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Autore: Trick    30/09/2012    12 recensioni
"Il cuore le batteva impaziente nel petto, aveva il fiato corto per la corsa sfrenata e per tutta quella follia che agitava la sua testa. E poi lo vide, immobile davanti alla porta dello studio con la sua stessa espressione sconcertata e persa – Archibald Hopper, psichiatra – e le parve di non poter più respirare. Archie, il castello che crollava, i suoi ridicoli occhiali, un grillo stretto fra le mani, il tremendo desiderio che potesse essere un uomo, solo per una volta, solo per un istante...".
|Ruby/Archie - Red Riding Hood/Jiminy Cricket|
Questa si è aggiudicata il premio "Miglior trama" al contest "La notte degli Oscar" indetto da Rowena e Lely1441.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Archibald Hopper/Grillo Parlante, Ruby/Cappuccetto Rosso
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Erano tipo secoli che volevo scrivere questa storia. Ruby/Archie è decisamente la mia coppia preferita dopo Belle/Rumpelstiltskin (ovviamente, no? Qui soffriamo tutti la Rumbelle) e sono veramente demoralizzata all'idea che posso scordarmi di vederla realizzarsi veramente nella seconda stagione. Siamo sinceri, gente: non succederà, me ne devo fare una ragione.
Ho deciso di utilizzare i nomi originali per un solo motivo: Jiminy Cricket fa più figo di Grillo Parlante – che Collodi mi perdoni. C'è solo un punto in cui ho scelto di usare la traduzione italiana, ma solo perché non mi piaceva il modo in cui i nomi inglesi suonavano nel discorso in italiano. Non sarà coerente, ma l'altro modo mi faceva schifo.
E no, non potevo non infilare un pizzico di tragica Rumbelle. Proprio no.




*
A SakiJune, con la speranza di convertirla definitivamente a questa splendida ship.


Ho letto una favola mai scritta
Il nostro lieto fine è sempre un poco più vicino

Era una giornata meravigliosa.
Il sole si specchiava nelle acque cristalline del lago in mille piccoli puntini di luce, mentre una brezza leggera soffiava dalle verdi montagne del nord portando con sé il confortante aroma della primavera ormai alle porte. Davvero il tempo non avrebbe potuto essere più mite e clemente. Non pioveva dacché Snow e il suo intrepido Charming avevano sconfitto per sempre la terribile Regina e nuovi orizzonti felici si erano aperti negli animi degli abitanti del regno delle fiabe.
Nonostante il clima temperato, tuttavia, Red Riding Hood soffriva l'arrivo della stagione calda e resisteva stoica all'istinto di strapparsi di dosso la pesante stoffa della mantellina che era costretta a indossare. Si era diretta verso le ampie stanze dai ricchi balconi che si affacciavano sul lago alla ricerca di un posto più fresco, strattonando stizzita i laccetti del fastidioso cappuccio. E il piccolo Pinocchio, con quel buffo berretto calato sui riccioli, aveva iniziato a trotterellarle dietro non appena i suoi occhietti furbi si erano posati sulla giovane.
Al castello di Snow e Charming non c'erano altri bambini con i quali avrebbe potuto intrattenersi – non ancora, perlomeno – ma Pinocchio aveva trovato nel carattere spensierato e giovanile di Red un valida compagna di giochi.
«Quella marionetta ti adora per forza di cose!» la scherniva spesso nonna Lucas. «Sei peggio di una bambina».
Red rispondeva sempre con una pernacchia e partiva all'arrembaggio insieme al ragazzino, stuzzicando la sua fervida immaginazione con storie sempre nuove e prendendo parte a tutte le sue avventure infantili. Si divertiva di cuore, e Pinocchio era davvero un bambino adorabile, ma si ritrovava spesso a fantasticare fra sé su quanto sarebbe stato bello poter vivere reali avventure, lontano dal castello e dal controllo quasi despotico di nonna Lucas. Nutriva per lei un affetto davvero profondo ed era tristemente a conoscenza dei rischi che avrebbe corso nel vagabondare da sola per le terre sconosciute del regno, ma c'era qualcosa in lei che continuava a reclamare tutta quell'indipendenza che fin da bambina le era stata negata.
Voleva viaggiare, voleva esplorare mondi nuovi, voleva essere libera.
«Red?» la richiamò la voce argentina di Pinocchio, seduto a gambe incrociate sul balcone e con le piccole manine strette attorno a due carte da gioco. «Tocca a te».
«Già» rispose lei con un largo sorriso. Poi arricciò il naso in una buffa espressione concentrata che strappò al bambino una piccola risatina. «Vediamo un po'... dove sarà il Troll?».
Pescò una delle carte ed emise un verso scoraggiato.
«Quella che ho scelto io, naturalmente...» borbottò sconsolata, scuotendo appena il capo.
Pinocchio rise ancora, afferrò lestamente l'altra carta di Red e saltò in piedi con un grido trionfante, mostrando entusiasta la carta con il principe.
«Ho vinto! Ho vinto!» strillò euforico. «Ho vinto io, Red!».
«Io dico che hai barato e hai detto una bugia» gli puntò l'indice lei, sogghignando divertita. «E adesso me la paghi».
Prima che Pinocchio potesse cercare di fuggire, Red gli era già balzata alle spalle, serrandolo in una stretta bonaria e scompigliandogli i capelli.
«No, no!» rise lui. «Lasciami andare! Io non dico le bugie!».
«Ah, ma davvero? Dovrai provarmelo, giovanotto: devi superare... la prova del solletico!».
«No, non il solletico!».
«Eh-ehm».
Red si bloccò di colpo e sollevò il viso verso la grossa porta di quercia del salone. Pure Pinocchio rimase con il visino arrossato immobile, ma il suo sorriso si allargò in fretta nel riconoscere il microscopico profilo di Jiminy Cricket a pochi centimetri dal lampadario di cristallo.
«Jiminy!» strillò eccitato, liberandosi dalla stretta di Red e fiondandosi a recuperare il berretto abbandonato sul pavimento.
L'insetto si sfilò l'elegante cappello nero e si chinò in un lieve inchino aggraziato.
«Buongiorno, Red Riding Hood» la salutò educato. «Pinocchio, tuo padre ti sta cercando in ogni angolo del castello ormai da ore. Quando ti sposti, dovresti avvisarlo per evitargli inutili preoccupazioni».
Il bambino abbassò mortificato il capo e si mordicchiò il labbro inferiore.
«Scusa...».
«Va' da lui in fretta, forza».
Pinocchio iniziò a correre verso la porta, ma Jiminy lo fermò con un fischio acuto e gli indicò Red con un cenno eloquente.
«Oh!» esclamò il bambino. «Grazie, Red. Mi sono divertito molto. Spero di non averti disturbato» recitò compito.
«Non preoccuparti, anch'io mi sono divertita molto» rispose lei, strizzandogli un occhiolino che fu presto ricambiato. «È colpa mia, Jiminy» aggiunse non appena Pinocchio se ne fu andato, lisciandosi le pieghe del vestito. «Sono stata io a proporgli di giocare a carte».
Jiminy svolazzò fino alla balaustra di marmo e ridacchiò piano.
«Non devi scusarti. Pinocchio parla di te con tono raggiante».
«È un bambino molto buono».
«E vorrei ben vedere».
Red rivolse al piccolo animaletto un sorriso comprensivo e appoggiò i gomiti accanto lui. Il suo sguardo iniziò a vagare oltre le distese dei boschi che si perdevano fino ai piedi delle montagne. Un fresco alito di vento le sferzò appena il viso e i suoi capelli scuri librarono per qualche istante. La giovane chiuse gli occhi. L'espressione del suo volto si era fatta tutto d'un tratto grave e niente di tanto ovvio sarebbe mai potuto sfuggire alle antenne di Jiminy.
«Cosa ti turba?».
«Come?».
Jiminy inclinò appena la testa.
«C'è qualcosa che ti turba» ripeté pacato. «E forse sbaglio, ma ho come l'impressione che qualunque cosa sia faccia parte di questo castello».
Red emise un vago sospiro rassegnato. Jiminy aveva ragione. Qualunque sorta di maledizione la stesse tenendo prigioniera aveva trovato il suo massimo aguzzino fra quelle mura di pietra, beffardamente celato dietro la maschera del lieto fine che tanto avevano agognato. Quel luogo di gioia e vittoria, quel nuovo mondo in cui la crudeltà della Regina si era ormai dissolta, non era diventato nient'altro che una nuova gabbia. Non aveva idea se il suo lieto fine avesse potuto nascondersi da quale parte là fuori, ma di certo non lo avrebbe trovato lì dentro.
«Hai mai avuto la sensazione di non essere del tutto libero? Di non vivere la vita che avresti desiderato vivere... di perdere un pezzo del mondo mentre il tempo trascorre e tu resti immobile ad aspettare, aspettare, aspettare... e magari non sai nemmeno cosa, ma tu aspetti lo stesso».
«Oh, sì...» rispose Jiminy dopo qualche istante di pesante silenzio. C'era una nota stranamente triste nella sua voce pacata. «Per tanti anni».
«Sogni mai di non essere un grillo?».
«No, questo non l'ho mai fatto, né credo che lo farò un giorno. Ad essere sinceri, la mia vera vita è iniziata quando ho abbandonato la mia forma umana e certo non me ne pento: è così che ho potuto trovare la mia vera natura».
Le scure sopracciglia di Red erano aggrottate. La giovane si abbassò e avvicinò il viso al piccolo insetto con aria inquisitoria.
«Tu sei stato umano?».
«Certo che sì» esclamò stupito lui, facendo un saltello indietro e incrociando le braccia. «Non ne eri al corrente?».
Lei scosse il capo con le labbra dischiuse e d'un tratto le antenne di Jiminy si piegarono tristemente verso il basso come due verdi girasoli al tramonto del sole.
«In un tempo assai lontano e di cui tuttora serbo vergogna» raccontò in un pigolio la creatura, sfregando nervoso le zampette anteriori, «non ero un brav'uomo. Ero arrendevole, bugiardo e disonesto».
«Tu?».
«Io» annuì flebile Jiminy. «Ho commesso molti errori e fatto cose sbagliate di cui non cesserò mai di pentirmi, così... ho deciso di cambiare, in ogni possibile sfumatura del termine».
Red storse la bocca in una smorfia indagatrice.
«E non ti sei mai pentito di questo?» chiese, colpendogli appena la punta del cappello e facendolo barcollare un poco. «Sei così piccolo, adesso. Non hai paura che qualcuno ti schiacci?».
«Tutt'al più rischio di finire dentro un orologio a cucù di tanto in tanto».
Lei scoppiò in un'allegra risatina e Jiminy alzò la testa orgoglioso. Avvertiva una grande soddisfazione nel sentir ridere la gente, nel vedere i loro visi aprirsi a nuove luci piene di speranza e aspettativa. Si sentiva utile, in qualche modo – un po' meno colpevole giorno dopo giorno. E la risata di Red aveva il sapore della giovinezza che non aveva mai vissuto realmente, dell'allegria, dell'imprudenza e di prati e boschi perduti all'orizzonte. Rideva come ridevano i cardellini, sfrontati e liberi fra i rami delle grandi querce e le sue gote si tingevano di un buffo rossore.
Era una bella ragazza, Red, con le mani sporche di sangue e gli occhi ansiosi di conoscere il mondo. Jiminy avrebbe tanto voluto poterle augurare un futuro ricco di serene giornate, ma per lei, con quell'ombra maledetta a seguito, non c'era lieto fine.
Non avrebbe mai potuto essere davvero libera.

*

Per quanto la gente tendesse a trattarla come una sprovveduta, Ruby era perfettamente in grado di gestire le situazioni fastidiose. Lavorava da Granny's praticamente da sempre e di certo non si sarebbe fatta scoraggiare da un idiota che aveva esagerato con i drink. Con il dottor Whale, tuttavia, era diverso. C'era qualcosa di davvero maligno nel modo in cui la fissava e qualunque cosa fosse andava ben oltre l'occhiata d'apprezzamento che era solita sentirsi rivolgere. Sembrava volesse divorarla.
«Non capisco perché volevi andare a Boston» riprese a parlare il medico, con la voce un po' impastata e gli occhietti arrossati. «Che pensavi mai di trovarci?».
"Hai mai avuto la sensazione di non essere del tutto libero?".
«Non sono affari che la riguardino, dottore» lo liquidò con secca rapidità Ruby, scostando un ciuffo di capelli con un soffio stizzito e avviandosi a grandi passi verso l'entrata del locale. Posò una mano sulla maniglia e spalancò la porta con aria decisa. «E ora, fuori. È già mezzanotte, Granny's è ufficialmente chiuso».
Le labbra del dottor Whale si storsero in un sorriso beffardo. Ruotò sull'alto sgabello davanti al bancone e appoggiò il capo al palmo della mano, scrutandola divertito.
«Andiamo, Ruby, non fare la bambina» la schernì bonario. Poi sollevò il bicchiere e ne vuotò il contenuto in un paio di lunghe sorsate. «Tu non hai il coprifuoco».
«Le ho dato fin troppo da bere, per stasera» lo rimbrottò acida, incrociando le braccia al petto. «Fossi in lei, andrei a letto. Non vorrei che domani mattina cavasse un occhio a qualcuno brandendo lo stetoscopio in preda ai postumi».
Fu piuttosto soddisfatta nel vederlo alzarsi in piedi e afferrare la propria giacca. Avanzò barcollando verso di lei, con il naso in alto e un'espressione sfrontata negli occhi. Ruby si umettò le labbra e fece un lungo sospiro, pregando fra sé che se ne stesse realmente andando. Oh, Granny's a volte era un posto così snervante!
Il dottor Whale si fermò davanti a lei e lasciò scivolare la mano sinistra contro lo stipite fin quando non fu alla stessa altezza del volto innervosito di Ruby. Lei arricciò le sopracciglia sottili e dilatò le narici con furia crescente.
«Fuori».
«È solo mezzanotte, Ruby, noi--».
«È già mezzanotte».
«Non sei Cenerentola».
Lei emise un versetto sarcastico.
«È proprio per questo che non mi preoccuperei di prenderla a calci. Non ho scarpette di cristallo da rovinare, io».
Il lampo perverso che attraversò gli occhi del medico la fece tremare. Era già pronta a colpirlo, a fargli male, a fare qualunque diavolo di cosa le fosse venuta in mente, fosse anche lanciargli addosso i sandwich avanzati. Poi dalla strada risuonò una voce allarmata.
«Dottor Whale!».
L'uomo sollevò la faccia e socchiuse le palpebre per scrutare verso le luci dei lampioni; Ruby sfruttò l'occasione per scivolare al di sotto del suo braccio teso e mollargli una poderosa spinta alla spalle che lo fece caracollare sul marciapiede. Alzò il viso a sua volta e regalò un sorriso grato al dottor Hopper. Parve non accorgersene, tuttavia, poiché alla vista di Ruby Pongo aveva iniziato a saltellare estasiato, strattonando il guinzaglio del padrone.
«Ruby, potresti...?» le domandò con eloquenza, indicando con un cenno del capo il cane.
La giovane scoppiò in una leggera risata e si inginocchiò davanti al frenetico dalmata.
«Hai fame, non è vero, cucciolone?» disse, mentre iniziava a grattargli divertita la zona dietro le orecchie. «Ma dico, il tuo padrone non ti dà da mangiare?».
«Dev'essere il mio giorno f-fortunato» esordì spossato Hopper, afferrando il dottor Whale per il braccio destro e aiutandolo a raddrizzarsi. «È da stamane che la cerco. Temo di doverle chiedere un paio di ore del suo tempo, dottore, circa un paziente che sto cercando di aiutare. Mi chiedevo--».
«Un paio... d'ore?» sbottò incredulo il dottor Whale, passandosi una mano fra i capelli e fissando con un che di nauseato l'alto profilo di Hopper. «Ore?».
«Oh, sì, si tratta di una questione assai lunga e riservata. Dunque, dal momento che ho avuto la fortuna di incontrarla, cosa ne dice se--».
«Adesso?».
Hopper si sistemò gli occhiali sul naso e fissò stupito l'altro uomo.
«Beh, sì. Pare che lei non sia rintracciabile che di notte, d'altronde».
«No» sentenziò secco, mostrando l'indice. «No, adesso no. Sono... stanco. Perciò, se vuole scusarmi, le consiglio di continuare il suo giretto. Può chiamare l'ospedale domattina e chiedere un appuntamento. Sono sicuro che--» si interruppe di colpo e abbassò gli occhi verso la gamba destra. Ruby non riuscì a trattenersi oltre r scoppiò a ridere: incurante del prezzo del completo del dottore, Pongo sembrava aver scelto l'albero sul cui liberare la propria vescica. «Ma che--!?» esclamò indignato. «Dannato animale!».
«Santo cielo, sono costernato!» si scusò rapidamente Hopper, celando a stento un sorriso decisamente inopportuno. «Pongo! Cosa ti è saltato in testa? Mi dispiace, dottor Whale, non aveva mai fatto niente del genere, non--».
«Oh, ma vada al diavolo!» sbottò, scrutando nauseato la chiazza scura che si era allargata sopra l'orlo inferiore dei proprio pantaloni. «Lei e il suo cane, andatevene al diavolo!».
Girò sui tacchi e si incamminò lungo la strada con passo stizzito. Ruby e Hopper lo sentirono imprecare malignamente sui cani e gli analisti fin quando non ebbe girato l'angolo. Rimasero in silenzio per qualche istante, poi scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.
«Bravo, Pongo!» disse Ruby, carezzando con vigore la testa del cane. «Un colpo da veri intenditori!».
«Oh, su questo puoi esserne certa. È un gran intenditore di alberi e stoccafissi».
Ruby rise ancora di più nel sentirlo usare una parola come "stoccafisso". Archie aveva un'aura da antico gentiluomo tutta sua: alto, dritto come un fuso e con quei ridicoli occhialini, sputava sempre fuori i termini più passati. Lei avrebbe apostrofato il dottor Whale con qualcosa di più simile a "coglione".
«Stai bene?» s'informò subito dopo con genuina preoccupazione.
«Ci sono abituata, ma sono contenta che tu sia arrivato. Pongo è stato molto diplomatico, io stavo per prenderlo a calci. Posso offrirti qualcosa da bere?».
«No, Ruby, ti ringrazio. È molto tardi e tu sarai stanca».
«Nemmeno un po'» lo corresse con un sorriso. «Avanti, Archie, lasciati ringraziare senza fare storie... perlomeno, lasciami ringraziare Pongo: si è meritato un bel pezzo di bacon».

*

«Jiminy, ho caldo...» sbuffò tediata Red, sprofondando il capo fra le mani. «Caldo, caldo, caldo».
Il piccolo insetto interruppe i suoi tentativi di smuovere l'alfiere e sollevò la testa verso di lei. Se avesse potuto ancora vantare le sue fattezze umane, sarebbe stato probabilmente madido di sudore.
«La stagione fredda giungerà presto, non temere» tentò di confortarla. «Possiamo interrompere la nostra partita, se preferisci».
«No, ti prego, terminiamola» lo pregò sinceramente. «Non che manchi ancora tanto, mi batti tutte le volte. Questo gioco è troppo difficile per me».
Jiminy ridacchiò appena.
«Non lo è. Sei un ragazza intelligente» disse, riprendendo a spingere l'alfiere bianco con evidente fatica.
La giovane sollevò al suo posto il pezzo di legno e se lo rigirò fra le mani.
«Dove lo sposto?».
«Ti ringrazio. Potresti gentilmente appoggiarlo in E8?».
«Perché in E8?».
«Perché in questo modo sarai costretta a sacrificare uno dei tuoi pezzi più importanti» spiegò paziente Jiminy, iniziando a zampettare alacremente sulla scacchiera bianca e nera. «Vedi? Da qui, il mio alfiere tiene sotto scacco il tuo re e ogni casella libera nella quale potresti spostarlo è controllata dai miei pezzi. Puoi solo scegliere chi frapporre fra lui e la mia regina: il tuo ultimo alfiere o il tuo ultimo cavallo».
Red arricciò pensierosa il naso.
«Giusto per sapere... hai già vinto, vero?».
Jiminy si grattò la sommità del capo e intrecciò fra loro le antenne.
«Può darsi...» sibilò divertito.
«Oh, accidenti a te» sbuffò la giovane, lasciandosi scivolare contro il tronco dell'albero che si ergeva imperioso al centro dei giardini del castello di Snowhite. «Me la fai sempre».
«La vita non è altro che una lunga serie di esperienze» ribatté Jiminy, librandosi in volo e appollaiandosi sul suo ginocchio sinistro. «Da quando ti ho insegnato a giocare a scacchi, hai fatto notevoli miglioramenti».
«Come no» si prese in giro lei. «Ho smesso di confondere la torre con l'alfiere».
Calò il pesante cappuccio rosso dal capo. I raggi del sole che si insinuavano attraverso le foglie dell'albero brillavano fra i suoi capelli scuri. Jiminy la vide socchiudere pacatamente le palpebre e appoggiare il capo al tronco rugoso. Rimasero immobili per diversi secondi, poi l'insetto sfilò dal capo il cappellino e iniziò a rigirarselo nervosamente fra le mani.
«Mi dispiace, Red».
La giovane sorrise senza aprire gli occhi.
«Lo so» sospirò affranta. «A te dispiace sempre per un sacco di cose».
«Sono convinto che un giorno avrai la libertà che meriti» riprese con più impeto lui. «Sei una persona onesta e dal cuore nobile che ha avuto la sventura di essere tormentata da una maledizione terribile, ma esiste sempre una soluzione, anche se talvolta non ci è chiara. Devi avere fiducia nel futuro, Red: presto la troverai».
Ma lei scosse la testa con estrema rassegnazione.
«Non c'è nessuno in grado di rompere la mia maledizione. E anche se fosse... non potrei mai cavarmela da sola».
Jiminy si concesse diversi istanti di riflessione. Quando parlò, la sua vocina acuta parve tentennare dall'imbarazzo.
«Sei una ragazza dotata di rare virtù, Red. Soltanto uno stolto rimarrebbe cieco davanti a quanto di meraviglioso puoi offrire. Non dovresti sottovalutarti».
La giovane lo guardò piena di affettuosa gratitudine, ma l'ombra sul suo viso lasciava bene a intendere che non avesse creduto alle parole del grillo. Tuttavia sorrise apertamente, stuzzicandolo appena con la punta dell'indice e ridacchiando con aria innocente.
«Sei davvero un gentiluomo, Jiminy».

*

Pongo sembrava apprezzare la fetta di bacon che Ruby aveva appoggiato su un cartoccio unticcio di carta fra le sue zampe. La stava mordicchiando avidamente, leccandosi felice il muso, e Archie e la giovane si erano fermati a osservarlo.
«Non sarebbe bello» disse Ruby con voce distante, «se bastasse un pezzo di bacon per renderci felici?».
Archie la fissò a lungo e fece un vago sorriso.
«Il mondo sarebbe un posto pieno di gente grassa e felice».
Lei strinse per un attimo le labbra per poi scoppiare in una frizzante e leggera risatina. Archie rise con lei, scuotendo scioccamente il capo.
«Forse non sarebbe poi così bello... dovrei cambiare tutti i miei jeans».
«E io sarei disoccupato».
Red rise più apertamente. Archie era un soggetto piuttosto atipico all'interno del piccolo e monotono universo di Storybrooke. Era un uomo sostanzialmente tranquillo che misurava con solerzia ed educazione ogni parola, scrupoloso nelle proprie scelte e con la particolare abilità di far parlare la gente. Era un ottimo ascoltatore – lo era dacché tutti avevano memoria – e forse il motivo del buon rapporto che correva fra lui e Ruby era da ricercarsi proprio lì: lei era una gran chiacchierona, dopotutto. A Ruby non era mai dispiaciuto scambiare qualche frase con lui da Granny's. Archie sembrava sempre disporre delle cose giuste da dire e del tempo per dirle, al contrario di lei, eppure talvolta sembrava il più bisognoso di attenzioni. Non si poteva dire fosse dotato di particolare avvenenza, con quei capelli rossi e quell'aria da primo della classe, ma c'era qualcosa di rassicurante nel modo calmo con cui gesticolava. Anche quando non diceva nulla di importante, la sua voce pacata era calamitante.
«C'è una cosa che vorrei chiederti, Ruby» disse, abbassando il capo e sistemando nervoso gli occhiali, «ma non vorrei suonare inappropriatamente ficcanaso».
Confusa, Ruby si accomodò meglio sulla poltroncina davanti al tavolo che stavano occupando e inclinò la testa.
«Cosa?».
Lui le rivolse un'occhiata eloquente.
«Sei ancora intenzionata ad andare a Boston?».
«La nonna ha bisogno di me» rispose con franchezza. «Sono stata egoista a pensare di andarmene per così tanto tempo... non è vero?».
Archie si rigirò fra le mani il bicchiere di soda.
«Cercavi solo il tuo spazio nel mondo. È quello che facciamo tutti».
«No, non era quello che cercavo. Io volevo...» s'interruppe con uno sbuffo e mosse a mezz'aria la mano. «Non lo so, Archie. Forse volevo scappare e basta. Storybrooke è così noiosa, a volte...».
Lui inarcò dubbioso un sopracciglio.
«D'accordo, lo era prima dell'arrivo di Emma» si corresse Ruby, facendo le spallucce. «Ma hai capito quello che volevo dire, no? Era tutto uguale, non c'era mai niente di nuovo... e stare rinchiusa qui dentro tutto il giorno era così frustrante! Andrei a farmi un giro da qualche parte, se solo Ashley non mi avesse distrutto la macchina. Beh, qualcuno direbbe che perlomeno non ci ha partorito dentro. Non che sia arrabbiata con lei, naturalmente... che razza di persona potrebbe mai arrabbiarsi per una cosa del genere? Qualcuno come Gold, magari, lui sì... mi sono venuti i brividi quando ho saputo cos'ha fatto al povero Maurice. Ma lui è stronzo, dai, lo sappiamo tutti. Sapevi che voleva portarsi via la bambina? Ma dico, si può essere più stronzi?» si bloccò improvvisamente, accorgendosi solo in quell'istante di aver parlato a raffica. «Oh. Scusa, Archie... a volte la lingua mi parte da sola».
Lui era rimasto ad ascoltarla con un sorriso gentile dipinto sulle labbra e il viso appoggiato al palmo della mano.
«Sei in gran forma» le disse con affetto.
«Come?».
«Qualunque cosa tu abbia vissuto con Emma ti ha cambiato molto. È incredibile vedere la velocità con la quale sembri essere cresciuta».
Ruby si umettò imbarazzata le labbra. Avvertiva un fastidioso rossore sulle gote.
«Oh... grazie».
«Non ti avevo mai sentito parlare così tanto degli altri. Hai sempre parlato molto di te».
Lei distolse lo sguardo e si attorcigliò una ciocca di capelli attorno all'indice.
«È solo... mi ha fatto capire molte cose di me che non credevo... di possedere, ecco. Vedo le cose da un'altra prospettiva, adesso».
«Quale prospettiva?».
«Non devo sottovalutarmi» sorrise grintosa. «Posso offrire davvero molto... e soltanto uno scemo non se ne accorgerebbe».

*

Non aveva la più pallida idea di dove avesse trovato il coraggio di scendere nei sotterranei nel castello a quell'ora della notte. Insinuarsi fra le gambe delle guardie reali e scivolare nell'oscurità della prigione trascinandosi appresso quella tazzina era stato piuttosto difficile, tuttavia era la voce petulante nella sua testa il peggiore nemico: lo costringeva a fermarsi in continuazione, a domandarsi ancora e ancora cosa stesse facendo. Cosa gli era saltato in testa? Era impazzito, senz'ombra di dubbio, e aveva perso la capacità di frenarsi dinanzi a sciocchezze imprudenti come quella. E lo stava facendo solo per lei, per quel sorriso innocente e per i suoi occhi tristi, così giovane, brillante, incastrata in una situazione fin troppo più grossa di lei.
All'inizio aveva creduto che il proprio animo altruista si sentisse in dovere di starle accanto, di porgerle parole di conforto ad ogni luna piena; poi aveva capito di nutrire un affetto sincero per Red e la loro amicizia era diventata di giorno in giorno più intima e confidenziale; le aveva insegnato a giocare a scacchi – e alla fine, lei era riuscita a metterlo in scacco matto. Quando lei aveva distrutto l'ultimo ostacolo che ancora divideva la loro amicizia da qualunque altra cosa era già troppo tardi.
"Se tu non fossi un grillo, probabilmente mi sarei già innamorata di te."
Lui non aveva saputo come replicare. Per la prima volta dopo decenni, Jiminy Cricket era rimasto a corto di parole giuste. E ora era del tutto uscito di senno, perché solo un pazzo si sarebbe arrischiato a fare ciò che stava facendo lui. Cosa sarebbe accaduto se Snow lo avesse scoperto? Come avrebbe potuto scusare la sua scelleratezza – proprio lui, che aveva fatto della coscienza un'arte.
Le luci delle torce ballavano sulle umide pareti di pietra e la sua ombra svolazzante che traballava a causa del peso della tazzina era piuttosto inquietante. Non si udiva altro rumore che il frenetico ronzio delle ali di Jiminy.
«Ce l'hai, grillo?» si levò ansiosa la voce minacciosa di Rumpelstiltskin.
«S-sì...» gracchiò a fatica, aggrappandosi con difficoltà alle sbarre della prigione del demone.
Fu questione di un lampo: prima ancora che potesse rendersene conto, gli artigli di Rumpelstiltskin si erano serrati attorno al piccolo manico di porcellana. Jiminy venne sbalzato via dall'urto e capitolò sul freddo e sporco pavimento della cella. Nell'oscurità di un angolo, Rumpelstiltskin si rigirava fra le mani la tazzina come se ne dipendesse la sua intera esistenza. Il piccolo grillo rimase a fissarlo per quale minuto, cercando di capire per quale assurdo motivo il più potente demone del reame avesse nutrito così ferocemente il desiderio di un oggetto talmente comune. Era forse una tazza maledetta? Rumpelstiltskin gli aveva giurato il contrario, ma quanto poteva fidarsi di lui? Già una volta aveva dato ascolto alle sue menzogne, e forse quella volta avrebbe dovuto essergli sufficiente. O forse no.
«Avevamo un patto...» gli ricordò debolmente.
«Sì, i patti erano questi, non è vero?» sibilò mellifluo Rumpelstiltskin. I suoi occhiacci gialli scrutavano furtivi Jiminy. «Ed io che credevo ti fossi abituato a vivere fra i tuoi simili».
«Sii un uomo d'onore» lo redarguì severamente, librandosi fino all'altezza del suo volto grottesco. «Rispetta il nostro patto».
«Io onoro sempre i miei patti!» esclamò stizzito. «Dunque, ecco cosa ti dirò: mangia un petalo delle rose».
«Rose? Quali rose?».
«Le mie rose, razza di sciocco insetto. Le rose dei miei giardini. Un petalo, non di più e non di meno, e avrai un'ora di tempo da poter trascorrere con i pantaloni. E bada di non rovinarle o ti schiaccerò sotto la suola dei miei stivali come un... beh, come un grillo».
Jiminy cercò il suo sguardo un'ultima volta, ma Rumpelstiltskin era già svanito nel buio.
«Quella tazza è un ricordo, vero?» domandò nel vuoto.
La sola risposta che ottenne fu l'eco di un singhiozzo soffocato dalla polvere.

*

«Ruby, santo cielo!» urlò a gran voce, sperando di farsi udire al di sopra del frastuono della forte pioggia. «Che ci fai fuori con questo tempo da lupi?».
La giovane sollevò la borsa con cui stava cercando di coprirsi la testa e si fiondò sotto l'ombrello di Archie. La giacca rossa era fradicia e il mascara le era colato attorno agli occhi.
«Potrei chiederti la stessa cosa».
«Io ho appena accompagnato Henry a casa» spiegò frettolosamente Archie, stringendola al fianco per evitare che si bagnasse ulteriormente. «Perché non hai aspettato da Granny's che questo acquazzone terminasse?».
«Non pioveva quando sono uscita!» si lamentò lei. «Non sono mica scema. Porca miseria, erano anni che non vedevo tutta quest'acqua!».
Cercarono rifugio sotto la tettoia della farmacia, ma sembrava davvero di essere nel bel mezzo di un diluvio. I tombini rigettavano l'acqua e le grondaie sopra le loro teste cigolavano minacciose. Erano gli unici due idioti a non essere al riparo in casa.
«Dannazione» brontolò Ruby. «Dovrò correre come una scheggia per arrivare a casa».
«Non dire sciocchezze» ribatté deciso Archie, infilando una mano nella tasca del cappotto ed estraendo un modesto mazzo di chiavi. «Nel migliore dei casi ti beccheresti una polmonite».
«E nel peggiore?».
«Verresti rapita dagli alieni» scherzò, mentre apriva il catenaccio della porta accanto al negozio e la faceva entrare per prima.
«Sarebbe divertente. Credi che abbiano un phon?».
«Non saprei, ma spero ti accontenterai del mio».
Ruby non aveva mai visitato l'appartamento di Archie, e non fu affatto stupita di ritrovarsi circondata da una singolare distesa di vecchi mobili. L'arredamento era disposto in modo pratico ed efficiente, ma ogni cassettiera e credenza possedeva qualcosa di particolare. Intarsi strani, decorazioni floreali, buffi intagli di legno... c'era qualcosa di fiabesco perfino nel piccolo divano verde. Poi c'erano pile di libri ovunque, e quella forse era l'unica nota disordinata della casa. Grossi tomi dalle copertine rigide sporgevano da ogni parte, riempivano le mensole e ce ne erano perfino accatastati dietro alla porta.
Pongo sonnecchiava beato sul tappeto davanti al piccolo televisore – un'evidente patina di polvere ne ricopriva lo schermo nero. Sollevò il muso verso di loro e scattò sulle zampe come una molla in direzione di Ruby.
«Oh, cielo, Pongo!» cercò di fermarlo Archie, trattenendolo per il collare. «Stai calmo».
Ruby si era già chinata per coccolare il grosso dalmata.
«Niente bacon, questa volta. Mi dispiace».
Nel frattempo, Archie si era sfilato il cappotto e lo aveva appeso all'attaccapanni accanto all'ingresso.
«Il bagno è da quella parte, Ruby. Seconda porta a destra» le disse con un sorriso. «Gradisci una tazza di tè? Caffè?».
«Cioccolata?».
Lui sembrò trattenere una risatina.
«Cioccolata».
Il resto della casa di Archie era esattamente come il salotto: pratica e ordinata, ma con pile di libri in ogni posto. L'unica stanza dove sembrava non ce ne fossero era il piccolo bagno dalla mattonelle blu. Aveva un aspetto davvero molto lindo.
Ruby accese la luce della specchiera e trattenne a stento un'imprecazione scurrile. Da quanto tempo aveva il mascara sparso su tutta la faccia? Aveva i capelli fradici appiccicati alla fronte e un aspetto pietoso. Aprì il rubinetto e si sciacquò con decisione il viso, cercando di levare ogni residuo di trucco. Si stava giusto guardando intorno alla ricerca di un asciugamano, quando la voce di Archie arrivò dall'altra parte della porta.
«Ti ho appoggiato un asciugamano pulito sul treppiedi qui fuori» disse. «E... ecco, nel caso volessi toglierti quei vestiti fradici, c'è anche una tuta da ginnastica. Puoi appendere i tuoi nella doccia, per il momento».
«Non voglio disturbare troppo, Archie».
«E io non voglio che tua nonna mi tiri le orecchie per averti lasciata morire congelata».
Ruby rise. Si levò la maglietta e i jeans e represse un brivido; quando infilò la gamba destra all'interno dei pantaloni grigi della tuta, fece un sospiro di meraviglia. Sfregare la pelle infreddolita contro il tessuto caldo e felpato generava una sensazione splendida. Si guardò un'ultima volta allo specchio prima di uscire e fece un'espressione dubbiosa: la tuta era gigantesca e le calzava come una tenda bagnata, i capelli erano scompigliati e il viso era privo di colore.
Quanto fu tornata nel salotto, Pongo si era nuovamente appisolato sul tappeto e Archie aveva appena appoggiato due tazze fumanti sul piccolo tavolino accanto al divano. Sollevò gli occhi su di lei e non fu in grado di trattenere il proprio divertimento.
«Sembri molto a tuo agio nella mia tuta».
«Oh, va' al diavolo» gli disse con un sorriso altrettanto allegro. «Ma grazie lo stesso».
«È un piacere. Coraggio, siediti».
Ruby si accomodò accanto a lui. Se inizialmente il divano le era sembrato piccolo, in quel momento fu costretta a ricredersi. Era piccolo, sì, ma i cuscini erano morbidi e lo schienale molto comodo. Si appollaiò sul bracciolo e prese la tazza di cioccolata che Archie le stava offrendo.
«Grazie».
«Stai attenta: è bollente».
Lei soffiò con attenzione prima di posare con cautela le labbra sul bordo di porcellana.
«Come sta Henry?» si informò dopo qualche secondo. «È da un po' che non lo vedo».
Archie emise un triste mugugno.
«È confuso... quale ragazzino di dieci anni non lo sarebbe? Soffre ogni giorno le cause dei diverbi fra Emma e Regina ed è così...» fece un lungo sospiro, «...frustrante non essere in grado di aiutarlo».
«E con le fiabe? Ci crede ancora?».
L'espressione di Archie era oltremodo sbigottita.
«Come sai che...?».
«Mary Margaret».
«Ah, giusto...» annuì appena. «Il libro apparteneva a lei».
«Io chi sono?» s'informo curiosa Ruby, inclinando il capo.
«Come?».
«Nella fiaba. So che ha dato ad ognuno di noi un personaggio. Mary Margaret dovrebbe essere Biancaneve. Piuttosto azzeccata, non trovi?».
L'uomo si lasciò trasportare da una tiepida risata.
«Sì, lo è».
«Allora? Chi sono io? Una principessa?».
«Decisamente no» rispose divertito Archie. «Crede che tu sia Cappuccetto Rosso».
Ruby rimase in silenzio per qualche secondo, poi le sue labbra si strinsero fra loro e dopo poco fu travolta da un'irrefrenabile risata. Rise al punto tale da essere costretta ad appoggiare la tazza sul tavolino per timore di rovesciarsi addosso la cioccolata calda. Archie la osservò con un sorriso spensierato e per un attimo fugace si ritrovò a pensare a quanto suonasse familiare la sua risata argentina.
«Cappuccetto Rosso...» ripeté con le lacrime agli occhi. «Oh, cielo... questa è la cosa più buffa che abbia mai sentito. E chi sarebbe il mio lupo cattivo?».
«Non ne ho idea. Henry non mi ha rivelato tutte le nostre... identità segrete».
«Scommetto che è Gold» propose con decisione lei. «È lui, il bastardo di Storybrooke. E tu, invece? Tu chi dovresti essere?».
Archie si raddrizzò gli occhiali e le rivolse uno sguardo imbarazzato.
«Beh, ecco... io sarei il Grillo Parlante».
Se la prima risata di Ruby era stata un'esplosione di giubilo, la seconda parve rasentare la follia. Archie continuò a guardarla ridere senza sosta, acciambellata all'altro capo del divano come un gatto. La sua presenza lo rendeva nervoso. C'era qualcosa di strano nel saperla così vicina, con indosso la sua tuta da ginnastica e con il viso limpido e pulito. Non ricordava di averla mai vista così naturale e genuina, eppure c'era qualcosa in quel salotto... o forse era qualcosa nella sua risata? L'aveva già sentita, l'aveva già vissuta, ma non ricordava dove.
«Archie?».
«Sì?».
«Tutto bene?».
«Sì, sì... certo. Era solo un déjà vu».
«Sai, credo che tu saresti un perfetto Grillo Parlante» gli confidò con espressione birbante. «Dico sul serio. Fa ridere un sacco immaginarti con le antennine e l'ombrellino, ma sotto sotto mi sembra calzante. Beh, di sicuro più di me nei panni di Cappuccetto Rosso».
«Perché ti suona così strano?».
Ruby sbatté un paio di volte le palpebre con aria stordita, come se stentasse a capire il senso della sua domanda.
«Ma dai, Archie! Cappuccetto Rosso? L'adorabile bambina che andava per i prati a raccogliere i fiorellini per la nonna?».
«Hai dimenticato il cestino».
«Il cestino!» esclamò melodrammatica, portando una mano alla fronte. «Come ho potuto dimenticare il cestino?».
Fu il turno di Archie di ridere.
«Cappuccetto Rosso è un personaggio molto ambiguo» le disse poco dopo. «Qualcuno sostiene che rappresenti la perdita dell'innocenza».
Ruby aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito e scosse la testa.
«Okay, magari vista così ha la sua logica».
«No, non ne ha» la corresse franco lui. «Dove mai avresti perduto la tua innocenza?».
La giovane si umettò le labbra e rivolse all'uomo un'occhiata incredibilmente eloquente. Non appena Archie ne ebbe inteso la ragione, arrossì di colpo.
«Non intendevo in quel senso!».
«E quanti altri sensi ci sono?».
«Beh, innanzitutto...» iniziò con decisione lui, ma si interruppe di colpo e rimase a fissarla con la bocca aperta, incapace di trovare le parole. «Innanzitutto, non ne ho idea».
Lei ridacchiò nel palmo di una mano.
«Ma non penso che tu possa rappresentare un personaggio privo di innocenza. Non in senso cattivo» spiegò con voce bassa, continuando a tormentarsi gli occhiali. «Voglio dire... guardati. Io non... non ti avevo mai visto... così».
Ruby era confusa.
«Così... come?».
«Con una tuta sformata che non ti rende onore e i capelli scarmigliati. E...» gesticolò incerto con la mano alla ricerca delle parole adatte, «...i tuoi occhi sono sempre stati verdi?».
Lei aggrottò le sopracciglia.
«Certo».
Archie scosse la testa con un tenero sorriso.
«È impossibile notarli sotto tutto quel mascara».
«Non è mascara» lo corresse cordialmente Ruby, mordicchiandosi l'interno della guancia. «È eyeliner».
Aveva parlato con la lentezza misurata con la quale si sarebbe rivolta a un bambino, ma la verità era che non riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi azzurri di Archie. Era solo un déjà vu. Eppure Ruby aveva l'impressione che fosse qualcosa di più profondo e reale; era la sensazione che ci fosse qualcosa di tremendamente giusto in quel momento, qualcosa di già scritto, di già deciso, di incontestabile. La sua mano destra si sollevò per sfilargli gli occhiali dal naso – e non si accorse nemmeno di avere un'unghia smaltata di rosso scheggiata. Per un secondo di cui non riuscì a conservare alcun ricordo rivisse l'impressione di essere già stata su quel divano, con il sapore della cioccolata sulla lingua e gli occhiali di Archie fra le dita. Era tutto assurdo, tutto confuso, eppure non riuscì a impedirsi di appoggiare le proprie labbra su quelle dell'uomo.
"Se tu non fossi un grillo, probabilmente mi sarei già innamorata di te".

*

Red correva a perdifiato lungo gli sfarzosi corridoi del castello, con il sordo rumore delle suole degli stivaletti che rimbombava fra le pareti. Il cappuccio rosso le era scivolato dal capo e i lunghi capelli mori ondeggiavano alle sua spalle come la criniera di un leone. Sembrava terrorizzata.
«Jiminy!» strillava con quanta voce aveva in gola. «Jiminy!».
«Red!» si levò un grido acuto. «Da questa parte!».
La ragazza si voltò di colpo e imboccò un altro corridoio alla propria destra. Jiminy svolazzava in modo convulso accanto a Geppetto, stravolto e con le guance rugose umide di lacrime asciugate in fretta.
«Regina è--».
«Nel castello, sì!» esclamò concitato Jiminy. «Vogliamo fuggire attraversando le cucine!».
«Non servirà a nulla» mormorò roco Geppetto, scuotendo tristemente il capo. «La maledizione ci colpirà comunque».
«Lo farà di certo, se non cerchiamo di fuggire» lo redarguì serio il grillo. «Geppetto, ti prego: non puoi arrenderti ora».
Ma negli occhi dell'uomo si leggeva tutta un'altra verità e per Ruby fu facile capire quello che stava passando per la sua testa.
«Dov'è Pinocchio?» s'informo d'un tratto, accorgendosi solo in quell'istante della mancanza del bambino.
Geppetto abbassò il capo e serrò gli occhi con aria addolorata, ma le piccole zampette anteriori di Jiminy si erano già strette attorno all'orlo del mantello di Red e avevano iniziato a strattonarla.
«Al sicuro» la liquidò in fretta. «Dobbiamo andarcene in fretta. Adesso!».
La sua voce era forzata, distante, ma la ragazza non ebbe il tempo di porre altre domande. Ripresero a fuggire attraverso il salone delle armature, sobbalzando ogni qual volta udivano un nuovo boato risuonare in qualche ala del castello. Il pavimento tremava sotto i loro piedi, e Red aveva afferrato con forza la mano di Geppetto e continuava a correre dietro la scia di Jiminy, con le piccole ali che sbattevano all'impazzata. Mantenere l'equilibrio sembrava impossibile e Geppetto sembrava svuotato di qualunque forza. Erano appena arrivati alle scale che conducevano alle cucine, quando l'uomo si fermò. Red pensò che non avrebbe mai dimenticato la solenne tristezza che aleggiava nei suoi occhi.
«Geppetto, no...» lo pregò Jiminy.
«Portala lontano da qui».
«Geppetto...».
«Ho già fatto quello che era giusto fare!» esclamò. «Ma non ho più la forza di seguirvi... Jiminy, scappa».
Red lo scosse con forza per le spalle.
«Geppetto, non--».
«Andate!».
Jiminy era rimasto immobile e fissava il vecchio amico con le antenne chine verso il pavimento. Red lo guardò, intuendo in un lampo quello che aveva intenzione di fare.
«No!» strillò. «Jiminy, non--».
«Ci rivedremo» la ignorò lui, senza distogliere lo sguardo da Geppetto. «Te lo giuro, amico mio. Troveremo il modo di rivederci. Succeda ciò che deve succedere, io farò del mio meglio per rimanere al tuo fianco».
Le labbra del vecchio si piegarono nel primo vero sorriso.
«Lo so» sussurrò appena, appoggiando la schiena alla parete e socchiudendo gli occhi con improvvisa serenità. «Ci sei sempre stato».
Un nuova esplosione risuonò nel corridoio, e Red fu costretta a sorreggersi ad una grossa armatura per non scivolare a terra. Sollevò gli occhi spalancati su Jiminy, muovendo appena la testa a destra e a sinistra. Il piccolo grillo le fluttuò temerario accanto e si sistemò il cappello sulla testolina.
«Coraggio, Red».
Si catapultarono lungo le scale che conducevano alle cucine. Le stanze erano deserte, ma la porta che si affacciava sull'ampio cortile era spalancata. La attraversarono in fretta, mentre il vasellame e i piatti crollavano dagli scaffali di legno e si infrangevano in terra. Fuori non c'era anima viva, né lungo il sentiero che conduceva alle stalle né sotto il largo porticato che correva attorno al perimetro del castello.
«Bontà del cielo...» mormorò spaurita Red, stringendosi nel cappuccio e alzando gli occhi verso l'agghiacciante nuvola scura che stava iniziando ad avvolgere le torri più alte. «Jiminy, cosa sta succedendo!?».
Il grillo le svolazzò davanti e si appoggiò sul suo polso, con lo sguardo puntato nella stessa direzione. Red notò solo in quel momento lo strano tessuto rosso che Jiminy si era legato alla vita. Lo sfiorò appena con un dito.
«Un petalo?» mormorò.
Jiminy sobbalzò.
«Non ha importanza» le rispose tristemente. «Non ha più importanza...».
Alla giovane sfuggì un singhiozzo. Jiminy aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi tutto parve scoppiare. Il terribile boato fece cadere Red, che crollò sulle ginocchia al centro del cortile. Il cappuccio le scivolò davanti al viso, oscurandole la vista per qualche istante. Quando fu in grado di scoprirsi, i suoi occhi erano rigati di lacrime. Jiminy si appollaiò fra le sue mani abbandonate sul grembo e fece un respiro sconfitto.
«Mi dispiace, Red...» mormorò laconico.
«Jiminy...».
«Non posso proteggerti. Non da questo» continuò, levandosi il cappello e abbassando le antenne. «Io sono solo un grillo».
Il vento ululava distruttivo, spaccava le finestre e faceva crollare le tegole dei tetti. Il pianto di Red aumentava, ma il suo viso manteneva un'espressione di fiero contegno. Jiminy la vide arrangiare un sorriso fiducioso con estremo sforzo.
«Resta con me. Qualunque cosa succeda, devi promettermi che resterai con me. Non lasciarmi sola...» lo implorò in un sussurro. «Non lasciarmi sola, Jiminy».
Jiminy le posò una zampetta sull'indice e annuì con tiepida speranza.
«Sono qui».

*

Era stata questione di un lampo, niente di più e niente di meno. Un attimo prima camminava accanto alla nonna, con le mani strette attorno allo scialle rosso e un attimo dopo tutto il mondo le era crollato addosso. Fu come riemergere da profondissime acque e prendere finalmente fiato – come se si fosse svegliata da un sonno durato secoli. Lei e sua nonna rimasero inebetite per qualche secondo, mentre si guardavano intorno con aria disorientata.
«Red...» mormorò debolmente la vedova Lucas.
Red la fissò con la bocca spalancata. Era tutto così confuso. La maledizione, Granny's, il suo cappuccio, la sua macchina rossa, la fuga disperata dal castello attraverso le cucine, la sua avventura fra i lemuri, Emma, il vento che frantumava i vetri, il cuore nel portagioie, Jiminy stretto fra le sue mani...
«Jiminy!».
La nonna non ebbe il tempo di fermarla. Red lasciò cadere la borsetta e prese a correre con tutte le proprie energie verso la piazza di Storybrooke, senza alcuna logica e senza alcuna meta, con il sangue pompato a mille nelle vene e un'unica frase a rimbombarle nelle orecchie.
"Non lasciarmi sola."
Gli abitanti di Storybrooke parevano condividere la stessa confusione disorientante della giovane e qualcuno di loro la vide sfrecciare fra le macchine in sosta e gridò:
«Red! Red Riding Hood!».
Lei non li udì nemmeno e continuò a correre sempre più velocemente, sempre più spaventata e la voce di Jiminy sembrava trascinarla ad ogni balzo.
"Sono qui."
«Jiminy!» urlò disperata per la strada, volgendo con frenesia lo sguardo da sinistra a destra e con le mani affondate nella chioma scura. «Jiminy! Jiminy!».
«Red?».
Si girò di colpo e non pensò a nulla per diversi istanti. Il cuore le batteva impaziente nel petto, aveva il fiato corto per la corsa sfrenata e per tutta quella follia che agitava la sua testa. E poi lo vide, immobile davanti alla porta dello studio con la sua stessa espressione sconcertata e persa – Archibald Hopper, psichiatra – e le parve di non poter più respirare. Archie, il castello che crollava, i suoi ridicoli occhiali, un grillo stretto fra le mani, il tremendo desiderio che potesse essere un uomo, solo per una volta, solo per un istante... corse verso di lui senza nemmeno accorgersene.
Lo contemplò con la mente vuota, scuotendo incredula il capo. Lui respirava appena e sembrava incapace di comprendere appieno cosa fosse accaduto. Red sollevò l'indice e gli sfiorò delicatamente la mandibola, mentre un timido sorriso iniziava ad affacciarsi sul suo viso.
«Sei... tu sei...» balbettò incoerente, scuotendo febbrile la testa.
Jiminy le prese il volto fra le mani e si lasciò andare ad una risatina carica di nervosa felicità.
«Io sono qui».


*


Ci tengo a ringraziare con tutto il cuore Rowena e Lely1441 per l'incredibile lavoro svolto per questo apocalittico contest.
Grazie.
   
 
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