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Autore: CookieKay    21/09/2012    3 recensioni
Ci sono due cose a cui Hayley Doherty non rinuncerebbe mai: il caffè di Starbucks e New York. E allora perchè si è trasferita a Londra e beve caffè in una qualsiasi caffetteria piena zeppa di turisti?
Dal primo capitolo: “Adesso fumi pure?” mi chiese il mio odioso fratellastro, divertito. “E’ illegale per caso?” sputai velenosa. Lui rise “Fa un po’ come ti pare” sentenziò. Abbassai il finestrino e mi accesi una sigaretta. Non ero una fumatrice accanita, ma in quella situazione ne avevo abbastanza bisogno. “C’è uno Starbucks vicino casa?” chiesi aspirando del fumo. “Sì” rispose semplicemente. Questo voleva dire che me lo sarei dovuto trovare da sola. “Senti per la mia salute mentale, possiamo cercare di andare d’accordo?” ero disperata. Volevo almeno un alleato dalla mia parte. “Scordati di immischiarmi nei tuoi problemi con il tuo vecchio.” Era più perspicace di quello che mi ricordavo. “Per favore. Ho bisogno di un amico” buttai lì, tentando di risultare il più disperata possibile. “La smetti di rompermi i coglioni?” esclamò gelido, come al solito, piombando in un silenzio innaturale.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8: Fiducia




Devi piangere ancora per molto?” Non riuscivo più a sopportare la sua voce. Stava iniziando a diventare difficile ascoltare le cattiverie che continuava a ripetere. “Se tu non facessi lo stronzo, io non piangerei” singhiozzai. “Ora è colpa mia se hai problemi psicologici?” “No, tu fai solo in modo di farmi diventare paranoica dato che esci quasi di nascosto con Lauren!” sbraitai, trattenendo un pugno che avrei volentieri scaraventato contro quel suo bel faccino. “Devo chiederti il permesso per uscire con i miei amici? Cazzo, Lee! Non riesci proprio a vivere serenamente e a non rompermi i coglioni?!” disse scompigliandosi i capelli, menefreghista. Non risposi. Non ce la facevo più a litigare. Mi buttai a terra, sconfitta. “Basta, hai vinto tu” dissi, in segno di resa. Lui mi guardava senza capire. Alzai la testa, per recuperare un po' di dignità. “Hai capito? Hai vinto!” Ma il mio sguardo sconfitto si posò sul mio gesso e sospirai senza speranze. “Tu hai davvero seri problemi” disse lui, scuotendo la testa, compassionevole. Uscì dalla mia stanza sbattendo fragorosamente la porta. Mi sdraiai a terra. Non avevo più forze. Presi a fissare una piccola crepa sul soffitto della mia camera. Chiusi gli occhi, sperando che tutto ciò fosse solo frutto della mia immaginazione. Perchè non riuscivo a fidarmi? Se lui diceva che non era successo nulla, dovevo credergli. Non era difficile. Sospirai, cercando di trovare la pace interiore. Quando riaprii gli occhi, trovai ancora la piccola crepa sopra di me. “Sei per caso un segno per farmi capire che sto distruggendo tutto?” chiesi, rivolta alla crepa. Adam aveva ragione: avevo seri problemi psicologici. Volevo scomparire per un po'. Ma la mia situazione di infermità mentale e fisica non mi avrebbe portato lontano. Decisi quindi di nascondermi sotto il letto. Strisciai sotto al mio letto e mi ricordai che da piccola era il posto dove preferivo nascondermi quando giocavo con Adam a nascondino. E lui riusciva sempre a trovarmi. Perchè ero così brava a farlo incazzare? Sospirai e uscii da sotto il letto. Era ora di smetterla di nascondersi. Scesi zampettando dalle scale e trovai un'impegnata signora Travis a pulire il salotto. “Signora Travis, posso chiederle una cosa?” dissi imbarazzata, attirando la sua attenzione. Lei smise immediatamente di spolverare il mobiletto di legno su cui c'erano le foto di famiglia. “Certo, cara, dimmi tutto” disse sorridendo. “Ecco, come lei ben sa sono letteralmente negata a cucinare e mi chiedevo se poteva aiutarmi a fare una torta” dissi rossa in volto, vergognandomi come se fossi stata colta in flagrante a rubare caramelle. Vidi il suo viso illuminarsi e mostrarmi un sorriso smagliante. Mollò le pulizie e mi accompagnò in cucina. “E' per qualcuno di speciale?” chiese curiosa, aprendo l'anta di un armadietto. “No, sì. Devo farmi perdonare per il mio essere una psicotica lunatica” dissi armeggiando goffamente con un mestolo. Lei rise e preparò il tavolo della cucina, imbastendolo di ingredienti, alcuni a me fino a quel momento sconosciuti. “Prima di tutto, vorresti preparare una torta o una crostata?” mi chiese, assumendo un'aria esperta. “Perchè, c'è differenza?” chiesi ignorante. Mi guardò senza capire se stessi scherzando o se stessi parlando sul serio. “Direi di fare una torta” decise, rendendosi conto di quanto fossi veramente poco esperta in materia culinaria. La preparazione si dimostrò più difficile di quanto potessi immaginare. C'era da misurare le dosi di ogni singolo ingrediente. Se non avessi chiesto aiuto alla signora Travis avrei fatto tutto a caso, combinando uno dei miei soliti danni. Lei si dimostrò un'insegnante paziente e tranquilla. Quella donna era la pacatezza fatta a persona. Se io avessi avuto un'allieva alle prime armi e impedita tanto quanto lo ero io in cucina, avrei iniziato a sbraitare come un'ossessa e avrei dato forfet. Dopo aver infornato quella che sarebbe diventata una piccola torta della pace, seguii la signora Travis in salotto. Mi buttai sul divano e presi ad osservarla pulire con cura. “E' sposata, signora Travis?” le chiesi ficcanaso. “Lo sono stata cinque volte” rispose lei ridendo. “Cinque?!” esclamai incredula. “Ho molto amore da dare, ma ne ricevo sempre troppo poco” disse continuando a pulire. “Ha mai amato così tanto qualcuno da rovinare inevitabilmente tutto?” le chiesi mordendomi un labbro. Smise di pulire e prese a fissarmi. “Hai bisogno di parlare, Hayley?” chiese, sapendo già la risposta. Annuii mentre lei si accomodava di fianco a me sul divano. “C'è questo ragazzo che mi piace, ma non la smettiamo di litigare. E la maggior parte delle volte è colpa della mia insicurezza. Insomma ho paura che prima o poi lui si stanchi di me” dissi a macchinetta senza prendere fiato, sperando che lei non capisse a chi io mi stessi riferendo. Lei mi accarezzò la gamba e mi sussurrò “Vedrai che ti perdonerà qualsiasi cosa con quella torta. Ma devi iniziare ad avere fiducia in te stessa” “E' come se tutto ciò che entra in contatto con me, si trasformi in un colossale fallimento” “Tutti abbiamo avuto le nostre delusioni, ma non è un buon motivo per buttarsi giù. Guarda me: sono sopravvissuta a cinque matrimoni falliti eppure io so di aver dato tutto quello che avevo, non ho nessun tipo di rimpianto. E chi ti ama davvero, ti accetta per come sei; ma anche tu devi saper accettarti”. Non avrei mai creduto che la signora Travis potesse essere così profonda. “Cinque matrimoni..” sussurrai ancora incredula facendola ridere. Accesi la tv, mentre la mia confidente si recava in bagno per pulirlo. Nell'aria già sentivo odore di torta. Odore d'amore. Sorrisi sognante, immaginando già la reazione di Adam nel ricevere in regalo una torta fatta con le mie mani. Probabilmente all'inizio l'avrebbe guardata disgustato, ma poi mi avrebbe baciata e travolto dalla passione avrebbe divorato in pochi bocconi il dolce sottolineando il fatto di quanto fosse delizioso. Sarebbe andata bene, ne ero certa. Tutto sarebbe tornato alla normalità. Adam mi avrebbe detto che mi amava e io avrei risposto alla medesima maniera. “Hayley! La torta è pronta!” l'entusiasta voce della signora Travis mi riportò alla realtà. Mi alzai felice dal divano e la raggiunsi in cucina. “E' normale che sia così bassa?” chiesi pensierosa, notando quanto la mia piccola torta della pace assomigliasse a un enorme dischetto da hockey. “Devi esserti scordata il lievito” disse lei poggiandomi una mano sulla spalla. Maledetto lievito. Scossi la testa scoraggiata. “Metti un po' di zucchero a velo sopra” mi disse la signora Travis passandomi una bustina. Notò quanto mi fossi buttata giù, quindi esclamò gaia “Sai, quando litigavo col mio terzo marito gli preparavo anch'io delle torte. Era un gran goloso, George. E per intenerirlo o per fargli capire che mi dispiaceva, passavo col dito sullo zucchero a velo e scrivevo una parola. Una sola parola che gli avrebbe fatto capire che nonostante noi fossimo così diversi c'era qualcosa che ci accomunava” Mi guardava in modo così dolce, che non riuscii a non sorridere. Imparare da chi ha più esperienza. E la signora Travis aveva sicuramente più esperienza di me per quanto riguardava l'amore. Per due ore continuai a pensare a cosa potesse accomunare me e Adam. E la prima parola che scrissi fu “Famiglia”. Ma prima che la governante potesse leggere ciò che avevo scritto spolverai altro zucchero a velo per coprire la verità. Scrissi “Amore” ma lo cancellai. Troppo banale. Mi scervellai per ore senza venirne a capo. Adam era scomparso. Non sapevo nemmeno se fosse in casa oppure se fosse uscito. Con Lauren, magari. Mi diedi della stupida e se non fosse stata per la prontezza della signora Travis, avrei scaraventato la torta nel bidone dell'immondizia in uno dei miei soliti raptus. “Si può sapere qual è il problema?” mi chiese la signora Travis preparando del the. Odiavo il the, ma iniziava a piacermi il modo in cui lei si prendeva cura di me. “Non riesco a trovare una parola, a parte..” mi bloccai. Famiglia. Non potevo dirlo. Cosa avrebbe pensato? Mi avrebbe presa per una specie di maniaca psicopatica. “..A parte amore” continuai, dicendo una mezza verità. “Amore è una parola bellissima” disse lei versando l'acqua calda in una tazza con del latte. “E' banale” risposi sbuffando. “Cosa rende la parola amore una cosa banale?” iniziavo a sentirmi psicanalizzata. “La usano tutti. Vorrei una parola che lui non si aspetterebbe da me. Vorrei sorprenderlo!” esclamai. “Avergli fatto una torta non sarà già una gran bella sorpresa?” mi chiese lei facendomi l'occhiolino. “Forse” bisbigliai, prima di concentrarmi sul the. Se la mia torta fosse stata una torta da copertina, di quelle belle, alte, soffici magari sarei riuscita a impressionare Adam. Ma quella torta era come me: bassa, anonima, confusa. Sbuffai, muovendo il vapore del the. “Vado a finire di pulire o rimarrò senza lavoro oltre che senza un marito” disse la signora Travis ridendo, prima di lasciarmi da sola a contemplare quella torta. Cosa voleva Adam? In che modo avrebbe apprezzato quella torta disgustosa e tremendamente semplice? Qualche frutto come decorazione? Forse delle scaglie di cioccolato. Abbandonai la testa sul tavolo. Dovevo guardare da un altro punto di vista. Ripensai alla litigata di quella mattina. L'indice si mosse da solo sullo zucchero a velo. Fiducia. Non era più una torta della pace. Era una torta che simboleggiava una promessa. Più fiducia. In lui e in me stessa. Sorrisi, finalmente felice di aver trovato soluzione a quell'enigma. Esultai raggiante nel momento stesso in cui la porta di casa sbattè violentemente. Adam era tornato. Mi alzai di scatto. Lui mi vide in cucina, ma fece finta di niente. Salì in camera sua e tornò al piano di sotto con una felpa e poi uscì di nuovo. Era proprio incazzato. Non mi ero nemmeno resa conto di aver trattenuto il respiro dal momento in cui Adam era entrato in casa. Mi afflosciai sulla sedia e piansi in silenzio. Come pensavo di poter sistemare le cose con una stupida torta? La signora Travis tornò da basso, trovandomi in uno stato pietoso circondata da un alone di negatività. “Hayley, io oggi ho finito. Ma se vuoi che rimanga con te non ci sono problemi” disse accarezzandomi la testa. Tornai alla realtà, allontanando i miei pensieri e le sorrisi. “Non si preoccupi, tanto tra poco torneranno tutti” mi diede un bacio sulla fronte e mi salutò. Probabilmente era alla ricerca del marito numero sei e stare con me le avrebbe solo fatto perdere delle opportunità. Mi immaginai la dolce signora Travis in balìa di qualche speed-dating in qualche locale all'ultima moda di Londra. Guardai la torta. “E cosa me ne faccio di te ora?” chiesi alla piccola forma tonda davanti a me. Presi il piatto e decisi che non avrei gettato la spugna. Adam era arrabbiato ed era normale che non mi avesse nemmeno rivolto la parola. Ma i miei sforzi per preparare quella torta della fiducia non sarebbero andati sprecati. Il peggio che poteva capitare era che Adam l'avrebbe fatta volare fuori dalla finestra. Ma almeno l'avrebbe vista. Avrebbe capito che a lui ci tenevo tanto da affrontare una cucina e il forno, i miei nemici da sempre. Col piatto in mano salii in camera di Adam e appoggiai la torta sul comodino. L'avrebbe trovata lì, mi avrebbe cercata, mi avrebbe baciata e avremmo fatto pace. Come sempre. Stavo scendendo le scale quando la porta si aprì nuovamente. Ma non era Adam, era Savannah e alle sue spalle c'era mio padre. Lei era raggiante, lui era come al solito impassibile. “Hayley!” esclamò mia sorella vedendomi. Corse verso di me e mi abbracciò sussurrandomi all'orecchio “Devo raccontarti un sacco di cose!” Poi mi superò, correndo in camera sua. Tornai in salotto e mi buttai sul divano. Non mi ero accorta che mio padre era seduto sulla sua poltrona e che mi osservava in uno strano modo. “Stai bene?” mi chiese, quasi imbarazzato. “Sì” risposi stanca. “Ti fa male la gamba?” In quel preciso momento capii che stava cercando di fare un discorso con me. “Non molto” risposi quasi monosillabica. Lo vedevo in difficoltà nel non trovare nulla di cui parlare con me. “Com'è andata oggi?” gli chiesi, cercando di non sprecare un'occasione. “Come al solito” “Cioè?” Non sapevo che lavoro facesse, figuriamoci come fosse una sua giornata tipo. “Pesante. Sono stanchissimo” “Non si direbbe” risposi ridendo. “In che senso?” chiese senza capire perchè ridessi. “Sembri così rilassato. Non avrei mai detto che fossi stanco” puntualizzai. “Sono un uomo d'affari. E' il mio lavoro far credere agli altri ciò che voglio io” disse sorridendo. “Mi ero scordata che avessi gli occhi verdi” dissi guardando i suoi occhi così simili ai miei. Lui mi guardò. Non era ferito da quella mia affermazione. Era come se provasse del rimorso. “Quando sei nata tutti dicevano che eri la copia di tua madre. Ed era vero. Ma ogni volta che mi guardavi con quei tuoi occhioni verdi capivo che in te c'era anche qualcosa di mio. Ti ricordi cosa ti dicevo?” chiese speranzoso che io capissi a cosa si riferisse. Ma io non capii. “Quando non ci sarà nessuno che ti comprenderà..” iniziò lui, ma io lo fermai, ricordandomi all'improvviso quella frase che mi ripeteva poco prima che divorziasse da mia madre “Cerca i miei occhi tra la folla e saprai che io ci sarò sempre.” Mi guardò sollevato dal fatto che non mi fossi dimenticata. “Li ho cercati molte volte, ma non li ho mai trovati” dissi tristemente, evitando di guardarlo. Colpito e affondato. Si alzò dalla poltrona sconfitto. “Papà!” lo fermai, sentendomi in colpa. “Vale anche qui in Inghilterra?” chiesi. “Se cercassi i tuoi occhi qui, li troverei?” continuai, sperando di non aver rovinato ancora le cose con lui. “Dovunque” rispose sorridendo. Uscì dal salotto e andò in camera sua a riposarsi. La porta di casa si aprì nuovamente, ma come prima non era Adam. Jodie mi salutò, visibilmente a pezzi. “Stai bene?” le chiesi sorridendo. “Mica tanto. Tuo padre e Savannah sono già tornati?” “Sì, papà è in camera a riposarsi” “Penso che lo raggiungerò” “Stasera potrei fare da mangiare” esordii. Lei si ghiacciò all'istante sul posto e prese a fissarmi. “Potremmo ordinare una pizza” cercò di convincermi. Avrei dovuto fare anche a Jodie una torta con scritto Fiducia. “Per favore! Giuro che se non ci riesco, pago io le pizze!” Era una cosa paradossale che qualcuno pregasse per cucinare al posto di ordinare una pizza. Ma volevo provarci. Volevo fare qualcosa per loro, sperando che il “qualcosa” non includesse l'avvelenamento. “Ti prego, la cucina è nuova. Stai attenta” disse prima di salire in camera sua. Sentii Jodie bisbigliare a mia sorella che stava scendendo le scale “Dai un occhio a tua sorella, mentre cucina. Non vorrei svegliarmi con i pompieri in casa.” Fui raggiunta da Savannah che mi accompagnò in cucina. “Posso darti una mano?” mi chiese innocente. Come se non sapessi che era stata mandata per controllarmi. “Certo” dissi, arrendendomi al fatto che non sapevo nemmeno da dove iniziare. “Allora, vuoi iniziare a parlare o devo torturarti fisicamente?” esordii riferendomi chiaramente a Trent. “E' stato fantastico! Era così gentile, mi spiegava tutto in modo così chiaro. E abbiamo mangiato insieme! Mi ha portato in un ristorante vicino al lavoro. Solo io e lui, capisci?” Era così bella e felice. “E di cosa avete parlato al ristorante?” le chiesi curiosa. “Di tutto! Del mio futuro, della sua vita al di fuori lavoro, del suo cibo preferito. Lui è perfetto, Hayley. Sono innamorata di Trent!” mi abbracciò con foga e non riuscii a non ridere. “Calmati, marmocchia!” Ma lei non mi ascoltò e prese a raccontarmi ogni singolo momento al lavoro con Trent. Il profumo di Trent, la scrivania di Trent, l'ufficio di Trent, le battute di Trent. Trent e ancora Trent. Ma non potevo fermala. Non ci riuscivo. La mia sorellina era letteralmente cotta di Trent. Cotta tanto quanto le uova che stavo preparando, salvate miracolosamente dall'essere carbonizzate.


Adam non si presentò a cena. Per essere la prima volta che cucinavo seriamente, non era andata male. Non era morto nessuno, ma erano tutti troppo stanchi per lamentarsi. Savannah sparecchiò la tavola e io aspettai che tutti andassero a dormire per sgaiattolare in camera di Adam ad aspettarlo per dargli la mia torta. Ma alle tre di notte non era ancora tornato e io non riuscii a restare sveglia. Crollai sul suo letto, con la gamba ingessata a penzoloni e le lacrime agli occhi. Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in camera di Adam, ma di lui non c'era traccia. Mi alzai e andai a controllare in camera mia, ma non era nemmeno lì. Presi la torta dal suo comodino e scesi le scale per andare in cucina. Erano le cinque. Misi la torta in frigo e andai in salotto. Mi buttai sul divano e tornai a dormire. “Hayley..” Qualcuno mi stava scuotendo. Aprii pesantemente gli occhi. Vidi solo del verde. “Papà” biascicai. Lui mi prese in braccio e mi portò in camera mia. Mi diede un bacio sulla fronte e mi coprì con la coperta. Poi uscì dalla mia stanza chiudendo la porta. Sentii Jodie urlare qualcosa, ma ero troppo stanca per capire cosa stesse dicendo. E scivolai ancora una volta tra le braccia di Morfeo. Sentii la porta della mia stanza aprirsi e chiudersi subito dopo. Aprii gli occhi e mi rigirai nel letto. Guardai la sveglia sul mio comodino. Mezzogiorno. Sbadigliai sonoramente e mi stiracchiai per bene prima di scendere dal letto. La porta della stanza di Adam era chiusa. Era il giorno libero della signora Travis, quindi mi decisi a portare quella maledetta torta ad Adam. Nello scendere le scale avevo rischiato un paio di volte di scivolare e rompermi qualcos'altro. Ma la mia determinazione era troppo grande per essere spazzata via dal fatto che avevo una gamba in meno e un peso in più da trascinarmi. Presi la torta dal frigo, astutamente nascosta dietro l'insalata per non attirare l'attenzione di qualche altro membro della famiglia, e ritornai a salire le scale. Aprii piano la porta. Adam stava dormendo, dando le spalle alla porta. Feci più piano possibile nell'appoggiare la mia torta formato mignon sul suo comodino. Avrei voluto avvicinarmi e accarezzargli la schiena, ma avevo paura di una sua reazione diversa dal solito. Nel girarmi per uscire dalla camera di Adam picchiai violentemente contro lo spigolo del comodino tutte e cinque le dita del piede ingessato. Sentii una fitta partirmi dal piede e arrivarmi dritta al cervello. Trattenni un urlo di puro dolore per evitare che Adam si potesse svegliare. Ma nonostante mi fossi morsa la lingua per evitare di sprigionare un urlo spacca timpani, Adam si svegliò. “Ma che cazzo..? Lee che stai facendo?” brontolò girandosi per guardarmi. “N-niente” balbettai dolorante. Si sedette sul letto e si scompigliò i capelli. Stavo lì a guardarlo, col piede che pulsava, senza accennare a dire nulla. “Cos'è?” chiese indicando qualcosa vicino a me. Abbassai lo sguardo e la vidi. La mia torta spappolata per terra. Sgranai gli occhi, incredula. Urtando il comodino con il piede dovevo averla fatta cadere. Adam non avrebbe mai mangiato la mia torta della fiducia. Non avrebbe mai assaporato il frutto dei miei sforzi per farmi perdonare. “Cazzo” riuscii solo a dire. Lui mi guardava senza capire. “Scusa se ti ho svegliato. Torna pure a dormire” dissi prima di raccogliere quelle briciole informi. Lui si sdraiò, dandomi le spalle. “Era la torta della fiducia” dissi raccogliendo le ultime briciole. Adam si girò “Mi piacciono le torte” disse semplicemente. “Non quelle di Hayley Doherty” sbuffai maledicendomi mentalmente. “Hai fatto una torta?” chiese incredulo. “Perchè usi quel tono? Non ho mica fatto un miracolo!” borbottai sulla difensiva. Lui si alzò dal letto e mi venne incontro. Prese un po' di torta dal piattino, ci soffiò sopra e la mangiò. Lo vidi inghiottire a fatica. “Lee è disgustosa” disse cercando di non ridere. Lo sapevo che era immangiabile. “Scusa” dissi solo, sentendomi umiliata. Abbassai la testa, convinta di aver solo peggiorato la situazione e uscii dalla sua camera con i resti di quella schifezza tra le mani. Cosa mi era passato per la mente? Hayley Doherty non sapeva cucinare. Hayley Doherty non sapeva fare niente. Non ero stata nemmeno in grado di fare qualcosa di carino per il mio... ragazzo? Adam era il mio ragazzo? Sentivo la sua presenza alle mie spalle, quindi mi bloccai di colpo. E come al solito non riuscii a tenere la bocca chiusa. “Cosa sei tu per me? Cosa siamo noi?” chiesi incrociando il suo sguardo stanco. “Cosa?” chiese senza capire. “Non ti so dare una posizione tra i miei pensieri. Cosa sei? Il mio ragazzo, mio fratello o cos'altro?” Dalla sua espressione capii che non si aspettava nulla di tutto ciò. “Non lo so” rispose semplicemente. “Sono solo tuo” “Mio cosa?!” sbraitai perdendo la pazienza. “Assaggiatore di torte” disse ridendo. Ma io non avevo nessuna voglia di ridere. “Smettila di fare l'idiota!” dissi entrando in cucina saltellando. Lui mi prese il piatto con i resti della mia torta e l'appoggiò sul tavolo. “Io sono tuo, mettitelo in testa. Che io sia il tuo ragazzo, tuo fratello o lo stronzo che ti fa piangere non ha importanza. Sono tuo punto e basta.” Per quanto quel discorso non avesse totalmente senso, era dolce che lui si definisse mio. Perchè ciò significava che io ero sua. Gli sorrisi e spostai il discorso sulla torta “Era così schifosa?” “Avrei preferito ingurgitare del veleno” disse allontanando il piatto da lui. Risi divertita, spingendolo dolcemente. “Era la torta della fiducia” ripetei. “Cioè?” “C'era scritto fiducia. E' uno strano modo per dire che mi fido di te” “E' originale, non strano” disse prima di baciarmi. “Posso chiederti una cosa?” gli chiesi gettando nella spazzatura i resti della mia torta della fiducia. Lui aprì il frigo e tirò fuori del latte. Non rispose, quindi decisi di buttarmi. “Dove sei stato?” Non sapevo se la mia fosse solo curiosità. “Fuori” rispose semplicemente lui, versandosi il latte in una tazza. “Oggi ti va di stare con me?” chiesi dolcemente. Ma dalla sua espressione capii che aveva altri piani. “Oggi? In realtà mi ero messo d'accordo con Lauren e altri amici per andare a Camden” disse noncurante di come mi potessi sentire. Forse mi stava mettendo alla prova per capire se io avessi davvero imparato dai miei errori. Sorrisi, reprimendo tutta la negatività, e dissi “Ah, d'accordo. Bhè, divertiti!” Mi sedetti di fianco a lui e lo guardai mangiare. “Vorrei che venissi anche tu, ma..” “Già, la mia gamba” finii al suo posto. “Infatti. Però appena ti toglierai il gesso ti prometto che ti ci porto” disse alzandosi dalla sedia e uscendo dalla cucina velocemente per tornare in camera sua. Rimasi da sola a farmi mangiare dalla gelosia. Adam l'aveva fatto apposta a nominare Lauren. Scese poco dopo. “Ci vediamo” disse. Mi diede un lieve bacio sulla fronte e uscì. Mi buttai sul divano depressa come non mai. Come al solito avrei passato la mia giornata in casa, da sola con me stessa, ad auto commiserarmi. Sbuffai sonoramente prima di alzarmi. Se Adam era uscito, potevo farlo anche io. Aprii la porta dello sgabuzzino e ritrovai le mie odiate stampelle. Tornai al piano di sopra e tirai fuori dall'armadio un paio di pantaloncini di jeans. Sarei morta di freddo, ma nella mia situazione erano gli unici jeans che potevo indossare. Mi infilai una felpa e tirai su il cappuccio. Scesi al piano di sotto e mi infilai una scarpa. Mi sentivo ridicola, ma restare a casa da sola era l'ultima cosa che mi serviva. Chiusi la porta a chiave e scesi gli scalini che mi separavano dal marciapiede. Il cielo grigio di Londra iniziava a piacermi perchè era in totale sintonia con il mio umore. Mi fermai alla prima fermata dei bus. Avrei preso il primo autobus che fosse passato di lì e sarei andata alla scoperta di Londra. Se Adam non mi portava in giro, l'avrei fatto da sola. Non c'era molta gente che aspettava l'arrivo dei bus e un signore, notando la mia condizione di ingessata, si alzò dalla panchina per farmi sedere. Di fianco a me c'era una ragazza che ascoltava musica dal suo mp3. La musica non era molto alta e con il chiasso che ci circondava non riuscii a capire cosa stesse ascoltando. Pochi minuti dopo un bus si fermò alla fermata. Non sapevo dove mi avrebbe portata, ma mi alzai. Salire su un bus con una gamba rotta risultò più complicato di ciò che mi aspettassi. Fui aiutata da un ragazzo poco più grande di me, che mi prese letteralmente di peso per adagiarmi con cautela. “Grazie mille” dissi imbarazzata. “Di nulla” rispose sorridendomi prima di salire al piano superiore. L'autista fu magnanimo e aspettò che io mi sedessi prima di ripartire per la sua corsa. Appoggiai la testa sul finestrino e mi persi tra le vie di quella città che era ormai diventata casa mia. Non era da me salire su un autobus e andare alla avan scoperta senza una meta prestabilita. Ma avevo il bisogno fisico e mentale di uscire di casa, anche se ciò significava non sapere dove andare. Scesi a una fermata a caso, dopo venti minuti. Non sapevo dove fossi, non sapevo cosa avrei trovato. Ma iniziava a divertirmi quella mia sconsideratezza. Mandai un messaggio a Savannah per far sapere a qualcuno della mia famiglia che ero uscita. Non specificai dove mi trovavo, anche perchè non lo sapevo. Adam si sarebbe arrabbiato, lo sapevo. Ma lui aveva preferito Lauren a me. Per la seconda volta. E io mi ero stancata. Vidi Starbuck's in lontananza e per un attimo fu come tornare a New York. Entrai nel locale e ordinai il mio solito caffè macchiato con panna e un biscotto al burro con gocce di cioccolato. Mi sedetti a un tavolo, appoggiando le stampelle a un muro. La porta d'entrata si aprì ed entrarono tre ragazze. Ridevano a crepapelle. Amiche. Avrei voluto avere anche io delle amiche con cui ridere e magari parlare di Adam, ma le mie vecchie amicizie si erano tirate indietro appena avevano scoperto che me la facevo con un professore. Finii il mio caffè e uscii da Starbuck's più depressa di prima. Non era stata una grande idea andare in giro per Londra da sola e con una gamba fuori uso. Sentii della musica provenire da un locale e ne fui quasi attratta. Mi avvicinai a un omone di colore, proprio davanti all'entrata. “Mi scusi, chi sta suonando?” chiesi dal mio metro e 55 scarso. Lui guardò in basso, probabilmente scambiandomi per una marmocchia “Bisogna avere 21 anni per entrare” Appunto. “Ne ho 22, in realtà” dissi tirando fuori il documento. Lui controllò più volte per essere certo che non fosse un falso. Ero abituata ai controlli quasi maniacali della security all'ingresso dei locali. “Nessuno di famoso. C'è musica live di gruppi sconosciuti” disse arrendendosi al fatto che stavo dicendo la verità sulla mia età. Pagai l'ingresso e mi sedetti a un tavolo. Monkey Blues. Che strano nome per un gruppo di sole ragazze. La cantante sembrava una bambola di porcellana. Bionda, occhi grandi e castani, fisico asciutto e con un vestito che lasciava ben poco all'immaginazione. Le altre componenti del gruppo erano ragazze anonime con nessun tipo di stile particolare. Lei, la bambola di porcellana, aveva una voce molto profonda e per un momento pensai si trattasse di un travestito. La canzone non era nulla di particolare. Parlava di un ragazzo che aveva lasciato la ragazza per partire per la guerra e di come la ragazza lo pensava tutti i giorni. La bambola finì con un acuto in falsetto orribile. Ma il pubblicò applaudì comunque. Anche perchè lei era rimasta in reggiseno durante la performance. Sul palco salì un ragazzo con un microfono in mano che fece scendere le Monkey Blues. “Benissimo, l'atmosfera si è scaldata abbastanza per dare il benvenuto a una delle band più promettente degli ultimi anni nel panorama della musica d'oltreoceano. I PumpinkPunkerz!” Sentii un tuffo al cuore, mentre i miei idoli salivano sullo striminzito palco del locale. Fatalità. Destino. Fortuna. Quante probabilità c'erano che i Pumpink fossero nello stesso locale londinese dove mi trovavo io? Mi mancava il respiro. Presi il cellulare e iniziai a fare un video, per immortalare la mia fortuna sfacciata. Geneve's Dream. Amavo quella canzone e non riuscii a non cantarla a squarciagola insieme a Keith, il cantante dei Pumpink. Ovviamente ero la sola a conoscere quel pezzo tra tutto il pubblico, che però sembrava gradire. Shoot 'em. Mi sembrava quasi di vivere un sogno. Quando ero a New York ero diventata amica di Kendra, anche lei amante dei Pumpink, e andavamo a quasi tutti i loro concerti che si tenevano per la maggior parte in locali malfamati. Ma loro riuscivano comunque a riempirli. Non mi ero mai trovata così vicino a loro in uno di quei locali, come in quello dove mi trovavo a milioni di chilometri da New York. Chiusero con Hell in my head prima di scendere dal palco. Ma non potevo farmi sfuggire una simile opportunità. Mi alzai abbandonando le mie stampelle al tavolo e saltellai verso di loro, che stavano per andarsene. “Scusate!” gridai con tutta la voce che avevo in corpo, cercando di attirare la loro attenzione. Ian, il chitarrista, si voltò verso di me che saltellavo come un coniglio verso di loro con il fuoco negli occhi. Lui richiamò l'attenzione degli altri membri. Li raggiunsi col fiatone. “Io sono di New York e voi siete i miei idoli” dissi senza troppi convenevoli. Garrett, il batterista, rise compiaciuto. “Posso farmi una foto con voi?” chiesi, già armata di telefonino. “Certo” disse sorridendo Keith mettendosi in posa con gli altri. Fermai una ragazza e le chiesi di farci una foto, mentre mi mettevo in mezzo a loro. Lei, dopo lo scatto mi restituì il telefono, ma a me non bastava. “Potreste anche autografarmi il gesso?” dissi rossa in volto. Li feci ridere, ma acconsentirono. Avrei tenuto quel gesso per tutta la vita, non mi importava. “Grazie mille, davvero” dissi mentre a turno mi firmavano il gesso. “Sono Hayley, comunque” dissi stringendo le loro mani, in completa devozione. Keith mi scompigliò i capelli prima di andarsene insieme al resto del suo gruppo. Rimasi impalata per circa dieci minuti. Avevo parlato con loro. Avevo una foto con loro. Avevo anche i loro autografi. Potevo morire felice. Tornai al mio tavolo e rimasi fino alla chiusura del locale. Non avevo prestato molta attenzione alle altre band. Ero così felice. Quando uscii era già buio e dovevo trovare il modo di tornare a casa. Doveva aver piovuto perchè i marciapiedi erano pieni di pozzanghere. La fortuna era dalla mia parte: infatti riuscii a trovare il bus giusto per tornare a casa. Venti minuti dopo scesi vicino a casa. Attraversai la strada e mi apprestai ad entrare in casa. “Hayley!” la voce di Jodi mi risvegliò dai miei pensieri. “Si può sapere dove sei stata?” chiese, più curiosa che preoccupata. “Non lo so” risposi sincera, ma con voce sognante. Savannah e mio padre erano seduti sul divano e mi guardavano quasi divertiti. Jodi si avvicinò a me e prese a fissarmi “Non ti sei drogata, vero?” chiese con tono severo. Iniziai a ridere “No! Sono stata in un locale ad ascoltare musica live e li ho conosciuti!” esclamai saltellando verso mio padre, che mi guardava senza capirmi. “Chi?” chiese curiosa Savannah. “I PumpinkPunkerz” dissi buttandomi letteralmente su mio padre. Alzai la gamba ingessata in modo che tutti potessero vedere le firme “Mi hanno autografata!” continuai abbracciando mio padre. Non la smettevo di ridere e presi anche a saltellare per casa come un canguro. Sentii dei passi pesanti sulle scale “Cos'è tutto questo casino?” Adam non si accorse subito di me. “Hayley ha conosciuto non so chi” disse Savannah divertita. “I PumpinkPunkerz!” esclamai sempre più felice saltellando verso Adam. “Ah, sei tornata” disse lui alzando un sopracciglio e irrigidendo la mascella. “I PumpinkPunkerz!” ripetei con più foga gesticolando come una pazza, per renderlo partecipe della mia felicità. Ma lui non fece una piega. “Mamma, possiamo mangiare ora che la principessa è tornata?” chiese astioso verso sua madre. “Tra poco è pronto, Adam” rispose Jodi, guardandolo male. Lui non disse nient'altro e salì in camera sua. Non volevo seguirlo. Non volevo litigare ancora. Ero stanca di gridare e piangere. Mi accoccolai di fianco a mia sorella e appoggiai la testa sulle sue gambe. Lei iniziò ad accarezzarmi la testa senza distogliere lo sguardo dalla tv. Chiusi gli occhi e aspettai che Jodi ci chiamasse per la cena. “Stasera hai intenzione di uscire?” chiese la mia matrigna ad Adam, versandosi del vino. C'era un'atmosfera tesa tra di loro. “Non lo so” rispose lui piantando i suoi occhi glaciali sulla madre. Era un chiaro segno di sfida. Jodi alzò un sopracciglio e lo rimbeccò “Risposta sbagliata. Tu stasera non esci. Te ne starai qui con noi” “A fare cosa? A controllare quella?” sbottò lui indicandomi. “Quella è tua sorella e si da il caso che abbia una gamba rotta” Jodi stava per perdere la pazienza. “Ah sì? Non mi sembra che abbia bisogno di aiuto dato che oggi è andata a spasso da sola!” Adam si alzò da tavola. “Jodi, non fa niente. Non ho bisogno che lui stia sempre a controllarmi” dissi alla mia matrigna. “Hayley, non è questo il punto” mi rassicurò lei. “Invece è proprio questo il punto! Mi avete obbligato a badare a lei ogni singolo giorno da quando è arrivata e poi fate delle tragedie se per una volta faccio come mi pare!” Adam sbraitava velenoso. “Non pensavo fosse un problema” bisbigliai amareggiata. “Perchè sei troppo stupida per arrivarci!” urlò con rabbia. “Adam, adesso basta!” Jodi si avvicinò a lui con fare minaccioso. Lui non disse più nulla. Salì semplicemente le scale e si rintanò in camera sua, sbattendo la porta. Cosa diavolo era successo? Il mio cuore martellava nel petto senza sosta. Non lo avevo mai visto così arrabbiato con me. “Vado a dormire”dissi, spezzando il silenzio che si era creato. Salii al piano di sopra e bussai alla porta di Adam. Lui non rispose, ma io entrai lo stesso. “Qual è il problema?” esordii determinata a scoprire cosa gli passasse per la mente. “Potevi startene a casa oggi” rispose lui appoggiandosi alla finestra chiusa. “A fare cosa?” “Niente, come al solito” rispose astioso. “Mi vuoi dire che cavolo hai in testa? Perchè io non riesco proprio a capirti!” esclamai avvicinandomi a lui. “Non voglio stare tutto il giorno con te!” sputò velenoso. Mi colpì come uno schiaffo. “D'accordo” dissi soltanto. Uscii dalla sua stanza e saltellai verso la porta della mia camera. Mi sdraiai sul letto buttandomi a peso morto e presi a guardare il soffitto. Il mio sguardo si posò su quella maledetta crepa. “Ti stuccherò prima o poi” le bisbigliai.















Ritardo, ritardo e ancora ritardo!! Mi sento un po' come il Bianconiglio. Capitolo un po' inutile, scritto alla carlona. Ringrazio come al solito chi inserisce la mia storia tra i preferiti e i seguiti (e devo ammettere che non mi aspettavo foste così tanti :D ).

Inoltre ringrazio soprattutto Ryo13 e Athenryl che trovano sempre tempo per recensire la mia storia :D (spero di non aver fatto un pasticcio con questo capitolo). Ora, vorrei spiegare che questo capitolo è “riempitivo”... Nel senso, non sapevo che diavolo scrivere e ne è uscita fuori questa “cosa” solo per lasciare un po' di suspance. Il prossimo capitolo sarà ancora “riempitivo” e poi ci sarà il capitolo del “3 mesi dopo...”. Non so se mi sono spiegata bene: perdonate le mie turbe psicologiche che mi impediscono di spiegarmi come qualsiasi essere umano. E soprattutto aggiornerò più velocemente! Quindi continuate a leggere, recensire, inserite la mia storia tra i preferiti, ricordati ecc.. E se volete chiarimenti specifici riguardo la storia e non volete lasciare recensioni scrivetemi pure un messaggio privato :D


Baci,

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