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Autore: Silene Nocturna    28/09/2012    6 recensioni
La questione "coda" abbinata a certi istinti mai sopiti in un saiyan mi ha sempre molto ispirata. Di getto è nata questa fanfiction, i cui protagonisti si ritroveranno a confrontarsi durante scottanti e drastiche situazioni. Chi avrà la meglio?
Ecco un piccolo anticipo:
"Era tornato furente e tutto ciò che Bulma fu in grado di fare si ridusse ad annuire mentre si preparava ad abbandonare il campo di battaglia.
“Adesso o mai più.”
Maledisse la sua testardaggine e maledisse sé stessa, perché non riusciva ad alzare il dannato posteriore da quel letto. Poggiò quindi una mano tramante sulla sua spalla, ritrovandosela prevedibilmente strattonata.
- Ti avevo avvertita.
- Potrei aiutarti.
"
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia parttecipa al contest Capsule indetto da Jackson Mozart Lecter. Qui di seguito allego il link della sua iniziativa in onore di Lilly81 e delle sue storie ^^ http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10338877 Ci tenevo a dire che è davvero moltissimo tempo che non pubblico su efp e in particolare in questo fandom; ho lasciato un po’ da parte le fanfiction, anche quelle che avevo in corso. Spero comunque che questa storia lievemente calda possa essere di vostro gradimento!

Buona lettura

Nome Autore: Nihila Lannister
Titolo Contest: Capsule
Pacchetto scelto: NOTTE/ZAFFIRO
Personaggi: Vegeta / Bulma / Goku
Genere: Slice of Life / Introspettivo / Sentimentale
Luogo: Camera da letto
Oggetto: Cuscino
Titolo della storia: Istinti Primordiali
Durata: one-shot

Avvertimenti: Lime / What if?

Rating: Arancione

 

 

Istinti Primordiali

- Di Nihila-

 

 

Lanciava distrattamente uno sguardo al soffitto, poi nuovamente rivolgeva la propria attenzione alla scrivania in disordine, colma di carte i cui scarabocchi potevano far drizzare i capelli al suo buon padre, se solo avesse visto la confusione che intervallava quei calcoli e svariati diagrammi, per non parlare delle formule, molte delle quali giacevano risolte su minuscoli post-it che puntualmente si ritrovava a raccogliere dal pavimento. Sbuffò quando le unghie grattarono dolorosamente il pavimento nel tentativo di recuperare il misero pezzo di carta gialla finito sotto la sedia, dalla quale si sporgeva come un’equilibrista, la matita ben stretta nella morsa dei bianchissimi denti.

Erano giorni intensi quelli, l’autunno cominciava a bussare alle porte e con tristezza Bulma Brief aveva dovuto dire arrivederci agli occhiali da sole e alla crema abbronzante per far spazio alla moltitudine di t-shirt del proprio marchio di famiglia, cominciando anche a sbrigare tutto il lavoro che per tre mesi aveva accantonato. Ed erano incredibilmente numerosi i progetti lasciati in sospeso; ma non per i calcoli e il lavoro da scienziata si sentiva spossata, quanto più per la moltitudine di eventi e soprattutto mutamenti avvenuti nella sua vita. Era stato bello trascorrere gli anni dell’adolescenza al seguito di un bambino, a zonzo per l’Universo in cerca delle sfere del drago, quando il suo unico desiderio era quello di trovarsi un bel principe azzurro con cui condividere le proprie ricchezze, di cui amava farsi vanto quasi quanto adorasse far sfoggio dell’intelletto ereditato dal padre. Forse su Namecc era avvenuto il cambiamento, e forse non se n’era neanche resa conto. Improvvisamente il dolore di aver perduto Yamcha si era dissipato insieme alla gioia di poterlo stringere di nuovo. Dopo la rocambolesca avventura, giunti sulla Terra, nei tre anni di pace previsti dal Ragazzo del futuro i pomeriggi in compagnia del suo storico fidanzato erano trascorsi in armonia, il più delle volte, come se avessero raggiunto una stabilità tale da impedire qualsiasi discussione e se essa si fosse presentata, l’avrebbe vista dissolversi come neve sotto il sole cocente di quell’estate ormai trascorsa, come già era avvenuto molte delle volte in cui Yamcha le aveva presentato il problema di condividere la casa con un saiyan. Erano giunti a quel terribile punto definito: abitudine. Lui pareva non accorgersi del suo tormento interiore, del malessere scaturito dal dubbio di non nutrire più alcun sentimento, troppo occupato a godersi tutti gli aspetti della vita ora che l’aveva riavuta indietro; in un certo senso non poteva biasimarlo, e dall’altro colpevolizzava perfino sé stessa, poiché invece di recuperare quel po’ di stabilità in grado di donarle qualche emozione, si era chiusa nel suo silenzio, dietro una maschera. Era la Bulma di sempre, agli occhi dei suoi genitori e dei suoi amici, quando si degnavano di farle visita e prestarle un briciolo d’attenzione in più, non scrutando sotto quella corazza di sorrisi e velleità.

Il tutto era culminato durante l’esplosione della Gravity Room, avvenuta appena due giorni prima; per quanto lo volesse, non riusciva a negare a sé stessa l’interesse nato dal nulla –perché solo questo era in grado di offrirle, oltre insormontabili macerie e lande desolate per opera di un solo gesto della mano- in tutto quel tempo in cui era stata a contatto con l’alieno. Dopo averlo visto appoggiato contro il tronco di un albero, estraniato da namecciani, terrestri e suoi simili, si era guadagnato tutta l’attenzione che una creatura curiosa come lei poteva provare. Era colpa sua se Yamcha e altri valorosi guerrieri avevano perso la vita, perfino Goku ci era andato molto vicino… Eppure per impulso si era ritrovata a offrirgli una dimora, tanta la gioia del momento, in cui a dispetto di tutti era ormai certa che il suo amico d’infanzia avrebbe trionfato sul Tiranno. Non era mai stata tanto vicina a un nemico potente come Freezer, tanto da percepire il lezzo della morte più di una volta su di un pianeta lontano dal suo mondo conosciuto, quando era da sola, poiché Gohan e Crilin non potevano permettersi una zavorra come lei durante le esplorazioni: erano già in troppi a volere per sé anche un solo desiderio.

Poche invece erano state le volte in cui Vegeta, il Principe dei saiyan, le avesse rivolto la parola, e Bulma Brief aveva fatto altrettanto, pur ogni volta che i loro corpi erano vicini si lasciasse trasportare dalla fervida immaginazione. I primi tempi erano conversazioni che non sarebbero mai avvenute ad affiorare nella sua mente, di giorno, il più delle volte, vedendolo in giardino compiere una sorta di riscaldamento prima di entrare nella capsula costruitagli; se solo avesse avuto il coraggio di porgli tutte le domande che balenavano nel suo instancabile cervello, o se Vegeta fosse stato un tipo loquace, piuttosto che un mercenario dall’indole violenta… Quindi aveva allontanato quello sciocco pensiero, continuando a sorseggiare limonate in compagnia di Yamcha che pareva non vedere l’ora di sciorinarle le proprie vittorie ottenute con la squadra di baseball.
Peccato che da sempre Bulma comprendesse più come si pesta un alieno che le regole per vincere colpendo una palla di cuoio con una mazza.

Quando il suo ospite aveva deciso di partire, l’aveva trovata l’idea più consona per allontanarlo definitivamente dai propri pensieri ma, vedendo l’enorme capsula rotonda sparire nella volta celeste, era solo stata in grado di formulare un’altra, strana, richiesta.

“Spero di rivederlo.”

Era andava avanti. Pian piano le visite di Crilin, Puar, Oscar e Yamcha la distoglievano dai pomeriggi assolati in cui poteva rimanere da sola e volgere il proprio sguardo al cielo in attesa di avvistare una navicella spaziale. Perfino il fatto che suo padre rimuginasse su quanta autonomia potesse ancora avere la capsula era diventata una flebile speranza, riaccendendo quel terreno fertile in cui il germe della curiosità aveva attecchito; infine, il giorno in cui il suo Dio parve accontentarla, non seppe se il cuore balzò nel petto perché fosse atterrato senza che la navicella fosse andata distrutta a contatto con l’atmosfera o per l’amara consapevolezza di cominciare a nutrire interesse per un assassino. Incurante di ciò, si era presa la propria rivincita negli istanti successivi, dandogli nuovamente una sistemazione e dei vestiti puliti. Essere chiamata “donna” da Vegeta le risultava molto meno irritante dei mielosi nomignoli del proprio fidanzato. Poteva sentirsi in colpa solamente per questo? Certo che sì.

Osservava Yamcha, dalla testa ai piedi; rideva, di tanto in tanto le toccava la vita, faceva dei progetti per loro due e poi le riservava un bacio sulle labbra, gelidamente, ostentatamente sicuro di sé… Di lei e del suo amore, della sua fiducia… Lei che quando la notte si ritrovava al sicuro da tutti quegli sguardi si addormentava stringendo convulsamente il cuscino per impedire ai suoi pensieri di formulare altre impossibili ipotesi, come raggiungere Vegeta e tempestarlo di domande. Lei che aveva cominciato a sognarlo, per risvegliarsi la mattina dilaniata dal rimorso e dal dolore di non poter avere nulla da lui, che scaturiva all’altezza dello stomaco fino a chiuderglielo.

“E’ sbagliato.” Si ripeteva, una cantilena a tratti in grado di spaventarla, perché sembrava non averne mai abbastanza. Quasi poteva dire lo stesso dei loro battibecchi e della smaniosa voglia di sfiorare almeno una volta quella pelle ambrata, tesa e sudata, vedendolo attraversare la Capsule Corporation per raggiungere la sua camera.

Inizialmente si era trattato solamente di sporadiche immagini di lui che varcava il portellone, balzando giù dallo scheletro metallico della capsula; poi erano giunti lunghi momenti in cui ascoltava la sua voce, come se stessero parlando attraverso un apparecchio telefonico ed il volto fosse celato da una cortina di dense nubi nere, forse dovuto al fatto che il cervello di Bulma non aveva idea di quali espressioni facciali Vegeta potesse adottare durante un discorso… Se mai ne avesse fatto uno, oltre a quelli in cui si menzionavano piani di conquista o la sua persona quale unico e vero esponente della propria razza. Le notti dei primi temporali, Bulma si era ritrovata più volte col solito cuscino, pregno del suo profumo, zuppo di sudore freddo, con ancora dinanzi alle chiare pupille la sfavillante immagine di un guerriero d’oro seduto su di una pila di cadaveri mutilati, dalle cui orbite oculari vuote scorreva copioso e denso liquido vermiglio. Si svegliava di soprassalto come se quella presenza si trovasse a pochi centimetri dal letto, ed era lì che il terrore le faceva vedere con chiarezza la realtà: chissà quante stragi come quella il saiyan aveva compiuto in un passato neanche troppo remoto. Doveva essere davvero masochista per aver sognato e, dopo, lontanamente pensato di poter instaurare qualcosa che andasse oltre i semplici “donna, dove sono i miei vestiti?” e “Ti ordino di costruirmelo. Ti ordino di ripararlo. Ti ordino di…” con quel principe sanguinario.

Dopo l’esplosione della Gravity Room era come se avesse raggiunto uno straziante punto di non ritorno, dal momento che lo stesso Yamcha si era riscoperto sospettoso vedendola preoccupata per l’incolumità del proprio ospite; era riuscita a sostenere Vegeta, circondandogli le spalle con un braccio e poggiando una mano sul petto ansante. Il primo pensiero che aveva fatto breccia per un singolo attimo, accantonando la necessità di soccorrerlo, inizialmente non la turbò: percepiva, sotto il tocco lieve delle dita, il cuore pulsante come fosse quello di uno stallone selvatico lanciato al galoppo. Tenendo gli occhi fissi nelle pupille ossidiana, intanto, blaterava qualcosa a proposito dei sogni, mentre il saiyan le si rivolgeva per la prima volta con tono privo di minaccia ma pur sempre arrogante. E non le aveva più fatto così tanta paura. Quella notte stessa, dopo aver constatato quanto fosse duro il legno della scrivania posta di fianco al letto in cui riposava Vegeta e incurante dei moniti che si era imposta duramente, rivide sé stessa in una stanza dall’aspetto cupo ma regale; drappi rosso scuro pendevano su un enorme letto e ogni finestra, da cui non scaturiva neanche un timido raggio di sole, veniva schermata da pesanti tende di velluto. Credeva di essere sola, l’unico compagno di tutta quella penombra era il freddo che percepiva sul proprio corpo nudo, ma sperimentò quanto potesse sentirsi ancora più inerme dinanzi la presenza del guerriero. Tentò di schermarsi i seni con un braccio, mentre i capezzoli s’inturgidivano a causa di quella strana sensazione provocata da occhi estranei e bramosi che sembravano scrutarle anche i pensieri, e con il palmo della mano sinistra incontrò la peluria del bassoventre. Vedendolo avanzare cercò di muovere un piede, sentendo l’impulso di scappare per quanto fosse sbagliato quel momento e, soprattutto, pericoloso. Invece si ritrovò distesa sulle lenzuola. Frusciarono a contatto col ginocchio di lui, poggiato ad appena qualche centimetro dalle ossa del suo bacino; era nudo, come l’aveva immaginato troppe volte. Sia il torace largo che la schiena erano tempestati di cicatrici, alcune superficiali, altre dovevano essere state dei veri squarci, un tempo. Invece di opporre resistenza, attese condiscendente, lasciandosi imprigionare i polsi ai lati della testa, e quando l’aguzzino decise di calare la scure che altro non era se non i denti contro il proprio collo, emise un unico sospiro, squarciando il silenzio di quella camera buia. Le sembrava di avere la febbre, come se il proprio sangue ribollisse al tocco di Vegeta, calmo come non lo aveva mai visto o anche solo immaginato, e privo di odori. Corrugò la fronte a quel pensiero, poi percepì la calda erezione dell’uomo premuta contro la sua coscia, mentre scivolava giù insieme al suo peso, volenteroso di soffermarsi sui seni. In balia di una crescente eccitazione, Bulma chiuse gli occhi, immaginando sul nero colore delle proprie palpebre serrate di affondare le dita nei capelli corvini come lui affondava in lei, se solo gliel’avesse permesso, sciogliendo quelle dita ruvide, chiuse come vincoli irremovibili. Si sentiva ottenebrata dal piacere; gli occhi resi liquidi dalle disarmanti sensazioni provate tornarono a scrutare la folta chioma che scendeva pericolosamente oltre il ventre, una volta lasciati liberi i polsi. Non provò a fermarlo, le sembrò soltanto di raggiungere l’apice nello stesso istante in cui immaginò di essere sfiorata dalla sua lingua, e non pensò neanche per un istante di trattenersi...

- Vegeta!

Aveva aperto gli occhi di scatto, balzando seduta sul letto, che non era affatto come quello del suo sconsiderato sogno. Tastandosi poi, piena di vergogna e in preda al panico, in prossimità dell’intimo, percepì una sorta di calore, oltre la stoffa umida. Si era presa la testa fra le mani, scuotendola per allontanare anche l’ultima traccia di quel maledetto incubo; non aveva mai sognato Yamcha in maniera simile, si poteva persino considerare estranea a quel tipo di cose. Ecco il primo pensiero sensato: Yamcha.

Era come se inconsciamente l’avesse tradito.

***

Per un attimo perse la presa dalla scrivania, e i due piedi della sedia non riuscirono a reggere il suo peso, facendole picchiare dolorosamente la schiena sul pavimento. Oltre al frastuono che l’accompagnò, percepì distintamente il rumore prodotto dalla matita scivolatale di bocca, ormai del tutto rosicchiata.

- Dannazione!- imprecò serrando la mascella. Si era ripromessa di non pensare a quel sogno, per questo aveva raggiunto i laboratori quello stesso pomeriggio, dopo che Vegeta si era incoscientemente richiuso nella Gravity Room nonostante le ferite riportate.

In un modo o nell’altro non avrebbe potuto evitare a vita il saiyan, anche se avrebbe preferito rimanere per tutto il tempo in quelle stanze; alzandosi e massaggiando la schiena dolorante avvertì anche i rumorosi brontolii del proprio stomaco. Diede un’occhiata all’orologio da polso accorgendosi che l’ora di cena era trascorsa da un bel pezzo. Prima che se ne rendesse conto, si mosse attraverso i corridoi illuminati da una fredda luce bianca e, dopo pochi minuti, si ritrovò dinanzi una porta automatica che scomparve nella parete alla sua sinistra, consentendole il passaggio. La casa sembrava deserta. Le luci erano state spente e le grosse ombre della mobilia venivano proiettate sul lucido pavimento unicamente dal riflesso della luna piena. Emise un sospiro stanco prima di raggiungere la cucina e aprire il frigorifero, da cui recuperò i tramezzini preparati in mattinata, dopodiché, sicura di non avvertire alcun rumore proveniente dalla Gravity Room, procedette al piano superiore. Nel corridoio non c’erano finestre da cui la luce naturale potesse filtrare, così stette ben attenta ad intercettare tavolini e cassettoni per non rovinare sul pavimento, anche se, in procinto di una porta, si fermò lanciando un’occhiata verso di essa. Molto probabilmente era lì dentro, a pochi passi da lei… Sbatté le palpebre cercando di mettere a fuoco i contorni della maniglia, ma qualcosa sotto i piedi nudi attirò la sua attenzione: dall’uscio sbucava un groviglio di bende tinte di un colore decisamente scuro. Piegandosi sulle ginocchia constatò che fossero per metà intrise di sangue. “Quel pazzo incosciente.” Pensò corrugando le sopracciglia; una parte di lei era già nella stanza, preoccupandosi delle condizioni del guerriero, un’altra reclamava la sicurezza che il proprio letto era in grado di darle. Appoggiò i tramezzini su di un tavolino in legno, accanto a un bel vaso decorato, quindi si mosse verso il bagno, luogo in cui aveva riposto il kit d’emergenza. Dopo qualche secondo era di nuovo di fronte a quella porta grigia, l’ennesima spessa barriera che Vegeta aveva eretto contro il mondo esterno. “Sarà opportuno bussare?” di certo non le avrebbe aperto, invitandola ad entrare. “Una signora deve ricordare in ogni occasione le buone maniere…” anche se il diretto interessato pareva ignorarle del tutto. Si schiarì la voce.

- Vegeta?- un flebile sussurro le fuoriuscì dalle labbra rosee. Inutile aspettarsi una risposta, ma non poteva negare il timore alla vista di quel sangue.

“Le buone maniere non mi hanno mai portata da nessuna parte con tutti questi scimmioni e mostri!” pensò armandosi di coraggio, quindi girò il pomello e sgusciò nella densa oscurità della stanza.
Se il corridoio le era parso buio, la camera da letto di Vegeta sembrava un profondo e tetro pozzo; le tende avevano occultato completamente la finestra posta al di sopra del letto e un brivido le fece tornare alla mente quel suo sogno. Distingueva appena le sagome della mobilia e, quando richiuse la porta alle proprie spalle, fu inghiottita completamente dalle tenebre. Rimase sul posto per qualche istante, mentre i piedi indugiavano tra le bende aggrovigliate sul pavimento, facendosi pervadere dall’odore della stanza: un misto di sudore e soprattutto sangue, oltre all’umidità asfissiante. Deglutì facendosi coraggio. “Non può farmi niente. Non può toccarmi. Goku, Yamcha e gli altri non gliela farebbero passare liscia e lui lo sa.” Espirò dopo aver trattenuto a lungo il fiato. “E poi io sono Bulma Brief!” Si concentrò nuovamente e stavolta percepì perfino il respiro, a tratti pesante, proveniente dal letto dinanzi a sé: un respiro regolare, ma profondo, quasi paragonabile a quello di una fiera. “Sei una sciocca.” Si disse, avanzando lentamente, quasi certa di avvicinarlo senza che si destasse. Distinse a malapena i suoi tratti marcati; dormiva supino, una mano appoggiata all’altezza dello stomaco, laddove il sangue raggrumato aveva raggiunto tonalità più tendenti al nero. Le lenzuola schermavano soltanto parte del bacino e un secondo cuscino giaceva scompostamente accanto alla parete. Nonostante lo vedesse privo di difese, non riusciva a non provare timore; chissà se per uno come lui sarebbe bastato un ammasso di lana e stoffa per soffocare il respiro e privarlo così della vita… Scivolando dal sonno alla morte. Un’idea assurda: Vegeta non era un fragile terrestre e, a dirla tutta, le sembrava imbattibile. Ipnotizzata da quella nuova visione, Bulma appoggiò il kit sul comodino, incurante di far rumore. Produsse un lieve “clak”, che per il saiyan era decisamente sufficiente. Si ritrovò il polso imprigionato in una ferrea stretta. Gli era bastato un battito di ciglia, ed era decisamente più doloroso del suo sogno.

“Stupida, stupida! Scappa!”

Fu solo in grado di spalancare le labbra emettendo un misero grido strozzato. Aveva ancora le palpebre serrate, si rese conto spostando lo sguardo dalle sue dita al volto celato quasi completamente dall’oscurità. Possibile che gli fosse bastato quel rumore per identificare dove lei fosse e dove colpire?

- Che diavolo stai facendo?- il tono della sua voce le parve roco; non seppe definire se fosse causato dal dolore provocato dalle ferite o dal fatto che stesse dormendo.

- Io…- la lingua sembrò attorcigliarsi. – Ecco…- il suo polso era ancora stretto nella mano ruvida di Vegeta, il quale finalmente aprì gli occhi, intercettando i suoi. – Lasciami.- articolò infine.

Trascorsero istanti che sembrarono infiniti, in cui nelle tenebre si scrutarono. Non riusciva ad avere una chiara visione, ma poteva sentire il suo sguardo su di sé.

- Avrei potuto uccidere per molto meno.- lo sentì dire incolore, quasi disturbato dal suo misero “ordine”. La strattonò. – Non mi hai ancora risposto.

Oh, no. A lui piaceva sicuramente di più la combinazione “Stupida, stupida! Implora. Scappa. Soccombi.”

- Ho visto le bende, fuori…

- E allora?

Lei deglutì ancora, e stavolta le sembrò più amaro. A Vegeta non piacevano gli ordini, quasi quanto a lei non piacesse servire o implorare. – Potresti lasciarmi il polso?

Ci mise più forza nel secondo strattone e, inciampando nelle lenzuola in parte distribuite sul pavimento, Bulma si ritrovò alla sua altezza, potendone sentire perfino il respiro sul proprio volto, poi la lasciò e lei massaggiò il polso dolorante pensando che era stato un grande sbaglio entrare nella sua camera da letto. Era decisa ad andarsene quanto prima, ma rimettendosi in piedi e voltate le spalle alla sponda del letto, la voce –stavolta più sferzante- del saiyan la inchiodò al suolo.

- Quindi, terrestre?- l’apostrofò sprezzante. – Sei venuta nel cuore della notte per dare un’occhiata ai miei graffi?

Un sogghigno da predatore. Di questo ne era certa, poteva vederlo scintillare nel buio quando si voltò nuovamente nella sua direzione, anche se non capiva cosa potesse esserci di ironico in quella frase.

- Sì- rispose ingenuamente. “No.” Gridò invece una vocetta nella sua testa, consapevole di aver guardato molto più delle ferite del saiyan. Si morse un labbro. Nel frattempo Vegeta si era rialzato emettendo una specie di verso gutturale e volse lo sguardo sul comodino, parendo perfettamente a proprio agio nell’oscurità.

- Puoi riprenderti la tua roba. Non ne ho bisogno.

Evidentemente i suoi sensi erano molto più sviluppati di quanto pensasse. Cercando anche lei di scrutare il buio, soltanto in quell’istante parve familiarizzare che, assumendo la sua classica posa a braccia conserte e gambe lievemente divaricare, il guerriero fosse completamente nudo. Bulma scattò all’indietro come folgorata, distogliendo immediatamente lo sguardo.

- Le bende andavano cambiate comunque. Copriti.- fece ostentando sicurezza, che sapeva perfettamente di non padroneggiare in quel momento.

Non ricevette un altro sorriso sarcastico in risposta, piuttosto la serietà con cui la stava scrutando sembrava disarmante e, soprattutto, non accennava neanche a eseguire ciò che lei gli aveva ordinato di fare. Così, temerariamente e sentendo la rabbia montare, si diresse svelta all’interruttore; quando la fitta luce bianca sferzò dolorosamente nei loro occhi, i contorni spaventosi e i bui angoli fatti di tenebra sparirono del tutto, e a Bulma sembrò di toccare nuovamente la realtà. Guardò ovunque pur di non incrociare i fasci di muscoli scolpiti del corpo di Vegeta, il quale se ne stava ad attendere la sua prossima mossa, forse con tutta l’intenzione di umiliarla. Ma con ostinazione lei afferrò il kit rimasto sul comodino e quell’odore che nel sogno non c’era, la investì sorprendendola: era più acre di quanto immaginasse, forse dovuto al sangue raggrumatosi sul petto. Sapeva che i freddi occhi del saiyan la stavano scrutando mentre come se nulla fosse andava a sedersi sul letto, costellato di macchie rossastre, cominciando a srotolare le bende sterili; Vegeta si voltò e lo sguardo di Bulma saettò da tutt’altra parte nell’istante in cui incontrò una macchia scura, i suoi peli pubici. Cercò di nascondere il rossore, maledicendosi più volte per essersi cacciata in quella situazione, dopodiché lo vide compiere lenti movimenti prima di sederle dinanzi. Le ossa del bacino vennero schermate dal lenzuolo del tutto aggrovigliato, e con esse anche la sua virilità. Accantonate le bende, Bulma trovò finalmente il coraggio di pulirgli le ferite con la garza imbevuta di antisettico; alcuni dei tagli grondavano sangue e siero, mentre su altri vi erano già dei grumi scuri, simbolo di guarigione. Lo vide soltanto una volta fare una specie di smorfia, quando passò ad occuparsi di un ferita da cui poté vedere il roseo colore della carne viva. Al seguente mormorio di disappunto di Vegeta, seguì il battito accelerato del suo cuore nel silenzio grondante tensione. Non sapeva neppure perché lo faceva, pensò quando prese ad occuparsi della schiena e il cervello parve di nuovo in grado di formulare consistenti pensieri, eppure in qualche modo perfino tutta quella tensione e i nervi a fior di pelle le sembrarono una sensazione piacevole. Fece scorrere i grandi occhi azzurri lungo tutta la colonna vertebrale, soffermandosi prima sulle scapole larghe e poi giù, più in basso, laddove si faceva spazio una cicatrice ben diversa dalle altre, tondeggiante. Bulma l’osservò per lunghi istanti, pur continuando a fasciargli il torace, girando intorno alle costole, poi ipotizzò che quello doveva essere il punto in cui un tempo c’era la coda. Lasciò le bende, ormai avvolte in modo tale da non sciogliersi e, forse guidata dalla pazzia, sfiorò il contorno della cicatrice. Vegeta sussultò, emettendo un verso gutturale simile a un ringhio animalesco anche se i muscoli tesi delle spalle parvero subire un veloce rilassamento. In meno di un secondo si ritrovò schiacciata sotto il suo peso, con due occhi minacciosi, ardenti come tizzoni, a pochi centimetri dal proprio volto.

- Devi essere impazzita, donna!

Avvertì parte del torace fasciato dalle bende e l’altra parte del tutto scoperta contro la pancia e la scollatura della maglietta a dir poco striminzita, le ossa del petto dolorosamente schiacciate. Era fatto di pura lava, estremamente caldo, e in quel momento lei giaceva impotente sotto i suoi ansiti rabbiosi. Quasi le sembrò soffocare, stretta nella morsa del panico.

- Ma che ti prende? Lasciami subito!- tentò di divincolarsi, volendo liberare i polsi. Sapeva di aver osato troppo. Che diavolo si aspettava? – Ti prego, Vegeta...

Le sembrò la cosa più giusta da fare; pregandolo, l’avrebbe lasciata andare. Dopotutto quella era casa sua, c’erano i suoi genitori. Non poteva farle del male. Piegò le ginocchia, in modo tale da allontanarlo ancora. Eppure continuava a osservarla, come quando aveva aperto gli occhi. C’era qualcosa di strano, in quello sguardo. O forse era lei a volerci vedere qualcosa. Vegeta si abbassò, proteso verso il suo orecchio e per un attimo credé che si sarebbe comportato proprio come nel sogno della notte precedente; involontariamente emise un gemito strozzato. Voltò la testa su un lato, serrando le palpebre. Immaginò un ghigno contro il suo lobo. Era divertito. Ma da cosa?

- Lasciarti?- chiese in un soffio.

Bulma annuì.

- Guardami. Guardami!

No. Sapeva di non esserne in grado. La stretta sui suoi polsi aumentò e in un movimento fluido essi le vennero stretti al di sopra della testa; la mano libera le cinse il volto dolorosamente.

- No!- ribatté. Ma si costrinse ad aprire gli occhi, fronteggiando quelli neri e liquidi di lui.

Sembrava risentito, ulteriormente seccato da ciò che leggeva nel suo sguardo. Dopotutto neanche in una situazione come quella gliel’avrebbe data vinta, pensò Bulma.

- Andiamo, terrestre. Non mi pareva ti facesse così paura la mia faccia dopo l’esplosione.

In tutta risposta, storse la bocca. Sapeva benissimo che non era il suo volto a incuterle timore.

- Avevo dimenticavo di avere a che fare con un pazzo maniaco! In quel momento sembravi solo una persona da soccorrere.

Lo vide inarcare un sopracciglio; beh, di certo si ritrovò a concordare che quella fosse la risposta più subdola che potesse dargli. Nonostante tutto ciò che le era capitato, in quel momento lo avrebbe volentieri colpito, se solo fosse servito a qualcosa.

- Mi credi stupido?- chiese gelidamente.

Ora toccò a lei corrugare la fronte, non capendo. Ma prima che potesse ribattere, le dita ruvide strinsero ancora intorno ai polsi imprigionati. – O forse mi hai preso per uno di quegli smidollati che girano qui intorno?

Bulma tacque, la gola ormai del tutto secca.

- Sai benissimo che non mi servono i rimedi primitivi che avete qui sulla Terra.- capitolò Vegeta serrando la mascella. - Cosa credevi di fare?- Stavolta seppe che non era di certo alle cure prestategli che si stava riferendo; forse c’entrava il fatto di averlo toccato in quel punto? In qualche modo doveva averlo offeso. Era il colmo.

Parole cariche di rabbia stavano per fluire dalla sua bocca mandandola forse incontro ad un terribile fato, anche se tutta la propria sicurezza si incrinò, e infine svanì quando distinse la prominente e nuda erezione del guerriero contro le cosce. Ebbe un sussulto, i battiti accelerarono di nuovo. Lo vide allontanarsi, lasciandole le mani libere, emettendo un altro suono gutturale mentre le ginocchia le tremavano e la mente ancora stentava a credere che non fosse un altro dei suoi incubi.

- Esci.- ordinò il Principe dei Saiyan col solito tono di voce basso, roco ma pur sempre imperioso. Come se lei fosse la cosa più orrida che avesse davanti.

Non pensò neanche a recuperare il kit quando velocemente si rimise in piedi e attraversò la porta, inspirando poi l’aria al di fuori della stanza, che mai come in quel momento trovò estremamente pulita e fresca. Quando raggiunse la propria camera da letto, varcandone la soglia, si sentì improvvisamente al sicuro; piombò sul letto quasi senza accorgersene, illuminata da una splendente luna piena.

***

Per tutto il giorno che seguì, non ebbe modo di vederlo neanche di sfuggita.

Vegeta non aveva toccato cibo, non era andato ad allenarsi e non aveva neanche utilizzato il bagno. Era come se dalla notte precedente avesse nuovamente abbandonato la Capsule Corporation; non che la cosa dispiacesse a qualche membro della famiglia o ospite abituale della casa… Eccetto sua madre. Neanche il giorno successivo le cose cambiarono e, quando Bunny portò via il quinto vassoio lasciato sull’uscio della sua stanza, la raggiunse con un’espressione vistosamente preoccupata, indecisa se dirle qualcosa o meno. Quel pomeriggio le sembrò più assolato del solito, pensò Bulma mentre si dirigeva in cucina per consumare una bella birra ghiacciata.

- Tesoro, dobbiamo preoccuparci?

Era difficile che sua madre non esprimesse le proprie emozioni.

- Io credo di no. Probabilmente sarà volato ad allenarsi chissà dove…

- Oh no, cara. Dall’interno della stanza proviene qualche rumore. Non capisco cosa possa avergli fatto passare l’appetito.

Bulma aprì la lattina cominciando a bere una lunga sorsata.

- Smettila di preoccuparti di Vegeta, dannazione. E’ un nostro nemico!- rispose acidamente, occupando una sedia mentre Bunny Brief lavava le stoviglie insieme ai robot.

- Io non credo voglia farci del male, sai? E poi insegue soltanto il suo sogno. E’ un ragazzo molto determinato, come Goku.

Trovò parecchi punti su cui dissentire, ma pensò fosse opportuno bere ancora un po’, guardandola con la fronte aggrottata. Beh, dopotutto nessuno aveva raccontato a sua madre chi fosse Vegeta prima di arrivare lì tra loro.

- Tra lui è Goku c’è un’enorme differenza, mamma. Insomma, Vegeta non ci fa del male soltanto perché gli facciamo comodo e perché si ritroverebbe tutti contro, pronti a farlo fuori.

- Vuoi del tè, cara?

Bulma sbuffò risentita; non aveva ascoltato una singola parola! E poi birra e tè si sposavano malissimo. Piuttosto, finita la lattina e buttatala nella pattumiera, ne prese immediatamente un’altra, bevendo ancora una lunga sorsata, fino a che la gola non fu pervasa da tante bollicine.

- Non dico che sia buono e altruista come Goku, ma… Hanno molte cose in comune!

- Certo, sono due scimmioni.- fece un gesto con la mano libera; la lattina era già mezza vuota. – Beh, il dovere mi chiama.

- Vai in laboratorio?- chiese Bunny chiudendo il rubinetto del lavabo per poi elargirle un sorriso che non riuscì minimamente a rassicurarla.

- No, credo che sbrigherò il resto del lavoro in camera mia. Dillo tu a papà, intesi?

La donna annuì, osservando nuovamente quell’invitante pranzo sprecato.

- Bulma.- la richiamò mentre lei stava arraffando altre due birre dal frigorifero… Sarebbe stata una giornata lunga, dopotutto. Si voltò verso la madre, dando un lieve calcio all’anta dell’elettrodomestico, stranita per l’espressione seria che le riservò: forse aveva compreso qualcosa. - Spero che Vegeta non muoia di fame. Che figura potrei mai farci coi vicini?

Girò i tacchi e se ne andò senza degnarla di una singola parola. Magari fosse così semplice uccidere un saiyan! E soprattutto era inammissibile quanta premura avesse per lui, invece di preoccuparsi di cosa stava passando lei.

Non appena varcò la soglia, le lattine quasi sfuggirono dalle mani.

Il tramonto illuminava completamente il parato ocra di tutte e quattro le pareti, celando in parte la figura che le stava dinanzi, conferendogli una sorta di aura infuocata, mentre le ombre celavano il volto sorridente. Che diavolo ci faceva lì? E soprattutto, avrebbe dovuto rispondere con maggior priorità a due domande: com’era entrato e cosa voleva. Non che fosse disturbata dalla sua presenza, ormai ritenuta una grande rarità, ma prima o poi sarebbe morta d’infarto, ne era certa.

- Goku! Ma che cos-

- Shhh.- in un battito di ciglia il ragazzone le coprì la bocca con il palmo della mano. – Vegeta non deve sapere che sono qui! Ho azzerato l’aura, non mandare tutto all’aria.

Bulma si tolse la mano dell’amico dalle labbra, puntandogli un indice al petto.

- Ti pare il modo di entrare? E poi perché Vegeta non deve sapere che sei qui?- chiese bisbigliando.

- Non posso trattenermi, e lui di certo penserà che lo sto sfidando e vorrà mostrarmi quanto è migliorato.- Goku alzò le sopracciglia, osservando il soffitto. – In effetti percepisco una grande forza.- dopodiché spostò di nuovo lo sguardo su di lei, incuriosito. – Tu e lui non…

- Ah! E’ terribile, non mi parlare di quel maniaco della guerra!

- Quindi tu e Yamcha non…

Ecco un altro nome capace di mandarla su tutte le furie. Senza fargli finire la frase, ci tenne a spiegare che non voleva avere nulla a che fare con il suo attuale –quasi ex- fidanzato, in quanto erano giorni oramai che non si faceva vivo.

- Piuttosto, a cosa devo la tua visita?

Lo vide grattarsi il capo, arruffandosi ancor più i suoi indomabili capelli, come se il motivo per cui fosse arrivato alla Capsule Corporation con il teletrasporto, fosse improvvisamente svanito, poi le donò una delle sue migliori espressioni serene.

- Chichi ha voluto che prendessi la patente, ma con gli studi di Gohan non riusciamo a permetterci un’auto, e non so davvero come fare…- abbassò lo sguardo imbarazzato. - Così, ecco, mi stavo chiedendo se tu potessi darci una mano- spiegò infine con un timbro di voce ancora più basso.

Bulma comprese che non doveva essere semplice gestire una famiglia e sfamare due saiyan con qualche soldo racimolato dal tesoro del Grande Stregone, il padre di Chichi. Le risorse prima o poi si sarebbero esaurite e vivere su quelle montagne doveva essere difficile per una donna, soprattutto con la stagione invernale alle porte. Si portò due dita al mento pensando a una possibile soluzione, dopodiché poggiò le lattine di birra sulla scrivania cominciando ad aprire tutti i cassetti, sotto lo sguardo incuriosito del suo amico.

- Quindi,- esordì Goku. – Vegeta si sta allenando molto duramente.- fece un sorriso a labbra serrate. – Lo immaginavo.

- Non credo affatto sia per i cyborg. Il suo obiettivo sei tu, ma ripeto a me stessa che può allenarsi quanto vuole, tanto non sarà mai al tuo livello.

- Di questo non sono poi molto sicuro.

Dato che le chiavi dell’auto che aveva deciso di regalargli non si trovavano nei cassetti della propria scrivania, Bulma si alzò incrociando i suoi occhi.

- Che vuoi dire?- chiese scrutandolo attentamente, come ogni volta in cui diveniva serio. Recuperò una birra offrendo l’ultima a lui, che rifiutò cortesemente, quindi bevve ascoltandolo.

- Non dico che potrebbe essere una minaccia ma…- Goku scosse la testa. – Solo brutti pensieri. Ricordo quando l’ho visto trasformato in una grossa scimmia; è stato in quel momento che mi sono reso conto che, in passato, tutta quella potenza è stata anche la causa della morte di nonno Gohan.

Improvvisamente dinanzi le pupille cristalline saettò il ricordo di una cicatrice tonda, poco più sotto la colonna vertebrale.

- Ma Vegeta non ha più la coda- affermò Bulma poco convinta, riflettendo su ciò che era accaduto due sere prima e immaginando subito dopo quell’enorme scimmia fuori controllo, seminando morte e distruzione. Poté perfino sentire le urla delle persone, e il caos in una notte buia in cui l’unico spettatore era il satellite lattescente.

- Già, come ti ho detto sono solo ricordi.- le rispose abbozzando un sorriso.

Era tornato il ragazzo di sempre, anche se in quel momento le parole di Bunny Brief produssero un’eco nella sua mente arguta. Due notti prima c’era stata la luna piena.

- Goku, durante le notti di luna piena, avverti qualcosa anche se la tua coda è stata tagliata anni fa?

Lo vide stranito, eppure il sorriso era svanito di nuovo. Insisté: - Senti mai certi istinti?

Ci mise un po’ a rispondere, ma quando lo fece non era sicura che sapesse cosa lei avesse voluto dire con quella parola. Poteva essere tutto o niente, per lui.

- Non ricordo quasi nulla della trasformazione. Per essere precisi avverto ancora qualcosa, forse. Come se fosse tutto rumoroso e avessi una gran fame che non riesco mai a soddisfare!- gesticolò spalancando le braccia, poi arrossì lievemente e Bulma non seppe dare una spiegazione a quella reazione. – Perché me lo chiedi?

Stavolta toccò a lei arrossire, ingoiando a forza una lunga sorsata dal gusto amarognolo. – N-Nulla. Curiosità.

Le si avvicinò riservandole una poderosa pacca sulla spalla, pesante quasi come un sasso. – Sta’ tranquilla. Lo sai che Vegeta è in grado di mantenere il controllo anche se si trasforma in scimmione? Strano ma è così! Dipenderà dal fatto che lui è di sangue reale…

Un’altra interessante rivelazione, anche se aveva già ottenuto ciò che era di suo interesse. Gli indicò quindi la finestra che dava sul giardino; le foglie degli alberi bassi scintillavano sotto il sole ormai prossimo a sparire oltre l’orizzonte, apparendo di un insolito colore bronzeo. Perfino l’erba pareva fatta di quel prezioso metallo. Vide la sagoma di suo padre, intento ad appuntarsi alcuni calcoli osservando con attenzione la camera gravitazionale; l’altezza sembrò provocarle le vertigini. O forse era colpa di tutte le lattine di birra che aveva bevuto.

- Digli che ti mando io, le avrà prese sicuramente lui le chiavi del nostro ultimo modello di automobile. E sta’ attento a non farti vedere da Vegeta, anche se sono giorni che se ne sta chiuso nella sua stanza.

- Urca! Grazie infinite, Bulma!- urlò entusiasta.

Gli riservò un sincero sorriso prima di portarsi un indice dinanzi alla bocca e al naso, gesto che Goku imitò come fosse un bambino. Dopodiché, con la stessa mano, si toccò la fronte svanendo sotto i suoi occhi, agitando una mano in segno di saluto. Bulma rimase ad osservare tutta la scena, guardandoli da dietro la vetrata, fino a quando avvertì dei pesanti passi marziali e poi un sonoro colpo con cui la porta venne violentemente spalancata.

- Dov’è?!

Sobbalzò udendo quella voce alle proprie spalle e, voltandosi, incontrò la figura –di appena qualche centimetro più alta- che in quel momento sembrava trasudare odio e incombere su di lei. Indossava i pantaloncini da allenamento, stavolta, e il torace era ancora completamente fasciato dalle bende di quella notte; non rispose alla sua domanda, piuttosto si resse al davanzale donandogli un’espressione stranita ma sicura. Le orecchie fischiavano a causa di quel suo cuore impazzito, e non seppe dire se fosse più arrabbiata o soddisfatta di vederlo proprio lì, in camera sua.

- Di chi stai parlando, Vegeta? E si può sapere come ti viene in mente di entrare in questo modo?

- Non fare la finta tonta, donna.- coprì in brevissimo tempo la distanza che c’era tra loro, poi le sibilò minaccioso: - Sai benissimo di chi sto parlando.

Poggiandogli una mano sul petto, schermò quanto più possibile la finestra impedendogli di guardare chi ci fosse di sotto, e lo spintonò. Non servì a nulla, sembrava un unico blocco di granito. E lei mise il broncio, maledicendo la birra ingurgitata e ignorando quanto quel gesto potesse farlo arrabbiare.

- Io non vedo nessuno oltre noi due, qui dentro.- abbassò la mano, incrociando altezzosamente le braccia al petto. - Ci mancava solo uno scimmione che soffre di allucinazioni…

- Sto parlando di Kaaroth!- tuonò scattando in avanti e avvinghiando le dita intorno al suo esile collo. Non fu tanto doloroso ma riuscì a smorzarle per un attimo il respiro, e Bulma strinse quindi la sua mano nel tentativo di allontanarla.

- S-Si da il caso che Kaaroth si stia allenando sui Monti Paoz. Ci siamo solo io e te- sembrava che le forze andassero scemando pian piano, facendole sentire la testa più leggera.

Si sarebbe perfino abbandonata sul letto, pensò socchiudendo le palpebre ed avvertendo un innaturale calore propagarsi nelle proprie viscere, mentre Vegeta inarcava un sopracciglio, scrutandola. Probabilmente era uno dei suoi stupidissimi sogni, dato che lui si trovava spaventosamente vicino alle sua labbra e i pensieri si erano trasformati in un groviglio confusionario.

- Sono troppo poco per il grande Principe dei Saiyan?

L’aveva detto ad alta voce. Una frase sarcastica che voleva dire tutto, o semplicemente una constatazione pericolosa. Doveva essere del tutto impazzita, lontana anni luce dall’ingenua Bulma invaghita di un terrestre, ora avvertiva soltanto che tutto ciò che voleva si trovava di fronte a sé. Le scrutava gli occhi, poi la bocca schiusa, e infine la mano serrata intorno la gola. Se avesse stretto con un briciolo della sua vera forza le avrebbe spezzato il collo.

“Che razza di masochista sei, Bulma.”

- Puzzi.- lo sentì dire in un sussurro, quindi corrugò le sopracciglia, ritrovandosi seduta sul materasso quando le aveva già voltato le spalle. Stava battendo in ritirata per aver percepito l’odore dell’alcol? Fu quasi certa che gli desse fastidio qualsiasi cosa che riguardasse i terrestri, le loro abitudini e il loro modo di fare. E lei? Non si trattava soltanto di lei.

Invece di seguirlo si accucciò sul letto, stringendo spasmodicamente il cuscino come un’ancora di salvezza, nell’attesa di fare i conti con il proprio buon senso, una volta che l’effetto delle birre fosse del tutto svanito: lo stesso materiale morbido e setoso che le notti in cui lo sognava, aveva talvolta ridotto a brandelli con le proprie unghie, per quanta foga ci mettesse a intraprendere quelle lotte fasulle tra le lenzuola di una stanza che non c’era, con la proiezione di quell’uomo a farle compagnia.

***

Si svegliò di soprassalto. Tuonò. Imperversava un temporale. Bulma osservò l’orologio sul comodino che a grossi caratteri segnava le tre; si mise quindi a sedere prendendosi la testa tra le mani, dato che il mal di testa comparve l’istante successivo, come una dolorosa morsa in grado di imbrigliarle i pensieri. Ricordò ciò che era successo, ipotizzando che al più presto avrebbe dovuto fare i conti con Yamcha: gli doveva almeno questo. Ormai era del tutto sicura che ciò che c’era prima era del tutto esaurito, ed era meglio che lui continuasse a vivere la sua vita, mentre lei avrebbe fatto altrettanto, anche se nel suo futuro vedeva solo un baratro di tenebra. Niente di certo, ma in quel momento si trattava dell’ultima cosa a cui volesse pensare. Si chiese come fosse potuto accadere, e la risposta non le risultò semplice come un calcolo di svariate equazioni. Avrebbe voluto urlare e comprendere, ma si limitò a rimettersi in piedi e cambiarsi i vestiti, scegliendo comodi pantaloncini e una maglietta, il tutto sopra l’intimo nero. Scese al piano sottostante facendo uno spuntino, piluccando ciò che era avanzato di quella che probabilmente doveva essere stata la sua cena; non accese le luci, dato che i lampi bastavano ad illuminare ad intermittenza l’ambiente circostante. Con sua grande sorpresa trovò i resti di un cosciotto di tacchino quasi completamente spolpato e due o tre lattine di birra svuotate la cui sola vista le fece venire la nausea, il tutto scompostamente disposto sui ripiani della cucina. Doveva sicuramente essere stata opera di Vegeta, e neanche di molte ore prima. Ignorò il conato che seguì subito dopo, il quale la portò a pensare che non avrebbe più bevuto a stomaco vuoto e mangiato così in fretta, quindi seguì le altre tracce mentre ultimava il suo riso al curry. Rimase ancor più colpita quando l’oggetto dei suoi pensieri avanzò nel buio del salotto, ignorandola palesemente, per prendere una bottiglietta d’acqua ghiacciata dal frigorifero. Lei fece altrettanto, aspettando che imboccasse nuovamente la strada per raggiungere il piano superiore e rinchiudersi nella camera assegnatagli da quando lo aveva invitato alla Capsule Corporation.

“Al diavolo!” pensò per l’ennesima volta in quei giorni, seguendolo.

La porta era già stata chiusa, si ritrovò a constatare una volta messo piede sul pianerottolo, il cui legno del pavimento scricchiolò sotto i piedi nudi, quindi bussò lievemente.

- Non voglio credere che tu ti sia addormentato nel giro di un secondo.

Entrò subito dopo, stavolta stando ben attenta ad accendere la luce. L’ennesimo tuono le straziò i timpani, facendola sussultare.

- Sei una vera piaga.- bofonchiò il saiyan mentre continuava a srotolare le bende dal busto, mostrando le ferite quasi completamente rimarginate, eccetto una fresca di giornata che faceva bella mostra di sé sull’avambraccio. - Che vuoi?- disse alzando lo sguardo.

- Volevo scusarmi per essermi comportata in quel modo stupido.

Sapeva che sarebbe finita così, ma la sottomissione sembrava essere l’unico atteggiamento che a Vegeta andasse a genio.

- Non me ne faccio niente delle tue scuse. Puoi andare.

- No, invece!- proferì alterata per quella sorta di congedo, poi riprese piano. – La cicatrice della coda… E quella stupida frase…

- Sai, sei talmente stupida e ostinata che sarebbe un piacere metterti a tacere per sempre.- elargì buttando sul pavimento con il dorso della mano il kit che tre notti prima le era servito a medicarlo.

D’accordo aveva corso un po’ troppo. Si morse il labbro inferiore avvertendo una fitta alla bocca dello stomaco a causa di tutte quelle umiliazioni.

- Potresti smetterla con le minacce di morte?- chiese flebilmente.

- Ci sono cose peggiori. Se fossimo sul mio pianeta questa tua insolenza ti sarebbe già costata molto.

Cose peggiori della morte… Si riferiva a stupri, violenze. Bulma volle scacciare quei macabri pensieri. Trasse un lungo respiro, intenzionata a non rovinare ulteriormente la situazione.

- Beh, ho pensato avessi bisogno di qualcuno che ti aiutasse con quella.- propose indicando con un cenno del capo il braccio ferito. – Di certo fa più male di una cicatrice rotondeggiante.

Lo vide irrigidirsi.

- Hai pensato male, donna.

- Ma insomma, mi pareva di essere stata chiara: il mio nome è Bulma! Non credo ti farebbe piacere se io ti chiamassi sempre “scimmione”.

Emise un borbottio: - Ridicolo…

- Potrei dire la stessa cosa.

Stavolta fu lui a scattare, risentito: - Tutti i sovrani saiyan portano il nome del proprio pianeta, e così i loro eredi maschi.- ultimò con orgoglio, facendole abbozzare un insicuro sorriso. Sembrava molto più docile rispetto a due sere prima, anche se ciò non voleva dire che fosse meno pericoloso, pensò Bulma avvicinandosi con il kit che poco prima aveva gettato sul pavimento.

- Immagino la confusione. “Vegeta, va’ a chiamare Vegeta... No, non lui! Mi riferivo a tuo nonno.”- disse trovando il coraggio di sfiorare con le esili dita il poderoso arto del saiyan, cominciando a medicarlo. Per tutta risposta Vegeta ghignò.

- Non sono mai esistiti sovrani così longevi.

Bulma inclinò le sopracciglia, ma prima che potesse rispondere, lui continuò. – I saiyan hanno una vita molto più lunga di voi terrestri e nessuno ha voglia di aspettare che il re tiri le cuoia per cause naturali.

Quella rivelazione le gelò il sangue nelle vene, facendola indugiare perfino con l’antisettico che ebbe paura di premere sul taglio, non volendosi ritrovare vittima della sua ira. Parlava di parricidio come se stesse discutendo di quale pietanza avesse preferito a pranzo, leccandosi perfino le labbra; decise quindi di tacere continuando il proprio lavoro. Trascorsero istanti che le sembrarono infiniti, in cui l’aria si era fatta più pesante tra loro. Vegeta non la guardava, mentre lei sbirciava di tanto in tanto la sua espressione: le sopracciglia corrugate gli davano un aspetto serio e tetro. La schiena dritta invece gli conferiva un atteggiamento regale, eppure, a guardarlo con abiti terrestri le era sembrato come se in qualche modo potesse far parte della loro comunità. Un’idea assurda, constatò, dato che aveva sperimentato quanto le mani -che nel suo sogno le cingevano debolmente i polsi- potessero risultare dolorose.

- Ieri non ero poi tanto lucida… Te ne sei accorto? Quello che ho detto…- lui tacque. - Beh, che tu ci creda o no a me non importa.

- Che non sei all’altezza del grande Principe dei Saiyan? Ci credo, e ora che ci penso, sentirlo finalmente da quella tua bocca insolente mi ha fatto provare qualcosa.

Bulma fermò le bende con della striscia collante bianca, isolando la ferita dall’ambiente esterno, dopodiché incrociò i suoi occhi, tentando di comunicare tutto il proprio astio. Avvertì un suono crudele, che in quel momento fu capace perfino di sovrastare il temporale. La sua risata. Chissà quanti innocenti erano caduti, raggiungendo la fossa implorando pietà e ricevendo soltanto quell’agghiacciante e crudele risposta. Non volle pensarci.

- Preferivo un pazzo lunatico alle prese con crisi mistiche dovute all’assenza della coda che un sadico- borbottò in un sussurro che venne del tutto coperto dal roboante tuono.

La risata scemò e Vegeta rilassò il braccio ferito, poggiandolo sul materasso; le riservò un’occhiata sbieca. Involontariamente lei stava invece prestando attenzione alla sua colonna vertebrale, percorrendola dall’alto verso il basso con le pupille, fino al coccige, incuriosita da un chiodo fisso che da giorni non le abbandonava la mente.

- Ti ho già chiesto una volta se ci tenessi alla tua vita, donna.- l’ammonì lui, come se leggendole nella mente avesse già capito le sue intenzioni.

“Mi sto guadagnando più minacce io che un potenziale nemico.” Ma quell’insaziabile curiosità che da quanto era bambina era stata uno dei suoi punti di forza e debolezza allo stesso tempo, la spinse a porgli una domanda: - E’ dolorosa, anche se si tratta solo di una cicatrice? Non riesco a spiegarmi la tua…- indugiò – strana reazione.

Seguì il silenzio: un lampo filtrò dalle imposte, perfino la pioggia sembrava essersi placata, battendo lievemente contro il davanzale o gocciolando nelle pozzanghere venutesi a creare nel giardino cosparso di fanghiglia. Probabilmente quel temporale aveva imperversato tutta la notte, creando ruscelli grigiastri sull’asfalto nero come il cielo privo di stelle. L’astro luminescente era coperto dalla moltitudine di nubi, celato in un soffocante abbraccio di nebbia fitta; di tanto in tanto tenui raggi filtravano da esso, rendendo le nuvole simili al fumo dei caminetti. Fu soltanto un breve attimo, prima che la natura gridasse nuovamente.

- Come ti sentiresti se ti staccassero la mano destra?

Bulma si rese conto di aver inconsapevolmente trattenuto il fiato, quindi espirò dalle narici e si riempì nuovamente i polmoni facendosi pervadere dalla sua voce divenuta nuovamente gelida. Come poteva essere la stessa cosa? Formulò. Dopotutto la coda era soltanto un prolungamento della colonna vertebrale; poi osservò i suoi occhi di tenebra, e capì. Si diede della stupida. Ciò che Vegeta voleva dire era “Cosa faresti se qualcuno ti staccasse la mano destra impedendoti di lavorare?” Lei che non poteva stare un giorno senza avvitare, svitare o programmare. Immaginò d’essere privata di ciò che sapeva fare meglio, ciò per cui era nata e cresciuta… Avvilita, non distolse lo sguardo dal volto del saiyan. Erano un popolo guerriero, Goku stesso provava un innaturale piacere nel bel mezzo di uno scontro, ogni qualvolta gli si presentassero nemici più potenti; ma lui era un saiyan soltanto a metà, cresciuto sulla Terra, e non poteva fare alcuna differenza se la coda gli fosse stata amputata; Vegeta era cresciuto invece con la consapevolezza di essere il più forte e temibile mercenario, l’unico della sua specie rimasto in vita, oltre Napa e Radish, e la coda non era soltanto un prolungamento della colonna vertebrale, doveva essere molto di più. Un simbolo. Ciò che lo distingueva quale esponente della razza dei guerrieri più potenti dell’intero Universo. Non solo, giunto sulla Terra, l’esito della battaglia era volto a suo sfavore: con quel gesto, una profonda ferita si era scavata nel suo smisurato orgoglio. Inoltre rammentò che Goku era solito perdere i sensi quando qualcuno gli afferrava quell’appendice ricoperta di peluria scura: le tornò alla mente l’enorme scimmione dagli occhi più rossi del sangue, con cui da adolescente lei, insieme a Yamcha e gli altri avevano avuto a che fare. Doveva essere un punto di forza, ma anche una terribile debolezza. E una parte animale, sopita mai del tutto anche quando era nella sua forma “umana”. Una parte di cui era stato forzatamente privato. Evidentemente le notti di luna piena era questo che percepiva, un disagio estemporaneo… L’istinto che lo chiamava a gran voce senza che lui potesse rispondere.

“Mi sentirei incompleta.”

Poteva essere questo il motivo per cui aveva quei repentini cambiamenti d’umore e poteva essere anche il fatto che un uomo, soprattutto uno come lui, necessitasse di certe cose in una condizione come quella… Dopo mesi e mesi di totale astinenza. Di certo lei non l’aveva aiutato piombando nella sua camera da letto, toccandogli un punto delicato con indosso una scollata e striminzita maglietta. Quanto le sarebbe piaciuto studiarlo e magari riuscire a trovare una soluzione. Per la prima volta non trovò niente con cui potesse ribattere, la paura si era ormai dissipata. Provava una grande tristezza. In fondo non avrebbe mai realmente capito cosa volesse dire. Si limitò a passare una mano tra i capelli fini cominciando a riporre tutto nel kit medico, finché sentì la mascella di Vegeta contrarsi e le ossa scricchiolare.

- Non perdonerò mai Kaaroth per avermi risparmiato, avrebbe dovuto finirmi quel giorno. Le sue sono state continue umiliazioni, perfino su Namecc. Si è permesso di scavarmi una tomba!- sfogò con voce raschiante, la mani contratte. Strinse le palpebre per poi riaprirle e puntarla. - Che diavolo ci fai ancora qui?- era tornato furente e tutto ciò che Bulma fu in grado di fare si ridusse ad annuire mentre si preparava ad abbandonare il “campo di battaglia”.

“Adesso o mai più.”

Maledisse la sua testardaggine e maledisse sé stessa, perché non riusciva ad alzare il dannato posteriore da quel letto. Poggiò quindi una mano tramante sulla sua spalla, ritrovandosela prevedibilmente strattonata.

- Ti avevo avvertita.

- Potrei aiutarti.

- L’unico aiuto che puoi darmi è rendere quella maledetta camera gravitazionale migliore, cosicché io possa fracassare le ossa al tuo amichetto una volta raggiunto lo stadio del super saiyan.

Bulma scosse la testa, osservandolo con determinazione.

- Tranquilla, dopo averti riservato un posto in prima fila mi occuperò anche di te- ultimò con quel suo cinico sarcasmo, ma non avrebbe ottenuto alcun tentennamento.

Chiusa nel suo mutismo e ostinata nella sua determinazione, ebbe il terribile effetto di ritrovarsi nuovamente a sperimentare il soffocamento sotto il poderoso fisico; stavolta non riuscì a restare impassibile, avvertendo le guance andare in fiamme e la pressione sanguigna salire vertiginosamente, ricordando la reazione che il saiyan aveva avuto quella notte, in una situazione simile. Deglutì, pur non ribellandosi. Dopotutto era naturale che un uomo e una donna provassero attrazione fisica reciproca, innaturale era l’uomo in questione e desiderarlo nonostante ciò che minacciava continuamente di fare.

- Forse ti concederò prima di dimostrati quanto davvero tu non sia all’altezza del grande Principe dei Saiyan.- le diede uno spintone, facendola stendere del tutto dato che si reggeva ancora sui gomiti.

Soltanto la consapevolezza che quello fosse l’unico e meschino modo in cui Vegeta avesse deciso di stabilire un possibile contatto, l’avrebbe spinta a ripiegare, se solo quelle mani non avessero già cominciato a strofinare al di sopra dei pantaloncini corti la sua femminilità. Un tocco prepotente e bramoso, al quale stava cedendo con riluttanza e rispondendo con gli stimoli del suo corpo da quando l’aveva spinta sul materasso, mentre la tempesta sembrava imperversarle dentro.

Se avesse provato a urlare, lui avrebbe trovato il modo di farla tacere; poteva auspicare che lo facesse con la propria bocca, ma concretamente sarebbero state le sue mani ad essere premute contro le labbra morbide.

Se avesse tentato di respingerlo o scappare, l’avrebbe sicuramente legata.

Se avesse acconsentito a prendere il suo membro dentro sé, dopo quella notte, il guerriero avrebbe anche potuto non cercarla mai più.

Le sfuggì un gemito strozzato; s’inumidì sotto quelle rudi, a tratti dolorose, carezze impetuose.

Ci avrebbe pensato la bestia con il suo istinto a ghermirla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note finali: Ho lasciato volutamente un finale aperto poiché devo dire la verità… In questo contest mi ha molto limitata il rating che mi è capitato nel pacchetto XD L’argomento coda per me è decisamente da ROSSO –e tematiche forti- difatti avevo già in mente, a storia finita, di scrivere un seguito. Magari una seconda oneshot che chiude il cerchio, o un capitolo extra! Mi farò ispirare anche dai vostri commenti ^^ Spero vi sia piaciuta, grazie in anticipo a tutti coloro che vorranno lasciarmi un parere! Namaste.

   
 
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