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Autore: Mirime Artanis    22/09/2012    1 recensioni
"Niente da fare, anche questa volta. Non siamo idonei. Siamo troppo poveri e nemmeno in piena salute." La donna si inginocchia per abbracciare il figlioletto, piangendogli su una spalla. "La nostra voce è troppo debole. Siamo pochi, siamo affamati e non abbiamo le forze per reagire. Dicono di prendersi cura di noi, di star facendo di tutto per curarci. Lo sanno anche loro che farci entrare nella camera iperbarica una volta al mese non curerà le nostre intossicazioni anche se cercano di spacciarcela come la panacea di tutti i mali! La verità è che cercano di ucciderci! Siamo persone scomode, Ed. Meglio farci cadere nell'oblio, che curarsi di noi. I nostri diritti, i nostri doveri... li abbiamo persi. Tutti. Non siamo neanche più degni di essere chiamati uomini!"
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è un'original che scrissi un paio di anni fa. Credo sia palese l'influenza che ha esercitato la lettura delle opere di Orwell sulla mia testolina.
Recensite, se può farvi piacere!
Big Brother is watching you.



2038


2038. Un bambino vestito di stracci gioca con un piccolo cubo di lamiere, mentre attende la madre fuori dall'ufficio di collocamento.
Giungla materiale. In un mondo dove il cielo terso non è più visibile, perché oscurato da nubi tossiche, dove la terra e gli alberi non esistono più, solo gli abiti della gente povera donano un po' di colore a quel caleidoscopio in scala di grigi. Tutt'intorno è visibile solo acciaio, vetro e plastica, uniti a creare la "Torre dell'Opulenza", un edificio delle dimensioni di una città, dove risiedono le persone più agiate. E lì vivono, lavorano e muoiono, internate in camere anguste, immerse nell'azoto liquido, abbandonate al sonno criogenico. L'unico organo del loro corpo che continua a funzionare è il cervello che, collegato tramite cavi di carbonio al computer centrale, gli permette di vivere solamente sognando. Gli adulti sognano di lavorare, i bambini di andare a scuola. Sognano di mangiare, vivere, dormire. A nessuno è concesso di pensare qualcosa di diverso, perché grazie agli spinotti inseriti nella loro nuca, le autorità possono agire sul loro sistema nervoso e controllare la produzione di ormoni. Persone spente, vuote. Macchine prive di coscienza, ma che credono di vivere e di cui è possibile osservare le giornate, come in un reality show di dubbio gusto, attraverso uno schermo a cristalli liquidi posto fuori dal loro loculo. Questo lo stratagemma di X.V.I.I., il cervello elettronico creato appena sette anni prima dai più grandi scienziati del mondo, ma evolutosi oltre le loro aspettative, sfuggendo al loro controllo e divenuto artefice di una società, la cui fine sarà la distruzione del pianeta.
"Ed, andiamo?" Chiama a gran voce una donna imbruttita dalla povertà, vestita di un abito blu slavato e sdrucito che, nonostante tutto, fa risaltare i suoi stanchi occhi cerulei. Il bambino alza lo sguardo, guardando la madre speranzoso, tuttavia continuando a tamburellare le dita sul suo giocattolo.
"Niente da fare, anche questa volta. Non siamo idonei. Siamo troppo poveri e nemmeno in piena salute." La donna si inginocchia per abbracciare il figlioletto, piangendogli su una spalla. "La nostra voce è troppo debole. Siamo pochi, siamo affamati e non abbiamo le forze per reagire. Dicono di prendersi cura di noi, di star facendo di tutto per curarci. Lo sanno anche loro che farci entrare nella camera iperbarica una volta al mese non curerà le nostre intossicazioni anche se cercano di spacciarcela come la panacea di tutti i mali! La verità è che cercano di ucciderci! Siamo persone scomode, Ed. Meglio farci cadere nell'oblio, che curarsi di noi. I nostri diritti, i nostri doveri... li abbiamo persi. Tutti. Non siamo neanche più degni di essere chiamati uomini!" Per Ed, che ha appena cinque anni, quelle parole hanno poco senso, l'unica cosa chiara è che dovrà continuare ad agognare di entrare nella Torre. Poco importa, lui ha ancora il suo gioco. "Mamma..." Dice in un soffio, mentre la donna si asciuga le lacrime "Io ti voglio bene anche se non possiamo andare lì" afferma ridente indicando la costruzione.
Parole assolutamente inutili per chi sta ai vertici di quel gioco, ma che, per una perversione del destino, per chi non può scegliere il proprio futuro, per chi quasi non ha neanche più lacrime, hanno un peso incredibile. La signora riprende a piangere, se possibile più forte di prima, stringendo a sè il figlio. "Mamma, mi fai male..." mormora appena lui. "Ed! Oh Ed!" Singhiozza la madre, accarezzandogli la testa. "Tu che mi vuoi tanto bene!" continua a parlare tra le lacrime, fissando il vuoto, appoggiando le mani sulle piccole spalle del bambino. "Mamma, perché mi fai male?" farfuglia Ed sull'orlo del pianto. "Tu che mi vuoi tanto bene, mentre io che futuro ti posso offrire?" domanda a se stessa, stringendo le mani intorno al collo pallido del figlio. 
Ride macabra, tra i singhiozzi. Risata cinica, ironica, beffarda. Oltremodo paradossale.
"Sarebbe stato meglio se tu non fossi mai nato".
  
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