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Autore: Sabry93    29/09/2012    4 recensioni
Dal capitolo:
“Lestrade vuole parlare con te, si tratta di tua sorella”
John si mise a sedere sul letto e appoggiò la schiena sulla testiera del letto, emise uno sbuffo e prese il cellulare “Che ha fatto stavolta?” chiese a Greg con tono spazientito.
“John...Harriet ha avuto un grave incidente d’auto..è stata portata in ospedale, è messa molto male...mi dispiace”
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Un Buonsalve a tutti!
Inanzitutto vorrei ringraziare lei, la mia Beta, Aistra *le tira un fiore* Grazie! <3
Poi boh, spero che la storia vi piaccia e che i personaggi non siano troppo OOC.
Se avete consigli per aiutarmi a miliorare siete i benvenuti! :)
Buona lettura!







Brotherly Love



 

Vista sfocata, bocca impastata, cervello e corpo incapace a coordinarsi in maniera ottimale, mente offuscata : ubriaca.
Harriet non sapeva quante volte avesse già provato questa sensazione ma non le importava, anche se tutti i suoi problemi erano in parte causati dall’alcolismo, questo, era l’unico modo che conosceva per svuotare la mente e per allontanarsi dai problemi per un po’.
L’unico modo per dimenticarsi di Clara che l’aveva lasciata, di quella casa che adesso era così grande e vuota e che rivedeva lei in tutto quello che vedeva e toccava, di John che nonostante gli avesse dato il suo vecchio cellulare non si faceva sentire da chissà quanto tempo, di tutto quello che odiava della sua vita.
Aveva provato varie volte a smettere, liberarsi da questo vizio così deleterio per la sua salute e la sua vita ma tutte le volte aveva fallito.
Quando si prova a disintossicarsi i primi giorni sono semplici, con le prime settimane si comincia a sentirne la mancanza, poi arriva l’astinenza  il desiderio di bere si fa sempre più forte, più potente e si insinua nella mente come un tarlo nel legno, sempre più in profondità logorandoti dall’interno. I primi mesi sono i più terribili, senti il bisogno fisico dell’alcool che ti scorre nelle vene ma ti imponi di resistere, vuoi smettere perché sei stanca di tutti gli sguardi accusatori e pietosi di tua moglie, tuo fratello, i tuoi amici; non ne puoi più e vuoi solo che questa tortura finisca il prima possibile.
Dopo i primi tempi il desiderio e il bisogno di bere si affievoliscono e senti di aver vinto, di avere finalmente la tua vita in pugno e soprattutto ti senti libera.
Ti ripeti che questa volta hai smesso per sempre, che non toccherai mai più una goccia d’alcool.. non si può uccidere un’idea quando questa si è insinuata nella mente e si è depositata li, non è vero? Beh, il serpente tentatore ha mille facce e mille modi, uno più subdolo dell’altro, per riuscire a farti cambiare idea e farti cadere in una delle sue trappole.
Così, dopo qualche tempo ci ricadeva sempre e, ogni volta, puntuale come un orologio svizzero, il senso di colpa veniva a farle visita e questo la spingeva solo a bere di più, esattamente come quella sera.
Sapeva che era ubriaca e che non avrebbe dovuto mettersi al volante ma in quel momento voleva solo andare a casa, buttarsi nel suo letto e dormire, possibilmente per sempre, perciò prese le chiavi dalla borsa e dopo essere salita in macchina accese il motore e partì.
Le strade di Londra alle tre di notte erano praticamente deserte, al contrario del giorno che pullulavano di gente, perciò Harry si prese un po’ di libertà e non diede molta importanza alla segnaletica stradale e alla possibilità di incrociare qualche altra vettura negli incroci.
Il segnale di stop era ben visibile ma lei lo ignorò e passò senza nemmeno alzare il piede dall’acceleratore di un centimetro ma proprio in quel momento arrivò una piccola monovolume scura, che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, non ci fu il tempo per frenare e le auto si scontrarono.
Silenzio.
 
 
Al 221B di Baker Street John e Sherlock erano profondamente addormentati nel loro letto.
Entrambi stesi su un fianco, il torace di John a contatto con la schiena di Sherlock e un braccio del soldato era abbandonato sul fianco esile e ossuto del suo compagno.
D’un tratto il cellulare di John cominciò a squillare.
Drin. Drin. Drin.
La mente di Sherlock non era come quella della gente normale, ormai era risaputo, quindi non c’era da stupirsi che se fino a due secondi prima era profondamente addormentato ora era sveglio, lucido, pimpante e avrebbe saputo articolare una delle sue brillanti deduzioni senza alcun tipo di problema, al contrario di John che tutto ciò che uscivano da lui erano vari grugniti e il corpo del soldato che cercava una posizione più comoda per continuare a dormire.
Il detective allungò il braccio verso il comodino e prese il cellulare di John.
Chiamata in arrivo: Greg.
“Perché Lestrade sta chiamando te e non me?”
“Che ne so, rispondi e basta” disse John tirandosi le coperte fin sopra le orecchie e seppellendo il viso nel cuscino morbido.
“Pronto? Lestrade hai un caso per me?” chiede Sherlock dopo aver risposto.
Ciao Sherlock, no non ho nessun caso. Puoi passarmi John?” rispose Greg con voce triste.
A Sherlock il tono di voce dell’ispettore non passò inosservato “Che è successo?”
Greg fece un respiro profondo “Si tratta di sua sorella, ha avuto un incidente”
Senza rispondere Sherlock si voltò a guardare il suo compagno che ne frattempo si era addormentato di nuovo, gli posò una mano sulla spalla e lo scosse leggermente accompagnando il movimento con ripetuti “John! John svegliati!”
“Che c’è?” disse il dottore con la voce impastata dal sonno e gli occhi ancora mezzi chiusi.
“Lestrade vuole parlare con te, si tratta di tua sorella”
John si mise a sedere sul letto e appoggiò la schiena sulla testiera del letto, emise uno sbuffo e prese il cellulare “Che ha fatto stavolta?” chiese a Greg con tono spazientito.
“John...Harriet ha avuto un grave incidente d’auto..è stata portata in ospedale, è messa molto male...mi dispiace”
Il povero dottore s’impietrì. Abbandonò la testa contro il muro freddo e con ancora il cellulare a mezz’aria chiuse gli occhi.
Sentì la rabbia montargli dentro e gli occhi iniziare a pizzicare ma da buon soldato li strinse forte e ricacciò indietro le lacrime.
Sherlock, che aveva assistito a tutta la scena, non sapeva cosa fare per essergli d’aiuto così gli prese la mano e la intrecciò con la sua, un timido gesto che diceva ‘Ehi! io sono qui, andrà tutto bene’
John quando sentì il calore della mano del suo compagno la strinse forte e il suo cervello si riavviò.
Aprì gli occhi e li volse al moro a cui poi diede un piccolo sorriso che venne subito ricambiato, sostenne il suo sguardo e in quelle iridi trasparenti vide qualcosa di raro, che appariva solo nei loro momenti d’intimità e si scambiavano promesse d’amore perdendosi l’uno negli occhi dell’altro; vide quell’enorme sentimento che li ha legati sin dal primo momento che si sono incontrati, sin da quel “Afghanistan o Iraq” che lasciò John senza parole e il detective con un sorrisetto soddisfatto.
“Devo andare in ospedale..vieni con me?” chiese John con voce malferma e stringendo istintivamente di più la sua mano.
Non era una semplice richiesta era un’implicita supplica che gridava a Sherlock ‘Ti prego non lasciarmi solo proprio adesso, ho bisogno di te’ e che il buon detective, con la sua mente brillante, recepì all’istante e rispose “Certo” dando maggiore significato a quella singola parola con un assenso del capo.
Spostarono le coperte, si alzarono e cominciarono a vestirsi. Sherlock con uno dei suoi soliti completi e quella camicia viola che faceva impazzire il dottore, mentre John con un paio di jeans scuri e il suo maglione color crema.
Si misero cappotto e sciarpa e uscirono in strada con la speranza di trovare un taxi.
Dopo un paio di minuti videro arrivare uno dei tipici cabs londinesi e dopo essere saliti diedero l’indirizzo all’autista.
John appoggiò la testa contro il finestrino perso nei suoi pensieri verso la sorella mentre Sherlock restò immobile a osservare e dedurre il più possibile sul conducente e sui suoi passeggeri precedenti.
Arrivati all’ospedale John si precipitò dentro, seguito a ruota da Sherlock, trovò Sarah e chiese tutto trafelato “Come sta mia sorella?”
“È in sala operatoria, da quello che ho potuto vedere ha subito un forte trauma cranico e diverse fratture ma non escluderei anche un’emorragia interna data la potenza dell’urto”
“Va bene..grazie” disse John con appena un filo di voce.
Andò nella sala d’aspetto, la tipica stanza d’ospedale con le pareti bianche e quelle orribili e scomodissime sedie in plastica, si sedette e dopo aver appoggiato i gomiti alle ginocchia nascose il viso tra le mani.
Sentì Sherlock sedersi accanto a lui ma per un paio di minuti non alzò il capo, aveva bisogno di un po’ di tempo per riordinare le idee e cercare di pensare razionalmente.
La rabbia iniziale che aveva provato quando Lestrade lo aveva informato dell’accaduto era scomparsa, era rimasta solo la preoccupazione e l’ansia che lo attanagliavano in ogni secondo. Nonostante tutto: il suo alcolismo e le  sue scelte di vita a volte sbagliate, restava sempre la sua cara sorellina.
Fece un lungo respiro cercando di calmarsi e raddrizzò la schiena tornando alla realtà, per quanto orribile fosse quella situazione non poteva sfuggirle per sempre, un bravo soldato affronta il pericolo a testa alta e così voleva fare John.
 
Un’ora dopo.
Nessun dottore era emerso dalla sala operatoria, segno che l’operazione non era ancora terminata e l’ansia non ne voleva sapere di abbandonare John, anzi, aumentava ogni minuto di più.
Il buon dottore appoggiò il capo sulla spalla di Sherlock, volse lo sguardo verso la porta della sala operatoria e poi tornò a guardare Sherlock negli occhi, quei suoi occhi meravigliosi che all’inizio lo mettevano a disagio ma che ora lo facevano sentire bene, come a casa; ormai non poteva vivere senza perdersi in quelle iridi almeno una volta al giorno.
Non poteva vivere senza la sua voce, così bassa e sensuale capace di ferire, con le sue deduzioni a volte irritanti ma anche capace di guarire, con le parole che riservava solo a John in rari momenti; senza le sue labbra, così perfettamente disegnate e così dolci da baciare; senza la sua mente geniale capace di leggerti dentro come se fossi il più facile dei libri..non poteva vivere senza Sherlock.
Alzò la testa quel tanto che bastava per raggiungere le sue labbra e depositarvi sopra un leggero bacio per poi tornare a posizionarsi sulla sua spalla.
“E questo per cos’era?” chiese Sherlock con un mezzo sorriso.
John scrollò le spalle e distolse lo sguardo da quello del detective.
“John..non insultare la mia intelligenza. Hai guardato la sala operatoria, hai guardato me e poi mi hai baciato, a cos’hai pensato?”
Il dottore chiuse per un attimo gli occhi e fece un profondo respiro prima di iniziare “Con la vita che facciamo ci cacciamo spesso nei guai, anzi, TI cacci spesso nei guai e..ho provato a chiedermi come mi sentirei se al posto suo ci fossi tu..”
“E che risposta ti sei dato?”
“Preferirei morire” rispose senza pensarci un attimo e guardandolo serio negli occhi.
Sherlock passò il braccio sulle spalle di John e lo attirò di più a sé facendogli appoggiare la testa al suo petto “Non mi succederà niente..e poi c’è il mio soldato che mi protegge!” e gli posò un bacio tra i capelli biondi.
John strofinò il naso sulla stoffa della giacca del detective e si riempì i polmoni del suo profumo, quasi a darsi coraggio.
 
Dopo un paio di minuti apparve un medico dalla sala operatoria.
John scattò in piedi come se avesse una molla e si precipitò ad ascoltare le parole del dottore sull’esito dell’operazione.
“Allora, come sta?”
“Sarò sincero con lei..non posso ancora dire che sia fuori pericolo. Quando è arrivata aveva subito un forte trauma cranico, presentava diverse fratture e un’emorragia interna. Ha perso molto sangue e durante l’operazione è andata in arresto cardiaco ma siamo riusciti a portarla indietro e a fermare l’emorragia. Le abbiamo subito fatto una trasfusione ma non sappiamo ancora se abbia riportato danni a causa sia dell’arresto che del trauma cranico..lo sapremo quando si sveglierà”
“Posso vederla?”
“Si ma non resti troppo” detto questo il medico si congedò e lasciò John in mezzo al corridoio che ripeteva nella sua mente tutte le parole che gli erano appena state dette e cercava di dar loro un senso logico.
Venne raggiunto da Sherlock che gli si fermò di fianco e restò ad osservarlo, immobile.
A John, però, sembrava gli fosse crollato il mondo addosso, la sua sorellina rischiava di morire e lui non poteva fare niente per aiutarla, si sentiva impotente, lui, che in Afghanistan era conosciuto da tutti per il suo talento di medico, oltre che per il suo coraggio di soldato.
Si avviò lentamente verso la stanza 351 del reparto di terapia intensiva dell’ospedale, non voleva trovarsi in quel maledetto posto, voleva essere ovunque ma non lì; non voleva pensare che tra pochi minuti avrebbe visto Harriet in un letto d’ospedale attaccata a delle macchine.
Arrivò davanti alla porta della stanza, Sherlock sempre accanto a lui pronto a dargli conforto e sostegno con qualche gesto, il detective però era ignaro del fatto che glieli stava dando in ogni secondo solo con la sua presenza fisica accanto a lui.
Alzò la mano e la posò sulla maniglia fredda, fece un ultimo respiro profondo e l’abbasso aprendo la porta lentamente.
Entrò nella stanza e lo scenario che apparve agli occhi del dottore lo lasciarono senza fiato, Harriet era stesa sul letto con la coperta che le arrivava al petto, le braccia lungo i fianchi, sul dorso della mano sinistra era attaccato la flebo e altri macchinari erano posizionati vicino al letto, tra questi quello per il monitoraggio del battito cardiaco e dei diversi parametri vitali.
 John si avvicinò piano al letto e la vide: capelli rossi lunghi e lisci che le cadevano lungo le spalle, le labbra carnose erano chiuse e avevano perso il loro tipico colore rosa, erano pallide, gli occhi azzurri erano nascosti dalle palpebre chiuse, inoltre aveva qualche livido e qualche piccolo taglio qua e là.
L’immagine che aveva davanti agli occhi cozzava incredibilmente con i ricordi nella sua mente: sempre allegra e vivace, testarda come un mulo, tenace e forte ma anche tanto dolce e premurosa.
Anche se non erano mai andati d’accordo le voleva un bene dell’anima e aveva un milione di ricordi meravigliosi di momenti passati con Harriet.
John cominciò a stare male, il cuore che batteva forte, la testa gli iniziò a girare e si sentì soffocare come se quelle quattro mura si restringessero sempre di più fino a schiacciarlo.
Non ce la faceva più, così uscì dalla stanza e si appoggiò al muro bianco con la schiena per un paio di secondi, il tempo necessario perché il cuore e il respiro tornassero alla normalità.
Quando Sherlock fu di nuovo accanto a lui gli disse “Ci vediamo a casa, ho bisogno di fare una passeggiata”
“Vengo con te?”
“No, voglio stare un po’ da solo”
Sherlock annuì.
Dopo che entrambi furono usciti dall’ospedale si separarono, uno diretto verso casa, l’altro senza una meta ben precisa.
Sherlock non capiva perché John volesse stare da solo, non capiva i sentimenti che stava provando, era nuovo per questo genere di cose, non era il suo campo, l’unica cosa che poteva vedere era una luce diversa negli occhi di John, sembrava uguale a quella che aveva quando lo incontrò per la prima volta, sapeva di abbandono, di rinuncia, di impotenza; questo lo fece preoccupare molto perciò decise di chiedere a chi ne sapeva più di lui.
Per quanto odiasse contattare Lui, per John avrebbe fatto di tutto, anche salvargli la vita mettendo a rischio la propria.
Estrasse il suo Blackberry e digitò velocemente un messaggio:
 
Ho bisogno di te. Vieni a Baker Street il prima possibile. SH
 
La risposta non tardò ad arrivare:
 
Quanto sei disperato per chiedere aiuto proprio a me? A cosa devo questo piacere? MH
 
Non credere che mi piaccia abbassarmi a tali livelli ma riguarda John. SH
 
Capisco, sarò li tra poco. MH
 
Quando Mycroft arrivò al 221B Sherlock era tornato a casa già da una decina di minuti ed ora si trovava seduto sulla sua poltrona preferita con il suo amato violino tra le mani intento a pizzicare distrattamente le corde mentre con la mente si trovava nel suo personalissimo Mind Palace a rimuginare su vari problemi. La sua mente era troppo sviluppata per concentrarsi su un unico problema, a meno che non fosse un caso di livello uguale o superiore a 8, in quel momento stava lavorando ad alcuni dilemmi di chimica, fisica e il più importante e aggrovigliato ovvero John.
Il maggiore degli Holmes salì tranquillamente i diciassette scalini che portavano all’appartamento del fratello e del dottore, quando arrivò in cima alle scale trovò la porta socchiusa, quindi con la punta del suo fedele ombrello l’aprì ed entrò in quell’appartamento dove regnava l’assoluto silenzio, fatta eccezione per le melodiose note che fuoriuscivano dallo strumento musicale posto nelle abili mani di Sherlock che anche se immerso nei suoi pensieri riusciva a creare un dolce susseguirsi di note.
Mycroft appoggiò l’ombrello vicino alla porta e con passo tranquillo andò a sedersi sulla poltrona di fronte a quella del fratello minore, quella che di solito era riservata a John.
Passarono qualche minuto così, in silenzio, guardandosi occhi negli occhi, fu il maggiore che ruppe il silenzio.
“Allora, in che guai si è cacciato il dottor Watson?”
Sherlock smise immediatamente di pizzicare le corde e distolse lo sguardo da quello penetrante del maggiore “Non so come comportarmi con lui”
Mycroft aggrottò le sopracciglia “Che vuoi dire? Pensavo che le cose tra voi andassero bene”abbassò il tono di voce “visti gli spettacolini che hanno registrato le mie telecamere”
Sherlock fece una smorfia e sbuffò “La sorella è stata coinvolta in un grave incidente d’auto, adesso è in ospedale che rischia di morire e John..se n’è andato”
Mycroft prese un profondo respiro cercando di pensare alle parole da usare affinché il fratello potesse quanto meno immaginare cosa John stesse provando in quel momento.
“Sherlock, a volte le persone ‘normali’ fanno queste cose per non mostrare il loro lato più sensibile alle persone che amano. John era un soldato: coraggioso, leale e dal sangue freddo ma adesso il soldato è stato messo da parte per lasciar trasparire la paura di perdere sua sorella, il senso di colpa per non averla saputa proteggere..e conoscendo il buon dottore non vuole che tu lo veda debole e pensi che sia un noioso e normale essere umano come tutti gli altri e decida di lasciarlo”
Sherlock rimase in silenzio dopo che il fratello ebbe concluso il suo discorso, milioni di pensieri gli affollarono la mente e tra questi il fatto che non avrebbe mai potuto lasciare John e soprattutto non lo avrebbe mai, MAI, ritenuto solo un normale e noioso ex soldato.
Lo amava.
Non gliel’aveva mai detto, forse perché non sapeva cosa significasse realmente quella parola visto che non aveva mai provato quel sentimento per nessuno.
Amore.Il dizionario diceva: affetto intenso, assiduo, fortemente radicato per qualcuno; sentimento, affetto che comporta anche attrazione sessuale.
Sherlock provava tutto questo e molto di più quindi, secondo logica,  doveva amarlo.
John invece glielo aveva detto:
 
erano a letto, dopo aver fatto l’amore. Sherlock non era mai stato tipo da coccole ma John era l’eccezione a tutto: non aveva mai abbastanza di quel corpo tonico, delle sue mani un po’ ruvide capaci di dare la vita come di toglierla, dei suoi occhi azzurri che rispecchiavano la sua anima e le sue labbra sottili.
John gli prese il viso tra le mani accarezzando con i pollici gli zigomi affilati e incatenando i suoi occhi a quelli del detective e glielo disse: tre parole, otto lettere capaci di far fermare il cuore di Sherlock per un solo attimo e farlo ripartire pompando a mille.
Non aveva risposto, aveva solo fatto incontrare le sue labbra a cuore con quelle sottili del suo compagno in un bacio capace di dire tutto quello che non sarebbe mai riuscito a dire a parole.
 
Si riscosse dai suoi pensieri e quella stanza da letto era sparita, c’erano solo lui e Mycroft.
“Cosa devo fare per farlo tornare?” chiese Sherlock titubante.
“Penso che lo farà da solo, devi solo avere un po’ di pazienza. Ho piena fiducia in John Watson”
Mycroft si alzò e si sistemò la giacca del completo che indossava “Bene, se questo è tutto me ne vado, ho importanti incarichi da svolgere” si avviò verso la porta e recuperò l’ombrello con cui era arrivato, poi, come se si fosse ricordato di qualcosa di vitale importanza si voltò di scatto e puntò la punta dell’ombrello verso Sherlock “Ah, quasi dimenticavo..mi devi un favore fratellino! È stato un piacere” disse con un mezzo sorriso e non lasciando tempo al detective di ribattere, il maggiore degli Holmes varcò la soglia e se ne andò.
 
John passò il giorno tra le strade di Londra e al parco, seduto su una panchina, la stessa panchina di un paio d’anni prima, quella con cui si sedette con Mike e che fu l’inizio di tutto.
Doveva tutto a quel vecchio amico del Bart’s, doveva tutto anche a Sherlock che lo aveva fatto sentire vivo dopo molto tempo, forse come non si era mai sentito in vita sua.
Bip.
Il cellulare di John gli segnalò che gli era arrivato un sms ma si forzò di non fare quel gesto ormai automatico: non mise la mano nella tasca del giubbotto per estrarlo e leggere il contenuto del messaggio, aveva voglia di rimanere solo e non avere contatti con nessuno,per quanto gli facesse male, neanche con Sherlock.
Bip.
Altro suono, altro sms, a cui John non rispose, continuò a godersi del sole che ormai si accingeva a tramontare e di quella brezza che gli accarezzava la pelle del viso scompigliandogli un po’ i capelli fini.
Bip.
Sapeva che Sherlock non avrebbe smesso di tartassarlo di messaggi finché non avrebbe risposto perciò si mise il cuore in pace e con uno sbuffo tirò fuori il cellulare dalla tasca.
 
John, dove sei? SH
 
John, torna a casa SH
 
John, sai quanto odio essere ignorato, soprattutto da te. Rispondi! SH
 
In quel momento udì un altro Bip, altro sms da parte di Sherlock:
John, ti devo venire a cercare per tutta Londra? Sai che potrei farlo SH
 
L’ultimo messaggio fece scappare un sorriso a John, era bello quando Sherlock si preoccupava per lui, anche se quel detective testardo non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce.
Sherlock, tranquillo, sto bene! Sarò a casa tra un po’. JW
Con uno sbuffo rimise il cellulare in tasca, rimase seduto per un altro paio di minuti a dare un’ultima occhiata al sole che piano piano stava scomparendo dietro gli alberi del parco.
Prima che potesse alzarsi il cellulare cominciò a squillare, John alzò gli occhi al cielo e pensando che quando ci si metteva, Sherlock, era veramente opprimente.
Senza guardare il display del telefonino, John rispose:
“Sherlock, ti ho detto che torno pres-Sarah?! Che è successo? Harry sta bene?” disse John con tono preoccupato.
“John, Harriet si è svegliata e chiede di te” John poteva sentire le labbra di Sarah tirate in un sorriso sincero.
“Arrivo subito!” disse John alzandosi di scatto e andando verso la strada per cercare di fermare un taxi.
Mentre era nel taxi scrisse un messaggio a Sherlock, non voleva farlo preoccupare più di quanto non fosse già:
Sto andando in ospedale, Harry si è svegliata. Torno presto. JW
Arrivato in ospedale si precipitò verso la terapia intensiva e più nello specifico nella stanza 351, la stanza di Harriet.
Quando entrò nella stanza vide la sua sorellina girare la testa verso la porta e puntare gli occhi su di lui, quei splendidi occhi azzurri che per un attimo aveva creduto di non rivedere mai più.
Mentre si avvicinava al letto sul quale era sdraiata la sorella le diede un caldo sorriso che Harry ricambiò immediatamente.
John le prese la mano e con l’altra andò ad accarezzarle la guancia “Ciao” le disse con dolcezza.
“Ciao” disse Harriet con voce roca.
“Come stai?”
“Come se avessi fatto un incidente” rispose Harry con una lieve risata.
“Mi hai fatto preoccupare, non farlo mai più!” disse John seriamente.
“Mi dispiace..adesso comunque sono fuori pericolo”
“Meno male” disse tirando un sospiro di sollievo.
Rimasero a parlare per un po’, del più e del meno ma anche argomenti importanti come il suo alcolismo e Harriet promise che questa volta avrebbe smesso sul serio.
John le aveva creduto altre volte, rimanendo ogni volta profondamente deluso dalla promessa infranta.
Forse questa volta ce l’avrebbe fatta sul serio, forse essere arrivata sul punto di morte avrebbe significato qualcosa e avrebbe mantenuto la promessa, questa volta John voleva crederle sul serio, sapeva che ce la poteva fare e lui l’avrebbe aiutata, se ne avesse avuto bisogno.
Era ormai tarda sera quando John diede un bacio sulla guancia di sua sorella e uscì dalla stanza diretto a casa.

Quando tornò a casa trovò Sherlock seduto sul divano intento a leggere un libro che aveva l’aria essere molto vecchio.
“Ciao Sherlock”
L’altro non alzò nemmeno gli occhi dal libro e lo ignorò.
John sbuffò e andò a sedersi vicino a lui “Cosa leggi?” chiese cercando di sbirciare le parole scritte sulle pagine ingiallite del libro in mano al detective.
Sherlock continuò a ignorarlo e a far finta di leggere.
John non ricevendo risposta nemmeno questa volta chiese preoccupato “Sherlock, va tutto bene?”
Il detective chiuse il libro con un tonfo e lo lanciò sul tavolino da caffè di fronte al divano, si alzò in piedi e mentre camminava attraverso il salotto diretto alla camera da letto disse in tono sarcastico “Certo John, va tutto benissimo”
John rimase nel salotto da solo e con un’espressione stupita sul volto.
Lo seguì in camera da letto, la loro camera, e quando entrò lo trovò sdraiato su un fianco in posizione fetale.
Il dottore si sdraiò nella sua parte di letto e puntò lo sguardo sulla schiena del detective “Sherlock, che c’è che non va?”
Non udendo alcuna risposta mise passò una mano sul braccio di Sherlock un paio di volte e con tono più dolce riprovò “Dai Sherlock, parlami..o almeno guardami”
Sherlock non si girò ma cominciò a parlare “Te ne sei andato”
John capì. Sapeva che sotto quella corazza di spocchia e superiorità si nascondeva un uomo fragile e molto sensibile perciò si avvicinò di più a lui e gli cinse la vita con un braccio “Mi dispiace” gli posò un lieve bacio sulla nuca, tra quei riccioli neri che odoravano di shampoo e che tanto adorava toccare “Quando ho saputo di Harry mi sono sentito malissimo, nonostante non siamo mai andati d’accordo è mia sorella e le voglio un bene dell’anima. Non volevo metterti da parte o andarmene, ho sbagliato. Puoi perdonarmi?”
Il detective rimase immobile per un paio di secondi poi si girò verso John stando attento che il braccio del dottore restasse sul suo fianco.
Lo guardò serio negli occhi, ancora indeciso sul da farsi, ma lo sguardo da cucciolo bastonato che aveva in quel momento John non gli diede altra scelta “Va bene”
John portò la mano sulla guancia del detective e con un sorriso dolce gli sussurrò sulle labbra “Grazie” prima di baciarlo lentamente.
Sherlock dopo il bacio tornò immediatamente serio e pensieroso tant’è che John chiese nuovamente cos’avesse.
Il detective incateno i suoi occhi grigi con quelli azzurri del medico e disse “Devo dirti una cosa. So che non te l’ho mai detto ma questo non vuol dire che non fosse vero..sai come sono e cosa penso sull’esporre i propri sentimenti” facendo una smorfia alla parola Sentimenti.
John, che fino a quel momento aveva avuto un’espressione di confusione dalle parole pronunciate da Sherlock, adesso tutto fu chiaro e gli posò l’indice su quelle labbra a cuore per zittirlo.
“Non devi dirmelo se non vuoi, io so già quello che provi per me..lo vedo” gli disse con un sorriso
“Da cosa?”
“Dai tuoi occhi, hanno la stessa luminosità di quando indaghi su un bell’omicidio intricato..ma anche dai tuoi gesti: i baci e le carezze quando facciamo l’amore..sono tanti i segnali che mi fanno capire cosa provi realmente quindi non sentirti in obbligo di dirlo solo per quello che è successo oggi”
Sherlock prese il viso di John tra le mani e posò la fronte sulla sua, i nasi che si sfioravano e le labbra quasi a contatto “John Hamish Watson, ti amo”
John sorrise, non aveva mai sentito parole più belle “Sherlock Holmes, ti amo anch’io” e finalmente quelle labbra si incontrarono.
Rimasero tutta la sera a parlare, baciarsi, farsi tenere carezze finché il sonno non prese il sopravvento e si addormentarono l’uno nelle braccia dell’altro.



 

  
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