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Autore: Val Nas    30/09/2012    0 recensioni
Questa one shot ha partecipato ad un contest sul forum EFP intitolato "Destini di una storia".
Pur essendo una ragazza ( di solito le ragazze sono brave a parlare di amore e romanticismo, vero? O.o) non me la cavo molto bene con situazioni romantiche. Ma ho deciso di esercitarmi un po', vediamo se riesco a migliorare.
Premetto subito che, sia il luogo, che la lunghezza del componimento, sia la scelta dei protagonisti, sono stati vincolati dalle regole del contest.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ultimo regalo


La pioggia stava cadendo fitta, petulante e monotona.
Imperterrita, picchiettava sull’ombrello che lo riparava.
La cupola di poliestere nera dell’ombrello, faceva rotolare dalla sua sommità gocce di pioggia fredde, che cadevano macchiandogli le scarpe costose.
La suola e il tacco delle Gucci, erano ricoperte di un sottile strato di fanghiglia poltigliosa e foglie spezzate.
L’eco dei suoi passi riecheggiava sul selciato che attraversava il cimitero vuoto, dove nessuno assisteva al suo passaggio. Solo file di lapidi fredde e grigie, abitate dai morti, trasformati in sussurri di lacrime e rimpianti da coloro che li avevano perduti.
A Maurice non importava di nulla: né delle scarpe, né della pioggia battente.
Entrava nelle pozzanghere, affondava nel fango, e ad un tratto chiuse persino l’ombrello, lasciandolo abbandonato contro il tronco di un giovane cipresso.
Zigzagava tra le lapidi a testa bassa, mordendosi dolorosamente il labbro inferiore per non cedere il passo alla disperazione.
 “Signore, le serve qualcosa? Siamo chiusi da quasi mezz’ora.”
Maurice si fermò, dando le spalle a quel pigolio di voce che lo aveva richiamato.
Si sfregò le mani infreddolite, e lentamente si voltò.
Il custode del cimitero aveva stretto gli occhi porcini, per metterlo a fuoco.
Era basso e pingue, con una stempiatura sulla fronte ormai incipiente. Dopo un’occhiata a Maurice, il piccolo uomo si fece minuscolo e servile, sotto il suo ombrello sgangherato.
“ Mi scusi signori Dawson. Non volevo importunarla.”
Maurice gli fece un cenno vago con la mano, scacciando via la mosca fastidiosa che aveva interrotto i suoi pensieri.
Il custode indietreggiò, sparendo verso la casupola degli attrezzi dove aveva il suo ufficio di morte, arredato con bassi mobili composti da cassetti stracolmi di cambiali delle pompe funebri della città.
Maurice procedette per la sua strada, percorrendo il funereo sentiero che tagliava a metà il perimetro esagonale del cimitero.
Tutti conoscevano Maurice.
Non c’era persona in città, che non avesse una copia del suo romanzo d’esordio “ Le tenebre della rete”, sul comodino della camera da letto.
Maurice disprezzava quella cittadina di provincia, in cui era nato.
Per anni i pettegolezzi sulla sua omosessualità, e le chiacchiere sulla storia di alcool e droga della madre, lo avevano spinto alla follia, quasi sull’orlo del baratro.
Aveva cercato di ricalcare quel concetto di normalità, che quel buco di provincia richiedeva, aveva provato ad essere ordinario, aveva cercato di non temere i pregiudizi delle gente.
Ma lentamente, loro lo avevano ucciso, sgretolando la sua personalità fino a fargli desiderare di cessare di esistere.
Maurice conosceva quelle persone: adesso lo salutavano con rispetto, inclinando la testa al suo passaggio, e commentando nel bar del centro il suo ritorno in città.
Adesso lo rispettavano, invidiavano i suoi abiti di marca, la sua macchina sportiva e il suo successo.
Maurice, aveva dato una lezione a tutti quei pettegoli: scacco matto, gente.
Maurice non si arrestò davanti alle numeroso cripte di pietra e marmo, né su tombe sfarzosamente decorate sormontate da tristi angeli addolorati.
Lui si fermò solo davanti ad una tomba semplice e disadorna.
Un giardinetto di sassolini bianchi, racchiudeva un’aiuola d’erba verde, in cui erano stati posati dei fiori freschi. Alcuni petali erano stati sbriciolati dall’acqua, o condotti chissà dove dal vento.
E adesso  che sono arrivato, cosa dovrei provare? Si  chiese Maurice, fissando la croce bianca al cui centro spiccava una fotografia ovale.
Il peso del rimpianto gli gravava sulle palpebre, impedendogli di alzare lo sguardo sull’immagine che ritraeva un uomo adulto, dall’aria furba.
Maurice aveva sperato di essere pervaso dalla sua presenza, di sentire la familiare sensazione della sua mano attorno alla spalla, o di percepire il sussurro di un mite conforto.
Invece nulla, il cimitero era il luogo dove anche ogni più piccola consolazione veniva portava via dall’opprimente silenzio che lo pervadeva.
Poi un leggero tuono scosse la terra ed il cielo, seguito dal lampeggiare della folgore.
Sai cosa sono i lampi, Maurice? Sono anime di amanti che tornano sulla terra per riunirsi ai loro cari…
Christopher era sempre stato un inguaribile sognatore.
Una macchia colorata di vermiglio, in quella grigia cittadina.
Persino i vestiti che indossava un tempo, erano stati delle più disparate tinte di colore: gialli, verdi e arancioni, scarpe rosse e nere, con fiorellini bianchi.
Lui era sempre stato quello forte, Maurice era sempre stato il debole.
Maurice, aveva indosso una delle camicie che gli aveva regalato Christopher, più di cinque anni fa.
Aveva odiato quel regalo. Era troppo colorata, e diceva a chiare lettere “io sono gay”.
Christopher amava urlarlo al mondo con orgoglio, in faccia alla gente abietta e vile, che non faceva altro che parlare, insultare e recargli danno.
Ma Maurice no: lui, un tempo, era stato codardo.
Maurice si chinò, prendendo tra le mani la terra bagnata e stringendola nel pugno con rabbia.
Aveva rovinato tutto.
Christopher adesso non c’era più, non poteva più lasciarsi andare ad un pianto infantile contro la sua spalla.
Cinque lunghi anni di silenzio…E poi quella lettera.
Nel suo attico alla moda, quel piccolo pezzo di carta rettangolare aveva avuto lo stesso effetto di una devastante valanga.
Maurice si era dovuto sedere sulla sua poltrona di pelle e fissare la busta per tutta la notte, prima di decidersi ad aprirla.
In quelle ore prima dell’alba, aveva ricalcato tutti gli istanti vissuti con Christopher, ogni piccolo ricordo gli faceva male come spine nel cuore.
Come  la voce calda di Christopher, udita quella prima volta in cui lo aveva incontrato più di quindici anni orsono.
Christopher era seduto su una panchina del parco, leggeva con voce annoiata la favola di Peter Pan a suo nipote.
Maurice non aveva prestato troppa attenzione a quell’uomo vestito come un Arlecchino danzante e ridicolo: gli aveva letto in fronte la sua omosessualità ostentata, e per questo lo aveva odiato, come aveva odiato se stesso.
Maurice, quella volta, era andato al parco con una precisa intenzione: nel rigonfiamento della sua giacca, aveva una corda di juta lunga e resistente. Avrebbe atteso il crepuscolo e poi si sarebbe inoltrato nel parco, dove aveva già deciso su quale ramo impiccarsi.
Non aveva altra scelta: dopo l’ennesimo lavoro perso, le botte che i ragazzi del bar gli avevano dato chiamandolo finocchio, riempiendolo di pugni e calci nello stomaco fino a fargli rigurgitare la bile, e la perdita della madre, Maurice voleva lasciare quella vita disperata, lastricata di dolore.
Era stata proprio l’aria sconfitta di Maurice, ad attirare l’attenzione di Christopher, che aveva smesso di leggere Peter Pan e lo aveva seguito.
E  così, Chris gli aveva fatto il suo primo regalo: gli aveva salvato la vita.
Il secondo regalo, era stata la cura con cui aveva lenito le sue ferite, l’affetto e la comprensione, con cui Chris aveva deciso di accogliere tra le sue braccia quel cucciolo smarrito.
Maurice aveva solo 25 anni all’epoca, Christopher già 37.
Il loro non era stato solo amore, sesso o attrazione. Tanto meno bisogno di compagnia o mancanza di alternative.
Maurice e Chris, erano anime gemelle. Due pezzi che si incastravano alla perfezione, in un mondo sgretolato in mille tasselli di puzzle. Era stato il suo mentore, il suo primo vero amore, completo e vissuto. Grazie a Christopher, Maurice aveva imparato a regalare brio e pepe ai suoi racconti, che finalmente avevano visto la luce,  fuori dei cassetti della sua scrivania.
Christopher era diventato la lente di un caleidoscopio, che permetteva a Maurice di vedere il mondo con nuovi colori vivi e abbaglianti.
Un mondo di cui ora Maurice non aveva più paura o timore, un mondo che poteva stringere nel palmo e spremere fino all’ultima goccia di felicità.
La prima volta che fecero l’amore, Maurice credeva che il cuore si sarebbe gonfiato fino a scoppiare, pensava che sarebbe morto ancor prima di lasciarsi condurre alla fine di quella languida danza sensuale.
Era stato il terzo regalo, il regalo più caldo e significativo di un’intera vita.
Christopher gli aveva fatto così tanti regali in quei dieci anni che avevano trascorso insieme, che Maurice non riusciva più a contarli sulle dita: il suo primo viaggio all’estero, la sua prima volta in barca, il suo primo volo aereo, il sapore del sushi e del caffè.
Un altro regalo, era stata la grande convinzione di sentirsi, per la prima volta, parte di qualcosa di importante. L’odio che nutriva per se stesso era svanito, sostituito da accettazione e rispetto. Era cresciuto e diventato uomo.
Ma col tempo, mentre Christopher sentiva il bisogno di una famiglia, Maurice pensava a tutt’altro.
Al suo libro, alla sua carriera e al suo rifiuto di conclamare la loro relazione con troppa enfasi.
Ancora spaventato dal giudizio della gente, la notte in cui Christopher gli aveva rivelato di voler avere un bambino da un utero surrogato, Maurice era diventato furioso.
Era geloso, era questa la pura verità. Lo voleva tutto per sé e di nessun altro, tanto meno lo voleva dividere con un ammasso di carne urlante e puzzolente, che necessitava di attenzioni continue.
Avevano litigato come matti, lanciandosi dietro accuse ed invettive, arrivando quasi a mettersi le mani addosso.
Poi la casa editrice, lo aveva chiamato.
All’aeroporto, Maurice se ne era andato, ma non prima di averlo ricattato:
“ O vieni con me Chris, o è finita per sempre. Non tornerò mai più indietro.”
Pieno di orgoglio, stupido e tracotante.
Maurice così lo aveva perso, spingendolo via con prepotenza e possessività.
Dopo tutti quei ricordi che gli avevano affollato la mente in un attimo, mentre stringeva la lettera, Maurice aveva l’aveva aperta con dita tremanti e spaventate.
Era subito partito.
Adesso se ne stava lì, inginocchiato tra le lapidi, con in mano un pugno di rimpianti e rimorsi, passando le dita sulla foto di Christopher.
Non riusciva più ad andarsene, l’amarezza lo teneva ancorato sopra la terra bagnata, sotto la quale Chris era sepolto, separato dal suo pezzettino di puzzle per sempre.
E adesso, solo e schiacciato da quel peso, il “tassello Maurice” si stava sfaldando.
I suoi contorni, non avrebbero mai più combaciato con nessun altro tassello del puzzle. Era una tessera marcia e usurata, utile solo per essere gettata.
La leucemia, era stato un killer silenzioso e letale.
Chris era morto in meno di tre mesi.
Era sempre stato bravo,  con le uscite di scena trionfali.
“ Mau!”
Maurice si sollevò, mettendo a fuoco una zazzera di capelli neri corrergli incontro.
Lo prese al volo, issandolo tra le braccia.
“ Ti avevo detto, di aspettare in macchina!”
Key, gli si strinse addosso, guardando la lapide del padre.
Aveva sei anni, e ne capiva abbastanza di morte e solitudine.
Pianse, anche lui.
Maurice racimolò quel briciolo di forza che gli era rimasta, per risalire dal nero pozzo dell’angoscia. Ora doveva essere forte, per due.
Se lo staccò di dosso, per guardare quel viso così uguale a quello di Chris, da fargli accartocciare lo stomaco. Gli stessi occhi castani e scaltri, le lentiggini sul naso e il broncio delle labbra.
Maurice si incamminò verso l’uscita, mentre Key iniziava a singhiozzare sommessamente.
“ Oh non fare così. Lui è sempre qui…” Gli disse toccandogli la testa.
“ E qui…” Finì sfiorandogli il cuoricino che batteva forte ed affannato.
Lasciò il cimitero, raggiungendo con ampie falcate la sua berlina blu, dove infilò Key sul sedile posteriore.
Richiuse la portiera, fissando il cimitero per l’ultima volta.
Era deciso: non sarebbe tornato mai più.
La lettera, la teneva sempre nel taschino della giacca, come se potesse sussurrare al suo cuore le ultime parole dell’unico e vero amore della sua vita.

 

“Ciao Mau, sono mesi che fisso questa pagina bianca senza avere le parole giuste per te.
Te, a cui le parole ubbidiscono quasi per magia.
Oggi, ho deciso di scriverti,  perché non posso più attendere oltre.
Non c’è nessuno al mondo a cui io abbia pensato di più, o che abbia amato più di te.
Anche oggi che sei lontano mille miglia e che forse condividi il nostro letto con qualcun altro.
Cosa sono la rabbia e l’orgoglio, dopo un amore come il nostro?
Io sto per andarmene, molto, molto lontano.
Key, non può seguirmi. Mio figlio, non è pronto.
Ho un regalo per te, torna a casa.
Narragli di suo padre, raccontagli delle favole che preferisci, di Aslan e della Strega, del Capitano Nemo, e di Merlino, di come Giasone recuperò il Vello d’Oro e di quando Harry Potter, comprò la sua civetta Edvige.
Compragli un  cane e un gatto, dategli nomi bizzarri come Semola e D’Artagnàn.
Parlagli del nostro amore incondizionato, della nostra testardaggine e dei nostri sogni.
Insegnagli quella passione per la lettura e la scrittura che io non ho mai capito, la tua discrezione, e la mia follia.
Tu sei stato il mio regalo più grande di un intera vita, insieme a Key.
Lui, adesso,è il mio ultimo regalo per te.”

 
  
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