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Autore: _LostinLove    25/09/2012    2 recensioni
Natalie McCarthy è pronta per il suo viaggio con la famiglia nella famosa città dello stato in cui vive: Sidney. Lascerà a casa la sua amica del cuore, Hanna, con cui si scriverà per parlare delle cose che succederanno durante la sua villeggiatura nell'enorme villa di proprietà dei suoi genitori. E sarà qui che vivrà la sua prima, e bellissima storia d'amore. Siete pronti a far vibrare il vostro cuore?
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Mi ero svegliata alle prime luci del giorno sapendo di dover preparare ancora la valigia. Mi gettai giù dal letto con tutta la convinzione che avevo in corpo, e mi inginocchiai davanti ai vestiti ben impilati. Li sistemai per bene in fila con cura. Andai in bagno e presi la trousse, la riempii di tutto ciò che trovavo sotto mano e credevo mi potesse servire. La incastrai tra i vestiti e un paio di scarpe. Poi mi sedetti sulla valigia piena e cercai di chiuderla. A metà cerniera cominciai a ridere: era una cosa così buffa.
 
Mio fratello si svegliò quando la sveglia trillò nella camera dei miei genitori. E mi sorpresi ad essermi addormentata. Erano le nove e il sole cuoceva già il letto dove mi ero appisolata di nuovo. Mi precipitai fuori dalla camera infilandomi dei pantaloncini a caso e sistemandomi la camicia da notte. Non avevo tempo per sistemarmi per bene. Mia madre era già in cucina, e stava preparando la colazione. La stanza era già invasa dal profumo di uova e pancetta. Sorrisi e legai i capelli in una coda di cavallo improvvisa.
“Quand’è che arriva Hanna?”, mi chiese lei sistemando il cibo nei piatti.
 
“fra poco, passa prima di andare a scuola. Oggi cominciano alle dieci.”, dissi prendendo il succo di frutta dal frigo. Mio padre arrivò in salotto e baciò sulla guancia mia madre. Mio fratello, invece, saltellò scendendo le scale. Aveva un sorriso stampato in faccia che urtava la mia serenità. Ma sapevo che nonostante tutto quel bel faccino sarebbe restato con quell’espressione beata fino al termine della giornata. E non potevo biasimarlo. Il posto dove saremmo andati, avrebbe dato una svolta alle nostre vacanze. Anche io ero eccitata all’idea di cambiare aria, ma forse avrei preferito un’altra città dove andare. Ormai, però, non potevo ritirarmi. E anche se con un po’ di sdegno, guardai le valigie sistemate vicino al divano. Pronte per essere caricate.
“E’ permesso?”, chiese una voce dolce alla porta. Feci un salto dallo spavento.
“Certo.”, rispose prontamente mio padre bevendo un sorso di caffè. Hanna entrò in casa con i suoi capelli perfettamente ricci. I suoi occhi azzurri si soffermarono sui miei vestiti, mentre i miei, verdi, osservavano la sua gonna di jeans e la sua camicetta rossa. Era dannatamente bellissima. Fece scivolare la sacca vicino al tavolo della cucina e si sedette al solito posto. Ormai era nostra abitudine invitarla a fare colazione da noi. Sua madre non aveva mai abbastanza tempo siccome lavorava a tempo pieno. Per i miei non era un problema, anzi erano molto contenti.
Finimmo di mangiare e poi andai a cambiarmi. Indossai dei pantaloncini color crema e una maglietta attillata color cielo. Mi truccai e pettinai i capelli biondi con cura, lasciandoli scivolare sulle spalle. “A che ora partite?”, chiese Hanna fissandomi dallo specchio che avevo in camera.
“Verso mezzogiorno. In cinque ore dovremmo arrivare.”
“Così tanto?”, chiese lei, facendo il broncio. La abbracciai.
“E’ solo per le vacanze. Mi mancherai.”
“Anche tu. Ti spedirò tantissime email, e anche i compiti.”, ridacchiò e io arricciai il naso.
“I compiti puoi tenerteli.”, dissi e scoppiammo a ridere.

Sbuffai trascinando la mia valigia sulla macchina. Non potevo crederci che faceva così caldo, e che me ne stavo sotto il sole a sistemare le ultime cose. Ormai mancava poco a mezzogiorno e dovevamo ancora partire. Mio fratello Thomas si gettò sul sedile posteriore sgranocchiando delle patatine mentre mio padre si assicurava di aver chiuso casa. Mia madre era già piazzata a controllare se il navigatore funzionasse.
"Natalie? Salta in macchina.", borbottò appoggiando una mano sulla mia spalla. "Ci aspetta una bellissima vacanza."
"Se lo dici tu.", mugugnai sedendomi affianco a Thomas. Mio padre partì uscendo dal vialetto sabbioso. Guardai i tre cespugli a forma di fiamma che si erano impadroniti del giardino, assieme al piccolo albero di noci. Poi osservai il portico e i muri rossastri, il tetto bianco e le finestre ampie. Ci stavamo allontanando lentamente, e potevo vedere benissimo il numero civico di casa mia impresso sulla cassetta della posta. Superammo la chiesa con i soliti mattoni scuri, un ospedale, un paio di negozi, la stazione ed infine il cartello con la scritta blu acceso in stampatello maiuscolo, su sfondo bianco, "Henty".
Henty era il mio paese dove ero nata, un piccolo paesino nel Nuovo Galles del Sud. Non aveva neppure 900 abitanti, ed era terribilmente afoso. Sopratutto nel periodo delle vacanze di natale, perciò ogni anno eravamo abituati a fare delle brevi vacanze nella capitale di questa regione Australiana. Erano anni che non tornavamo, poichè mio padre durante gli anni precedenti aveva preferito lavorare. E ora, sotto il sole cocente del 18 Dicembre, ce ne stavamo andando da casa, per trascorrere le vacanze nella solita casetta sul mare, come facevamo sempre. E mi sembrava strano perdere dei giorni di scuola per andarmene, mentre a Thomas l'idea non infastidiva affatto.
"Cinque ore di macchina, dice..", annunciò mia madre fissando lo schermo del navigatore, mentre schiacciava tasti a caso sperando di farlo funzionare. Thomas ridacchiò e i suoi occhi scuri si illuminarono. Mi appoggiai allo schienale sapendo che mi sarei annoiata da morire. I capelli neri, ricci, e folti di mia madre spuntavano da sopra l'appoggia testa e, da dietro, sembrava una donna di media altezza mentre in realtà era un po' bassa. Io già la superavo. Aveva un viso a forma di cuore, simile al mio, con degli occhi grandi e grigi. Le labbra erano sottili e piccole, di un color rosa chiaro, spesso però rimpiazzato da un rosso acceso grazie a uno dei suoi soliti rossetti che portava nella borsa. La cosa che adoravo di più di lei erano le sue mani. Piccole, ma con le dita lunghe e sottili. Sull'anulare sinistro portava fieramente la fede del matrimonio.
Aveva incontrato mio padre proprio a Sidney, durante una gita scolastica al College. E da tutti i racconti che mi avevano accompagnato prima di andare a dormire lui non era cambiato molto. Era sempre stato un uomo con delle spalle larghe, e a quanto pare i suoi capelli biondi erano solo diventati un po' più scuri rispetto alla gioventù. Gli zigomi alti e un naso alla francese, con degli occhi marroni che spiazzavano il mondo, tale era la dolcezza che celavano.
Terminato il College i miei si sono subito sposati e sono nata io, Natalie. E dopo sette anni d'attesa, e con qualche insistente pretesa da parte mia, i miei hanno deciso di portarmi un fratello. Ammetto la delusione quando ho scoperto che era maschio, ma ormai non ci potevo fare nulla.
E ora non potevo fare a meno che guardare il mio dolce fratellino di otto anni. Aveva la pelle già abbronzata, che veniva risaltata dalla camicia bianca. I ricci neri erano corti e solo un ciuffo sfiorava la fronte libera. I suoi occhi erano identici a quelli di mio padre, ma aveva un viso delicato con gli zigomi più dolci.
 
“Mamma ho fame.”, si lamentò di colpo Thomas scuotendosi nel suo sedile. Mi arrivò una gomitata allo stomaco siccome cercava in tutti i modi di attirare l’attenzione dei nostri genitori. Lo zittii tirandogli uno schiaffo sulla nuca. Mi guardò e fece il broncio.
“Taci, ti prendo un panino.”, borbottai infastidita dal suo comportamento. Nel suo sbraitare mi aveva fatto cadere l’ipod dalle mani e mi erano scivolati pure gli auricolari. Presi dentro la piccola borsa frigo un pacchetto di carta stagnola e glielo lanciai. Per un secondo credetti volasse fuori dal finestrino aperto ma poi mio fratello lo prese al volo. Lo scartò con cura, poi appallottolò la stagnola e si infilò un boccone enorme del panino. Masticò rumorosamente.
“E’ un obbligo?”, chiese mio padre fissandolo dallo specchietto.
“Cosa?”, mugugnò Thomas col cibo in bocca.
“Fare tutto quel rumore.”, scandì bene le parole. Allora mio fratello smise e cominciò a mangiare più ordinatamente, creando comunque moltissime briciole.
“Natalie, mangia.”, disse mia madre voltandosi a guardarmi. “A pranzo hai mangiato solo una mela, sarai affamata.”
“No mamma, sto bene così.”, ma in realtà il mio stomaco stava morendo di fame. Ma non volevo ingrassare. Ogni volta che vedevo del cibo, il mio cervello calcolava automaticamente i grassi che poteva contenere. E mi faceva passare la fama, almeno mentalmente. Il mio corpo, invece, richiamava cibo. Strinsi le braccia attorno allo stomaco, come per farlo tacere. Puntualmente questo ululò così forte che mia madre lo sentì.
“Mangia, o ti sentirai male. E se non lo fai ci fermiamo e attenderò finchè non mangerai.”
“Mamma ..”, borbottai, e assieme alla mia voce si aggiunse di nuovo lo stomaco. Strinsi più forte ma non serviva a nulla.
“Natalie.”, sbottò mio padre feroce.
“Okay okay.”, sussurrai. Sapevo che portare ira a mio padre non era buon senso. Mia madre si rilassò e io afferrai un pacchetto simile a quello che avevo dato a Thomas. Lo scartai e gli lancia la carta stagnola. Lui la prese e la arrotolò sopra l’altra, creando una sfera più o meno perfetta. Lo guardai mentre cercava di modellarla e affondai i denti nel panino. Chiusi gli occhi e sperai solo che potesse saziarmi abbastanza fino a cena.
 
“Amori, siamo quasi arrivati”, sussurrò mia madre scuotendomi la gamba. Mio fratello era già sveglio. Ero intorpidita, e mi faceva male il sedere a forza di stare seduta. Vedevo in lontananza la città, e sulla strada dei paesini. Li potevo contare sulle dita delle mani, tanto erano pochi, ma questo mi rincuorava. Per quasi metà viaggio eravamo dispersi nel deserto, o sotto alberi verdissimi che ci coprivano all’ombra. Era stupefacente la quantità di verde che ci circondava mentre eravamo sull’autostrada.
Capii che eravamo arrivati a Sidney quando gli alberi furono sostituiti in gran parte da case e villette. Attraversammo il paese sulla costa, e potemmo vedere il mare che prima si infrangeva sui scogli e poi risaliva lentamente la sabbia. Era la cosa migliore, forse. Il fatto che vi erano sia spiaggie sabbiose che scogliere. Sorrisi e respirai un po’ della brezza marina. L’aria carica di sale mi punzecchiò il naso, ma non mi dava fastidio. L’odio che provavo per questo viaggio sembrava svanire. Il mare mi stava calmando, e le onde mi cullavano. Non facevo altro che osservare il loro movimento che non mi accorsi di raggiungere la nostra villetta. Scesi dalla macchina per sgranchirmi le gambe. Mi voltai dando le spalle al mare, e notai quando era stranamente enorme la nostra villa.
“Mamma, è sempre stata così grande?”, chiesi stupita. Lei scoppiò a ridere.
“Ogni anno che tornavamo me lo chiedevi. Credevo te lo fossi ricordata.”, rispose lei tranquilla. Rimasi ferma a squadrare la casa in mezzo alla strada. Tanto era l’ultima di una lunga fila. Osservai i suoi due piani, gli scalini per portare all’entrata, le piante cresciute e tagliate perfettamente. E poi l’erba verde e corta sul prato, le grandi vetrate e ancora la vista su Manly beach. Sorrisi e afferrai la mia borsa. Non vedevo l’ora di dirlo ad Hanna. Forse mi avrebbe invidiata.

*** AUTRICE ***
sono tornata in pista, e all'attacco! sono pronta a scrivere nuove storie, e sopratutto a scrivere questa. è diversa dalle ff, non ci sono i miei idoli. é da tanto che non scrivevo un libro serio, mi mancava questa sensazione. spero vi piaccia perchè io ci metterò il cuore. seriamente.
potete rilasciare recensioni, io non mordo. scrivete pure i vostri pensieri, cosa odiate o amate di come scrivo, della storia o dei personaggi. ma ricordate che questo è appne l'inizio. non prendete considerazioni troppo affrettate. ;)
xx
  
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