impresso nel mezzo della pietra a grandi lettere dorate. Poco più in basso le date di nascita e di morte. Non avevano voluto scrivere altro.
Kate rimase accanto a lui per tutta la durata della breve cerimonia funebre. Rick non si mosse per tutto il tempo. Sembrava una statua, gli occhi puntati su quella bara color legno scuro davanti a lui. Non sentì praticamente nulla delle parole del pastore. Nessuno fece discorsi quel giorno. Nessuno anzi aprì bocca. Gli unici altri rumori, oltre alla voce bassa del prete e al lieve frusciare del vento, erano i lievi singhiozzi provenienti da Martha a cui si aggiungevano di tanto in tanto quelli di Alexis.
La predica finì, il sacerdote fece loro le condoglianze e se ne andò. Lentamente, anche i partecipanti si allontanarono. Lanie si portò accanto a Martha, sorreggendola con una mano sulle sue spalle e cercando di confortarla. Esposito e Ryan invece si occuparono della piccola Castle come due fratelli maggiori.
“Kate…” mormorò ad un tratto Rick. “Kate io… io vorrei…” non sapeva come chiederglielo. Voleva stare un momento solo, ma non voleva che lei pensasse che volesse allontanarla. Non dovette continuare però perché la sua musa capì lo stesso. Gli sorrise appena. Un sorriso di comprensione. Gli si avvicinò e gli lasciò un leggero bacio sulle labbra.
“Ti lascio solo” disse la donna dolcemente guardandolo negli occhi. Sapeva bene che a volte si voleva solo restare soli con il proprio dolore e con le proprie emozioni. Lei meglio di chiunque altro lo sapeva. “Quando vuoi, io ti aspetto all’entrata. Prenditi tutto il tempo che ti serve, ok?” L’uomo annuì sollevato e mormorò un ‘Grazie’. Quindi la donna gli carezzò la guancia, gli lasciò la mano e se ne andò. Una volta solo, lo sguardo di Rick fu inevitabilmente attratto di nuovo da quel pezzo di legno davanti a lui. Perché non era altro. Un pezzo di legno vuoto.
Un paio di minuti dopo si sorprese nel sentirsi le guance bagnate. Per tutto il mese non aveva versato una singola lacrima. Non era una questione di forza. Si piange quando si perde qualcuno che si ama. Ma lui non aveva mai amato suo padre. Come avrebbe potuto amare qualcuno che non aveva mai avuto? O meglio l’aveva avuto, ma per troppo poco per poterlo apprezzare. Quindi non avrebbe saputo spiegarsi in quel momento come avesse fatto a ritrovarsi a piangere silenziosamente sulla tomba vuota di un uomo che gli era quasi del tutto sconosciuto.
Ad un tratto sentì dei passi dietro di lui. Si asciugò velocemente le lacrime e nel voltarsi vide Jim Beckett. Si era dimenticato della presenza del padre di Kate. Jim si fermò accanto a lui, gli occhi fissi sulla tomba.
“Avanti, Rick, chiedimelo” disse dopo qualche secondo con un sospiro. Il tono era divertito e triste insieme. Lo scrittore tirò su con il naso e pulì gli occhi dalle ultime lacrime, mentre lo guardava sottecchi. Quindi si decise a parlare.
“Perché sei qui?” domandò appena fu sicuro che la sua voce non l’avrebbe tradito. Non c’era rabbia nel tono. Solo confusione e curiosità. “Tu l’hai sempre odiato. Ti ha detto dio solo sa quali cose quando è morta la madre di Kate e… Non ti sto dicendo che non dovevi venire” aggiunse velocemente lo scrittore per paura di offenderlo. “Solo non capisco. Non avevi motivo di venire al suo funerale.”
“Eppure sono qui” replicò con lo stesso tono di prima Jim, lanciandogli un’occhiata. Poi invece si fece più serio. Tornò a fissare la lapide bianca e prese un respiro profondo prima di parlare. “Però hai ragione” replicò a sorpresa. “Io l’ho odiato. L’ho odiato con tutto me stesso per anni...” Il suo sguardo si perse tra i ricordi e Rick lo vide stringere i pugni. Dopo qualche secondo però Jim scosse appena la testa per riprendersi e si rilassò nuovamente. Quindi guardò lo scrittore negli occhi. “L’ho odiato per quello che mi ha fatto. Per le accuse che mi ha mosso, per avermi tenuto lontano da Kate in quelle prime terribili ore dopo la morte di Johanna... Ma solo ora capisco perché lo ha fatto. Solo ora comprendo che l’ha fatto non solo perché era il suo lavoro, ma anche per Jo e per Katie. Perché potessero avere giustizia.” Si fermò e prese un breve respiro. I suoi occhi erano diventati lucidi. “Alex Tully ha sottratto alla morte mia figlia al costo della sua vita, Rick…” disse con voce appena incrinata. “E io dovrò aspettare di morire per poterlo ringraziare personalmente di aver salvato la mia bambina…” Quindi Jim tornò a fissare la lapide, incapace di andare avanti. Rimasero entrambi in silenzio per qualche momento. “Io non piangerò per lui” dichiarò all’improvviso con voce ferma. Rick si voltò a guardarlo confuso, le sopracciglia aggrottate. “Mi ha fatto troppo male. Ma non lo odio più. È arrivato il momento di chiudere una volta per tutte questa faccenda. Bisogna di lasciarsi il passato alle spalle e andare avanti, ricordando solo i momenti più belli che si sono passati. Bisognerebbe ricordare sempre così i propri morti” aggiunse con tono sognante, come se quel pensiero gli fosse venuto in mente solo in quell’istante. “Nel loro massimo splendore. Perché sono quelli gli unici momenti che rendono la vita degna di essere vissuta.” Detto questo, Jim si voltò verso lo scrittore e gli poggiò una mano sulla spalla. “Tully ha fatto molte cose discutibili, ma ne ha fatte molte altre buone…” Rick emise in leggero sbuffo.
“Già” replicò scoraggiato. “Ma le cose buone bastano a tralasciare quelle cattive?” Jim gli sorrise appena e gli strinse la spalla.
“A questo puoi rispondere solo tu, Rick.” Quindi gli fece un ultimo mezzo sorriso e se ne andò, senza lasciargli il tempo di replicare. Lo scrittore guardò Jim allontanarsi senza dire una parola, la bocca semiaperta per il discorso appena sostenuto dal padre della sua musa. Quindi tornò a guardare la lapide bianca. Sentì che i due uomini con le vanghe stavano tornando, ma non se ne curò. Forse è per questo che non so cosa provare… pensò con un sospiro. Perché non riesco a decidermi se ciò che hai fatto ora è abbastanza per cancellare, o almeno far sbiadire, ciò che hai fatto in passato. Ma la domanda resta: il bene che hai compiuto basta per passare oltre il male?
 
Una settimana dopo il funerale di Tully, Rick stava camminando immerso nei suoi pensieri nel mezzo di Central Park. La giornata era soleggiata e la temperatura perfetta per stare all’aperto. Ma non era solo per questo che lo scrittore era lì.
Kate era al suo appartamento in fase ‘preparazione valigie’. L’indomani infatti sarebbero partiti per gli Hamptons. Non era solo il fatto che voleva mostrarle la casa o perché le aveva promesso di andare un mese lì. Il motivo era un altro. Voleva cambiare aria. Aveva bisogno di un periodo di riposo solo con la sua musa, lontano da New York, lontano da tutto e da tutti. Tranne che da lei. E Kate l’aveva capito subito. Aveva acconsentito senza dire nulla. Era semplicemente andata al distretto, dove aveva ripreso a lavorare senza problemi, e aveva richiesto delle ferie arretrate alla Gates. Non sarebbe stata una vacanza particolarmente allegra, ma capiva che Rick volesse staccare la spina per un po’. Anzi era rimasta stupita quando le aveva proposto di accompagnarlo.
Quel giorno c’erano sia sua madre che sua figlia in casa. Martha sembrava stesse finalmente cominciando a dormire la notte e gli alcolici erano leggermente diminuiti. Alexis invece o usciva con Paige o leggeva. Quando era a casa ormai si buttava a capofitto nei libri e ci si perdeva dentro per ore, non avendo ancora da studiare. Rick sapeva bene perché lo faceva. Voleva estraniarsi da loro e dal mondo. E come biasimarla, quando sua nonna girava ubriaca o catatonica per casa e suo padre sembrava cambiare umore ogni mezz’ora, sempre con la testa altrove, ritornando quasi simile a sé stesso solo in presenza di Kate? Rick era uscito per distrarsi, ma anche per non dare ulteriore peso a sua figlia.
Sospirò e sperò che quella maledetta situazione finisse presto. Non sopportava più nemmeno lui quello che era diventato. Un paio di bambini gli sfrecciarono davanti rincorrendosi e lui sorrise. Era da tanto che non veniva a Central Park. Quando era piccolo, Martha lo portava spesso poiché abitavano in un appartamento poco lontano. E lui ci aveva portato Alexis da bambina. Ma poi lei era cresciuta e quando lui aveva iniziato a lavorare al distretto non aveva più avuto molto tempo per passeggiare.
Vide una panchina libera all’ombra e vi si andò a sedere stancamente. Si accorse solo in quel momento di riconoscere il luogo. Era uno dei suoi posti preferiti. Di lato alla panchina c’era un piccolo spazio quadrato di erba verde. Era un po’ nascosto a causa degli alberi che lo circondavano su tre lati, ma lo ricordava bene. Quando era bambino ci giocava lì spesso a pallone o a baseball con i suoi amici. Questo finché un giorno, il giorno del suo undicesimo compleanno, non venne un gruppetto di ragazzi più grandi e grossi. Dissero che il terreno era loro e che i bambinetti non erano ammessi. Lui aveva tentato di scacciarli, dicendogli che erano arrivati prima loro e che se anche erano grandi non avevano il diritto di prendersela con i più piccoli. Avevo una certa linguetta anche all’epoca pensò lo scrittore sorridendo internamente. A quel punto però quei ragazzoni l’avevano circondato e gli altri bambini erano scappati. Se non fosse passato per caso di lì un uomo e non lo avesse visto in difficoltà, probabilmente sarebbe finita male per lui. In ogni caso, a parte quell’atto di bullismo, avrebbe ricordato quel giorno come uno dei più belli della sua vita…
Fece un sospiro vedendo quello spiazzo ora vuoto e si passò una mano nei capelli. Quindi si sporse in avanti sulla panca, le braccia appoggiate alle gambe, le mani unite, e rivolse lo sguardo al parco che si espandeva davanti a lui. Vide una bimba poco lontano che tentava di fare i primi passi sull’erba fresca seguita a ruota da quello che doveva essere il padre. Sorrise appena. Quell’immagine gli ricordava sé stesso e la sua piccola Alexis quando le aveva insegnato a camminare proprio come stava facendo in quel momento quell’uomo. Con le mani intorno al corpicino della piccola senza però toccarla, in modo da prenderla al minimo cedimento, ma lasciandola comunque libera. Con lo sguardo preoccupato, ma allo stesso tempo felice per i progressi della sua bambina.
Fece un altro sospiro e spostò gli occhi da quel quadretto felice. Poco lontano vide i due ragazzini che prima gli erano sfrecciati davanti che ora stavano giocando a tirarsi un pallone rosso fuoco.
Perso nei suoi pensieri, percepì a malapena qualcuno sedersi vicino a lui, dalla parte opposta della panchina.
“Gran bella giornata per stare all’aperto, vero?” Appena sentì quella voce, Rick chiuse gli occhi e trattenne il respiro. Quindi abbandonò in avanti la testa e sorrise appena. Come d’incanto un peso, che doveva aver avuto nel cuore, ma di cui non si era reso conto, svanì. Riaprì gli occhi, rialzò la testa e si voltò. Alex Tully era comodamente seduto accanto a lui, rilassato, la schiena ben poggiata alla panchina e un braccio posato distrattamente sulla parte più alta di questa. Indossava un completo chiaro e una camicia blu con un bottone aperto sul collo, come il giorno in cui l’aveva incontrato al distretto. Aveva un lieve sorriso in volto. Non lo stava guardando. Aveva gli occhi puntati anche lui verso i due ragazzini che stava osservando prima. Quando sentì lo sguardo dello scrittore su di sé però si voltò. E finalmente Rick rivide quegli occhi blu scuro che pensava non avrebbe più avuto l’opportunità di confrontare con i suoi.
Lo fissò senza sapere cosa dire, mentre diverse emozioni lo agitavano internamente. Alex era sparito per più di un mese facendo credere a tutti di essere morto. Aveva causato più dolore che altro. Rick avrebbe dovuto essere arrabbiato come mai. Ma l’unico sentimento che riusciva a provare in quel momento era sollievo.
“Già, davvero bella” rispose lo scrittore annuendo appena. Alex gli sorrise. Rick notò che sembrava più magro e invecchiato rispetto all’ultima volta in cui l’aveva visto. Il viso era un po’ più scavato e ricordava meno rughe d’espressione.
“Ho sentito che hanno fatto un bel po’ di pulizia in queste ultime settimane” dichiarò divertito l’ex-agente. “Peccato non aver potuto assistere direttamente al processo di Spark. Mi sarebbe davvero piaciuto vedere la faccia di quel verme quando l’hanno condannato a cinque ergastol…”
“Dove sei stato?” domandò tutto d’un fiato Rick non riuscendo a trattenersi. C’era dolore in quella domanda. Più dolore e meno rabbia di quanto si aspettasse. Tully non gli rispose subito. Emise un respiro profondo, si fece serio e tornò a rivolgere lo sguardo al parco.
“Quando Spark ha sparato” replicò dopo qualche secondo. “Io sono caduto in acqua, diciamo… non proprio accidentalmente…” ammise. Rick lo guardò con la bocca spalancata.
“TU COSA??” domandò lo scrittore con voce strozzata, mentre si rizzava sulla panchina. “Mi stai dicendo che ti ci sei buttato da solo nel fiume??” Lo sguardo colpevole di Alex diceva abbastanza.
“Quando ero più giovane alla CIA si facevano molte prove fisiche perché avessimo sempre un corpo allenato” replicò per spiegarsi, gli occhi bassi. “Tra queste c’erano anche i tuffi da grandi altezze e io, lasciando da parte la modestia, ero uno dei migliori. Approfittai del colpo di Spark e sparii tra le acque, anche se forse non fu propriamente la mossa più intelligente...” Un sonoro sbuffo da parte di Rick lo fece sorridere. ”Immaginavo che la tua registrazione sarebbe stata abbastanza per inchiodare quel bastardo, ma nel caso non avesse funzionato avrebbe avuto per lo meno un’accusa di omicidio sicura” Rialzò gli occhi sul figlio. “Inoltre dovevo sparire. Non potevo permettere che il mio nome o la mia faccia venisse fuori accidentalmente in qualche giornale o altro.”
“Ma perché?” chiese Rick esasperato e confuso.
“Perché quando ci siamo incontrati, io non ti ho detto completamente la verità” rispose in tono di scuse Alex. L’espressione dello scrittore si indurì. Ancora segreti? Ancora bugie? “Non sono un ex-agente in pensione” continuò l’uomo passandosi una mano tra i non più tanto corti capelli grigi. “Sono ancora un agente operativo. Solo che mi sono preso una lunga… vacanza, se vogliamo chiamarla così. Avevo diversi giorni di ferie arretrate e vi ho dato praticamente fondo.” Guardò Rick come sperando di avere la sua comprensione, ma lo scrittore sembrava indossare una maschera tanto la sua espressione era indecifrabile. “Mi dispiace avervi causato ancora dolore, Richard, ma non potevo farmi vedere coinvolto sulla scena di un arresto senza che nessuno dei miei superiori sapesse nulla. Mi sarei giocato la carriera.”
“Quindi è solo questo che conta, giusto?” domandò Rick, questa volta con la rabbia che saliva, i pugni serrati sulle gambe, lo sguardo deluso. “La carriera.”
“No, non è per niente così” replicò subito l’uomo con tono fermo e un po’ offeso. “Se fosse contata solo la mia carriera, non mi sarei mai fatto coinvolgere da Roy e Jonathan in questo caso. Invece mi sono staccato dalla CIA per non avere freno, per essere libero di aiutarvi a catturare l’uomo che da anni continuava a distruggere o rovinare vite. Compresa quella della tua detective Kate Beckett.” Al nome della sua musa, la rabbia dello scrittore sembrò sgonfiarsi. Si passò una mano tra i capelli e fece un respiro profondo.
“A proposito di questo…” mormorò Rick voltando la testa per guardarlo negli occhi. “Grazie.” Non servì dire altro perché il tono in cui lo pronunciò era profondamente grato. E Alex dovette capirlo perché gli sorrise dolcemente.
“Tieniti stretta quella donna, ragazzo” disse piano. “Non si incontra spesso una come lei. È davvero straordinaria.” Rick fece un mezzo sorriso a quell’affermazione.
“Lo so” replicò. “Per questo la amo.”
“Ah, tra l’altro c’è una cosa che volevo chiederti da un po’ riguardo a questo…” esclamò Alex all’improvviso facendogli un sorrisetto furbo. “Dì un po’, ma sbaglio o quando hai scritto di Nikki Heat e Jameson Rook ancora tu e la tua detective non eravate insieme?” Rick sorrise imbarazzato e si passò una mano sul collo, nervoso.
“Ehm… no, direi… direi proprio di no…” rispose balbettando. Si sentiva come un ragazzino sorpreso dal padre a baciarsi con la fidanzatina sul divano di casa.
“Però devi averci fantasticato parecchio da quanto ho letto nei tuoi libri…” aggiunse l’uomo ghignando.
“Alex!” esclamò lo scrittore tra l’indignato e il divertito. Dio, quanto aveva desiderato un padre anche per quelle piccole conversazioni imbarazzanti! Ora che ci era dentro però, non è che le volesse più molto…
Tully alzò le mani in segno di resa continuando però a ridacchiare. Quindi calò il silenzio per qualche momento, mentre entrambi tornavano a osservare il parco. Non era un silenzio imbarazzato o teso come lo era sempre stato tra loro da quando si erano conosciuti. Per la prima volta Rick si sentì a sua agio in presenza di Alex. In presenza di suo padre.
“Dove sei stato per tutto questo tempo?” domandò dopo qualche minuto lo scrittore. C’era più curiosità questa volta che altro. Alex sorrise appena.
“Quando sono ‘caduto’ in acqua” rispose l’uomo. “Perdevo abbastanza sangue, ma ero cosciente e riuscivo a muovermi, seppure con dolore…” Si fermò un momento, le sopraciglia aggrottate, probabilmente ricordando quegli attimi bui. Rick lo vide passarsi inconsciamente una mano sulla pancia, nel punto in cui lo scrittore dedusse doveva essere stato colpito. Rimase in silenzio a osservarlo, aspettando che continuasse. Dopo qualche secondo Alex scosse la testa per riprendersi. “Conosco il fiume e le sue correnti. Così, un po’ facendomi portare e un po’ nuotando, mi sono spostato senza che voi mi vedeste aiutato dalle zone d’ombra della banchina. Stavo galleggiando già da un po’ quando ho notato una scaletta in un molo poco lontano da me e ci sono salito. Per fortuna c’era una cabina telefonica a dieci metri di distanza. Mi ci avvicinai con fatica e chiamai un mio amico chirurgo, pregandogli di venirmi a prendere subito senza dire nulla a nessuno. Arrivò nel giro di dieci minuti e mi portò a casa sua. Sono rimasto lì per un mese” disse atono con sguardo perso verso il parco. “Il proiettile di Spark era entrato e uscito e fortunatamente non aveva leso nessun organo vitale. Ma avevo perso molto sangue e l’acqua in cui mi ero immerso non era certo calda e pulita. Quando arrivai da lui avevo un principio di ipotermia e rischiai un’infezione…” Si girò a guardare Rick negli occhi. Lo scrittore era attento e non aveva perso una parola. Aveva la bocca leggermente aperta e uno sguardo preoccupato. “Per tutto il mese mi curò in segreto a casa sua. Solo una settimana fa sono riuscito a rimettermi in piedi senza aiuto. Non è la prima volta che mi sparano, ma in fondo non sono più così giovane…” aggiunse ridacchiando piano.
“Aspetta… una settimana fa?” ripeté Rick confuso aggrottando le sopracciglia. “E perché ti sei fatto vedere solo adesso?”
“Beh, chi non vorrebbe assistere al proprio funerale?” domandò divertito. A Rick cadde la mascella.
“Eri presente?” chiese incredulo. Alex si fece più serio e annuì. Rick scosse la testa cercando di dare un senso a quelle parole. “Perché non ti sei fatto vedere?”
“In realtà non sapevo se mostrarmi o meno” spiegò l’uomo con un sospiro. “Non credevo avreste sofferto la mia mancanza e…”
“E allora sei uno stupido”dichiarò lo scrittore serio, interrompendolo e guardandolo negli occhi. Alex rimase sorpreso dal tono duro delle sue parole. “Sai cosa provava, e prova tutt’ora, mia madre per te. È stata malissimo quando sei scomparso. Senza contare mia figlia, che si era affezionata a te e…”
“E tu?” domandò Alex all’improvviso, spiazzandolo. Nei suoi occhi Rick poté leggere l’ansia nascosta in quella domanda. Rimase in silenzio, non sapendo bene cosa rispondere, ma guardandolo male per aver provocato tanto dolore alla sua famiglia.
“Perché mostrarsi ora? Perché a me?” chiese piano senza staccare gli occhi da quelli blu scuro che gli stavano davanti. Alex non riuscì a sopportare il suo sguardo e abbassò la testa.
“Perché ti ho sentito… ti ho sentito al funerale” rivelò, quasi vergognoso. Rick aggrottò le sopracciglia confuso e l’uomo si spiegò. “Mentre parlavi con Jim Beckett.” Un lampo di comprensione allora passò sul volto dello scrittore. “Speravo… speravo che dopo un settimana tu avessi trovato una risposta alla tua domanda…” continuò nervoso, lanciandogli uno sguardo furtivo. “Le cose buone che ho fatto bastano a cancellare quelle cattive?” Rick annuì piano, capendo finalmente perché Alex avesse aspettato tanto. Lui stesso aveva rimuginato su quella domanda per tutta la settimana, senza scovare però una soluzione. Solo nell’ultima mezz’ora aveva trovato la risposta.
“No” replicò dopo qualche secondo. “Non basta a cancellare il male fatto.” Alex trattene il respiro e abbassò lo sguardo a quella risposta, il dolore dipinto in faccia. “Ma…” L’agente drizzò subito la testa, speranzoso. Rick fece un respiro profondo prima di continuare. “Ma credo che al momento possa bastare a passarci sopra” continuò con un mezzo sorriso. Una nuova luce sprizzò improvvisamente dagli occhi blu dell’uomo di fronte a lui. Lo vide aprire la bocca per parlare, ma non ne uscì suono. Così la richiuse. Semplicemente annuì e gli sorrise riconoscente. Rick sorrise più ampiamente a sua volta. Non aveva più voglia di odiare. Ora voleva solo andare avanti.
“Immagino che salvare Kate mi abbia fatto guadagnare molti punti” esclamò dopo qualche momento Alex smorzando l’atmosfera creatasi. Rick rise.
“Già” replicò. “E guadagnerai ancora più punti quando verrai a casa e farai tornare il sorriso alla tua famiglia.” A quell’affermazione Alex tornò serio e si guardò le mani, imbarazzato.
“Richard, io… io non verrò a casa con te” mormorò. Rick lo guardò triste e incerto.
“Ma... ma io credevo…”
“Che sarei tornato per restare?” completò l’uomo la frase per lui, atono. Lo scrittore annuì. “Mi dispiace, ragazzo, ma ho finito le ferie. Devo tornare al mio lavoro” rispose addolorato e ansioso. Non avrebbe voluto lasciarli, ma doveva. Rick sospirò e annuì, pensieroso.
“Quando parti?” domandò quindi con tono rassegnato.
“Domattina presto” replicò Alex. C’era una nota di scuse nella voce.
“Promettimi almeno che tornerai a trovarci qualche volta, ora che sappiamo di te” disse all’improvviso Rick guardando l’uomo negli occhi con un mezzo sorriso triste. “O per lo meno prometti che telefonerai.” Si sentiva un bambino, ma non gli importava. Aveva già preso la sua decisione. Non voleva perderlo di nuovo. Alex gli sorrise dolcemente.
“Te lo prometto, ragazzo” rispose. Rick annuì senza aggiungere altro. Gli bastava. Non sapeva se l’avrebbe fatto davvero, ma voleva crederci. Voleva fidarsi. A quel punto Alex diede un’occhiata distratta al suo orologio da polso. “Ora devo andare, Richard…” affermò l’agente con fatica, non volendo realmente avviarsi.
“Ok” mormorò solo Rick, sconsolato. Alex si alzò in piedi, ma non si mosse. Poggiò una mano sulla spalla dello scrittore che alzò la testa per guardarlo.
“Abbi cura di te e della tua… beh, dovrei dire della nostra famiglia, giusto?” Il figlio sorrise appena e annuì. “Ma soprattutto prenditi cura di Kate, ragazzo. E poi, sai com’è, vorrei tornare presto per insegnarti di nuovo come si tiene in braccio un neonato…” dichiarò ridacchiando. Rick scosse la testa, divertito e imbarazzato insieme. Quindi tornò a guardarlo. Alex gli sorrise dolcemente e gli strinse appena la spalla. “Non voglio dirti addio, perché ormai ho promesso di tornare… Perciò a presto, Richard” concluse l’agente.
“Arrivederci, Alex” replicò lo scrittore. Negli occhi blu di entrambi c’era la speranza di rivedersi davvero un giorno, possibilmente non tanto lontano. Alex gli strinse ancora appena la spalla e si voltò per andarsene. Fatto un passo però si fermò e si girò ancora una volta verso il figlio. “Ah, un’altra cosa…” disse guardandolo negli occhi e sorridendogli misteriosamente. “Lancio lungo, ragazzo.” A quelle parole il cuore di Rick perse un battito. Il respiro accelerò, la bocca gli si aprì dalla sorpresa e aggrottò le sopracciglia. Ma non… non è possibile!! Si girò di scatto verso il quadrato di erba verde di lato alla panchina. Per un momento rivide sé stesso ragazzino, gli occhi pieni di lacrime dopo aver ricevuto il primo pugno in faccia della sua vita. E rivide il suo salvatore da quel branco di bulli. Come aveva fatto a non vedere la somiglianza? Come aveva fatto a dimenticare il suo volto?
 
“Ehi, piccolo, non piangere più” disse l’uomo avvicinandosi piano per non spaventarlo ulteriormente, ma anche per controllare i danni di quei piccoli bastardi. Aiutò il bambino a tirarsi su da terra e vide che uno zigomo era rosso, ma stava diventando rapidamente violaceo. “Tranquillo, se ne sono andati quei bulli.” Rick tirò sul con il naso, cercando di fare l’ometto e di non piangere, con non troppo successo. “Stai bene?” domandò l’uomo. Il piccolo annuì. Non faceva troppo male. Era più l’orgoglio ferito quello che pulsava dolorosamente. “Dovresti scegliere con più attenzione gli amici, visto come se la sono data a gambe levate invece di aiutarti…” borbottò l’uomo più a sé stesso che al bambino di fronte a lui. Gli pulì con qualche manata il terriccio e l’erba da maglia e pantaloni. “Non c’è la tua mamma?” domandò ancora. Rick scosse la testa.
“Doveva fare una commissione e mi ha lasciato qui a giocare, così non mi annoiavo” rispose finalmente il piccolo tirando di nuovo su con il naso. Si guardò intorno sconsolato. “Però ora sono andati via tutti…” mormorò triste. Sospirò. “Beh… Grazie signore” disse quindi e fece per andarsene.
“Senti, piccolo” sentì l’uomo richiamarlo. “Se non vuoi stare da solo posso farti compagnia finché non arriva la tua mamma. Ti piace il baseball?” domandò poi, andando verso una panchina lì vicino doveva aveva appoggiato un sacchetto che aveva con sé. Rick annuì e l’uomo sorrise. Quindi tirò fuori dal sacchetto un guantone e una pallina da baseball. Gli occhi del bambino si spalancarono. “Li ho comprati per mio figlio, ma sono sicuro che non si arrabbierà se ci giochiamo un po’ noi” continuò l’uomo con un sorriso.
“Da… davvero vuole giocare con me?” chiese timoroso il piccolo Rick. “Non vuole giocare con suo figlio?” Sapeva che di solito i grandi difficilmente hanno voglia di giocare con i bambini, soprattutto se non sono loro figli. Quindi non riusciva a capire perché volesse giocare proprio con lui. L’uomo scosse la testa e osservò con sguardo assente guanto e palla.
“Gli prendo un regalo ogni anno per il suo compleanno, ma è… diciamo troppo lontano perché io possa darglielo” disse senza scendere nei particolari.
“È anche il mio compleanno!” esclamò entusiasta il bambino, indicandosi il petto con l’indice. “Compio undici anni oggi!” L’uomo quindi si rivolse di nuovo lui e sorrise.
“Beh, auguri allora!” replicò allegro. “Dunque che ne dici, festeggiato? Vuoi fare due tiri?” Rick si morse il labbro inferiore. Era tentato. Sua madre gli aveva sempre detto di non parlare né giocare con gli sconosciuti, ma quest’uomo gli aveva salvato la vita, almeno nella sua idea, e non sembrava cattivo. Inoltre era gentile e aveva quegli occhi blu simili ai suoi così rassicuranti… Annuì sorridente. L’uomo gli diede il guantone, così che nel prendere la palla non si facesse male. “A proposito, io mi chiamo Alex” disse allungandogli la mano. Il piccolo la strinse con un sorriso.
“Il mio secondo nome è Alex!” rispose allegro. “Però io mi chiamo Richard” continuò. “Ma tutti mi chiamano Rick. Tranne la mia mamma” disse storcendo un po’ naso. Alex rise per quella faccina infastidita.
“Beh, a me Richard piace come nome” replicò l’uomo, aiutandolo a infilarsi il guantone.
“E a me piace Alex” affermò Rick. “Anche se il mio nome preferito è Max!”
“Davvero?” chiese divertito l’uomo, mentre gli passava anche la palla. Il piccolo annuì e si allontanò di qualche passo. “E invece come squadre di baseball  come sei messo? Ne hai qualcuna preferita? La mia è quella dei New York Yankees.”
“La mia i New York Kastor!” rispose subito Rick. “E i Boston Red Sox” aggiunse dopo averci pensato su un momento.
“Kastor?” domandò Alex curioso alzando un sopracciglio. “Non ne ho mai sentito parlare…”
“Beh, è la mia squadra di baseball a scuola” disse il piccolo sorridendo. Quindi gli lanciò la palla. L’uomo la prese al volo.

“Capito!” esclamò. “E dalla pallonata che mi hai tirato devono essere davvero forti questi NY Kastor se hanno te in squadra” aggiunse massaggiandosi la mano che aveva recuperato la palla. Rick ridacchiò. “Ehi, occhio ora” disse subito dopo l’uomo, preparandosi a tirare. “Lancio lungo, ragazzo!”
 
Avevano giocato per quasi due ore e si erano divertiti un sacco, scherzando e tirandosi la palla. L’uomo poi se ne era andato via poco prima che arrivasse sua madre, dicendo che purtroppo si era dimenticato di un impegno importante. Prima di lasciarlo però, gli aveva regalato guantone e palla da baseball. Rick li aveva ancora a casa, in una scatola di ricordi dentro il suo armadio. Non li aveva mai voluti buttare. Neppure quando quel giorno Martha gli fece una strigliata sul non giocare con gli sconosciuti né accettare da loro regali. Era stato uno dei pomeriggi più belli di sempre. Per due ore e per la prima volta nella sua vita, aveva provato cosa volesse dire avere un padre come gli altri bambini. Per due ore si era sentito normale. Per due ore si era sentito fortunato. Come aveva fatto a dimenticare il suo volto? Come aveva fatto a non farsi venire nemmeno un dubbio il giorno in cui gli avevano presentato Max Kastor?
Rick si girò di scatto verso Alex. L’uomo aveva fatto pochi passi da quando lui si era perso nei ricordi.
“Ehi!” lo richiamò lo scrittore. L’agente si voltò di nuovo verso di lui. “Buona… buona fortuna, papà!” disse tutto d’un fiato. Il viso del padre si colorò di emozioni a quelle parole, ma una di questa spiccava più delle altre. Felicità. Felicità pura e semplice. Quella talmente potente da farti venire le lacrime agli occhi. Rick lo vide deglutire e alzare gli occhi al cielo con un sorriso. Quindi tornò a guardarlo. Aveva gli occhi lucidi.
“Buona fortuna, ragazzo” rispose con voce incrinata senza riuscire a dire altro. Quindi si voltò di nuovo e se ne andò.
Rick lo osservò sparire lungo una curva del vialetto del parco. Quindi riprese a respirare. Non si era accorto di aver smesso. Si appoggiò alla panchina con la schiena. Prima gli si aprì un sorriso piccolo sul volto, poi si ampliò. E infine si mise a ridere da solo passandosi una mano tra i capelli. Non gli importava che la gente di passaggio lo credesse pazzo. Forse lo era. Ma soprattutto era felice. Qualche secondo dopo si alzò di scatto. Doveva dirlo agli altri. Doveva dirlo a sua madre, a sua figlia e a Kate. Iniziò a correre più veloce che poté verso l’uscita di Central Park. Il fianco ferito gli gridava pietà, ma lui non se ne curò minimamente. Mentre filava verso l’uscita, tirò fuori il cellulare e pigiò un tasto con chiamata rapida. Dopo due squilli rispose.
“Ciao, Rick. Perché mi hai chiam…” La bellissima e splendida voce della sua musa aveva un tono preoccupato.
“Kate! Amore, devi venire immediatamente a casa mia!” esclamò subito senza lasciarle il tempo di finire. Era troppo su di giri.
“Io… Sì, ok…” rispose evidentemente confusa. Comprensibile. L’ultima volta che aveva parlato con lui, un paio di ore prima, sembrava uno zombie, mentre ora tutto di lui sembrava felice. “Ma, Rick, tutto bene? Stai correndo per caso?” domandò sentendolo ansimare.
“Sì, ma non ho tempo di parlare!” replicò, mentre faceva lo slalom tra alcuni ciclisti che venivano in senso opposto rispetto a lui. “Ti dirò tutto appena arrivi!”
“Mm… ok…” disse ancora poco convinta. “Dieci minuti e sono da te.”
“Ok!” rispose lo scrittore mentre iniziava quasi a non avere voce dallo sforzo. Uscì dal parco e iniziò a sbracciarsi per un taxi. “Io arriverò tra un quarto d’ora! Avverti mia madre e  Alexis! Ci vediamo lì! Ah, Kate…” disse con il sorriso sulle labbra appena prima che mettesse giù. Come aveva fatto a sopportarlo per un mese musone com’era?? Doveva, e voleva, stringerla a sé, ringraziarla e baciarla. “Ti amo! Non so se te l’ho detto oggi, mia bellissima e straordinaria musa, e se non te l’ho detto scusami, ma io ti amo!”

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XIAO!!!!! :D:D:D
Allora... vi è piaciuto o no questo capitolo?? Mi sono fatta perdonare?? XD
Tra l'altro avevo l'idea di far "morire" Alex da quando l'ho inventato... (Sì è sadismo nei vostri confronti ù.ù) XD E poi sono troppo da happy endings per farlo morire davvero! ;)
(Ah, una cosa prima che mi dimentichi: ho letto altre ff e mi dispiace se qualche parte che ho scritto possa sembrare copiata, ma giuro che non era mia intenzione. Scrivo perché mi piace e voglio rompervi le scatole con i miei film mentali, non per rubare idee!)
Beh, che dire, mi dispiace un sacco far finire questa storia, ma a questo punto, chissà... XD
Il divertente di questa storia è che, secondo le mie idee, doveva durare per un mesetto (del tipo: non arriverà neppure a luglio) e invece mi sono ritrovata a scrivere da una stagione di Castle all'altra se posso dirlo! XD Tra l'altro senza questo sclero non avrei resistito tutta l'estate senza la mia dose di episodi... X) Se poi contiamo come mi hanno fatto andare in pappa il cervello le foto recenti e il promo.... XD
Boh, ok ora la smetto di scrivere, ma c'è ancora un'ultima cosa: grazie!! *.* Grazie a tutte quelle che mi hanno recensito (sia con commentini, sia con pagine e pagine)!! *.* Grazie a chi ha inserito la storia tra le seguite, ricordate o addirittura preferite!! *.* Grazie a chi con questa storia mi ha inserito tra gli autori preferiti!! *.* E grazie anche a chi ha solo letto silenziosamente, senza dire nulla... in fondo se siete arrivati fino a qui, qualcosa avrà pur attirato la vostra attenzione, no? ;)
Ok ora smetto davvero... Beh, che dire? Ho gà in mente altre storie, anche se non so bene quando le scriverò... (è una minaccia, statevi accorti XD)
Ok smetto sul serio stavolta!! 
A presto a tutti!! :D:D E davvero mi farebbe piacere ricevere anche un mini commentino... *fa gli occhioni da cucciolo*
Lanie

ps: draghetta Katy e compare Sofy, potete ora dire ai vostri cecchini di puntare le armi altrove?? Grazie!! XDXD
  
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