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Autore: Nefelibata    29/09/2012    7 recensioni
'In lontananza scorsi il mare e per l'ultima volta provai l'impulso di scappare, ancora, di fare un'inversione a U e tornare nel mio modesto appartamento di New York, sorseggiando caffè e sfogliando il giornale, ignorando la sezione dedicata alla cronaca.'
Pairing: Larry
Note: Fisher!Louis
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcun scopo di lucro, non intendo dare rappresentazioni veritiere dei caratteri di queste persone, ne offenderli in alcun modo. Sfortunatamente nessuno dei personaggi mi appartiene.
*
Scritta in collaborazione con _larrysmoments
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The only exception.
Capitolo 1

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HARRY (Nefelibata)

                                                                                                                                                                                                                                            Sometimes when I close my eyes
I pretend I'm alright
But it's never enough
Cause my echo, echo
Is the only voice coming back

[Jason Walker - Echo]

A volte penso che la vita sia come una scalata in montagna.
C'è chi è avvantaggiato, ha tutta l'attrezzatura di qualità, la più costosa, e c'è chi si arrangia con ciò che può permettersi, una corda abbastanza robusta e qualche gancio.
C'è chi, nella sua strada, incontra pareti frastagliate, piene di insenature e c'è chi trova pareti lisce, e deve metterci il doppio del tempo e della fatica.
C'è chi è fiducioso, crede in quello che fa, sa che, seppur con fatica, raggiungerà la vetta e si godrà il vento fresco e il panorama da cartolina; c'è chi deve fermarsi un attimo a riflettere, a chiedersi se ce la farà, se la vista varrà la fatica, e finisce per abbandonarsi alla paura, finisce per arrendersi e accontentarsi dell'aria fresca che si insinua nella pelle e invade i polmoni.
Ma, soprattutto, c'è chi condivide il proprio cammino, chi ha una persona che sa che ci sarà, sa che verrà aiutato nelle difficoltà, come c'è chi, per quanto urli, per quanto fiato metta in corpo, l'unica voce che sentirà tornare indietro è il proprio eco.
E, in ogni caso, io rientravo nella seconda categoria.
Questo pensavo mentre spingevo sull'acceleratore, controllando al tempo stesso che ci fosse ancora abbastanza benzina, il paesaggio di fianco a me che passava da un fitto bosco ad una vasta prateria.
Se avessi potuto avrei continuato per la mia scalata, passo per passo, roccia per roccia; ma dovevo fermarmi un attimo, controllare che l'attrezzatura fosse a posto, guardare di sotto, magari, pensare a quanta strada avevo fatto e a quanta rimaneva da farne.
Mia madre era malata.
Quella consapevolezza mi si insinuò nel petto e raggiunse l'organo che lo occupava, provocandomi la pelle d'oca.
Avevo sempre visto mia madre triste, piena di rimpianti, stracolma di ricordi e vuota di fede, ma non mi ero accorto della sua profonda depressione.
I sensi di colpa che avevo messo a tacere la notte scorsa si risvegliarono catturandomi nella loro trappola.
Me n'ero andato, l'avevo lasciata sola, quando ero l'unica cosa di cui necessitava, l'unica cosa rimastogli.
Avevo ignorato le sue lacrime dicendomi che sarebbe andata avanti, sarebbe sopravvissuta, avevo evitato di chiamarla per non sentire la sua voce incrinata che, sapevo, mi avrebbe fatto cambiare idea.
Avevo deciso di vivere la mia vita lontano da lei, lontano da quel mare che si era portato via il mio unico punto di riferimento, lontano da quelle stelle che ogni notte illuminavano la mia stanza dalla finestra impedendomi il sonno, lontano da quella casa che aveva conosciuto la mia infanzia e i miei sorrisi e non faceva altro che sbattermi addosso ricordi, lontano da quel posto che avevo deciso di odiare.
Mi ero trasferito a New York, dove i grattacieli mi impedivano di vedere l'oceano, dove la luce artificiale impediva alle stelle di fare capolino, dove non avevo una storia.
Ma, in quel momento come non mai, me ne pentii.
Mia madre, il mio unico punto fermo, la mia unica famiglia, aveva rischiato di morire.
E io dovevo rimediare al suo dolore, dovevo starle vicino, accudirla, asciugarle le lacrime.
Dovevo abbandonare il mio percorso, aiutarla nella sua scalata.
Con questa consapevolezza spinsi più forte il piede sul pedale, macinando chilometri, lasciandomi alle spalle l'abbraccio rassicurante di New York per buttarmi in quello che era stato il mio incubo.
Lanciandomi nel vuoto e abbandonando la mia vetta, il mio obiettivo.
In lontananza scorsi il mare e per l'ultima volta provai l'impulso di scappare, ancora, di fare un'inversione a U e tornare nel mio modesto appartamento di New York, sorseggiando caffè e sfogliando il giornale, ignorando la sezione dedicata alla cronaca.
Provai paura per l'ultima volta, prima di abbassare i finestrini, permettendo all'aria colma di salsedine di penetrarmi nella pelle e abbandonando ogni pensiero.
Quell'aria mi era famigliare.
Quell'aria che mi aveva accompagnato per buona parte dell'adolescenza, quell'aria che avevo abbandonato e dimenticato sostituendola con lo smog, mi stava dicendo “Bentornato, Harry”.
Già, bentornato.

 


 

Era una giornata come tutte le altre, lentamente il sole cominciava a perdere il suo splendore scomparendo dietro innumerevoli nuvole che man mano lo inghiottirono.
Ormai ci ero abituato. Dopo una vita spesa a vivere a Londra mi faceva addirittura piacere avere la sensazione che di li a poco delicate gocce di pioggia sarebbero cadute dal cielo; mi faceva sentire a casa.
Non ho mai particolarmente amato la città; girovagare liberamente a bordo della mia barca era il modo migliore per impiegare le mie giornate.
Aiutato dal lento e silenzioso movimento delle onde che dolcemente mi cullava, riuscii a raggiungere più in fretta il porto. Preso nel guardare il da farsi attorno a me, legai stretta la barca all’unico gancio rimasto libero mente mi avvicinai alla passerella in legno, bagnata in parte dal via vai della gente.
Afferrai i remi bianchi perfettamente in tinta con il sedile posizionato al centro della barca; adoravo la sensazione del legno così liscio sulle mie mani nude. Li abbandonai sul fondo e con un movimento deciso uscii da lì dentro, tornando alla triste realtà della mia vita. 
Mentre la luna iniziava la sua scalata verso il punto più alto del cielo, iniziai a dirigermi verso casa, era abbastanza distante da dove mi trovavo in quel momento, così spesso mi divertivo contando i passi appena compiuti, giusto per impedire alla mia mente di affollarsi di inutili pensieri e preoccupazioni: la vita andava semplicemente vissuta.
Attraversata la città, il traffico sembrava farsi sempre più denso, e non appena ebbi imboccato la strada giusta, rallentai il passo, impegnandoci il doppio del tempo, propenso a tardare quanto più fosse stato possibile.
<< ehy Stan! >> salutai il mio migliore amico mentre camminava dall’latra parte della strada a testa bassa.
<< ciao Boo. >> rispose sfottendomi; alzò la mano in segno di saluto, dopo di ché gli sorrisi prima di svoltare l’angolo della vita. Sapeva che odiavo essere chiamato così. Io e Stan siamo amici da una vita, è come un fratello per me; abbiamo condiviso fin troppi momenti insieme, ma delle volte è come se se ne dimenticasse.
<< sono a casa! >> urlai sbattendo la porta alle mie spalle. 
Nessuna risposta al mio saluto, come al solito. 
Presi dalla dispensa un bicchiere in vetro blu, ci versai quell’acqua e corsi su per le scale diretto nella mia camera. 
Buttai via le mie scarpe, odiavo doverle indossare, di tanto in tanto camminare scalzo per strada non mi dispiaceva affatto. Aprii l’anta del mio armadio tirando fuori la mia coperta in pile preferita, mi sedetti sul letto bevendo l’ultimo sorso d’acqua rimasto, poi stanco della mattinata appena trascorsa mi lasciai andare sul materasso scricchiolante, accendendo la televisione ad uno di quei stupidi programmi che guardi quando non hai voglia di pensare a niente.
Sentivo il rumore della pioggia infrangersi sul vetro della finestra, con lo sguardo seguii per una manciata di minuti le piccole goccioline fare a gara verso il basso, rincorrendosi fra loro.
D’un tratto la porta della mia camera di spalancò di colpo. << dove sei stato? >> sentii una voce espandersi per tutta la stanza.
<< prova ad indovinarlo, mamma. >> dissi con un pizzico di ironia nella mia voce, mentre facevo zapping alla tv.
<< Louis sono seria, è da ieri sera che non ti vedo rientrare, dove sei stato? >> 
Abbassai lo sguardo, scorticando con le unghie i tasti del telecomando. Sapevo che odiava venire a conoscenza della verità, ero certo che questa volta non l’avrebbe accettato.
<< sei stato di nuovo al porto, vero? >> capì lei quasi indignata dal mio gridato silenzio. << rispondimi Louis, perché mi fai questo? >> disse ancora. << quando capirai che, non è ciò di cui hai bisogno, che non è questa la vita adatta a te? >> gridò con la voce rotta dalle lacrime. 
<< e tu cosa ne sai? Come fai ad esserne così sicura dal momento che, non hai neanche mai provato a conoscermi, a capirmi. >> mi alzai dal letto di scatto. << sei sempre troppo presa da te stessa mamma, per qualunque cosa, come fai a dire che non è ciò che voglio fare? >> 
<< non è quello che io e tuo padre abbiamo progettato per te Louis! >> 
<< proprio non capisci che non puoi obbligarmi. >> le mani mi tremavano, non riuscivo più a controllarmi. << mi dispiace, mi dispiace che non sono il figlio che vorresti mamma. Non lo sono e mai lo sarò! Dovrai accettarlo prima o poi. >>
Sentivo le lacrime intrappolate nei miei occhi, al contrario delle sue, che venivano giù incapaci di fermarsi. Una dolorosa fitta al cuore mi colpì nel vederla in quello stato, ma per una volta tanto nella mia vita dovevo decidere a modo mio.
Infilai le scarpe e presi la giacca che avevo abbandonato ad un angolo del letto.
<< ed adesso dove vai? >> domandò sorpresa.
<< il più possibile lontano da qui, scusami. >> aprii la porta ed uscì di casa certo della mia direzione.
Mentre la pioggia mi abbracciava, il luccichio degli occhi venne coperto da un ciuffo di capelli bagnati che mi ricadevano sul volto. Cosa avrei voluto fare della mia vita? Avevo una sola e unica risposta ad una domanda tanto grande. Non potevo fare a meno di pensare alla mia vita come uno di quei stupidi cubi colorati. Le mie giornate sono paragonabili ad ogni singola mossa falsa verso il completamente di quei colori. Per quanto possa sforzarmi, sapevo per certo che mai sarei riuscito a rendere i miei genitori fieri di ciò che volevo essere.
Il mondo colmo di sole scelte, giudizi e rimpianti è troppo pesante da sopportare.
Sono come un bambino che non vuole lasciarsi andare, che preferisce rimanere nella spensieratezza che la gioventù offre, piuttosto che guardare avanti il futuro; riesco persino ad ammettere la paura nel vedermi qualcuno un giorno, nel spingermi verso nuovi orizzonti che non ho intenzione di provare.
Una brezza umida e fredda, spazzava via la sabbia colmando le buche solcate dai miei piedi; aveva appena smesso di piovere, ed in lontananza una figura avvolta in una pesante giaccia, correva verso la sabbia deserta lanciando in mare piccoli sassi. La foschia si addensava sul mare confondendo la linea dell’orizzonte.
Ricordo di tutte le volte che da bambino andavo in barca con mio nonno; mi raccontava storielle ed annedoti degni di un appassionato di storia quale era, aggiungendoci un tocco personale in più, direi oggi riflettendoci. Non nutrivo un particolare interesse per l’argomento, ma la sua voce sembrava cullarmi insieme alle onde del mare.
Quel ricordo mi fece capire ancora una volta quanto fossi portato per quella vita.

*

Okay, allora, ci son molte, troppe cose da dire (?)
Ci abbiamo messo un po' ma alla fine ce l'abbiamo fatta, visto ?
Avevo in mente questa long da molto tempo (chi segue le mie os lo sa) e appena ho letto una os di Sharon (così si chiama) ho capito che era quella che serviva per il punto di vista di Lou.
Io ho scelto Harry perchè da quello che ho capito del suo carattere rispecchia molto il mio, e perciò mi sarei potuta immedesimare meglio nel personaggio.
Sharon ha scelto Louis perchè non aveva altra scelta (LOL)
Questa fan fiction mi è venuta in mente guardando un film del Giffoni (in caso ve lo stiate chiedendo si, quest'estate ho passato i pomeriggi guardando i giffoni), non rivelerò il titolo ma chi l'ha visto capirà sicuramente, soprattutto dalla situazione della madre di Harry.
Abbiamo deciso (in realtà ho deciso io, ma Sharon era d'accordo LOL) di ispirarci, per ogni punto di vista, a delle canzoni che sceglieremo man mano. La prima è echo di Jason Walker. Il titolo invece è preso da The only exception dei Paramore. Ho scelto questo titolo perchè ritrovo molto di questa fan fiction in quella canzone, ve ne accorgerete più in là (?) soprattutto per il punto di vista di Harry.
Se ci lasciate una recensione, anche molto piccola, ve ne siamo grate.
Vorrei postarvi gli account di Twitter, ma siccome non ricordo nemmeno quello di Sharon (sono un caso perso, I know) li posto nel prossimo capitolo.
Grazie a tutti i lettori.
Alla prossima !
Nicole

  
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