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Autore: Neko no Yume    24/09/2012    2 recensioni
Aveva mani bellissime, lunghe e nodose, scure e piene di segni di tagli sui polpastrelli, mani che si erano sporte oltre il bordo di una barca per sfiorare la schiuma del mare chissà quante volte. E sognava di morire guardando l’oceano.
(Terza classificata al contest [Hunger Games] Behind the Scenes – Missing Moments Contest indetto da Rowizyx sul forum di EFP)
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ricordo ancora la prima volta che la vidi.
Ero piccolo, sei anni al massimo, e stavo giocando sul pontile vicino casa con degli amici.
Ricordo i riflessi del sole sull’acqua che ci ballavano negli occhi, lo sciabordare delle onde che si mischiava al quieto cozzare delle barche e i cormorani appollaiati sugli scogli.
Ricordo di come comparve all’improvviso, scivolando silenziosamente nel paesaggio e sedendosi sul bordo della passerella, i piedi a penzoloni che lambivano le onde.
Aveva le caviglie sottili, lasciate scoperte da una lunga gonna di tela grezza che aveva raccolto appena sotto le ginocchia, e teneva in mano una lenza annodata.
Gli altri bambini si bloccarono immediatamente e la additarono con quello che sembrava timore reverenziale; credo che qualcuno mi tirò via per un braccio, dato che non accennavo a muovermi.
-Quella è la Strega, vero?-, bisbigliò il mio vicino di casa.
-Sì, è lei!-, risposero in coro altri tre –Pare che abbia vinto gli Hunger Games a quindici anni usando solo una conchiglia affilata e dei fili d’erba con cui si faceva le reti per le trappole-.
-Non aveva avvelenato il fiume con veleno di pesce palla?-.
-Ma no, razza di scemo! Poi come beveva lei? E dove lo trovava un pesce palla?-.
A quel punto mi misi in mezzo, braccia conserte e un’espressione torva negli occhi.
-Solo perché è stata abbastanza in gamba da vincere non significa che sia una strega!-.
Gli altri storsero le bocche in smorfie di superiorità (avevano tutti almeno un paio d’anni più di me e, si sa, per i bambini è una differenza di rango non da poco) e fecero spallucce, per poi dirigersi verso l’altra parte del porto.
Io rimasi lì, affascinato da quell’anziana signora dalle caviglie sottili, una vittoria sulle spalle e una lenza tra le mani.
Aveva mani bellissime, lunghe e nodose, scure e piene di segni di tagli sui polpastrelli, mani che si erano sporte oltre il bordo di una barca per sfiorare la schiuma del mare chissà quante volte.
Da quel giorno la incrociai poche altre volte finché, compiuti quattordici anni, non mi ritrovai sul palco della Mietitura assieme all’altro tributo e a lei.
Ci scrutammo per un istante, poi il mio sguardo corse verso le sue mani.
Le teneva intrecciate sul grembo e per un attimo mi sembrò che stessero tremando incontrollabilmente.
Durante il viaggio scambiammo qualche parola sulla pesca e sulle tecniche per ricavare ami o altri oggetti utili con materiale di fortuna, ma erano discorsi sporadici.
Mags sembrava non essere una gran chiacchierona e si limitava a sussurrare a fior di labbra ciò che riteneva essenziale con voce calma e arrochita.
Probabilmente è colpa della mia mancanza di modestia, ma durante quel viaggio e durante la preparazione a Capitol City sembrava interessarsi molto più a me che all’altra ragazza.
Mi parlava in tono pacato e intanto mi affidava qualsiasi trucchetto avesse avuto occasione di imparare nei suoi settantaquattro anni di vita, senza remore, a volte scherzando sul fatto che probabilmente non mi sarebbero neanche serviti perché persino gli altri tributi rischiavano di perdere la testa per un ragazzo tanto carino.
Quando rideva le si arricciava il naso e la ragnatela di rughe sul suo viso si raggrinziva ancora di più, ma era una vista che ti scaldava il cuore.
Una volta le dissi che me la cavavo bene col tridente e vidi i suoi occhi illuminarsi di una scintilla strana, la stessa scintilla che brillava negli occhi di mio padre quando scovava un posto particolarmente pescoso.
Gli sponsor mi adoravano a tal punto che Mags riuscì a raccogliere denaro a sufficienza per spedirmi un tridente nel bel mezzo dei Giochi, con il quale riuscii a vincere senza difficoltà.
Quella che inizialmente mi era sembrata come una manna dal cielo si trasformò presto nella mia condanna, ne fui certo appena lo lessi nelle lacrime che velavano gli occhi della mia mentore quando mi abbracciò prima dell’intervista finale.
Le pressioni di Snow non tardarono ad arrivare e sulle prime rifiutai di slancio, inorridito dalla prospettiva di dover deliziare qualche ricco rampollo di Capitol City.
Quando tornai a casa dopo il Tour della Vittoria mi sorpresi nel non vedere i miei genitori alla stazione e cercai lo sguardo di Mags, che continuava a sfuggire verso la spiaggia, offuscato da una tristezza che non le avevo mai visto addosso.
Corsi fino a casa solo per sfondare la porta, accasciarmi a terra e ritrovarmi i vestiti sporchi di qualcosa di viscoso e scuro.
Accanto a me mio padre tremava come una foglia, gli occhi vitrei fissi sul cadavere di mia madre.
Mio padre, il mio scoglio incrollabile.
Non ricordo bene quello che successe dopo, devo aver urlato a pieni polmoni e poi essermi rannicchiato in posizione fetale accanto a mia madre, come raccontano di avermi ritrovato poco dopo.
Di quei giorni mi è rimasto impresso un confuso miscuglio di profumo di salsedine, brodo e, costante come un mantra, la voce della mia mentore.
Mi diceva di tutto, cantava vecchie canzoni del Distretto 4, raccontava storie, descriveva il tempo quel giorno e un giorno mi sussurrò la notizia che mio padre non aveva retto e si era buttato dalla scogliera.
Me la sussurrò carezzandomi le guance con le sue mani ruvide e a me sembrò di starla sentendo direttamente dall’oceano, che mi cullava tra le onde assieme ai corpi dei miei genitori.
Pochi giorni dopo il Presidente venne a visitarmi personalmente.
Espresse il suo cordoglio per la mia perdita ed era chiaro che il suicidio di mio padre non rientrava nei suoi piani, pensava ormai di aver esaurito le intimidazioni.
In realtà a quel punto non ce n’era più bisogno.
Avevo perso l’unico appiglio che avevo e tutto ciò che mi rimaneva era Mags, accettare di lavorare per la capitale mi sembrò l’unica prospettiva accettabile per evitare di impazzire o scivolare nell’apatia.
Snow corrugò le labbra gonfie in un sorrisetto nauseante, che rimase ad aleggiare nella stanza come un fantasma anche quando se n’era andato da ore.
-Immagino che prima o poi ti verranno a prendere-, sentii mormorare la donna.
Non risposi.
-Nel frattempo puoi restare qui, se ne hai voglia-.
Questa volta voltai il viso verso di lei e abbozzai un “grazie” appena udibile, per poi piombare nuovamente in un sonno profondo e senza sogni.
Da quel giorno non sono più potuto scappare dal mio nuovo ruolo di attrazione per i ricchi depravati di Capitol City, ma ogni volta che potevo mi rifugiavo nel mio distretto, a passeggiare lungo la spiaggia con Mags (e anni dopo con Annie), a parlare di niente, raccogliere conchiglie o sciogliere reti ingarbugliate mentre la brezza salata mi dava in bentornato.
Una volta stavamo osservando il mare, piatto e di un verdeazzurro lucido come vernice, quando lei si voltò verso di me e sorrise in quel suo modo grinzoso.
-Quando morirò, voglio guardare l’oceano-, decretò con naturalezza, seppure l’ictus che l’aveva colpita un paio d’anni prima la facesse farfugliare –Chiunque qui dovrebbe averne il diritto-.
-Ci riuscirai-, sorrisi a mia volta, tornando a scrutare la risacca.
Credevo che, per quanto difficile e umiliante fosse, non potessi fare niente per cambiare la situazione e continuai ad andare avanti finché qualcosa nella capitale si incrinò.
Finché non sentii l’annuncio dell’Edizione della memoria.
E capii di non avere scampo, ancora una volta.
Mi precipitai da Annie, trovandola completamente nel panico.
Passammo la notte abbracciati stretti sino a farci male, pregando che non scegliessero nessuno di noi, ripetendoci che sarebbe andato tutto bene.
Ma non servì a niente.
Hanno chiamato il mio nome e ho avuto una manciata di interminabili secondi per salire di nuovo sul palco, prima di sentire il nome della donna che amo.
Seguito dalle sue urla, strazianti, terrorizzate.
Poi la calma, una mano che si alza grinzosa ma più bella che mai perché l’ha salvata, rumore di passi lenti e alla fine l’annuncio con il suo nome.
Ho stretto le sue dita tra le mie e non ho avuto bisogno di guardarle per sapere che stavano tremando, proprio come la prima volta.
Non mi hanno permesso di dire addio ad Annie e sul treno ho semplicemente bussato alla cabina di Mags.
Non c’è stato bisogno di dirle niente, mi ha fatto entrare e abbiamo passato il viaggio accucciati nel letto a osservare il paesaggio che si rincorreva fuori dal finestrino e a parlare di pesca.
Quando Plutarch ci ha messo al corrente del piano dei ribelli abbiamo accettato e ora mi ritrovo qui, nell’Arena, con un muro di nebbia velenosa dietro di me, tre persone da portare in salvo e la certezza di non potercela fare.
Guardo la mia mentore negli occhi, ormai vecchi e vitrei, e capisco come andrà a finire.
Devo ripetermi più volte di non sprecare il poco fiato che mi rimane per urlare, mentre mormoro la mia resa e lei sorride.
Ha delle belle mani, Mags.
La pelle ormai piena di chiazze lascia intravedere le vene gonfie, le unghie spezzate ma chissà come ancora pulite, le giunture piene di rughe.
Non tremano, sembrano lasciarmi un’ultima carezza mentre le sue labbra ormai consumate dal tempo mi baciano per l’ultima volta e i suoi occhi si perdono nei miei.

-I tuoi occhi sembrano proprio fatti di mare-, constata ad un tratto, smettendo di rammendare i miei pantaloni e alzando il mento verso di me.
-Più o meno tutti qui li hanno di questo colore-, mi limito a rispondere con una scrollata di spalle, noncurante.
Lei non sembra affatto convinta e socchiude le palpebre incartapecorite dal sole, arricciando le labbra e scuotendo la testa.
-Non è solo il colore-, afferma con la lenta pazienza di chi ha già vissuto tanto –Sono irrequieti, roba da mal di mare-.
Sono io ad arricciare le labbra adesso, offeso, ma Mags ride e il suo esile torace si scuote tutto, per un attimo lei sembra quasi brillare.
E capisco di avere l’oceano addosso, mi si è infiltrato sottopelle e languisce nel mio sguardo.


Guarda il mare per l’ultima volta, Mags.



Yu’s corner.
Buonsalve, piccole ghiandaie!
Come probabilmente avrete capito, Finnick e Mags sono due dei miei personaggi preferiti di questa splendida saga (oltre che due traumi terribili, sigh), quindi ho voluto descrivere il loro rapporto e come si è sviluppato secondo me.
Probabilmente la Collins aveva in mente altro, ma whateva, spero che la mia versione vi sia garbata.
Un grazie in anticipo a chiunque abbia letto/recensito questa storia!
Bye bye,
Yu.
  
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