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Autore: Stella della sera    22/09/2012    2 recensioni
Nasir impugna nuovamente la spada durante una missione, ma le azioni che si trova a dover compiere iniziano a tormentarlo. Per questo cerca conforto in Agron.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agron, Nasir
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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Nasir lottava per afferrare la sua spada, il cuore gli batteva rapido e irregolare nel petto, come un prigioniero ansioso di evadere dalla gabbia toracica. Le sue dita tremanti si avvolsero all'elsa del gladio strettamente, disperatamente, perché senza di esso sarebbe morto. Un piede lo colpì al fianco facendolo cadere sulla schiena, il dolore paralizzò il suo corpo per un brevissimo istante prima che lui lo costringesse a reagire. Spinse la spada verso l'alto e la lama incontrò la carne cedevole dell'avversario, trapassandone l'armatura di cuoio con facilità. Un urlo di dolore riempì le orecchie di Nasir e, per un attimo, egli pensò che fosse il suo.

La ferita che aveva inflitto al soldato romano era identica a quella che lui aveva ricevuto nel bosco dopo la fuga dalle miniere. Quando tirò la spada verso di sé, liberandola dal corpo del soldato, ricordò le sensazioni provate in quel momento - il dolore sordo e lancinante, il breve istante di sollievo provato nell'attimo in cui la spada gli era stata estratta dal corpo, e poi l'agonia. L'agonia che ora aveva causato a quell'uomo.

Il romano lasciò cadere la sua arma e stramazzò al suolo, tenendosi la ferita. Respirando a fatica, Nasir ruotò su un ginocchio e si chinò sopra di lui, il braccio tirato indietro e la spada puntata alla gola del soldato. Ma esitò. Quante volte era stato messo in guardia contro l'esitazione, contro la pietà. Lui e Agron si erano allenati insieme più e più volte, e il maggior difetto di Nasir era proprio l'esitazione.

Trafiggilo, ordinò a se stesso, e perché non avrebbe dovuto? Il suo odio per i Romani si era inasprito, dopo tutto quello che era successo. Era profondamente coinvolto nella ribellione, era parte di essa, godeva della fiducia di chi la capeggiava. E quell'uomo aveva cercato di ucciderlo, quindi perché non avrebbe dovuto ricambiare la sua gentilezza? Nasir trasse un profondo respiro, crollando la fronte con aria determinata e facendo nuovamente scattare all'indietro il braccio, pronto a lanciarsi in avanti e ad affondare la punta della spada nella gola dell'uomo.

Ma poi, parole soffocate e sussurrate sfuggirono alle labbra del romano. "Per favore," pregò. La posizione di Nasir vacillò. "Non uccidermi."

E con questo, improvvisamente, il soldato divenne umano agli occhi di Nasir. Il suo volto divenne improvvisamente quello di un giovane uomo, spaventato e ferito, con uno sguardo supplichevole dall'insolito colore verde-oro. Il siriano sapeva esattamente come si sentiva, sapeva com'era sentire la vita defluire lentamente dalle vene, e non aveva mai provato tanta compassione per qualcuno prima di allora. Non era mai stato più tentato di mostrare clemenza.

"Nasir!" Il siriano si girò di scatto verso la voce e si trovò davanti Agron, coperto del sangue di tutti i soldati romani che aveva ucciso. Un sorriso illuminava il suo volto anche attraverso la lordura. "Finisci quel romano di merda e torniamo al campo!"

Gli occhi scuri di Nasir si spostarono, scivolarono lentamente a guardare la distruzione che lui, Agron, e gli altri avevano lasciato sul loro cammino. Così tanti morti, e così tanti Romani. A nessuno era stato concesso di sopravvivere; né lo sarebbe stato all'uomo tremante ai piedi di Nasir. Quando si voltò di nuovo verso il soldato, scoprì di non poter sostenere quello sguardo supplichevole. Aprì le labbra ed emise un respiro tremante, e poi parlò. "Ti darò una morte rapida", gli disse, e il viso del romano avvampò di collera. Fu allora che cominciò a gridare.

Ma le sue urla si spensero non appena la lama di Nasir scivolò sulla sua gola, e furono sostituite da rantoli agonizzanti mentre il soldato soffocava nel suo stesso sangue. Un attimo dopo era morto, ma Nasir rimase ancora un po' a guardarlo. La sua espressione si era ammorbidita negli ultimi istanti di vita e i suoi lineamenti non erano più deformati dal dolore. Sembrava in pace ora, anche se Nasir avrebbe desiderato potergli risparmiare quegli ultimi secondi di dolore prima che il suo cuore cessasse di battere.

Una mano sulla spalla riscosse Nasir dalle sue elucubrazioni. "È la prima volta che riprendi in mano la spada, piccoletto", disse Agron quando Nasir si alzò e si volse verso di lui. "Come ti è sembrata?"

Nasir fu colto improvvisamente dal timore soverchiante di rivelare la debolezza che aveva appena scoperto in se stesso. Agron non avrebbe mai potuto sapere della lotta interiore che il siriano aveva appena combattuto. Così le parole che in seguito varcarono le labbra di Nasir celarono i suoi veri sentimenti, li nascosero tramite l'ambiguità. "Come l'ultima volta", rispose, lasciando cadere lo sguardo sulla mano in cui reggeva la spada e tenendosi occupato pulendo la lama sui propri vestiti, anch'essi insanguinati. "Ma in qualche modo diversa." Detto ciò rimise il gladio nel fodero, e solo dopo aver ammesso quella mezza verità osò incontrare di nuovo gli occhi di Agron.

Il gladiatore non replicò, ma alzò la mano a scostare una ciocca ribelle dalla fronte di Nasir. Per un attimo, il germano sembrò perdersi in quel movimento, ma ben presto tornò presente a se stesso.

"Vieni," disse, ritrovando il sorriso. La sua mano scese a stringere la spalla di Nasir. "Prendi l'arma del tuo romano morto e torniamo al tempio."

Agron si avviò in direzione di un gruppo di uomini non molto lontano. Nasir si sentiva intrappolato in quel luogo, tra l'uomo che aveva ucciso e quella strana espressione pensierosa che aveva appena visto sul volto di Agron. Muoviti, ordinò a se stesso, poi si volse per l'ennesima volta verso il romano. Gli bastò un solo sguardo in più per sapere che il volto dell'uomo sarebbe rimasto impresso a fuoco nella sua mente per sempre. Nasir afferrò in fretta la spada dell'uomo, strappandola con violenza e indietreggiando di qualche passo. Si fermò solo un altro secondo e poi ordinò ai suoi piedi di portarlo velocemente dai suoi compagni, che seguì verso il tempio che chiamavano casa.

Ma la mente di Nasir rimase indietro. Qual era il nome del soldato che aveva pregato e supplicato fino a farsi strada nella sua coscienza? Il siriano non l'avrebbe mai saputo, e ciò costituiva di per sé una nuova tortura.

"Agron." Il gladiatore levò lo sguardo dalla mappa spiegata davanti a lui, posando gli occhi su Naevia, che stava in piedi nel vano d'ingresso della stanza. L'espressione preoccupata sul suo volto lo indusse ad alzarsi e gli diede un tuffo al cuore.

"Nasir?" chiese, conoscendo già la risposta. Che altro l'avrebbe portata da lui a quell'ora, quando tutti gli altri, ad eccezione di lui e di Spartacus che gli era accanto, dormivano? I suoi timori trovarono conferma quando lei annuì.

Pensò subito al peggio. Nasir era stato ferito di nuovo, in qualche modo, e stava lentamente morendo dissanguato. O forse, nella notte, era stato colto da un qualche tipo di malattia. Senza nemmeno rivolgere un'altra occhiata a Spartacus, con il quale aveva discusso ulteriori piani riguardanti la ribellione, Agron corse fuori dalla stanza verso quella più piccola che Nasir a volte condivideva con molti altri, quando non dormiva tra le sue braccia.

Naevia lo seguì a poca distanza, parlando con voce sommessa. "Sono venuta subito a cercarti", disse. "Non so cosa lo affligge..."

Agron girò l'angolo e guardò il punto in cui Nasir giaceva sul pavimento. Il siriano era coricato su un fianco e un'espressione sofferente alterava i suoi lineamenti. Un velo di sudore gli copriva la fronte e il suo respiro era affannoso. Anche troppo. Il gladiatore si chinò accanto a Nasir e allungò la mano, sfiorandogli con i polpastrelli la fronte umida e, con suo grande stupore, non la sentì calda sotto il suo tocco. Niente febbre.

"Nasir", sussurrò Agron, chinandosi a prendergli il viso tra le mani. Non ebbe risposta, né gli occhi scuri del giovane apparvero da dietro le ciglia tremanti al suono del suo nome. "Nasir", ripeté, questa volta più forte. "Nasir." Infine, una risposta. Il corpo del siriano sobbalzò e i suoi occhi si aprirono di scatto, sbarrati per lo spavento e pieni di dolore. Le sue mani esplorarono la pelle, fino a soffermarsi sulla cicatrice ben visibile sul suo addome, quella che si era da poco rimarginata. Fu allora che Agron capì cos'era successo a Nasir. Un incubo. Qualche visione angosciosa gli aveva fatto visita nel sonno.

Si sentì pervadere da un immediato sollievo e si sedette bruscamente sul pavimento accanto a Nasir, usando le sue braccia forti per attirarlo contro di sé. Solo un incubo. Nessun morbo letale, nessuna ferita mortale. Un incubo. Benché il suo corpo tremasse, il siriano si sarebbe presto ripreso, e ciò che Agron temeva più di ogni altra cosa non sarebbe accaduto. Non ancora, non per questo motivo. Il gladiatore affondò il volto nei capelli di Nasir e chiuse gli occhi, mentre lui si teneva saldamente aggrappato alle sue braccia.

Gli altri che dormivano nella stanza si erano svegliati e Naevia, che era rimasta indietro presso la porta, fece loro cenno di andarsene. Né Agron né Nasir se ne avvidero, tanto erano concentrati l'uno sull'altro; Agron a tenere stretto Nasir, e Nasir ad aggrapparsi a ciò che sapeva essere solido e reale.
Trascorsero alcuni attimi, e presto il respiro di Nasir, ansimante e irregolare, si calmò assumendo un ritmo più normale, anche se Agron poteva sentire il suo cuore battere ancora all'impazzata. "Cos'è che ti tormenta?" gli chiese, la voce non più forte di un sussurro, come se il minimo gesto avesse potuto sprofondare nuovamente Nasir nel terrore in preda a cui si era svegliato. Agron si allontanò un poco da lui, solo quel tanto da abbassare lo sguardo sul suo volto. Gli occhi scuri del siriano si rifiutarono di incontrare i suoi, proprio come avevano fatto in precedenza quello stesso giorno.


Aveva intuito allora, osservando Nasir allontanarsi dal romano morto davanti a lui, che qualcosa non andava.

Nasir non rispose. La mano gentile del gladiatore lo indusse a voltare il viso, costringendo i loro sguardi ad incontrarsi. "Dimmelo," lo esortò Agron a bassa voce, "in modo che io possa cacciarlo dalla tua mente." Così grande era l'amore che provava per lui, che avrebbe impugnato le armi contro qualunque cosa osasse minacciarlo, perfino contro i suoi incubi.

Ci fu un breve silenzio durante il quale Nasir trasse un lungo respiro. E poi, finalmente, parlò. "Mi ha pregato di non prendere la sua vita", disse. "Alla fine, ha implorato."

Dunque si trattava del soldato. Agron si rimproverò per non aver fatto parola di quanto aveva notato prima. Forse a Nasir sarebbe stato risparmiato l'incubo che gli aveva causato tanta angoscia. "Cosa non farebbe un uomo, con la morte che incombe su di lui?" ribatté. In realtà, decine di uomini erano caduti per mano sua senza pregare, ma era anche vero che non ne aveva mai dato loro la possibilità.

"Sapevo quello che provava. Mi ero già trovato nella sua situazione, con la stessa ferita, sanguinante e così desideroso di vivere," confessò Nasir in un sussurro. "Eppure gli ho sottratto ugualmente la vita."

Agron aveva affermato più volte che gli schiavi non erano gladiatori. Non erano abituati a quella violenza, mentre i guerrieri fuggiti dal ludus avevano visto spargimenti di sangue e avevano sofferto quasi ogni giorno. Erano ormai divenuti insensibili a tutto ciò, mentre gli schiavi liberati come Nasir, quando incrociavano le spade con i Romani, percepivano ogni singolo colpo inferto al nemico come sulla propria carne.

"Avere a che fare con la morte non è cosa facile", disse Agron. Spostò una mano a sfiorare la cicatrice sull'addome di Nasir, il quale intrecciò le dita con le sue. "Consolati pensando che lui, al tuo posto, avrebbe fatto lo stesso. Senza curarsi del tuo dolore."

"Lo so," mormorò Nasir. "Mi sono detto la stessa cosa. Eppure quell'uomo continua a perseguitarmi in sogno." Agron avvertì improvviso e pressante il desiderio di proteggerlo. Odiava il fatto che lo spirito di quel soldato romano fosse riuscito a trovare Nasir per fargli del male, mentre lui non era stato in grado di fare nulla per fermarlo.

"Avresti dovuto dirmelo, Nasir", lo ammonì bonariamente Agron.

Una pausa, e il siriano distolse lo sguardo ancora una volta, i lineamenti ora segnati dalla preoccupazione. "Non volevo che mi giudicassi debole."

Perciò era questo ad aver impedito a Nasir di confidarsi. La paura di essere accusato di debolezza. Un pensiero che non aveva neppure mai attraversato la mente di Agron. Con fare premuroso, fece sdraiare Nasir sul pavimento e poi si distese a sua volta, piegandosi un po' su di lui. Le sue dita callose scostarono ciocche di capelli umidi dalla fronte di Nasir e, per tutto il tempo, il suo sguardo dolce indugiò sul volto dell'altro.

"Non vedo alcuna debolezza," disse, dopo un momento. "Solo pietà. Grandi uomini l'hanno mostrata." Agron sfiorò con i polpastrelli l'orecchio di Nasir, spingendogli i capelli all'indietro. "La pietà ha fermato la mano di Spartacus, quando tutti gli altri ti avrebbero punito con la morte per aver attentato alla sua vita."

"Quindi avrei dovuto risparmiare il romano?"

Agron scosse il capo. "Non era il caso di avere clemenza. Spartacus ti ha risparmiato perché ha visto in te la lealtà. Il fuoco. Quello che hai visto nel romano era solo paura di morire. Niente che fosse degno di essere salvato." Il gladiatore prese il volto Nasir nella propria mano, ora, chiedendo la sua attenzione. "C'è forza in quello che hai fatto", affermò con convinzione. "Forza nel voler mostrare misericordia, pur sapendo che non è un'opzione possibile. Hai fatto quello che doveva essere fatto."

E tutto questo da un uomo che, sulla sabbia dell'arena, non aveva esitato a togliere la vita a tutti gli uomini con cui si era scontrato. Ma c'era stato un tempo, una volta, quando Agron aveva lottato con il dover uccidere. C'era stato un momento simile nel passato di tutti i guerrieri, anche se era durato solo pochi secondi. Ecco cosa aveva spinto il gladiatore a dare quel consiglio a Nasir. Sperava solo che il siriano avrebbe trovato conforto nelle sue parole.

Nasir esitò, ma ben presto annuì in segno di comprensione. Toccò la mano appoggiata sulla sua guancia, se la portò alle labbra per imprimervi un bacio sul palmo. Chinandosi, Agron rubò quel bacio con le sue stesse labbra. Quando si allontanò, fu lieto di trovare il più piccolo dei sorrisi a curvare gli angoli della bocca di Nasir. Dunque ciò che gli aveva detto gli aveva portato un po' di pace. Grazie agli dèi. "Resta qui", sussurrò il siriano. "Seguimi nei miei sogni."

Agron avrebbe reclamato quelle labbra per qualche bacio in più prima di lasciarlo ripiombare nel sonno, ma quando Nasir avesse sfidato i suoi sogni ancora una volta, sarebbe stato con le braccia di lui strette intorno al corpo. Qualunque cosa fosse venuta a minacciarlo sarebbe stata cacciato via dalla sicurezza che quell'abbraccio gli avrebbe trasmesso. Nasir avrebbe dormito sonni tranquilli.


 

  
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