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Autore: Cali F Jones    02/10/2012    6 recensioni
Durante la seconda guerra mondiale, Alfred è un soldato che, dopo essere stato ferito, si trova all'ospedale di Londra e racconta ad Arthur, infermiere disincantato, una vecchia favola di un re e una regina e del loro Giardino Segreto.
[Dedicata alla Bro e alla Frignetta ♥]
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prima di cominciare spendo due parole su questa fic. Era da un po’ che volevo scrivere una storia Cardverse. Poi mi era venuta voglia di scriverne una ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale e per un po’ di tempo sono stata indecisa su quale delle due scrivere. Alla fine, non riuscendo a decidermi ho optato per questa soluzione. Spero che vi possa piacere comunque, è una cosa un po’ “alternative” perché sì. Lol.
Ultima cosa, ma non meno importante, vorrei dedicare questa fic a due persone in particolare: la prima è la mia Bro che è un essere crudele, malvaGGio, senza cuore, infame, meschino [aggiungere aggettivi negativi qui perché se li merita] (sì, te li meriti perché scrivi robe con la Engddkjaisdjsikdj…Argh! Non riesco nemmeno a scriverla! Il mio pc si rifiuta di nominare quella cosa e_e). Però, nonostante tutto, in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo…no, aspetta, non lì, vai un altro po’ più in fondo. Ecco, in fondo in fondo […] le voglio solo un bene dell’anima ♥
La seconda persona, invece, è la mia Frignetta Amaretta (fa pure rima lol) che invece mi vuole tanto bene (?) e non mi tradirà mai con l’Ascella (ogni riferimento a fatti, persone o bro a random è puramente casuale u.u). Ci conosciamo da un bel po’ di tempo e mi sono appena accorta di non averti mai scritto una dedica o che altro D: Sono un’eroA imperdonaBBile! Grazie per tutte le magnifantastupendjhdasskajhs fic che mi spacci, grazie per tutti gli scleri (scientifici e non) e grazie per aver indotto anche le mie amiche a chiamarmi Calipanna *facepalm*. Grazie di tutto! Ti voglio un casino di bene, Ama ♥
E adesso vi lascio finalmente alla storia. Spero vi piaccia!
Un bacione
Cali ~

 

The secret garden

C’erano una volta, in una landa sperduta oltre i confini ultimi della Terra, quattro magnifici regni: il regno di Cuori, il regno di Fiori, il regno di Quadri e il regno di Picche.
Ogni regno era governato da un re che, una volta salito al trono, sceglieva la sua regina. Il re non poteva amare la sua regina e la regina non poteva amare il suo re. I rigidi dettami di corte prevedevano una relazione meramente di titolo tra i due, senza alcun coinvolgimento amoroso. Infatti, qualunque relazione affettiva avrebbe potuto distrarre entrambi dal governo del paese e condurlo alla rovina. Il re era solo. La regina era sola.
Il regno di Cuori sorgeva in un’ampia pianura verdeggiante cosparsa di mille papaveri rossi. Il sole brillava perenne sulla landa dei Cuori e tutti vivevano felici.
Il regno di Fiori sorgeva nel mezzo di una fitta foresta, circondato da alberi e protetto dai nemici. Le fronde fremevano al vento nella landa dei Fiori e tutti vivevano felici.
Il regno di Quadri sorgeva sulle alte montagne dell’est, dove la neve scendeva pacata accarezzando dolcemente il terreno. I ruscelli bagnavano la terra nella landa dei Quadri e tutti vivevano felici.
Il regno di Picche sorgeva su un irto scoglio in riva al mare, le onde si scagliavano con forza contro le rocce e le strade risuonavano di antichi canti marinari. Le leggende ivi nascevano e ivi morivano e nessuno viveva felice nella landa di Picche.
 

-Davvero non conosci la storia del Giardino Segreto?-
-No, dovrei?-
-Non te l’hanno mai raccontata i tuoi genitori?-
-I miei genitori mi leggevano “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Non quelle favolette insulse che conosci tu-
-Avrebbero dovuto farlo, invece! Ma non c’è problema, te la racconto io-
-No, dannazione, Alfred, ti prego. Non sono dell’umore giusto per ascoltare le tue stronzate-
-E quando sarai dell’umore giusto, allora?-
-Mai-
-Appunto. Quindi un momento vale l’altro, tanto conviene raccontartela ora-
Arthur si passò una mano sul viso in un gesto disperato di esasperazione. Aveva conosciuto quel rumoroso americano qualche settimana prima, quando questi e i suoi “eroici compatrioti” erano giunti ad invadere, con i loro grugniti primordiali da cercopitechi e il loro fottutissimo accento masticato, la tranquillità della sua amata Londra. In un certo senso, Arthur e l’Inghilterra tutta erano immensamente grati del loro arrivo. Forse, con il loro aiuto, così come era accaduto in passato, avrebbero finalmente posto fine a quella dannata guerra.
Londra giaceva in un cumulo di macerie. I bombardamenti tedeschi si ripetevano continui nelle notti, come un’interminabile nenia che trascina via con veemenza ogni residuo di lucidità. Ogni giorno le squadre di soccorso scavavano tra le rovine dei palazzi, alla ricerca di sopravvissuti. Ogni giorno tornavano, reggendo solo corpi ormai troppo freddi, ormai troppo miseri, ormai troppo carichi di pianto. Ad Arthur si stringeva il cuore ogni qualvolta che vedeva un soldato tornare con la salma di un bambino. Maledetta la guerra! Maledetta la morte! Maledetto il cuore straziato.
-Allora, stavo dicendo…-
-Scusa, Alfred, ho un’emergenza. Me la racconterai un’altra volta-.
L’americano sospirò, mentre con gli occhi seguiva l’infermiere che si allontanava. Abbassò lo sguardo, perdendosi a fissare le proprie gambe. Non riusciva ancora a credere che non sarebbe mai più stato in grado di usarle. Sospirò ancora. L’occhio si inumidì, ma subito la mano lo asciugò. Dalla finestra della sua stanza poteva vedere il fumo levarsi all’orizzonte, mentre boati lontani risuonavano nel cuore dell’Inghilterra. Vivere in quel mondo diventava ogni giorno più difficile.
 
La landa di Picche era governata da un re estremamente buono e giusto, il quale, però, aveva commesso l’errore più grave che un re potesse commettere: si era innamorato della sua regina. Il desiderio continuo di vederla felice e di dedicare a lei tutte le sue attenzioni, lo aveva portato lontano dal governo del paese che giaceva in rovina, in mano ai vandali e ai briganti. Narra la leggenda che il re, per deliziare maggiormente la sua regina, fece costruire un immenso giardino nel retro del palazzo, di cui però solo loro e un cavaliere di fiducia conoscevano l’esistenza. Era una specie di piccolo paradiso privato, ove il re e la regina passavano il loro tempo insieme, beandosi della compagnia l’uno dell’altra. Dopo pochi anni dal matrimonio, la regina diede alla luce un bambino, assicurando la discendenza al paese.
Tuttavia, un giorno, la regina si ammalò gravemente. Il re abbandonò completamente il governo del paese nelle mani dei suoi segretari, troppo inesperti e volubili, per stare al capezzale della regina. Dopo mesi di sofferenze, questa spirò. Il re, per il dolore, si gettò in mare dallo scoglio più alto, reggendo tra le braccia la salma della sua regina. I loro corpi non vennero mai ritrovati. Il regno cadde ancora di più in rovina, il loro figlio cresceva e, onde evitare una crisi uguale a quella che aveva provocato suo padre con la sua debolezza, venne educato ancora più duramente. Nel frattempo, il giardino segreto giaceva abbandonato, nascosto dal mondo e, ben presto, divenne solo una leggenda. Solo un cavaliere ancora lo ricordava.

 
L’inglese rientrò nella stanza con uno sguardo truce e passo pesante, trascinando i piedi.
-Un altro bambino?- domandò Alfred.
-Già-
Arthur odiava il suo lavoro. Certo, essere un infermiere gli aveva evitato la leva obbligatoria, ma trovarsi ogni giorno ad avere a che fare con corpi mutilati, bambini morti, uomini e donne ustionati e menomati non era decisamente ciò che aveva sognato quando era un ragazzino.
Alfred, invece, era un soldato. La coscrizione obbligatoria lo aveva costretto ad arruolarsi nell’esercito degli Stati Uniti d’America. Aveva combattuto valorosamente. Era stato catturato dai nazisti, subito le peggiori torture che si potessero infliggere ad un uomo -una delle quali gli aveva procurato una frattura della colonna vertebrale a livello lombare, rendendolo praticamente paraplegico- e poi era stato liberato durante un blitz della Resistenza Italiana. Dopodiché era riuscito, nessuno sa come, a tornare a Londra, da dove era partito, alla ricerca di suo fratello. E un giorno, senza conoscere bene le dinamiche, si era svegliato in un letto d’ospedale.
-Vuoi che continui a raccontarti la storia del Giardino Segreto?-
-Santo cielo, Alfred, sei irrecuperabile. Ti ho detto che non mi interessa!-
-Ma se nemmeno la conosci, come fai a dire che non ti interessa?-
In effetti…
Arthur non sapeva bene come mai si divertisse così tanto ad intrattenersi con quell’americano rozzo e rumoroso, ma quella sembrava essere la prospettiva migliore dopo una giornata passata come tante altre in mezzo ai feriti.
-E va bene, raccontami questa storia, ma vedi di non farla troppo lunga-
Alfred sorrise apertamente, non aspettava altro. Per lui, passare le ore con Arthur era una piacevole alternativa al pensare. Pensare alla guerra, pensare a quelle gambe che non avrebbe mai più potuto usare, pensare al suicidio. Inconsapevolmente, quell’inglese scorbutico gli stava salvando la vita ogni giorno.
 
Gli anni passarono e il principe crebbe, diventando sempre più bello e forte. La legge era stata chiara ancora una volta: il re non avrebbe potuto innamorarsi della sua regina, chiunque essa fosse.
Quando tutto fu pronto, la cerimonia di incoronazione ebbe inizio. Dame e cavalieri guardavano con occhi carichi di paura, ma allo stesso tempo di speranza il principe che, fiero, avanzava lungo il corridoio centrale della cattedrale. Giunto davanti al sacerdote, recitò il suo giuramento, indi si inginocchiò e quella corona che per troppi anni era rimasta senza un degno proprietario, venne posata sulla sua chioma bionda. E tutta la terra di Picche salutò il suo re.

 
-Come si chiamava il re?-
-Eh?-
-Il re. Come si chiamava?-
-Non ha un nome-
-Ma che razza di storia è se i personaggi non hanno nemmeno un nome?-
-È una favola! Cosa pretendi?-
-Anche “Alice nel Paese delle Meraviglie” è una favola, ma la protagonista un nome ce l’ha!-
-E va bene, e va bene, diamo un nome a questo re. Vediamo…che ne dici di Alfred?-
-Sei veramente un egocentrico del cacchio!-
-Ahahah! Mi farò perdonare, ok?-
 
Un giorno, mentre passeggiava in solitudine, re Alfred vide un giovane ragazzo seduto sugli scogli che osservava con sguardo perso l’orizzonte. Vi si avvicinò e i due presero a parlare del più e del meno. Col passare del tempo, iniziarono ad incontrarsi tutti i giorni: il re andava a fare la sua passeggiata e il ragazzo si trovava sempre seduto sugli scogli a fissare il mare. I due cominciarono lentamente a conoscersi e, nonostante le differenti classi sociali, diventarono molto amici.
Venne, in seguito, il momento in cui il re dovette scegliere la sua regina e, senza alcuna esitazione, pronunciò il nome del suo nuovo amico.
-Arthur sarà la mia regina-.

 
-Arthur?!-
-Te l’ho detto che mi sarei fatto perdonare-
-Stai scherzando? Tu saresti il re e io la regina? Perché non facciamo il contrario?
-Quando racconterai tu la storia metterai i nomi che vuoi. E adesso lasciami andare avanti-.
 
La nuova regina venne condotta a corte. Alfred era molto fiero della propria scelta: il rapporto tra lui ed Arthur meramente di amicizia non avrebbe in alcun modo interferito con le faccende del regno. Ed infatti fu così. Il regno di Picche si risollevò velocemente dalla crisi, il pane non mancava e l’economia riprese. Il re e la regina governavano con saggezza, senza lasciarsi coinvolgere emotivamente. Tutto sembrava perfetto nel regno di Picche.
Un caldo giorno d’estate, la regina sedeva in giardino, leggendo un libro all’ombra di una grande quercia. Un fresco venticello soffiava portando con se i profumi esotici di terre lontane. La regina sedeva nell’erba, immersa nella lettura, quando, all’improvviso, la sua attenzione fu attirata da un coniglietto bianco che le balzò davanti agli occhi. La regina lo osservò, mentre correva tra i fili d’erba. Quando lo vide allontanarsi, si alzò, quasi istintivamente, lasciando a terra il suo libro, e lo seguì. L’animaletto balzò a destra e a manca, indi si infilò sotto una siepe accostata contro le mura, sparendo del tutto dalla vista. La regina allungò una mano verso la siepe. Dietro di essa c’erano le mura del palazzo, dove poteva essere finito il coniglio? Tuttavia, la sorpresa la colse quando la sua mano non sentì i freddi mattoni. Il muro si interrompeva ad un certo punto, per poi riprendere poco dopo, lasciando un’apertura non troppo grande, ma abbastanza affinché una persona potesse passarci. La regina prese a strappare le fronde della siepe, indi si avventurò oltre il piccolo arco. Scese un paio di gradini e ciò che vide la lasciò a bocca aperta. Davanti ai suoi occhi si estendeva un piccolo giardino ove il tempo sembrava essersi fermato. Le piante erano verdi e rigogliose, i fiori sembravano fare graziosi inchini al tuo passaggio e l’erba ti accarezzava dolcemente le piante dei piedi. Acqua limpida zampillava da una piccola fontanella accanto ad un bellissimo roseto. La regina vi si avvicinò, inebriandosi per un momento del profumo di quei fiori rossi e delicati, come le labbra delle fanciulle in primavera. Aveva sentito spesso la leggenda del Giardino Segreto, ma mai aveva creduto che questi potesse esistere veramente.
-Pensavate fosse solo una leggenda, non è vero?-
All’udire quella voce la regina sussultò. Si voltò, trovandosi a faccia a faccia con un uomo anziano, dai lunghi capelli bianchi, legati in una coda e il viso solcato da profonde rughe. Camminava curvo, reggendosi con un bastone di legno.
-Perdonatemi se Vi ho spaventata, Maestà- disse ancora lo sconosciuto -Io sono un semplice cavaliere al quale il precedente sovrano aveva affidato la cura di questo giardino-
-Ma il sovrano è morto-
-Lo so, ma io no-
-Prego?-
-Il compito che mi è stato affidato è quello di prendermi cura di questo giardino e questo continuerò a fare fino alla fine dei miei giorni-
La regina rimase per qualche secondo in silenzio, ammirando la bellezza della natura che la circondava, la abbracciava e la coccolava.
-È bello, non è così?- parlò il cavaliere -Perché non ci portate il Vostro re, Maestà? Sa, il precedente sovrano e la sua consorte trascorrevano qui la maggior parte del tempo, adoravano questo posto, era il loro piccolo segreto. Ogni coppia dovrebbe averne uno, Lei non crede?-
Arthur fece per ribattere, ma qualcosa lo fermò. La voce preoccupata di Alfred dall’altra parte delle mura lo chiamava. Si congedò velocemente dal cavaliere e se ne andò.
Alfred gli corse incontro.
-Dove diavolo eri finito? I servitori ti stavano cercando, ma hanno trovato solo il tuo libro. Ero preoccupato!-
-Ero solo andato a fare due passi- bofonchiò, mentre nella sua testa risuonavano le parole del cavaliere. “Ogni coppia dovrebbe averne uno”. Lui ed Alfred erano…una coppia? Erano diventati amici per caso, ma oltre a questo nient’altro. Da quando viveva a corte, Arthur aveva dovuto cambiare le proprie abitudini, cominciare a vivere da regnante, con tutti i sacrifici che questo comportava, oltre che i lussi. Da quando viveva a corte, lui ed Alfred non avevano mai parlato in privato, come facevano un tempo. Tutto d’un tratto quel ragazzo con gli occhi color del cielo conosciuto per caso in una mattina sugli scogli era diventato un perfetto sconosciuto. Ma, a mano a mano che il tempo passava, Arthur si rendeva conto di quanto forte il suo cuore battesse ogni volta che i suoi occhi incrociavano quelli del suo re, ogni volta che questi gli donava uno dei suoi sorrisi radiosi. Ogni volta che sentiva la sua voce allegra e gentile, qualcosa dentro di lui nasceva e sbocciava. Per poi morire nella consapevolezza che tutto ciò fosse immorale e distruttivo e nella certezza che il suo sentimento non sarebbe mai stato ricambiato.

 
Quando l’americano pronunciò quelle parole, Arthur avvampò. Il suo viso si colorò di un rosso vivo e con uno scatto si mise in piedi.
-Che ti prende?- chiese Alfred, notando il suo imbarazzo, ma non riuscendo a trovarci una logica spiegazione.
-Ehm…niente, niente, vado…vado a vedere se hanno bisogno di me…- boccheggiò incerto l’inglese, per poi uscire velocemente dalla stanza. Quando fu fuori, richiuse la porta alle sue spalle e si abbandonò con la schiena contro il muro, prendendo ampi respiri. Dannazione! Perché quel maledetto americano doveva metterlo in situazioni così imbarazzanti?
 
Il tempo passava, tuttavia il sentimento di affetto sempre più profondo che la regina sentiva crescere dentro di se non accennava a sparire. Doveva ammetterlo: si era innamorata del suo re. E il suo sogno era destinato a non avverarsi mai.
Un giorno ricevette la notizia che il vecchio cavaliere del re era morto. Il giardino segreto era, dunque, destinato a sparire, a trasformarsi in un’indefinita boscaglia dimenticata da tutti, viva solamente nelle vecchie leggende e nel cuore della regina. Non poteva finire così!
La regina afferrò il polso del suo re e lo trascinò per tutto il giardino.
-Dove mi stai portando?- si lamentava il re -Abbiamo del lavoro da fare, ti sembra il momento di fare le passeggiate in giardino?-
Ma la regina non ascoltava e seguitava nella sua strada. Giunta alla siepe, la scostò ed insieme al re varcò l’ingresso del giardino.
-Questo è il Giardino Segreto. Ne hai sentito parlare?-
Il re si voltò verso la sua regina. Diceva sul serio? Il Giardino Segreto? Non era soltanto una leggenda?
-Il cavaliere di tuo padre che se ne prendeva cura è morto. Volevo mostrartelo, prima che cadesse in rovina-
Arthur distolse lo sguardo, arrossendo un poco in volto. Il re, assorto in quel paesaggio così meravigliosamente naturale che gli si era presentato davanti, era rimasto senza parole.
-Questo…- parlò -era il luogo dove mio padre e mia madre passavano il tempo insieme. Mio padre mi ci portò quando ero ancora un bambino. Evidentemente mi ero dimenticato della sua esistenza. Però…-
A quel punto, i suoi occhi si posarono su Arthur ancora rosso in viso. Alfred si avvicinò e gli posò delicatamente una mano sulla guancia.
-Però- continuò -promisi che, un giorno, ci avrei portato la mia regina-
I suoi occhi celesti erano ora fissi in quelli smeraldini dell’altro. La mano sulla guancia accarezzava la pelle morbida. E lentamente le loro labbra si unirono. Il re posò le sue labbra sulle quelle umide della regina. Socchiusero gli occhi, abbandonandosi nei rispettivi abbracci. La dolcezza di quel bacio li pervase, mentre tutt’attorno la natura taceva. Lentamente, si adagiarono sul manto erboso e al cospetto della natura che ancora taceva, fremeva e respirava, sancirono la loro unione. In quel giardino non esistevano più le leggi del regno, non esistevano i dettami di corte, non esisteva il controllo, non esisteva nulla se non l’amore nella sua forma più bella, pura e sincera. E il re capì di aver commesso il suo errore fatale: aveva amato la sua regina. L’aveva amata con tutto il suo cuore, le aveva donato tutto ciò che possedeva, l’aveva resa assolutamente indispensabile per la propria felicità. Mai errore fu più dolce.

 
-Signor Jones! Vedo che oggi è in ottima forma! Ho una buona notizia da darle: abbiamo terminato tutti gli esami e domani mattina la dimetteremo-
Alfred sedeva sul bordo del letto, accanto ad Arthur. Quando il dottore era entrato nella stanza con un sorriso che andava da orecchio a orecchio, entrambi si erano voltati a guardarlo, aspettando chissà quale notizia.
-Non è contento, signor Jones? Potrà tornare dalla sua famiglia-
Alfred accennò un sorriso. Lo avrebbero dimesso. Dopo più di due mesi lo avrebbero dimesso. Non riusciva a crederci. Ma ora cosa avrebbe fatto? Suo fratello Matthew si trovava ancora coinvolto in quella guerra e lui non poteva fare nulla per aiutarlo. Avrebbe voluto tornare a combattere, ma le sue gambe erano completamente fuori uso. Cosa gli rimaneva da fare? Sospirò. Sarebbe tornato a casa, nella sua casa negli Stati Uniti e avrebbe vissuto la sua vita, la sua insulsa e monotona vita.
Quando Arthur si voltò verso l’americano fu sorpreso non poco dal non vedere su sul viso nessun sorriso, nessuna gioiosa reazione. Il medico se ne andò e, quando furono di nuovo da soli, Arthur chiese:-Alfred, che ti prende? Non sei felice? Finalmente te ne potrai andare di qui, potrai tornare a casa…-
-Casa…- ripeté Alfred in un sussurro.
Non aveva ancora finito di raccontare la storia.
 
***

-Stai già facendo le valigie?-
L’americano voltò di scatto la testa a quelle parole. Sulla porta della stanza, Arthur era in piedi. Un sorriso dolce stampato sul viso.
-Cosa ci fai ancora qui? Non hai finito il tuo turno?-
-Sì, ma, dato che domani te ne tornerai in America…beh, non vorrai lasciarmi senza raccontarmi il finale di quella storia-
Alfred sorrise.
Arthur. Da quando quella stupida guerra era cominciata, lui era la cosa migliore che gli fosse capitata.
 
Il re e la regina passavano intere giornate abbracciati nel loro Giardino Segreto. Un nuovo cavaliere era stato ingaggiato perché se ne prendesse cura e tutto sembrava essere tornato improvvisamente al suo posto. I due vivevano il loro amore in segreto, mentre a corte si comportavano freddamente, come avevano sempre fatto. Ma sotto quelle maniere fredde e distaccate, entrambi nascondevano un calore unico al quale solo in quel giardino, unica testimone la natura, si abbandonavano completamente.
Un giorno, però, il loro amore venne scoperto. I consiglieri del re, onde evitare una nuova crisi come quella che il regno aveva affrontato con il sovrano precedente, decisero per un colpo di stato: avrebbero spinto la popolazione all’insurrezione contro i sovrani, li avrebbero deposti e condannati a morte e nel Regno di Picche un nuovo governo sarebbe sorto.
Gli abitanti, terrorizzati dalla terribile crisi che sarebbe potuta nascere, attaccarono il castello. Il re stringeva la sua regina, baciandole la fronte, seduti nel prato del loro giardino, mentre le urla oltre le mura crescevano, facendosi ogni istante più infuriate e vicine.
I due vennero scoperti. Il Giardino Segreto dato alle fiamme. Nulla più rimase a testimoniare il loro amore.
Il re e la regina vennero portarti sullo scoglio più alto del regno. La loro morte era stata decisa e nulla avrebbe più potuto salvarli.
-Ultimo desiderio?- chiese la folla.
-Slegatemi i polsi- disse il re -Lasciatemi stringere un’ultima volta la mia regina-
Così venne fatto. Il re prese tra le braccia la sua regina e si avvicinò all’orlo del baratro. Il mare risuonava e ululava sotto di loro e le onde si infrangevano trasformandosi in schiuma.
Senza dire una parola, il re saltò. La regina tra le sue braccia. Si scambiarono un ultimo bacio prima di essere accolti dal mare.
Da allora il regno di Picche visse un’epoca di grande splendore e prosperità. Nessuno ricordò il re, la regina e il loro giardino. Come polvere al vento, i ricordi sparirono.

 
-Finisce così?- domandò Arthur con un filo di delusione nella sua voce.
-Sì- rispose Alfred.
-Non è un finale felice-
-Loro sono morti insieme, quindi, in un certo senso, erano felici-
-Sì, ma non lo si può considerare un lieto fine-
Arthur sospirò. Questi finali tristi non erano decisamente il suo genere. Forse perché aveva un animo profondamente romantico. Oppure perché li temeva. Temeva che anche la sua vita potesse avere un finale del genere. Un finale che, a quanto sembrava, si ripeteva più e più volte nel tempo. Ora stava accadendo di nuovo. Con Alfred.
Non era mai riuscito a spiegarsi razionalmente perché ogni giorno si fermasse più del dovuto nella stanza dell’americano. Nemmeno perché le sue condizioni lo preoccupassero così tanto, rispetto a quelle di altri pazienti. Non era riuscito a spiegarsi nemmeno perché, quando gli avevano detto che Alfred sarebbe stato dimesso, qualcosa di freddo ed umido gli avesse pizzicato gli occhi. In mezzo ai morti e ai feriti, il sorriso di Alfred era l’unica cosa che lo spingesse ad andare avanti.
L’inglese fece per alzarsi e per andarsene, ma la mano di Alfred gli artigliò il polso.
-Il realtà…- disse con un filo di voce -la storia non finisce così-
-Ah no?-
-No. La leggenda narra che un angelo, commosso dalla loro storia, portò in Cielo le loro anime, trasformandole in due stelle, una accanto all’altra-
Arthur accennò un sorriso dolce. Quel finale era decisamente migliore.
Senza pensarci un secondo di più si chinò, prese il viso dell’americano tra le mani e lo baciò. Un attimo di smarrimento poté leggere nei suoi grandi fari azzurri, giusto prima che questi si chiudessero ed egli si lasciasse trasportare dall’impeto di quel bacio improvviso, così teneramente ingenuo, ma carico di desiderio. Per troppo tempo, Arthur aveva ammirato le labbra di Alfred mentre queste gli narravano quella favola, senza avere mai il coraggio di baciarle. Per troppo tempo, Alfred aveva fatto lo stesso. Tutto l’amore e la passione repressi sfociarono lì, in quel momento. Sulle loro labbra, sui loro corpi, nei loro respiri. Nei loro cuori.
 
-Mi mancherai-
-Anche tu, Arthur-
-Abbi cura di te-
-Lo farò-
Gli addii. Come i finali tristi, erano una cosa che Arthur non sopportava. E quella volta nemmeno un ragazzo giovane, allegro e pieno di vita come Alfred l’avrebbe presa con leggerezza.
-Arthur…posso chiederti una cosa?-
-Dimmi-
-Noi…noi non possiamo stare insieme, vero?-
Qualcosa all’interno dell’inglese, più o meno all’altezza del cuore, si spezzò. Si frantumò in mille pezzi e rimase lì a vagare, conficcandosi con forza nella carne, facendo male. Tanto. Troppo.
-Sai,- riprese il più giovane -secondo me, non esisteva nessun Giardino. Credo che fosse solamente una rappresentazione, una metafora per indicare il loro segreto, il loro amore. Non è poi così diverso per noi, non trovi?-
-Alfred, cosa stai cercando…?-
-Arthur, quello che sto dicendo è che non importa se non possiamo farlo alla luce del sole. Sono disposto a portare il peso di un tale segreto sulle spalle. Non mi importa se dovrò camminare al buio…finché al mio fianco ci sarai tu-
Così dicendo, allungò una mano, prendendo quella dell’inglese nella sua. I suoi occhi verdi di colmarono di lacrime. In un gesto disperato, si lanciò con le braccia attorno al collo dell’americano, affondando il viso nei suoi capelli dorati, inebriandosi del suo profumo.
-Avremo anche noi il nostro Giardino Segreto?-
Alfred ridacchiò e rispose: -Non me la cavo particolarmente bene in botanica, ma possiamo provarci-
Una risata allegra risuonò nell’aria circostante. I loro visi vicini, le fronti appoggiate, poche lacrime a bagnar loro le guance. Non era un mondo da favola o una vita da sovrani quella che si profilava per loro. Ma tutto, in quel mondo, pareva perfetto così com’era. Nelle braccia del suo re, sulle labbra della sua regina.
 
Epilogo
Un giorno, un angelo del Signore, preso dalla nostalgia di quella che un tempo era stata la sua casa, scese sulla Terra.
Mentre passeggiava lungo la spiaggia, osservando in lontananza uno scoglio irto e scaglioso sopra il quale sorgeva un imponente castello, vide, sdraiati sulla sabbia, due uomini. Si avvicinò cautamente, per poi accorgersi che i loro petti era immobili, i loro respiri fermi. Erano morti. L’angelo li osservò. Erano due splendidi giovani dai capelli color dell’oro. I visi erano lisci e puliti, due ragazzi nel fiore degli anni che, quasi sembrava, stessero dormendo. Le loro mani erano incrociate l’una nell’altra, in una stretta fedele ed indissolubile.
-Signore, come sono morti questi due uomini?- domandò l’angelo.
Il Signore rispose: -Erano re e regina, padroni di terre. Si amarono in un giardino. L’amor li unì e li uccise per mani crudeli-
L’angelo osservò teneramente i due giovani. Indi posò la sua mano sulle loro ancora strette.
-Siete stati padroni di terre, amanti sfortunati. Con la benedizione di Dio, siate ora due stelle. Siate re e regina del cielo notturno, mentre una rosa, per voi, sboccerà nel vostro giardino-
Detto questo, i due corpi sparirono, insieme all’angelo del Signore.
La notte brillò con due nuove stelle sopra la landa di Picche, mentre una rosea gemma solitaria, nella terra bruciata, nasceva.

 
 

Se tu vuoi bene ad un fiore che sta in una stella, è dolce, la notte, guardare il cielo.
Antoine De Saint-Exupéry

  
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