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Autore: Liy    26/09/2012    1 recensioni
Il vuoto in quella casa era percepibile anche da là, fuori al freddo.
“Bentornato a casa, Shoma.”
[Spoiler ep21][Shoma/Ringo]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: We'll meet again soon
Personaggi: Shoma, Ringo.
Pairing: Shoma/Ringo.
Rating: Giallo.
Genere: missing moment, angst tendente al fluff - boh, non lo so manco io.
Avvertimenti: One-shot.

Note: Devo seriamente spendere qualche parola su ciò che ho scritto stavolta? xD No, vabbeh, il mio pensiero è sempre lo stesso. Se è la prima volta che leggete qualcosa di mio, allora andatevi a leggere le mie note negli altri "lavoro", se invece mi seguite da un po'... beh, sapete già dove andrò a parare, quindi è inutile star qui ad occupare spazio con dei caratteri inutili.

Disclaimer: Come al solito, questi personaggi non sono miei altrimenti The lives <- -> The Scorpion fire 'sta ceppa!



We'll meet again soon

 

Il vuoto in quella casa era percepibile anche da là, fuori al freddo.

Sulla porta di quella grigia abitazione colorata, Ringo aspettava fissando il campanello in trepida attesa. Sapeva che Shoma non era ancora arrivato, che Himari se n'era andata e che Kanba li aveva abbandonati, quindi suonare sarebbe stato inutile. Rimase immobile, stringendo fra le mani la borsa.

“Oginome?”

Sentir la sua voce la fece sobbalzare – era quella voce così gentile e pacata allo stesso tempo, quella voce che un tempo aveva detestato per le continue proteste. Shoma aveva sottobraccio la solita borsa di scuola e attorno al collo portava una sciarpa lilla, segno che l'inverno era arrivato anche per lui – nonostante la settimana prima avesse insistito tanto che infondo non sentiva così tanto freddo quando usciva di casa. Aveva i vestiti un po' stropicciati, come se non fossero stati stirati ed era una cosa insolita conoscendolo bene.

“Bentornato a casa, Shoma.”

“Cosa ci fai qui? Lo sai che...”

Senza aspettare che finisse, Ringo gli afferrò una mano, spingendolo con un sorriso verso la porta. Sapeva, non c'era bisogno che lui le ricordasse ogni cosa, non aveva bisogno che anche lui provasse ad inculcarle del buon senso. Aveva deciso ormai da tempo, Ringo, e non si sarebbe di certo tirata indietro in quel momento – non quando Shoma era rimasto solo, non quando sapeva benissimo che era più vulnerabile che mai e che sarebbe bastato poco perché cadesse a pezzi.

“Perché non entriamo in casa a parlare, eh? Qui fa così freddo, non trovi?”

Gli regalò un grande sorriso insieme alle sue parole. Non avrebbe permesso a nessuno – nemmeno al destino – di rendere triste Shoma. Questo perché quel ragazzo si meritava un po' di felicità, un po' di quell'illusione che gli individui spesso condividevano e che, col tempo, finiva per diventare una realtà. Infondo, nulla era veramente reale in quel mondo, finché veniva provata da una persona sola. Nessuno poteva esistere da solo nel proprio mondo, perché quella non era un'esistenza completa – era vuota, come casa Takakura in quel momento. Perciò, lasciare solo Shoma in quell'istante – quando gli aveva promesso che non lo avrebbe abbandonato – sarebbe stato come colpire le fondamenta di quel fragile mondo che il ragazzo s'era costruito per ovviare all'assenza dei genitori e all'odio che le persone provavano nei confronti della sua famiglia.

Quando entrarono nella piccola e calda casa dei Takakura, senza bisogno che si scambiassero alcuna parola, Shoma iniziò a sfilarsi la giacca e Ringo l'aiutò, afferrandola e reggendola mentre lui si sistemava la camicia ed i pantaloni. Sedendosi davanti al basso tavolino, l'uno di fronte all'altra, però, quell'intimo silenzio iniziò quasi a sembrare imbarazzante e scomodo per Ringo.

“Hai sentito i telegiornali? Dovrebbe nevicare a giorni!”

Shoma fece appena un cenno con la testa, continuando a fissare lo schermo vuoto e pulito del televisore. C'era tristezza nei suoi occhi, non serviva chissà che cosa per capirlo. La sua famiglia l'aveva abbandonato, era rimasto solo con il fantasma dei ricordi che lo tormentava.

“Ehi, Shoma...”, allungò la mano sul tavolo, incontrando quella fredda del ragazzo.

Fu quel gesto a costringerlo a voltarsi verso di lei e, per la prima volta da quando l'aveva incontrata sulla porta di casa loro – sua, ora che anche Kanba ed Himari s'erano andati – accennò un sorriso. Un sorriso falso, comunque, e Ringo se ne accorse subito. Non avrebbe detto nulla, però, avrebbe lasciato che lui le mostrasse quell'illusione e di certo non l'avrebbe nemmeno fermato quando avesse intrecciato le dita con le sue.

“Scusami, Oginome...”, la sua voce non era altro che un sussurro che si perdeva fra quelle quattro mura e quel tavolino che li separava.

Un caldo sorriso si dipinse sulle labbra della ragazza, che strinse con forza quelle dita fra le sue ed abbassò lo sguardo. Com'era finita per innamorarsi di quel ragazzo che, appena conosciuto, aveva considerato solo un ostacolo fra lei e Tabuki? Come si era innamorata di quel ragazzo strambo che non aveva fatto altro se non rovinare tutti i suoi piani per sedurre il professore?

“Vuoi un po' di tè?”

Forse, però, ripensandoci col senno di poi, era sempre stata innamorata di Shoma... o era sempre stata destinata ad innamorarsi di lui. Era precipitato nella sua vita in un lampo e l'aveva cambiata completamente, stravolgendo tutto ciò in cui aveva creduto e tutto ciò che aveva perseguito per anni. Era stato lui a far terminare quella follia che l'aveva spinta ad essere una stalker, era stato lui a salvarla svariate volte... e adesso toccava a lei aiutarlo, tendergli la mano quando ne avesse avuto bisogno.

“Mh, sì. Grazie.” Ringo rispose esitante, lasciando andare quella mano riluttante, stringendo poi l'aria quando lui sparì in cucina. “Posso accendere la televisione?”

“Certo. Siediti pure sul divano, se per te è più comodo.”

“S-sto bene qua a terra. Grazie.”

Prese il telecomando fra le mani ma, nonostante gli avesse chiesto se poteva accendere il televisore, non toccò alcun tasto e rimase a contemplare lo schermo nero. Preferiva ascoltare i rumori della strada, l'acqua che bolliva e il rumore delle tazze mentre Shoma le posava su un piccolo vassoio.

“Vuoi dello zucchero?”

“Un.. un po' sì, grazie.”

Non passarono troppi minuti prima che il ragazzo tornasse nel silenzioso salotto, porgendole la tazza ed allungando verso di lei un piccolo barattolino – era decorato, con disegnati dei fiori colorati sotto la scritta zucchero. “Mettine pure quanto vuoi.”

“Grazie...”

Un sorso, il silenzio quasi palpabile che permeava quel piccolo angolo di mondo.

“Mh, non volevi accendere il televisore?”

“Ho cambiato idea...”, la tazza stretta fra le mani, poggiata alle labbra. Lasciò che il calore la riscaldasse, le gambe ben strette contro il petto. “Shoma”, un sorso breve, “ti do fastidio?”

Voleva saperlo. Alcune volte – spesso – aveva il presentimento d'essergli fra i piedi, un'inutile distrazione che lo scocciava soltanto. Infondo, lei aveva pensato lo stesso di lui all'inizio.

“Certo...”, Ringo sentì una stretta alla bocca dello stomaco e subito alzò lo sguardo verso di lui, “... che non mi dai fastidio. Perché dovresti?”

“E-era solo una domanda...” il tè le riscaldò la gola e subito il groppo che le provocava quell'insopportabile dolore all'altezza dello stomaco si sciolse, scomparendo quasi come non fosse nemmeno mai esistito. Shoma era in grado di farla preoccupare con niente, ed era altrettanto capace di tranquillizzarla con poche, semplici parole pronunciate con la lentezza di una calda giornata estiva che tardava a cessare.

Quel sottile velo di silenzioso imbarazzo tornò ad aleggiare fra di loro e Ringo, posando delicatamente la tazzina nel suo piattino, sospirando e lanciando uno sguardo carico di determinazione verso il ragazzo, allungò una mano sul tavolino, verso quella di lui. L'avrebbe afferrata, se lui non si fosse ritratto tanto in fretta.

“Che c'è, Oginome?”
“No, nulla...” ogni tentativo era vano. Era come se avesse il timore di toccarla, anche solo di sfiorarla. Forse, alla fin fine, il suo istinto non l'aveva tradita: Shoma non provava per lei ciò che lei sentiva nei suoi confronti. Probabilmente la vedeva solo come un'amica di Himari, una stalker che aveva messo apposto la testa, ma che rimaneva tuttavia invasiva.

Eppure Shoma aveva rischiato la vita per lei, quella volta che s'era buttato di slancio fra Ringo e quella macchina in corsa sotto la pioggia battente. Shoma s'era preoccupato per lei, l'aveva spinta a vivere la propria vita, non quella che Momoka aveva pianificato sul diario.

“Shoma, io...”, la mancina stretta al petto e lo sguardo basso, fisso sul tavolino.

“Qualcosa non va, Oginome? Oggi sei strana...”, anche più del solito meditò d'aggiungere alla frase, optando poi per la scelta migliore: tacere.

“Posso stare a casa tua stanotte?”

L'aveva detto d'un fiato, rossa in volto, ma con uno sguardo deciso negli occhi ora fissi in quelli del ragazzo che la guardava stupito, come se non avesse afferrato il senso della sua domanda.

“... Perché?”, fu l'unica parola che riuscì a proferire, prima d'immaginarsi steso a terra accanto a Ringo, la schiena di lei rivolta verso di lui, i capelli che ricadevano morbidi sul cuscino e quel corpo che se ne stava là, muovendosi ritmicamente ad ogni respiro, chiedendogli di toccarlo. C'era tuttavia qualcosa di sbagliato in quell'immagine e Shoma scosse la testa, chiudendo per un attimo gli occhi.

“E-ero solo preoccupata per te! Volevo assicurarmi che tu stessi bene... sai, ti vedo un po' giù da quando...”

“Ti sarei grato se restassi per questa notte, Oginome.”

Ringo alzò il capo di scatto, incredula delle parole che Shoma aveva appena detto. Era imbarazzato, nervoso, tuttavia Ringo percepì ancora in lui quel vuoto che l'aveva portato a chiudersi in sé. Si costrinse a sorridere la ragazza, decidendo di non domandare nulla – per non costringerlo sulla difensiva, per evitare che cambiasse idea e la mandasse a casa.

 

Shoma aveva insistito tanto perché non dormisse a terra nel salotto. Le aveva proposto il divano (decisamente comodo, ma un po' troppo piccolo per lei) e le aveva addirittura preparato una coperta e diversi cuscini per assicurarsi che non le mancasse nulla – un'ospite, per quanto stalker fosse, era sempre un'ospite.

Quando spensero il televisore e decisero che era giunto il momento di dormire, Shoma si distese su di un fianco, dando la schiena alla ragazza che lo fissava preoccupata da ore. Non riusciva a sopportare il peso del suo sguardo carico d'apprensione nei suoi confronti. Era troppo per lui, che non meritava di ricever nulla di buono dalla vita.

“Shoma”, parve più un respiro che il suo nome, sovrastato dal rumore di un'auto di passaggio davanti a casa loro. “Shoma, parlami.”

Sapeva di poter resistere alle suppliche di Oginome... almeno finché non si girò e la vide in volto, lo sguardo serio, le labbra piegate in un sorriso subito tradito dagli occhi lucidi.

“Oginome, cosa...”

“Sono un fastidio per te, non è forse vero?”

Era la seconda volta quel giorno che quella parola usciva dalla labbra rosee della ragazza: “fastidio”. Com'era possibile che pensasse una cosa simile? Certo, il comportamento che aveva nei suoi confronti non era sempre stato il massimo – soprattutto in quelle settimane – però gli pareva impensabile che lei credesse d'esser un fastidio per lui, soprattutto quando la considerava... come la considerava? C'erano molte parole per definirla, ed erano una più imbarazzante dell'altra.

“Rispondi, idiota!”, fu il cuscino che lo colpì dritto in faccia a risvegliarlo dai suoi pensieri.

Ringo piangeva sommessamente, stretta alle coperte e col volto coperto dalle mani – e gli tornò in mente quella notte, sotto la pioggia battente.

“Non sei un fastidio. Davvero. Quindi, per favore, smettila di piangere, Oginome...” Le sfiorò i capelli con una mano, in ginocchio davanti a lei e lo sguardo fisso laddove sapeva che avrebbe visto i suoi occhi, se solo avesse alzato appena il capo. “Perché credi di essere un fastidio?”

“Tu... per il modo in cui mi tratti, Shoma. Pensavo potessimo essere almeno amici, invece tu ti comporti in quel modo... e poi io mi sono...”

Era spiazzante ascoltarla mentre singhiozzava, qualche parola incoerente che ogni tanto sfuggiva dalle labbra.

Era imbarazzante pensare come sarebbe potuto finire quel 'e poi io mi sono'.

E Shoma, arrossendo lievemente, mordendosi un labbro e decidendo infine che non gli sarebbe importato se Oginome l'avesse preso poi a pugni, le prese il capo fra le mani, costringendola a fissarlo negli occhi e posò le labbra sulle sue – bagnate di lacrime, ma pur sempre morbide come le aveva immaginate.

“Ecco, non sei un fastidio... vedi?” ed il peso dello sguardo della ragazza divenne di nuovo insostenibile. La sua espressione era un misto di tristezza, perplessità... e gioia.

Fu lei questa volta ad accarezzargli il viso, scivolando dal divano per poi baciarlo – un bacio inizialmente casto, che divenne qualcosa di più quando le morbide curve sul suo corpo s'adagiarono su quello di lui.

Era come l'aveva sempre immaginata – come l'aveva vista quella notte, senza il leggero abito da notte che nascondeva davvero poco del suo corpo che a lui parve così perfetto.

Era l'unica ragazza che avesse mai visto con quegli occhi, che avesse mai potuto toccare... e con molta probabilità sarebbe stata anche l'ultima. Era possibile che qualcun'altra si innamorasse di lui, così... normale, privo di qualsiasi cosa che lo potesse rendere interessante?

“Perché Oginome?”, le braccia che l'avvolgevano scesero verso i fianchi per fermarla.

“Non c'è un perché, Shoma”, la sua voce ansimante era quasi un bisbiglio nel suo orecchio, “potrebbe essere il destino... o la prova che possiamo ribellarci al nostro fato. Forse non eravamo nemmeno destinati ad incontrarci... però è successo e mi sono innamorata di te. E non so il perché, ma non mi importa. Non m'importa davvero, Shoma... e questo perché mi sento felice. Voglio solo... stare con te.” Sembrava quasi una supplica, sussurrata con la voce più dolce che avesse mai sentito.

Pensando alla Ringo di qualche mese prima, quella infilata sotto la casa di Tabuki, e comparandola con quella che ora era stretta a lui ed impegnava ogni fibra del suo corpo, Shoma sorrise. Sorrise contro le labbra della ragazza, pensando che, probabilmente, il destino gli stesse seriamente ridendo in faccia.

 

   
 
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