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Autore: Writer96    30/09/2012    8 recensioni
"Era novembre, dicevo, e faceva anche piuttosto freddo.
Avevo una sciarpa grigia che le avevo rubato perché aveva il suo profumo e una felpa nera. Mi ricordo anche questo benissimo, perché lei mi diceva sempre che avevo sbagliato ad abbinarla con i pantaloni blu e mi minacciava di lasciarmi fuori al freddo in maniche corte solo per insegnarmi a rispettare la concordanza di colori."
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Betato dalla mia splendida  Ali, che è sempre un tesoro.

 




Gray Scarf


“Era novembre e questo lo ricordo.
Lo ricordo benissimo perché il calendario aveva la foto di una foglia rossa in contrasto con il cielo grigio stampata sopra e io continuavo a dire che le foglie sono rosse in settembre o in ottobre, ma mai in novembre. Lei rideva, con quella risata tutta sua.
Scopriva i denti quando rideva, sollevando le labbra fin sopra le gengive e mostrandomi la carne umida e morbida lì sotto, e faceva un suono strano, a metà tra la gola e il naso.
Lo ricordo benissimo perché la sua non era una risata fine e delicata, ah no, proprio non lo era, ma aveva una gioia quella risata che faceva paura. Non l’ho mai sentita ridere sarcasticamente o per finta, sempre per davvero, con quei denti scoperti e il mento all’infuori.

Era novembre, dicevo, e faceva anche piuttosto freddo.
Avevo una sciarpa grigia che le avevo rubato perché aveva il suo profumo e una felpa nera. Mi ricordo anche questo benissimo, perché lei mi diceva sempre che avevo sbagliato ad abbinarla con i pantaloni blu e mi minacciava di lasciarmi fuori al freddo in maniche corte solo per insegnarmi a rispettare la concordanza di colori.
Si vestiva davvero  bene, lei, con uno stile tutto suo, che non apparteneva a nessun gruppo. Amava le camicie, questo lo ricordo perfettamente. Gliene avevo regalate così tante che lei aveva fatto un ripiano dell’armadio dedicato solo a quelle. Ne cambiava una al giorno, abbinandola sempre con qualcosa di diverso, perché poi si sporcava –si sporcava sempre, dottore, peggio di quanto faccia io- ed era troppo pigra per togliersi la macchia.

Ma torniamo a quel giorno.
Avevo quella sciarpa e la stavo annusando quando l’ho vista entrare. Camminava a piedi nudi, i jeans stretti che le lasciavano scoperta la caviglia e le dita dei piedi con sopra lo smalto azzurro rovinato. Camminava sempre a piedi nudi, è un dettaglio di lei che non scorderò mai. Anche quando era freddo, tirava vento e c’erano quindici gradi, lei era lì a girare a piedi nudi per casa, la polvere incollata al tallone e le dita che si muovevano su e giù per non intirizzirsi.
Mi piaceva da morire vederla camminare a piedi nudi: pareva una fata, sa dottore? Una fata con una felpa rosso scuro e i jeans neri che girava per casa cantando a squarciagola e saltellando su quei poveri piedi nudi. Era alta, non magrissima, i capelli di un colore indefinito, non belli, non speciali. Ma era una fata, posso giurarlo.

Così quel giorno venne a piedi nudi e mi abbracciò, premendomi la faccia contro il petto e stiracchiandosi tanto da far sollevare la camicetta sulla pancia fino a mostrare l’ombelico. Sembrava un gatto e dire che lei i gatti li odiava, li detestava proprio. Mi strinse ancora un po’, poi si staccò da me e mi guardò negli occhi.
-Stitch – disse, usando quel soprannome che aveva inventato un giorno ridendo perché non riusciva a trovare una storpiatura tenera del mio nome –Stitch, mi è venuta voglia di una ciambella.-
Amava le ciambelle, quelle con la glassa alla vaniglia e le codine di zucchero sopra. Ci faceva centinaia di foto, che poi archiviava in una cartella del computer e non riguardava più. Solo una ero riuscito a stampare, quella di lei che addentava metà ciambella e io la guardavo ridendo. Era così bella quella foto, sa dottore? Vorrei averla conservata, ma poi ho pensato che forse era meglio non farlo, e l’ho bruciata, come tutto il resto.

Fatto sta che mi disse che voleva quella ciambella e io le risposi, dopo averle baciato il naso, che bastava che andasse al bar davanti a casa nostra per prendersene una. Lei sorrise e mi passò una mano tra i capelli, che erano ancora lunghi, e mi baciò a stampo, solo qualche istante, prima di staccarsi da me e correre a prendere la giacca.
-Stitch, ne vuoi una anche tu?- mi chiese. Io annuii e mimai un “Sì, grazie!” con le labbra, prima di mormorare un “Ti amo” che lei sentì comunque, perché sorrise in quella sua maniera strana ed aprì la porta. Mi pregustavo già la mia ciambella al cioccolato, l’unica che mi piacesse. La guardai uscire e pensai che quella fata un po’ strana era tutta mia, così incredibilmente mia da fare paura.
-Pill!-urlai e lei tornò indietro, affacciandosi e guardandomi sorridente, i capelli che svolazzavano e le guance già tinte di rosso per il freddo.
-Pill- ripetei, aggrottando le sopracciglia –Pill, ma non le metti le scarpe?-

Lei abbassò lo sguardo sui piedi nudi e si strinse nelle spalle, le mani infilate in tasca e i pantaloni un po’ sollevati sulla gamba destra. Lei era fatta così, proprio così, un po’ particolare a modo suo, distratta, come tutti gli artisti, attenta alle cose che nessuno notava, come tutti gli scrittori. Pill, la chiamavo, senza sapere perché. Vivevamo insieme da due mesi e non sapevo ancora perché la chiamassi Pill, nonostante si chiamasse Amy. Eravamo strani tutti e due, una coppia di quelle che nessuno avrebbe mai immaginato, io che ero un avvocato un po’ troppo perso nei suoi sorrisi e lei una scrittrice un po’ troppo concentrata sulla sensazione di avere la terra sotto i piedi.
Fu così che mi disse, dottore.

-Mi piace sentire la terra sotto i piedi...- esclamò, chiudendo la porta e correndo in strada.

La sentì davvero la terra sotto di sé, ma con tutto il corpo, mentre la BMW grigia sterzava inutilmente e lei volava per aria. Ero lì, dottore, capisce? Ad aspettare una ciambella al cioccolato mentre la mia ragazza veniva uccisa dall’altro lato della porta.
Ero lì ed è da lì che ho iniziato a dimenticarmi le cose, a perdere la cognizione dei giorni e della mia vita.”

Il ragazzo fa una pausa e guarda in alto, una mano che accarezza il collo piano, le dita arcuate e tese, come se si accorgessero della mancanza di qualcosa. Il dottore lo osserva e aspetta, in silenzio.

“Capisco, signor Payne.”
“Capisce davvero dottore?”
“Capisco cosa vuol dire voler dimenticare.”
“Lei ha mai perso qualcuno di importante?”
“Ho perso il mio orsacchiotto preferito quando avevo quattro anni. Mi creda, signor Payne. Il dolore fu atroce e insopportabile comunque.”
“La ringrazio dottore del supporto e della comprensione.”
“Non ha dimenticato l’uso del sarcasmo, signor Payne.”
“Lei non capisce, dottore. Lei non lo capisce cosa si prova cosa si pensa al fatto che una porta, una porta, ti ha diviso dalla morte. Lei non capisce, anche se è pagato per farlo.”
“Signor Payne...”
“Quanto le devo, dottore?”
“Sessantacinque.”
“Grazie. Arrivederci.”

Il ragazzo si alza. E’ magro, le spalle incurvate, una felpa grigia o forse nera logora sui gomiti, con i polsini macchiati. I jeans slavati e sbiaditi gli ricadono sulle
gambe, che si muovono rigidamente mentre cammina verso la porta, l’aria di un vecchio, ventinove anni che pesano come novanta.
Il dottore lo guarda e pensa che capire va oltre l’aver provato le stesse emozioni, a volte. Si stupisce che non l’abbia capito quel ragazzo, lui che ha amato una scrittrice, che è bugiarda per natura. Si stupisce, ma non dice niente, alzandosi e raccogliendo qualcosa da terra.

“Signor Payne.”
“Sì?”
“Non si dimentichi la sua sciarpa.”

La sciarpa grigia e impolverata nelle mani dell’uomo viene strappata con violenza dal ragazzo, che abbassa gli occhi e se l’avvolge intorno al collo con cura, quasi avendo paura di rovinarla.

“Non potrei mai, dottore.”

Si gira, esce, senza salutare. Il dottore si guarda le mani e le annusa, colpito da un forte profumo femminile.
Doveva essere sulla sciarpa, il profumo. Misto all’ultimo barlume di vita che anima quel ragazzo che ormai sembra averla persa del tutto.







Writ's Corner
Angst nata dal nulla.
Angst che forse è più un'originale, ma che metto qui e pace.
Angst con il mio Payne.
Grazie a chi l'abbia letta. Grazie a chi l'abbia capita. 

   
 
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