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Autore: Ila_Chia_Echelon    22/09/2012    0 recensioni
Raccolta di racconti horror creati da due menti perverse (si consiglia di non utilizzarli allo scopo descritto nel titolo) con parecchi cuori strappati, sangue e per fortuna (o sfortuna) significati non del tutto ovvi e superficiali...a voi l'interpretazione!
Auguriamo a tutti una buonanotte...
Genere: Fantasy, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Nda. Rieccomi, scusate l'attesa, ma l'ispirazione è sempre molto, molto lenta. Come al solito il racconto non fa paura.
Nonostante io mi sforzi, finisco sempre per scrivere qualcosa di abbastanza introspettivo (non quanto il precedente però xD) e al massimo leggermente inquietante. E poi ho questa fissa per i significati impliciti..scusate, ma è più forte di me. Vi auguro una buona lettura e spero di ricevere qualche opinione, che è sempre ben accetta ;)
Chiara.


 

Shadows

 

One more nail in the coffin, one more foot in the grave
One more time I'm on my knees and I'm trying to walk away
How has it come to this?

 
-It never ends, Bring me the horizon

 

 
Chi se ne frega della claustrofobia, questa stanza è troppo grande.
Le pareti bianche sembrano prolungarsi per uno spazio troppo ampio, quasi non riuscissero a rincongiungersi tra loro, così alterno il mio sguardo dall'unica, alta vetrata a sinistra della parete di fronte a me all'anonimo, polveroso parquet che riveste il pavimento.
E mi piace rinchiudermi su me stessa contro quell'angolino di muro che mi trafigge piacevolmente la schiena.
C'è odore di vecchio, qua dentro. Odore di libri mai letti e malinconici silenzi. Riesco quasi a immaginare quell'uomo e quella donna, seduti ai lati opposti di quel tavolo che un tempo giaceva al posto della sagoma nera che ora interrompe il cadere della polvere. Non hanno il coraggio di guardarsi né di parlare, forse perchè ormai non hanno più niente da dire.
C'è odore di vuoto.
Abbiamo appena traslocato, e già mi ritrovo rinchiusa da qualche parte. Lo so che non dovrei comportarmi così. Tendo ad isolarmi o ad esprimere le mie opinioni con troppa aggressività. E va bene, tendo a voler avere sempre ragione.
Ma i miei potrebbero darmi una possibilità, una volta tanto. Potrebbero ascoltarmi (nonostante io sia un caso senza speranza) invece che sbattermi direttamente in camera mia. Che poi questa non è camera mia. E' solo una vecchia stanza putrida ed enorme, e non sarà mai la mia stanza.
Vorrei tanto avere uno di quei bellissimi pennarelli indelebili. Così potrei iniziare a svuotarmi la mente e riempire le pareti. Potrei disegnare un'onda di parole, quelle che troppo spesso mi scivolano giù per la lingua per poi raccogliersi nell'oceano di quelle che non avrei mai dovuto pronunciare.
Arrotolo svogliatamente una ciocca di capelli intorno a un dito. E' un gesto assurdo, pensandoci. Inutile. Tanto non si arricceranno, rimarrano sempre corvini e io sarò sempre io e la mia vita sarà sempre la stessa.
Sta iniziando a piangere. Oddio ho pensato veramente piangere? Piovere, volevo dire.
"It never ends, it never ends.." Canticchio, mentre poso una mano a terra per alzarmi.
Il rumore della pioggia ha un che di melodioso, scostante. Sembra che ogni goccia riverberi all'infinito tra le pareti, ma è piacevole. Pensare che una cosa così minuscola produca un bellissimo suono, un suono potente, se unito a tanti altri...
Un tuono poderoso mi giunge improvvisamente alle orecchie, insieme al lampo che momentaneamente mi abbaglia.
E che cazzo, non si può stare un attimo in contemplazione, qui dentro.
Odio già questa casa.
Poggio la schiena sul muro a fianco della finestra, sbuffando.
Con la coda dell'occhio scorgo un ciuffo di capelli che mi infastidisce, e cerco invano di soffiarlo via. Provo a scacciarlo con la mano, ma nel momento in cui la alzo, non sento niente.
Mi volto e scopro che non è una ciocca di capelli, ma un'ombra. Un'ombra che si protende fuori dal muro. Ma che..?!
La cosa torna al suo posto, ma inizia a sfilacciarsi in una miriade di nastri neri e fluenti. Essi si intrecciano tra loro, corrono sul muro e scivolano come acqua. E' bellissimo, e al tempo stesso spaventoso.
Si incontrano e si scindono, scavalcano le irregolarità della parete e spiccano piccoli balzi al di fuori di essa, superano gli angoli tra un muro e l'altro con agilità, finchè non hanno percorso interamente i quattro lati. In quel momento si ricongiungono. Alcuni cominciano a ritirarsi lentamente, lasciando un grumo di oscurità che si accartoccia e dà pian piano forma a quelle che riconosco come lettere.
L..I..E...Lie. Bugia?
Un secondo dopo le lettere esplodono in minuscole goccioline d'inchiostro, che a loro volta iniziano a scorrere verso il basso, come pioggia nera.
Alcune si aggregano e diventano più grandi, fino a raggiungere la dimensione del pugno di un bambino. A quel punto dalle piccole forme fuoriescono come dei tratti, dei bastoncini, delle zampe. Zampe.
Appena lo comprendo gli insetti (no, me lo sto immaginando. È impossibile, non è vero. Non è vero, non è vero..) si staccano dalle pareti con un suono fin troppo reale.
Inizio ad urlare e mi porto al centro della stanza, perchè da ogni parte le zampe iniziano a ticchettare sul pavimento, dirigendosi verso di me.
"Tictictictictic.." Ho visto ragni, scorpioni, scarafaggi ed ogni genere d'insetto, anche sconosciuto.
Ma ora non li vedo più, perchè ho chiuso gli occhi. Con le mani di fronte al viso continuo ad urlare – Mamma! Mamma, papà, vi prego! Aiuto! Aiuto.. – ma nessuna risposta. Inizio a singhiozzare, mentre il ticchettio si fa sempre più vicino. Sobbalzo sentendo qualcosa che mi si arrampica su per la spina dorsale, e riprendo ad urlare, talmente forte da assordarmi, nel momento in cui gli animaletti scuri iniziano a ricoprire interamente il mio corpo.
Grido fino a sentire la voce che raschia la gola, perchè non voglio sentire il loro rumore assordante. Grido, finchè non sento nient'altro, finchè non mi accorgo che la mia pelle è ancora lì, rosea come prima, tesa sulle mie nocche chiuse l'una sull'altra a proteggere qualcosa. Non mi ero accorta di aver spostato i palmi dal viso, e immediatamente li apro. Su di essi è posato sì un insetto, ma qualcosa di delicato e leggero e fragile. È una farfalla, le ali nere e frastagliate che vibrano impercettibilmente.
Mi infonde una strana tenerezza. Calore, quasi.
Si alza in volo, sospinta da chissà quale corrente, e io rimango al centro della stanza, incantata dal suo battito.
A pochi millimetri dalla parete, cade. Precipita come se un'infinita pesantezza gravasse sulle sue ali sottili.
«NO!»
Mi sento svuotata, ferita, quella farfalla era importante. Non so neanche perchè ci tengo così tanto. Non so niente. Cos'è tutto questo? Perchè adesso l'ombra nera della farfalla si dilata e si modifica, perchè scorre sulla superficie candida come se possedesse una vita propria?
Si ferma esattamente al centro e poi si ingrandisce; esattamente come prima si infrange sulle quattro pareti, proprio come un onda.
Sono terrorizzata e mi accascio immobile sul pavimento, aspettando chissà quale altra terribile visione.
Tremante osservo i filamenti trasformarsi di nuovo. Sono ora una macchia indefinita di sostanza ombrosa. Non capisco.
Un lampo fugace illumina la stanza e l'ombra assume ai miei occhi un colore rossiccio.
"Sangue" penso immediatamente. Oh mio dio. Come ho fatto a pensare a una cosa del genere?
"Cosa è successo qui?" mi dico subito dopo. Non sono sicura...Non sono più certa di essere me stessa. Strani pensieri si rivelano nella mia mente, ma non sono io a richiamarli. Non sono la mia memoria.
La macchia di sangue, l'ombra, attinge nutrimento dal mio stesso prolungamento sul pavimento.
Esso si allunga e oscilla, fino a raggiungere il muro e unirsi alla macchia.
Di nuovo una parola prende forma: HATE.
E di nuovo un brivido mi scuote.
Le lettere si trascinano orizzontalmente e verticalmente, si dividono e un vortice di parole più piccole inizia a soffiare per tutta la stanza, persino sul parquet. Mi alzo di scatto e giro in tondo, cercando di leggerne il più possibile.
Mutano repentinamente, a volte interi testi si presentano davanti ai miei occhi.
Sono parole d'ogni genere: amore, odio, compassione, riso e pianto, dolore, uno sprazzo di felicità, un abbraccio, uno schiaffo; Poi immagini: la penna che verga una lettera mai spedita, un tazza di tè, lo scodinzolare di un cane, un bacio d'addio.
Quante vite scorrono su queste pareti?
Si susseguono scene atroci e spaventose, attimi di tenerezza o passione.
Fatico a seguire la scia e vengo all'improvviso travolta dalla debolezza che quelle visioni mi portano. Le pupille continuano a muoversi repentinamente tra gli spazi bianchi e neri, ma sono troppe le informazioni che raccolgono. Troppe le memorie, troppe le vite passate.
Un giorno farò parte di questa bellissima e terrificante composizione?
Da un secondo all'altro le parole iniziano a scorrere verso l'alto a una velocità sorprendente, fino a raccogliersi su un'unica parete.
Rami nodosi si originano da esse, e le parole stesse vengono racchiuse dalle forme ovali delle foglie.
Infine sull'intera superficie si definisce l'immagine di un albero, un albero dai rami profondamente intricati e carichi di foglie scure.
Ha smesso di piovere e la luce del pomeriggio invade il pavimento, creando ombre attorcigliate, ma immobili.
Me ne sto a terra, ansimante e ad occhi sgranati, a fissare l'imponente albero che mi sovrasta. I rami ricoprono anche il soffitto.
La porta della stanza si apre bruscamente e mia mamma fa la sua comparsa, pronta a buttarmi fuori.
Si ferma dopo pochi passi, portandosi una mano alla bocca, con un rantolo soffocato.
«Ma che hai fatto?!»
«Non voglio vivere qui, mamma.» sussurro fissando ricordi lontani.

 

   
 
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