Fanfic su attori > Josh Hutcherson
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Autore: Teikci Ni Kare Suh    21/09/2012    2 recensioni
Me ne stavo seduta su quella scomoda panchina con le gambe incrociate e il nasp nel libro.
Poi un imprecazione volò nell'aria e io alzai gli occhi.
Lui era lì, il volto contratto in una smorfia, gli occhiali da sole sui capelli arruffati e gli occhi pieni di disappunto.
Stava osservando qualcosa, ma io avevo occhi solo per lui...Josh Hutcherson.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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The meeting

 

Tutto era buio.
Mi sentivo confusa, non capivo cosa stava succedendo.
Mi sentii sollevare delicatamente e posare su qualcosa di duro e sconnesso.
Qualcuno stava parlando, ma non riuscivo a intendere ciò che diceva.
Sentii dei rumori, e poi qualcosa di fresco mi si posò sulla fronte, poi sulle guance e infine sul collo.
Faceva caldo, e quel piccolo refrigerio mi fece sentire meglio.
Decisi finalmente di aprire gli occhi.
Un albero mi faceva ombra con i suoi lunghi rami, mentre io ero distesa su una piccola, e alquanto scomoda, panchina verde.
Mi tirai su a sedere, e qualcuno mi aiutò.
Mi voltai verso quella persona e sbarrai gli occhi.
Allora era tutto vero!
Non era stato un sogno, e non me l’ero immaginato!
“Ti prego, non svenire un’altra volta!” mi disse lui un po’ preoccupato, ma con un accenno di sorriso sul volto.
Notai che teneva un braccio attorno alle mie spalle, per sorreggermi.
Diventai subito rigida, non sapevo cosa fare, e soprattutto cosa dire.
Avevo sognato tante volte quel momento, certo nei miei sogni io non svenivo, ed era così patetico ora il mio comportamento!
“Cavolo dì qualcosa! Non startene lì impalata come uno stoccafisso!”disse una vocina nella mia testa.
“E’ quello che sto cercando di fare!”le risposi.
“Ah, sì? Non si direbbe…”disse con fare ironico.
La ignorai.
Avevo già troppi pensieri per conto mio, figuriamoci se dovevo anche badare alle bizze del mio inconscio.
“Ti senti bene?”
“Cosa?”
Oh, miseriaccia!
Che figura da perfetta imbecille.
Ero talmente assorta nei miei pensieri, da non sentire più nulla.
Maledetta psiche!
“Come ti senti?” ripeté lui paziente.
“Dì che stai male!”gridò la vocina.
“Mi sento confusa” risposta neutra.
Beh, d’altronde era vero.
“Forse è meglio se stai un po’ seduta. Permetti?” mi chiese avvicinandosi.
Non sapevo cosa volesse fare, ma annuii.
Lui mi si avvicinò ancora di più, scostò una ciocca dei miei capelli e…posò le sue labbra sulla mia fronte.
Le posò delicatamente, quasi avesse paura di farmi male.
Poi si allontanò e sorrise.
“Non hai la febbre, Forse sei svenuta per colpa del caldo.”
“Se… il caldo. Come no.”sussurrò la voce.
“Sì, lo so. Ma ti vuoi levare dai cosiddetti? Insomma, questo è il mio momento!”le gridai nella mia mente.
“Ok, d’accordo. Me ne vado. Che gente suscettibile”bofonchiò.
Tornai con il pensiero a lui.
“C’è qualcosa che non va?” mi chiese.
“No, assolutamente” dissi, cercando di sorridere.
Ero talmente tesa da non sapere più sorridere?
Poi lui fece un’espressione contrariata.
“O mio dio, non mi sono neanche presentato! Io sono Josh Hutcherson” disse tendendomi la mano.
Io la osservai, e poi gli porsi la mia
“Ersilia Lupetti” dissi titubante.
Rimanemmo per un po’ in silenzio, poi lui mi chiese
“Ti va di mangiare qualcosa?”
“Sì, forse mi farebbe stare meglio” acconsentii.
In realtà non avevo fame, grazie allo spuntino giapponese, ma come si dice…bisogna raccogliere la palla al balzo.
“Beh, allora dimmi cosa ti piacerebbe mangiare. Lo ordino e lo vado a prendere subito.
Non mi fido a farti muovere,” disse con disappunto “ e poi mangiare in pubblico…beh, sarebbe un po’…seccante per me” mi disse, quasi imbarazzato.
Annuii.
Poi riflettei.
Doveva andarsene?
No, no, no assolutamente no!
Non avrei potuto lasciarlo andare così, e se mi avesse abbandonato?
Il mio cuore non avrebbe retto.
Mentre lui s’incamminava, mi alzai di bottò
“Non andare…ti prego!” gridai.
Si voltò e mi guardò stupito.
“Perché?”
“Ho...ho paura di non vederti più tornare” dissi con gli occhi bassi..
Le sue dita mi presero il mento, e fecero in modo che lo guardassi dritto negli occhi
“Non potrei mai abbandonare una fanciulla bisognosa d’aiuto” disse in modo serio e compito.
Io continuai a guardarlo estasiata, annegando in quegli occhi…
“Visto che sei in forze, vieni con me” disse facendo ricomparire il suo sorriso e prendendomi la mano.
Ci dirigemmo camminando velocemente e in silenzio verso l’uscita del parco, poco lontana.
Parcheggiata davanti al muretto c’era una moto, che prima non avevo assolutamente notato.
Ehi, da dove erano spuntati quei palazzi?
Non ricordavo che ci fossero prima.
Poi vidi un cartello:
“Entrata Ovest”
Ahn, ecco perché non avevo visto la moto.
L’entrata era diversa, da quella da cui ero venuta.
Joshua si avvicinò al mezzo e io lo seguii.
Tirò fuori due caschi e me ne porse uno nero, con scritto Freedom sulla parte posteriore.
“Ne tengo sempre uno di scorta” mi disse sorridendo “Te la senti, vero, di salire? Sei mai andata in moto?”
“No” risposi un po’ confusa.
Lui fece una faccia divertita
“No, non te la senti, o no non sei mai salita?”
“La seconda” gli risposi ricambiando il sorriso.
Lui salì sulla moto, l’accese e mi fece cenno di accomodarmi sul posto dietro.
“Dove andiamo?” gli chiesi mentre prendevo posto, alquanto incerta.
“A casa mia” mi rispose, e diede gas.
Senza neanche che me ne accorgessi, mi ritrovai catapultata per le mille strade di Los Angeles, in moto, abbarbicata, come una cozza su uno scoglio, a Josh, per paura di cadere.
Cercai di ricompormi e di approfittare di quel momento per riflettere.
Di certo però, Sfiorare con le dita i muscoli di Josh, che riuscivo a sentire sotto la maglietta bianca aderente, e il suo profumo, non aiutavano molto a concentrarsi su qualcosa di razionale e che non fosse sconcio.
Perciò mi concentrai sul suo profumo.
Era talmente sfaccettato, se si può usare il termine, formato da tanti odori diversi…
Creava una certa, assuefazione.
Mi avvicinai leggermente di più e riuscii a riconoscere un odore.
Pane.
Subito la mia mente si riempì di tante immagini e di una sola parola.
Peeta.
Fui risvegliata dai miei pensieri, da una brusca frenata.
Eravamo arrivati di fronte a una villetta.
Scesi dalla moto, mi tolsi il casco, e osservai l’abitazione.
Era abbastanza grande, bianca, con un grazioso giardino attorno.
Era una casa semplice, almeno per gli standard di Los Angeles.
“Allora, che ne dici?” mi chiese Joshua.
“E’ veramente bella” gli risposi.
“Bene” sorrise e aprì il cancello “Prima le signore” disse lasciandomi passare.
Entrata in casa, stavo dando una superficiale occhiata all’interno, quando qualcuno mi rivolse bruscamente la parola
“E tu chi sei?” guardai dietro di me, ma Josh era sparito.
Tornai a guardare davanti e vidi una signora bionda, non troppo alta, formosa e…aveva uno sguardo piuttosto…ostile.
“Io…ehm…io sono”
“Lei è una mia amica, ma’” disse Josh, apparendomi alle spalle “Ersilia”
“Ah.” Rispose lei alquanto dubbiosa.
“Beh, noi andiamo in cucina.” Disse lui, imbarazzato.
“Io devo uscire, starò fuori qualche ora. Tuo padre e tuo fratello sono…in giro.”
“Va bene.”
La donna mi lanciò un ultimo sguardo assassino che diceva “Tocca mio figlio e sei morta”.
Io seguii Josh alquanto stupita.
La cucina era enorme con  penisola e tavolo al centro piuttosto grande.
“Allora, che ti piacerebbe mangiare?” mi chiese Josh, risvegliandomi dai miei pensieri.
“Non saprei, quello che c’è a disposizione”
“Guardiamo che c’è” aprì la credenza e…vidi che era praticamente vuota
“Oh, cavolo”
Ecco perché era uscita sua madre, la spesa.
Poi mi venne un’idea.
Mi avvicinai alla credenza, tirai fuori della farina e trovai un sacchetto di zucchero in fondo.
Josh mi guardava stupito, ma mi lasciò fare.
Cercai altri ingredienti, tra cui uova, non mi aspettavo di trovarne, e burro.
“Bene” dissi “Prendi due grembiuli, una bilancia e una terrina che ti insegno un po’ di cucina”
Lui sorrise e tirò fuori quello che gli avevo richiesto.
“Sei proprio grazioso con il grembiule” gli dissi
“Lo so, me lo dicono tutti” mi rispose ridendo “Cosa ci propone il nostro chef?”
“Biscotti al cioccolato!” dissi imitando l’accento francese
“Allora mettiamoci al lavoro!”
Iniziammo così a impastare, mescolare e divertirci come matti.
Ad un certo punto, mentre stavo spiegando come impastare la pastafrolla…
“Vedi, devi formare una specie di pal…Ehi, ma!”
Mi arrivo in piena faccia della polvere bianca.
Farina.
“Sei più bella a pois!” disse Josh sbellicandosi dalle risate
“Ah, così mi prendi in giro? Ragazzo del Pane?” e mi avvicinai a lui con una bella manciata di farina e rimasugli di uovo crudo con cui gli impiastriccia la faccia.
Ci rincorremmo per tutta la cucina a suon di farina e gusci d’uovo.
“Ok, ora basta. Sono esausto” disse con il fiatone.
“Uno a zero per la ragazza dei biscotti!” esultai.
Poi con della pellicola trasparente misi la pasta in frigo.
“Dovrà rimanerci per mezz’oretta. Intanto ci conviene pulire, o tua madre ci ucciderà sul posto” Consigliai.
“Aspetta un attimo” disse, e andò al piano di sopra.
Tornò dopo cinque minuti
“Sali, seconda porta a destra.”
“Ma cosa?”
“Vai, su”
Mi tolsi il grembiule e corsi di sopra.
Appena entrata nella stanza, fui pervasa dall’odore di mandorla.
Una vasca piena di schiuma era preparata e un asciugamano era appeso vicino.
Mi spogliai e mi immersi nella vasca.
Mi levai la farina e ciò che rimaneva delle uova, poi uscii, un po’ di malavoglia dalla vasca.
C’erano dei vestiti appoggiati sul mobile degli asciugamani: dei pantaloni corti elasticizzati e una maglietta azzurra.
Mi stavamo un po’ larghi, ma non eccessivamente.
Mi asciugai un po’ i capelli e scesi.
La cucina era immacolata.
“Finalmente. Credevo fossi affogata” disse Josh con tono scherzoso.
“Non dubitare che avrei potuto farlo. Allora i nostri biscotti?”
“Ecco” disse porgendomi la pasta.
Con delle formine  facemmo i biscotti che ponemmo poi nel formo.
“Ora dobbiamo solo aspettare?” mi chiese.
“Si, non ci vorrà molto”
Silenzio.
Eravamo seduti uno di fronte all’altro.
“Dimmi qualcosa di te”
“Io?”
“Vedi qualcun altro qui?”
Sorrise.
“Beh, allora…io studio lingue europee”
“Davvero?”
“Si, spagnolo, tedesco e francese. Oltre ovviamente all’inglese”
“Wow! Dimmi qualcosa in tedesco” mi chiese incuriosito.
“ich heiße Ersilia”
“O mamma. Non ho capito niente!” disse ridendo
“Io mi chiamo Ersilia” dissi sorridendo.
“Cavolo, dev’essere interessante!”
“Moltissimo”
Continuammo a parlare.
“Hai un fratello, una sorella?”
“Due fratelli: Thomas ha 19 anni ed è in viaggio con me, mentre mio fratello Luca ha 28 anni e vive a New York” risposi.
“Sono grandi!”
“Già molto.”
“E tu sei fid…”
Fu interrotto dal suono di una campanella che segnava la fine della cottura.
Prendemmo i biscotti e ne mangiammo qualcuno.
“Sono ottimi!”
“Batti cinque, ragazza dei biscotti!” mi disse.
E così esultammo.
Diedi per caso uno sguardo all’orologio: 12.45.
“Oh, miseriaccia!” gridai con metà biscotto in bocca, rischiando di soffocarmi.
Devo tornare subito all’hotel dove alloggio! I miei si arrabbieranno se ritardo!”
“Ti ci porto io in moto” mi propose
“Grazie” dissi rincuorata.
Mise un po’ dei biscotti che rimanevano in un sacchetto e me lo porse
“Te li sei meritati”
Uscimmo di corsa e salimmo sulla moto.
Dopo appena una decina di minuti eravamo praticamente arrivati.
“Accosta pure qui” gli dissi.
Scesi e gli porsi il casco.
Lui si levò il suo.
Aveva un’aria triste.
“Allora ci dobbiamo lasciare” disse
Io non risposi.
“Hai da fare, domani? Dopo pranzo?” chiese speranzoso.
“No” il mio viso si illuminò, e anche il suo tornò sereno.
“Allora ci vediamo domani, ragazza dei biscotti” e mi baciò la guancia.
Poi partì e io rimasi lì.
Iniziai a camminare verso l’hotel, gli occhi sognanti e una mano sulla guancia.
Solo allora le mie emozioni mi si riversarono addosso.
Avevo visto Joshua Hutcherson.
Ci avevo passato del tempo insieme.
Mi aveva baciato sulla guancia.
E avevo un appuntamento domani con lui.
Mi sembrava un sogno e avevo paura di dovermi svegliare.
Raggiunsi l’hotel e vi trovai i miei all’entrata.
“Ersilia, ma dove sei stata?” mi chiese mia madre, con disappunto.
“Eh?”
“O santo cielo, siamo in ritardo!” disse mio padre.
“Ersilia, dove hai preso quei vestiti?” chiese ancora mia madre.
“Cara, vogliamo andare” insisté mio padre.
Mia madre lasciò perdere e ci dirigemmo verso un taxi, fuori dall’hotel.
Saliti, partimmo per la visita di chissà quale museo.
“Cos’è questo odore?” mi chiese mio fratello.
“Probabilmente dei biscotti al cioccolato che ho” gli risposi distrattamente.
“Non è che me ne daresti uno?”
Gliene porsi un po’-
“Buoni, dove li hai presi?” mi domandò.
“Li ha fatti il ragazzo del pane” sussurrai.

 

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Angolo autrice

Eccomi ancora qui!!!!
Ho cercato di scrivere il prima possibile il nuovo capitolo e direi che sono abbastanza soddisfatta ù.ù
Sper veramente che vi piaccia.
Mi raccomando, recensite e fatemi sapere le vostre opinioni.
Hasta luego, Teikci






  
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