Tutto
quello che avrebbe potuto fare di sbagliato lui lo aveva commesso,
avvicinandosi passo passo alla rovina più assoluta della sua
vita.
Aveva
tenuto la testa alta, mostrando senza vergogna il volto, poi era caduto
e tutto
quello che gli restava da mostrare era solo una cicatrice mai del tutto
rimarginata, e ora per l’ ennesima volta stava vedendo il
terreno farsi troppo
vicino, ma quella sarebbe stata l’ ultima volta; si sarebbe
fermato lì, una
volta per tutte.
Un lieve tepore
si era impossessato
di lui, dandogli una tregua dalla febbre che da un paio di giorni lo
faceva
bruciare. La sua fronte era appoggiata al fresco vetro della finestra e
se ne
stava comodo seduto sull’ imbottitura della nicchia appena
sotto di essa. Fuori
nevicava e quel candore gli riportò alla mente un abito
bianco, lunghi capelli
argentei e occhi verdi, una stilettata, un’ altra fitta al
collo. Deglutì, per
mandare via il dolore, ma poco dopo sentì di nuovo il
calore, il fuoco della
febbre divampare in lui, mentre le sue palpebre lottavano per chiudersi
e la
sua testardaggine le incitava a restare aperte, a guardare, a farsi
ancora del
male.
Una mano si avvicinò alla fasciatura
candida che ora sembrava strozzarlo, la ferita si stava rimarginando,
ma gli
dava così fastidio e prudeva.
Passi nel corridoio, lenti e
tranquilli, poi un’ esitazione, un passo più
corto, il cigolio di una porta.
Poi nient’ altro.
E la ferita era ancora lì, che
guariva, ma prudeva e sanguinava.
Il liquido rosso gli tingeva le
unghie, insinuandosi sotto di esse e trovando riparo, i polpastrelli
pallidi si
macchiarono mentre le bende perdevano il loro candore.
E la ferita non
stava più guarendo, ma prudeva e
sanguinava. Altro calore, il rosso bruciava e incollava la maglia
pesante alla
sua pelle.
Di nuovo dei passi, veloci, qualcuno
correva, qualcuno era vicino, troppo vicino.
Una mano si avvolse sul suo polso,
mentre le orecchie a punta iniziavano a fischiare, allontanandola a
forza dal
suo collo, la stretta era calda, anche se con la febbre avrebbe
percepito
chiunque freddo, la stretta sul suo polso era calda, troppo calda.
Voltò lo
sguardo, spostando gli occhi sulla sua mano, completamente rossa, poi
sul volto
del nuovo arrivato, sembrava un ragazzino ma le sue labbra si muovevano
veloci,
urlavano, ma lui non sentiva, il forte fischio sovrastava qualsiasi
altro
suono.
“Che stai facendo? Sei pazzo?” Ma
lui non sentiva, non riusciva quasi più a respirare.
“Non mi toccare, stammi lontano!” Lo
spinse via, mentre la bocca si riempiva di un sapore metallico.
Non mi
guardare…
Il ragazzo fece
un passo indietro
per restare in piedi ma non lasciò la presa sul suo polso,
perché si
preoccupava per lui, cosa voleva? Cercò ancora di spingerlo
via mentre altra
rabbia andò ad incrementare il dolore che sentiva alla
testa. Che stesse
urlandogli ancora? Non lo sapeva, ma non gli importava.
Presto divenne impossibile respirare,
allora la tosse iniziò a scuoterlo mentre dalle sue labbra
usciva solo sangue e
gemiti soffocati.
Questa
è
la fine di ogni cosa
O è soltanto un nuovo modo di sanguinare?
Colava
a terra, le bende ne erano
impregnate ma ora le sue mani erano libere di correre al collo, questa
volta
nel folle tentativo di bloccare il sangue. Non voleva morire.
Altri passi, lenti e misurati. Poi
una mano, fredda, gelida e dalla presa forte e brusca alzò
il suo mento senza
delicatezza causandogli fitte di dolore lancinante al collo. La vista
si
annebbiava, ma stava lottando, non voleva morire. Ma non sarebbe
già dovuto
essere morto? Il sangue era tanto, la sua maglia ne era impregnata e
colava
copioso al di fuori delle sue labbra, si sentiva soffocare eppure la
morte
sembrava così lontana, si chiese se avesse smesso di fare
resistenza si sarebbe
avvicinata, si chiese se una persona normale non sarebbe già
morta al suo
posto.
Sono
ancora schiavo di questi sogni
Un
volto pallido e deturpato occupò
la sua mente, macchiato di rosso e un’ occhio mutilato, una
lama che catturava
quel poco di luce, una macchia rossa sempre più ampia.
Sempre più ampia. Si
allargava e raggiungeva le sue gambe, macchiava i suoi abiti candidi
come la
neve che scendeva placida lì fuori. E lui era lì,
ancora con le mani macchiate
di sangue, ma non era lui a essere ferito ora, perché lei
era morta? Perché lui
l’ aveva uccisa? Aveva sbagliato.
Poi il calore della febbre bruciò tutto,
cancellando il sangue e lasciando solo aloni di scura ombra,
abbassò lo sguardo
sulle sue mani, rosse e sporche, colpevoli. Una nuova pressione sul
collo, il
freddo della lama, poi sentì la sua pelle cedere sotto di
essa e il sangue
prese a sgorgare a fiotti, quasi non sentì dolore mentre
cadeva accanto al
corpo senza vita della madre.
Spingendosi
ben oltre il limite
Non senti
il terreno che crolla?
Un’
altra mano si avvolse sul suo
collo lacerato, con forza e decisione. Il fischio alle orecchie
svanì
lievemente e la vista tornò limpida. Un volto pallido,
lunghi capelli argentei
gli contornavano il volto cadaverico e un paio di occhi ambrati da
felino gli
fecero correre brividi di sofferenza lungo la schiena. Ancora Azue, che
lo
stesse salvando di nuovo? La mano era ancora lì a bloccare
il sangue come lui
poco prima non era riuscito a fare, anche la tosse si placò
permettendogli di
sputare il poco sangue che gli era rimasto in bocca. Viticci di scura
ombra si
insinuarono sotto la benda, ricucendo la profonda ferita.
Sentiva il calore propagarsi in lui
con calma, mentre il sudore gli imperlava la fronte e tornava a
respirare.
“Va meglio ora?” Una piccola pausa,
sembrava davvero aspettarsi una risposta. “Smettila di fare
così Zephit, non
riuscirai a morire, ma almeno smetti di farti del male, non hai
già sofferto
abbastanza?” Il suo tono era beffardo e lui si sentiva
svuotato, completamente
vuoto, le forze avevano abbandonato le sue braccia e ora solo il freddo
vetro
della finestra lo sosteneva, ma si colorava, tingendo la neve bianca
che
scendeva di rosso sangue.
Il suo collo venne lasciato libero,
il suo sguardo si spostò sulla sua mano, pallida, ma pulita,
candida come il
sangue, poi si guardò le proprie sporche di rosso, assassine
e colpevoli.
Risparmia
il tuo nemico contorto
Così potresti guadagnarti il perdono
Sentì
il fruscio delle sue vesti e
gli stivali strisciare contro il pavimento emettendo un suono
spiacevole. “Vado
a prendere delle bende pulite.” Intanto non aveva staccato lo
sguardo dalle sue
mani, abbandonate in grembo e coperte di sangue che andava seccandosi.
“Non
farmi brutti scherzi.” Il suo tono era beffardo,
perché in realtà non gli
importava, sapevano entrambi che qualsiasi cosa avesse fatto
l’ elfo lui lo
avrebbe recuperato curando ancora le sue ferite, sogghignando e
attendendo di
poterlo fare ancora, attendendo di poterlo veder soffrire di nuovo.
Sospirò lentamente mentre Azue si
allontanava trascinando con se il ragazzino che era entrato prima di
lui.
La neve ancora scendeva, tranquilla
come se niente di tutto ciò fosse mai accaduto. Il suo
sangue aveva macchiato
il pavimento, il vetro, i suoi abiti e la sua anima, o almeno, il buco
vuoto
che ora si trovava al suo posto.
“Non
hai
già sofferto abbastanza?”
Era vuoto, ma
il calore lo invadeva, bruciandolo e tormentandolo. Sentiva il vento
soffiare
con forza fuori dalla finestra, mentre il fastidio di avere abiti
luridi
addosso accompagnava il bruciore della febbre.
Nella sua mente
rimbombò il suono di
vetri rotti, le gambe che tremavano, deboli e la sensazione di vuoto e
della
caduta gli accartocciò il cuore togliendogli il respiro, poi
l’ impatto con il
candore e il freddo della neve cancellò le spiacevoli
sensazioni che
albergavano in lui, dandogli tregua e riposo, un lungo riposo.
Un respiro stanco accarezzò le sue
labbra mentre appoggiava la fronte al vetro nel tentativo di avere un
momento
di benessere dalla febbre mentre le tempie riprendevano a dolere con
insistenza,
decise a non dargli tregua
Non
ancora.
E già, tutti hanno il loro momento di depressione, anche il
nostro caro Zephit. Eravate abituati a vederlo sbronzo eh? E invece
ecco un
piccolo episodio passato della sua sofferenza.
La parte iniziale, quella non in corsivo è il
‘presente’ (per
chi ha letto la long può capire più facilmente)
il resto è un flashback.
Quindi, questa OS è nata cresciuta e terminata nel giro di
mezz’ oretta, esattamente da mezzanotte e mezza
all’ una, il miglior momento
per scrivere, secondo me. Spero che a qualcuno possa far piacere
leggere del
nostro caro Zephit che soffre (ehm… non è una
bella cosa da dire, poverino) e
di Azue che fa lo stronzo come al solito u.u Le
frasi in rosso in sono della canzone degli
Evanescence ‘New way to bleed’.
Non ho altro da dire. Alla prossima! :)