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Autore: 1rebeccam    03/10/2012    20 recensioni
"Qui puoi fare parlare il silenzio… oppure… aspettare solo che questo giorno finisca…"
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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FedPompy… non è una rossa  :p  ma te la dedico lo stesso: BRUCIA DRAGO VELENOSO  >.<
 
E poi non posso non dedicarla a te Vale, dici sempre che attento alla tua vita, ma io, giuro, non lo faccio apposta! Anzi spero ardentemente che non ti capiti nulla di male, soprattutto a causa mia… voglio dire, poi chi mi sopporta più!!!
 






 

 

A Due Passi dal Cielo



 

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Le mani affondate nelle tasche, il cappotto chiuso fin sotto al collo, la sciarpa attorcigliata più volte, fino al naso. Se non fossimo a New York, la patria della gente che corre frenetica giorno e notte, senza curarsi di quello che accade ad un passo dal proprio naso, potrei anche passare per una un po’ strana.
Nessuno stamattina è imbacuccato come me.
Siamo in gennaio, ma è una splendida mattina di sole e nessuno sembra avere freddo.
Dopo natale, la neve ha deciso che era ora di una pausa, così da qualche giorno le strade sono pulite e l’aria non è per niente fredda.
Continuo a stringere le spalle dentro al cappotto e a tirare su la sciarpa che ogni tanto scivola via, mostrando il mio viso.
La verità è che spero di essere invisibile, come se la mia sciarpa avesse il potere di farmi sparire.
Voglio nascondermi, dal mondo, dalla vita, dal freddo improvviso che mi ha sopraffatta senza motivo. Un freddo che sento dentro le vene.
Sento il sangue gelare. Rabbrividisco, man mano che scorre e irrora i miei organi interni.
Il mio freddo non ha niente a che vedere con l’inverno, con la neve, con gennaio.
Il mio, è un freddo pungente, tagliente, che inibisce i sensi.
Qualcosa che provo solo in giorni come questo.
Continuo a rimettere a posto la sciarpa, per impedire che qualcuno, magari meno di fretta del solito, possa soffermarsi a guardarmi e vedere le lacrime che continuano a scendere dai miei occhi, senza che abbiano avuto un comando ben preciso.
Cammino, andando contro corrente, con una calma inquietante e le spalle curve, in mezzo ad un mare di gente che, invece, corre e corre… ed ha sicuramente un posto dove andare, al contrario di me, che vago per le vie della città, come se mi fossi persa.
Ma è vero… io mi sono persa. Tanto tempo fa!
 
-Se non ci sono chiamate urgenti, domani verrei due ore dopo, signore, sempre che lei sia d’accordo.-
Il capitano mi guarda con sguardo serio, annuisce, ed io ringrazio con un movimento della testa e mi volto per andarmene.
-Tieniti reperibile comunque, sai com’è… gli assassini non badano alle nostre esigenze.-
Mi dice mentre sono sulla porta. 
Il tono è neutrale, ma se mi voltassi sono sicura che la sua espressione sarebbe quella malinconica di un padre, che sente una stretta di dolore per la figlia, perché consapevole di non poterla aiutare in alcun modo.
Arrivo all’ascensore a testa bassa. 
Una volta dentro, scuoto la testa e sorrido, pensando all’affetto sincero che mi lega a quell’uomo, alla pazienza che mi ha sempre dimostrato, alla durezza con cui mi ha aiutata a diventare quella che sono: una buona detective.
La mattina seguente mi aspettava una prova di coraggio.
Avevo una meta ben precisa…
 
Stamattina sono uscita di casa con una meta ben precisa.
Sapevo esattamente dove andare…
Ma a metà strada, una fitta al petto mi ha costretta a piegarmi su me stessa, mi sono appoggiata al muro. Qualcuno troppo di fretta nel suo cammino, mi è arrivato addosso, ha pronunciato un veloce ‘scusi’ ed è sparito. Mi mancava il respiro, sentivo che sarei potuta morire lì, in mezzo alla strada e non avrei fatto nulla per cambiare le cose, non avrei urlato, non avrei chiesto aiuto.
Sarebbe finito tutto… finalmente!
Quando la testa ha finito di girare e il respiro è tornato quasi normale, ho guardato verso la mia meta, ma ho sentito il cuore ricominciare a galoppare e allora ho deciso di cambiare strada. Sono tornata sui miei passi, mi sono stretta dentro al cappotto e ho nascosto, ancora una volta, le mie lacrime al mondo.
Senza rendermene conto, arrivo nell’unico posto che mi fa sentire al sicuro, nell’unico posto che, anche  oggi, sarà il mio covo, la mia casa, la mia sicurezza.
Guardo il palazzo del dodicesimo distretto e sospiro, scosto la sciarpa, passo le mani un paio di volte sul viso ed entro nel mio regno.
Sarà che ci passo praticamente tutto il giorno, saranno le facce conosciute che mi salutano con affetto, sarà che il mio lavoro mi tiene attaccata ad una vita, che ormai si trascina dietro di me, stanca e inutile, ma non vedevo l’ora che le porte dell’ascensore si aprissero, per respirare l’odore di quel posto.
Saluto i pochi presenti, vista l’ora troppo mattutina e mi dirigo alla mia scrivania.
Cerco di sbrogliare la sciarpa, che è diventata una trappola attorno alla mia gola, tanto l’ho girata e rigirata perché mi proteggesse e adesso pare voglia soffocarmi.
Un odore di caffè fresco, al profumo di vaniglia invade le mie narici.
Ero così intenta a litigare con la sciarpa, che non l’avevo notato. Riesco a togliere il cappio e mentre lo poggio sulla sedia, mi guardo intorno.
Non c’entrano niente le ore che passo qui dentro e nemmeno le facce che ormai conosco da una vita. Il motivo per cui non vedevo l’ora di arrivare oggi, come tutti gli altri giorni della settimana, è lì, sulla mia scrivania.
Non sono nemmeno le 7.30, ma il mio caffè è già lì, caldo, profumato, che aspetta le mie labbra.
Quello strano gelo nel sangue, diventa tiepido improvvisamente e il calore si espande lentamente e piacevolmente per tutto il corpo.
-Già in ufficio detective? Ti aspettavo tra un paio d’ore.-
Mi volto verso la voce autoritaria, per trovarmi davanti ad un tenero mezzo sorriso.
-Ho fatto presto capitano, prima di quanto pensassi.-
Rispondo un po’ imbarazzata, so che ha già capito che non ci sono riuscita… nemmeno oggi.
Infatti annuisce sorridendo mesto.
-Castle ti ha portato il solito caffè, stamattina deve essere caduto dal letto.-
Dice quasi ridendo e quando si rende conto che continuo a guardare di qua e di là, si schiarisce la voce, per non scoppiare a ridere sul serio.
-Credo sia in bagno… tranquilla, non ha nessuna intenzione di scappare.-
Le guance devono essermi diventate vermiglie, solo così si spiega il fatto che ho la sensazione che stiano per prendere fuoco. Montgomery deve averlo notato, perché si schiarisce ancora la voce, con una finta tosse, degna del peggiore attore che sia mai esistito.
-Comunque, oggi dovrai vedertela con le scartoffie, grazie al cielo, niente omicidi… fino ad ora!-
Si mette le mani in tasca e sparisce nel suo ufficio scuotendo la testa.
Cerco di riprendere un colorito normale, guardo l’ora. Sono le 7.45, prendo dal cassetto una pila di fascicoli e la divido in tre. Due le poso sulle scrivanie di Ryan ed Esposito, che tra poco arriveranno e saranno felici di trovare i rapporti da compilare già pronti ad aspettarli, l’altro, bello consistente, lo lascio per me… sarà una lunga giornata.
Mi tolgo finalmente il cappotto, mi siedo e prendo il bicchiere del caffè.
Tolgo il tappo.
Annuso l’aroma e chiudo gli occhi.
Profumo di casa… di lui… 
Spalanco gli occhi, cercando di capire il senso di quell’ultimo pensiero, ma non ne ho il tempo.
-Ehi detective, buongiorno!-
Il tuo profumo si mischia nell’aria con quello del caffè, il tuo sorriso m’investe e i tuoi occhi mi danno il colpo di grazia.
-Tutto bene?!-
Mi chiedi bloccandoti prima di arrivare alla tua sedia. Domanda plausibile, visto che sono rimasta come incosciente, dopo il colpo di grazia.
-Certo…-
Rispondo non molto sicura, così sollevo il bicchiere verso di te, sorridendo.
-Grazie! Anche se non pensavo di trovarti già qui a quest’ora, specie senza cadaveri in giro.-
Cerco di essere spiritosa, ma la mia espressione mi tradisce sicuramente, mi stai guardando serio ed io comincio a sentirmi a disagio.
Finalmente ti siedi al tuo posto, strofini le mani e sorridi di nuovo.
-Mi sono svegliato presto e non sono più riuscito a prendere sonno, perciò… eccomi qua. Ai tuoi ordini!-
Sorrido malefica, prendo un fascicolo e te lo piazzo davanti alla faccia.
-Mi spiace tanto per te Castle, ma oggi il distretto passa solo questo.-
Ti accigli, guardando il fascicolo nelle mie mani e il malloppone sulla scrivania. Fai una faccia disgustata.
-Niente cadaveri non identificati? Niente teste senza corpi o corpi senza teste?-
Io scuoto la mia di testa e tu continui nella tua smorfia.
-No, grazie, il lavoro pericoloso lo lascio a te, sei tu quella con la pistola.-
Mi fingo indignata e lancio il fascicolo sulla scrivania con più forza del dovuto.
-Puoi anche tornartene a casa allora.-
Mi metto al lavoro, consapevole che non ti muoverai da quella sedia per tutto il giorno.
Sbufferai, sospirerai, cercherai di instaurare una discussione stupida che io ammazzerò sul nascere con uno dei miei sguardi assassini, come li chiami tu e mi darai il tormento per tutto il giorno…
Ma non è forse questo il motivo per cui non vedevo l’ora di arrivare qui? 
Le due ore successive si svolgono esattamente come le avevo immaginate, sembra un copione standard, ormai, quando non siamo in giro ad indagare.
Scrivo stancamente, senza seguire bene un filo logico. La mia mente torna al mattino per le vie di New York, quando quasi vicina alla meta, la mia codardia mi ha fatta tornare indietro.
Devo essermi incupita di nuovo, perchè tu da un po’, non parli più. Non giochi con il tuo cellulare, non ti muovi, non sospiri, non sbuffi. Sento istintivamente il tuo sguardo addosso e non oso guardarti, mi chiederesti cose, di cui adesso, non ho nessuna voglia di parlare.
Vorrei solo che questa giornata finisse più in fretta delle altre, vorrei che te ne tornassi a casa e la smettessi di fissarmi. Vorrei chiudere gli occhi e non riaprirli più, fino a domani.
Ad un tratto ti alzi, mi metti il cappotto sulle spalle, la sciarpa attorno al collo in malo modo, afferri la mia mano e mi costringi ad alzarmi, praticamente trascinandomi.
-Vieni con me.-
Resto un attimo spiazzata, ma mi riprendo subito. Ti strattono riportandoti indietro.
-Ma si può sapere che stai facendo?-
Chiedo mentre  mi tolgo in fretta il cappotto e la sciarpa, rimettendomi a sedere.
-Io starei lavorando, se non te ne fossi accorto.-
Ma tu non sembri aver capito… mi ritrovo di nuovo il cappotto sulle spalle e la sciarpa al collo. Mi prendi ancora per mano e mi costringi a mettermi in piedi, con più forza stavolta.
-Tu ed io abbiamo una cosa urgente da fare.-
Dici calmo, attaccato al mio viso, mentre l’intero piano ci sta guardando. Probabilmente fai leva sul mio imbarazzo ai loro sguardi interrogativi e soprattutto a quelli indecifrabili di Ryan ed Esposito, per convincermi.
In effetti riesci nel tuo intento.
Decido che ti ucciderò una volta fuori dal distretto, lontano da occhi indiscreti.
Mi trascini in ascensore. Non mi guardi, sai che ti sto odiando. Arriviamo alla macchina e ci mettiamo davanti allo sportello del guidatore insieme e anche lì ti guardo in modo minaccioso, ma tu sorridi sornione. Alzi la mano e mostri il ‘mio’ portachiavi con le chiavi della macchina. Devi averlo  preso dalla tasca del cappotto mentre me lo mettevi addosso.
-Guido io, oggi tu fai la parte del passeggero, è un ordine detective.-
Sei così deciso ed io così stanca di questa giornata, che decido di arrendermi.
Siamo solo a metà mattina e non riesco a pensare alle infinite ore che mi aspettano, prima della prossima alba. Così, storcendo le labbra, faccio il giro della macchina, salgo dalla parte del passeggero, allaccio la cintura e con le braccia conserte, aspetto che tu parta per… non so per dove e non voglio nemmeno saperlo.
Guidi in silenzio, senza guardarmi, sembriamo due estranei sulla stessa macchina.
Io sono arrabbiata, tu sembri tranquillo.
Parcheggi nelle vicinanze di Central Park. Quando scendo dalla macchina, mi prendi di nuovo per mano e la cosa mi blocca per la seconda volta. Lo fai con tanta naturalezza, come se per noi due, fosse logico e normale camminare mano nella mano.
Entriamo da uno dei cancelli laterali, non riesco a raccapezzarmi in quale lato del parco ci troviamo. Una cosa è certa, non sono mai stata qui.
Ci ritroviamo in un punto completamente deserto, lasci la mia mano e ti sporgi verso un groviglio di sterpaglie davanti a noi. Non riesco a capire che intenzioni hai, fino a quando non scosti con forza le sterpaglie e mi fai segno con la testa di passarci oltre. Guardo titubante, vedo una specie di sentiero, che non sapevo esistesse. Ero convinta che lì dietro ci fosse un muro di cinta.
-Dai fidati, non ci sono bestie feroci… sbrigati prima che qualcuno ci veda.-
Questo mi fa pensare che sia una zona del parco in cui non dovremmo essere. Mi guardo intorno e infatti scorgo transenne, nastri arancioni e cartelli con la scritta ‘pericolo’ sparsi qua e là.
-Oh… non badare ai cartelli, sono lì da un secolo. Non c’è nessun pericolo, fidati.-
Ti guardo in cagnesco, ma tu sorridi ed io sospiro e passo oltre, sollevando gli occhi al cielo.
Sono già esasperata.
Dopo essere passato anche tu oltre il groviglio, lo richiudi per bene, per non lasciare intravedere l’esistenza del sentiero dall’altra parte, mi prendi ancora per mano e mi trascini attraverso la stradina.
-Dove stiamo andando Castle? Cos’è questo posto?-
Man mano che ci addentriamo nel sentiero, mi rendo conto che stiamo salendo, davanti a noi si diramano erbacce, rovi, tutto quello che cresce in una boscaglia lasciata al caso. E’ evidente che nessuno si è mai curato di questa zona del parco. Mi stupisco della tua agilità, ti arrampichi veloce e sembri non sentire la stanchezza, io invece comincio ad avere il fiatone, forse perché, mentre mi trascini per mano, continuo a guardarmi intorno incredula e curiosa di sapere dove mi stai portando.
La vegetazione si fa più fitta. Più saliamo, più faccio fatica ad intravedere il sole. Tu  fai bene attenzione a sollevare i rami secchi e le erbacce che scendono giù dagli alberi, impedendogli di attorcigliarsi sulle nostre teste.
-Castle, ma dove stiamo andando?-
-Che c’è Beckett… non ti fidi di me?-
Se non  ti conoscessi penserei che sei un maniaco e che stai cercando un posto occulto dove lasciare il mio cadavere.
-Certo che mi fido, ma sapere se stiamo andando a cercare Pollicino o magari a trovare la nonna di Cappuccetto Rosso, potrebbe anche farmi preparare psicologicamente.
Ti fermi di colpo, tanto che ti sbatto contro. Mi guardi ridendo, sorpreso della mia sottile ironia ed io abbasso lo sguardo, anche se non ne capisco il motivo.
-Io non vedo briciole a terra, perciò è probabile che Cappuccetto Rosso ci stia aspettando con le focacce a casa della nonna…-
Ti rimetti in cammino, divertito e sollevi le spalle.
-Speriamo solo di non trovare anche il lupo!-
Ridi alla tua battuta, mentre io alzo gli occhi al cielo, che non vedo, perché adesso siamo proprio ricoperti da un bosco in piena regola.
Camminiamo si e no da solo cinque minuti, ma sembra che questo lasso di tempo ci abbia portato improvvisamente in  un altro luogo e in un altro tempo.
Afferri un’altra manciata di sterpaglie che pendono da… non so cosa e improvvisamente la luce accecante del sole ci investe. Alziamo la mano contemporaneamente per ripararci gli occhi, poi fai un altro paio di passi e mi fai strada, oltre la boscaglia.
Per un attimo ho avuto la sensazione che il respiro si fosse fermato.
Per un attimo, mi sono sentita come la piccola Mary Carver, quando insieme al fidato Dickon, mette la chiave nella serratura di quella porta chiusa da anni e si ritrova improvvisamente nel giardino segreto.
Siamo sulla cima di una collina, il punto più alto di Central Park, credo. Si affaccia su una zona del parco recintata, chiusa al pubblico. Di fronte a me l’Hudson splende, infinito, sbrilluccicando alle carezze dei raggi del sole. In lontananza le isole, sembrano piccole e irraggiungibili e molto più lontano, il cielo si congiunge con l’acqua, con una linea invisibile.
Riprendo a respirare, quando lasci la mia mano. Mi volto a guardarti e mi rendo conto che invece di ammirare la meraviglia davanti a noi, stai guardando me, con un sorriso che definire dolcissimo, non rende l’idea.
-Non… sapevo l’esistenza di questo posto.-
-Credo che lo conoscano in pochi. Forse i vecchi custodi, ma da anni non se ne cura più nessuno. Il sentiero era ritenuto pericoloso, soprattutto per i bambini, così hanno chiuso questa parte del parco, per evitare grane. Io l’ho scoperto da bambino.-
Ti avvicini quasi al precipizio e ti siedi su un masso grande. Ti guardi intorno sorridendo e fai segno con la mano, perché mi sieda accanto a te.
Restiamo in silenzio qualche minuto.
La bellezza e la pace di questo posto tolgono il fiato. Siamo nel centro della città e sembra di essere in una di quelle isole sperdute e deserte, meravigliose, dove lo sguardo si perde all’infinito.
-Com’è che l’hai scoperto?-
Ti chiedo quasi senza rendermene conto.
-Avevo avuto una giornataccia a scuola, davvero nera. Un paio di compagni di classe, avrebbero meritato la camera a gas, in quanto a cattiveria. Non avevo voglia di tornare a casa, così sono venuto al parco. Mi sono detto che fare l’esploratore, poteva essere divertente.-
Parli guardando lontano, verso quella linea invisibile tra acqua e cielo.
La tua voce è calda, malinconica, mentre fai riferimento ai tuoi compagni, che ti prendevano in giro, il più delle volte perché non avevi un papà.
-A 8 anni non è facile capire perché tutti hanno un papà, mentre io sembrava fossi nato per virtù dello spirito santo. Non riuscendo a capire, non avevo risposte e non avendo risposte, restavo zitto, così mi davano dello stupido, oltre che… beh… lasciamo stare.-
Ti fermi un istante, un attimo in cui mi guardi e per una volta io non abbasso gli occhi. Una lontana tristezza ti riporta indietro, poi sorridi e sposti ancora lo sguardo lontano.
-Ho trovato per caso l’entrata al sentiero e naturalmente, non ci ho pensato due volte a seguirlo. Quando sono arrivato qui, non riuscivo a crederci. Sono rimasto imbambolato non so per quanto tempo, all’improvviso era tutto sparito: la scuola, i compagni, il dolore. Sembrava tutto così inutile davanti a tanta immensità.-
Continuo a guardarti, mentre parli. La tua espressione e infinitamente più bella di quello che vedo attorno a me.
Resti in silenzio e in quel momento, anch’io guardo oltre l’orizzonte.
-Chi altro conosce questo posto?-
Abbassi lo sguardo sulle tue mani incrociate a penzoloni sulle ginocchia e sorridi.
-Solo Alexis… mica ci porti chiunque in un posto come questo. E’ speciale, per i momenti speciali, siano essi belli o tristi o brutti.-
Non ti chiedo niente,  ma sai che vorrei sapere il motivo per cui ci hai portato tua figlia. Mi leggi dentro.
-Meredith l’aveva piantata in asso. Aveva 6 anni, non la vedeva da un paio di mesi e le aveva promesso che avrebbero passato un’intera settimana insieme, invece l’ha delusa per l’ennesima volta, doveva fare  un provino per non so quale film. Se ne stava chiusa in camera a piangere… non ho mai sopportato di vederla piangere, così l’ho portata qui.-
-E lei ha smesso di piangere? Non credo che questo le abbia fatto dimenticare che sua madre preferiva un film alla sua compagnia.-
Lo dico senza pensarci e me ne pento subito dopo. Mi mordo le labbra e ti guardo in segno di scuse, ma tu scrolli le spalle.
-Certo che no. Ma, secondo me, questo posto è magico. Mi sento in pace con me stesso quando sono qui. Quando ho accennato alla magia ad Alexis, lei, dall’alto della sua incredibile razionalità di bambina matura di soli 6 anni, mi ha risposto che la magia non esiste. Io mi sono mostrato ferito ‘non credere alla magia, è come dire che non credi a Babbo Natale’ le ho detto e lei ha scosso la testa.-
Sorrido, pensando a quanto Alexis, possa sembrare diversa da suo padre, mi sarebbe piaciuto conoscerla da bambina, doveva essere deliziosa. Tu stai ancora raccontando.
-Mi ha guardato imbronciata ‘papà, non vorrei infliggerti un dolore incolmabile, ma… Babbo Natale non esiste davvero!’ mi ha risposto così, distruggendo ogni mia illusione.-
Io scoppio a ridere e tu fai lo stesso appresso a me.
-Ti ha detto davvero così? E aveva solo 6 anni? Hai ragione quando dici che forse l’hanno scambiata in ospedale. Deve averti ucciso con quella rivelazione.-
Tu continui a ridere annuendo.
-Già… non riuscivo a credere che l’avesse detto. Mia figlia… la figlia di un sognatore e un credulone come me.-
Smettiamo di ridere, ti alzi e mi chiedi di seguirti poco più a destra della nostra attuale posizione. Sopra un altro grande masso vedo una grossa X scalfita sopra.
-La prima volta che sono venuto qui, ho scoperto una cosa.-
Mi fai segno di sedermi proprio dove c’è la croce, mentre tu ti posizioni esattamente dietro di me, in ginocchio, per essere alla mia altezza. Sento il tuo respiro su di me e mi sento morire. Non riesco a muovermi e a pensare. Non so che intenzioni hai, ma ti lascio fare, anche perché ho appena perso l’uso della parola e dei movimenti.
Mi metti le mani sulle spalle, sposti la testa di pochi centimetri e con la mano indichi un punto di fronte a noi.
-Guarda. Devi guardare proprio da questo punto, non muoverti, se ti sposti anche di un paio di millimetri, non riuscirai a vederlo.-
Guardo dove indichi, ma onestamente, non riesco a vedere niente, tranne l’isola di fronte, il fiume e il cielo.
-Guarda bene, in alto, nella cima più alta dell’isola. Guarda la curva che fa la collina e come si congiunge al cielo.-
Osservo attentamente, non noto niente di diverso, fino a che mi sposti il viso leggermente, di poco. Sgrano gli occhi e tu sorridi.
-Lo vedi adesso?-
Mi chiedi elettrizzato come un bambino.
-E’… sembra… ma… ma…-
Ti allontani e ridi di gusto.
-Anche Alexis ha balbettato, quando è riuscita a vederlo. Questo è un posto magico Beckett.-
Guardo ancora perplessa e meravigliata. L’incurvatura della collina che finisce verso il cielo, ha la forma di un cuore. Un cuore perfetto, come se qualcuno si fosse preso la briga di disegnarlo, sospeso nel cielo.  Ma basta spostarsi davvero di poco per non vederlo più, come se sparisse alla vista di molti, per farsi ammirare solo da quei pochi che hanno la pazienza di cercarlo.
-Avevo 8 anni quando l'ho visto la prima volta, ho segnato il punto con una X sul masso, per ricordarmi il punto preciso. Volevo urlare, volevo gridarlo a tutti, ma poi ho pensato che era una cosa solo mia. Una scoperta segreta, di cui avrei messo al corrente solo le persone importanti nella mia vita.-
Ti zittisci di colpo, forse hai appena razionalizzato quello che hai detto, io non mi muovo, non ti guardo, non respiro e tu sei bravo, come sempre, a toglierti dall’imbarazzo.
-Dopo avere smesso di balbettare, Alexis mi ha mostrato tutti i denti e gli occhi le brillavano ‘caspita papà… questa si che è una figata!’ mi ha detto. Era elettrizzata, felice, me la sarei mangiata per quanto era bella, poi mi ha abbracciato ‘hai ragione papà, questo posto è magico’, me l’ha sussurrato all’orecchio mentre mi stringeva le braccia al collo… aveva dimenticato Meredith per un po’! Siamo rimasti qui delle ore, a parlare e ad inventare storie…-
Lasci la frase a metà, ti giri a guardare ancora verso l’orizzonte, l’emozione di quel ricordo ti ha sopraffatto e sei così tenero. Sei un padre meraviglioso.
Alla fine sollevi le spalle e sorridi abbassando la testa.
-Beh… questo posto è magico… tutto qui.-
Ancora silenzio, ancora mille pensieri nella mia mente e forse anche nella tua.
Sono confusa.
-Perché mi hai portata qui Castle?-
Ti chiedo sussurrando e solo dopo mi volto a guardarti.
-Se alzi la mano, puoi toccare le nuvole. Se alzi gli occhi ti rendi conto di essere vicinissima agli angeli.-
Continuando a guardare davanti a te, metti la tua mano sulla mia, la stringi e il tuo calore mi provoca un nodo alla gola.
-Qui siamo a due passi dal cielo, Kate. Puoi parlare con lei senza necessità di gridare, perché lei è qui vicino, magari dietro a quella nuvola.-
Fai segno con l’altra mano, verso una nuvola davanti a noi.
-Qui puoi fare parlare il silenzio… oppure… aspettare solo che questo giorno finisca…-
Come ho potuto pensare che non te ne saresti ricordato? Come ho potuto pensare che arrivare all’alba  al distretto stamattina, fosse stato solo un caso. Come ho potuto pensare che quel caffè non fosse speciale. Oggi è il 13mo anniversario della morte di mia madre. Volevo andare a trovarla, ma come ogni anno, non ce l’ho fatta. Non ho potuto. E tu non lo hai dimenticato.
I nostri occhi sono ancora su quella nuvola. Il nodo alla gola sta per esplodere, sento la mia mano tremare dentro la tua.
-Da qui puoi anche pregare quel Dio che non hai mai pregato, quel Dio che non sei sicura se esiste davvero, quel Dio che, se esistesse, non permetterebbe tanto dolore… ma poi arrivi qui, a due passi dal cielo e capisci che qualcuno più grande di noi, che muove le nostre fila, deve esserci per forza… capisci che tutto è possibile… anche smettere di soffrire, o soffrire di meno.-
Mi lasci la mano e ti alzi. Improvvisamente mi sento nuda, senza il calore del tuo tocco. Sto per alzarmi anch’io, ma tu mi fai segno di restare dove sono.
-Resta qui Beckett, ti lascio sola nel mio posto segreto, con il cielo, con le nuvole, con gli angeli, con lei… io ti aspetto all’uscita del sentiero. Puoi restare qui quanto vuoi, prenditi tutto il tempo che ti serve.-
Mi posi un bacio leggero sulla guancia, non aspetto nemmeno che ti allontani per permettere finalmente alle lacrime di scendere. Ti guardo mentre ti allontani e sparisci, inghiottito dalla boscaglia.
Resto seduta a guardarmi intorno, il sole è caldo, mi tolgo la sciarpa, asciugo gli occhi e guardo in alto. Istintivamente sollevo una mano. Chiudo gli occhi e vedo una bambina dai lunghi capelli rossi sorridere mentre tocca una nuvola con le dita.
Riapro gli occhi e ritiro la mano.
Sono troppo realista per crederci, eppure ho avuto la sensazione di sentire sulla punta delle dita, qualcosa di morbido e inconsistente come zucchero filato.
Sospiro per ricacciare indietro altre lacrime. Sono sola quassù, ma se Castle ha ragione, dovrebbero esserci decine di occhi invisibili a guardarmi… fisso ancora il punto in cui compare per magia il cuore e lascio finalmente che i miei silenzi parlino.
Vorrei tanto che fossi fiera di me, mamma. Invece non sono capace nemmeno di venire a trovarti al cimitero. La grande Beckett, la coraggiosa Beckett, che davanti ad una fredda lapide, si sente morire.
Vorrei riuscire a ricordare i nostri momenti felici, il tuo sorriso, la tua voce, il tuo profumo… dopo 13 anni dovrebbe essere così… non dimentichi, ma impari a conviverci. Io non ce la faccio mamma… ogni volta che penso a te, i momenti felici si trasformano in una cupa e fredda sera di gennaio, il tuo sorriso diventa una smorfia di dolore, la tua voce diventa un grido strozzato, il tuo profumo è un disgustoso odore metallico tinto di rosso.
Non ci riesco, non ce la faccio a lasciarmi tutto alle spalle, non posso andare avanti senza sapere perché… non posso venire a trovarti e non sentire il peso di tante domande senza risposta.
Mi rendo conto che sto singhiozzando, i miei silenzi si sono fatti strada verso il cielo… forse lì, a due passi da me, ci sono tutte le risposte.
Sospiro ancora, mi asciugo gli occhi stizzita, perché non voglio piangere più, guardo stupidamente dietro quella nuvola e sorrido scuotendo la testa.
Eppure ha ragione Castle. Una meraviglia del genere deve per forza lenire il dolore, deve per forza farti sentire parte speciale di un disegno segreto. La verità è che non ho il coraggio di venire a trovarti, perché temo i tuoi rimproveri, e non perché non ho ancora preso il tuo assassino, ma perché lascio scorrere la mia vita senza darle peso, quel peso importante che le davi tu.
Sollevo le ginocchia verso il mento e stringo le braccia attorno ad esse, ci nascondo dentro la testa e rimetto i miei silenzi al loro posto.
Sento dei brividi improvvisi. Mi guardo intorno, spaesata. Il sole è andato via e l’aria è molto più fresca. 
Ma quanto tempo… 
Mi accorgo di non avere l’orologio.
Sono confusa e mi sento stordita. Quanto tempo sono rimasta seduta su questo masso?
Sollevo lo sguardo verso il cielo e strane immagini si riflettono in quel colore leggermente più scuro, ora che il sole non lo illumina più. 
Mia madre mi tiene per mano sulla pista di pattinaggio, ride divertita, mentre svolazziamo felici sulla lastra di ghiaccio, poi improvvisamente mi tiene stretta a sé, io sto piangendo e lei mi culla con una canzone. La sua voce è così calda e armoniosa…
Sollevo la testa all’improvviso. Socchiudo gli occhi cercando di mettere a fuoco lo spazio infinito davanti a me. Guardo l’orologio e mi rendo conto che sono le 2 passate. Sono stata seduta, appoggiata a quel masso per più di 3 ore e devo essermi addormentata.
Ho sognato.
Ho sognato mia madre e per la prima volta dopo anni, ho risentito il suo profumo, il suo, quello vero. Per la prima volta l’ho sognata e il mio cuore non sta galoppando per la paura.
Per la prima volta l’ho sognata e non mi sono svegliata con la sensazione di non sapere dove sono.
Sorrido.
So perfettamente dove sono: a due passi dal cielo e se allungo una mano, posso toccare gli angeli, posso toccare te, mamma.
Mi alzo e allargo le braccia, giro su me stessa tenendo gli occhi fissi al cielo e sento le mie labbra aprirsi in un sorriso.
Ha ragione Castle! Tu sei qui, magari dietro ad una nuvola, non certo nascosta da una lapide di freddo marmo. Non è il posto che è magico, mamma, ma la persona che è riuscita a trovarlo e a custodirlo nel suo cuore da bambino!
Mi abbottono il cappotto e recupero la sciarpa, l’aria è davvero più fresca e al distretto mi avranno data per dispersa, per non parlare di Castle che mi avrà sicuramente lasciato a piedi.
Riprendo il sentiero con una strana sensazione di leggerezza nel corpo. La stanchezza che sentivo fino a qualche ora prima è sparita… per magia forse?!
Arrivo al muro di sterpaglie, lo scosto con forza e ritorno alla realtà, come se avessi fatto un viaggio con la macchina del tempo. Mi giro per prendere l’uscita, ma mi blocco.
L’uomo della magia è seduto a terra, con le spalle appoggiate ad un grande tronco, le gambe distese sull’erba e il portatile addosso. Scrive. Digita sui tasti freneticamente ed è così assorto che non mi sente arrivare, quando mi siedo poco dietro a lui e guardo il monitor. Ha scritto parecchio. Si accorge di me, salva il file velocemente e chiude lo schermo.
-Ehi… che fai? Non si sbircia!-
Dice ridendo.
-Credevo fossi andato via. Scusa, ma ho perso la cognizione del tempo, devo anche essermi addormentata.-
-Meglio! Hai il viso più rilassato infatti. Ho chiamato il distretto quando ho visto che non arrivavi, ho detto a Montgomery che non stavi bene e sei libera fino a domani.-
Gli sorrido grata, mentre scuoto la testa.
Pensi sempre a tutto vero?
-Torniamo a casa? Sono congelato, in alcuni punti sono addirittura molto congelato, ma non ti dico dove.-
Ti alzi sghignazzando, ma non ci vuole molto a capire dove sei molto congelato, visto che sei seduto sull’erba da 3 ore. Rido anch’io e non so perché, ma mentre ci dirigiamo alla macchina, ti prendo per mano. Mi guardi stupito ed io al solito abbasso lo sguardo… sono stupita anch’io.
Prendi le chiavi, apri lo sportello, ma io te le rubo.
-Eh no Castle… passi stamattina, ma sappi che hai messo le mani su quel volante per la prima ed ultima volta.-
Ti faccio segno con gli occhi di sederti dall’altra parte e tu sbuffi, mentre fai il giro della macchina.
Metti la cintura di sicurezza e con le braccia conserte, aspetti che metta in moto. E’ un deja-vu, solo che adesso quello con il broncio sei tu, io, invece, mi sento benissimo.
Il silenzio ci ha avvolto, sembriamo entrambi persi nei nostri pensieri, parcheggio davanti al tuo palazzo e spengo il motore.
-Che ne dici di venire su, preparo un paio di panini e pranziamo, sono affamato… ti farebbe bene non restare da sola.-
-Mi farebbe piacere Castle, ma…-
-Ma meglio di no!-
Sospiri deluso, io invece sorrido e ti guardo.
-Non è come pensi, è solo che… vorrei chiamare mio padre. Non abbiamo mai passato questa giornata insieme, abbiamo sempre voluto vivere questo giorno a modo nostro, ma credo sia arrivato il momento di condividerlo. Se è disponibile, mi piacerebbe passare un po’ di tempo con lui.-
Sorridi come se ti avessi detto che hai vinto alla lotteria. Non ti aspettavi questo, hai creduto che mi sarei rintanata a casa a rimuginare e forse stasera è quello che farò, ma adesso voglio davvero stare un po’ con mio padre.
-Bene, allora non obietto.-
Apri lo sportello e stai per scendere, ma io ti prendo per il braccio.
-Grazie Castle.-
Ti dico mentre ti volti verso di me. Mi perdo nei tuoi occhi e non riesco a dire altro, perché l’azzurro intenso e brillante, senza nuvole e splendente come il sole, mi penetra perfino l’anima, che credevo morta da tempo.
Negli ultimi anni i tuoi occhi  mi hanno scrutata, studiata… amata.
Che stupida che sei Beckett. Sei sempre stata a due passi dal cielo, ma non hai mai avuto il coraggio di allungare la mano per sfiorarlo. 
Anche tu ti sei perso nei miei occhi. Non sono color del cielo, ma hanno bisogno di te.
Abbassiamo lo sguardo contemporaneamente, imbarazzati tutti e due.
-Di niente.- Rispondi, evitando di guardarmi. -Puoi tornarci quando vuoi, ormai la strada la conosci… ma ricordati Beckett… se dovessi portarci qualcuno, deve essere una persona speciale… qualcuno per cui daresti la vita.-
Scendi velocemente, consapevole di quello che hai detto, prima che io possa solo guardarti, figuriamoci risponderti.
Risponderti? Risponderti cosa?
‘Qualcuno per cui daresti la vita…’
Resto a fissare il posto che occupi ogni giorno.
Appoggio la testa al sedile, chiudo gli occhi e sospiro.
Guardo verso il palazzo, stai inserendo la chiave nel portone, mi sporgo dal finestrino senza pensare.
-Ehi Castle!-
Ti avvicini allo sportello e ti abbassi alla mia altezza.
-L’invito era valido solo per pranzo? No… perché… stasera sarei libera e, come hai detto tu, non mi farebbe bene stare sola.-
L’ho detto!
Ho detto tutta la frase d’un fiato, senza intoppi e grammaticalmente corretta.
Il cielo che hai dentro agli occhi si è illuminato come se fosse appena esploso il sole dentro al tuo cervello.
-Vieni quando vuoi, io sono a casa, cucino qualcosa di calorico che dia soddisfazione, sempre che mia madre non si fissi a mettere mano ai fornelli, ma se dovesse insistere… ti porto fuori a cena!-
Non mi lasci il tempo di rispondere e corri verso il portone.
Mi ritrovo a ridere di gusto.
Volevo solo che questa giornata passasse in fretta, volevo solo che il grigio lasciasse velocemente il posto all’alba di domani…
Invece, senza accorgermene, magicamente, mi ritrovo ad essere… ad ‘un solo’ passo dal cielo.
 

Angolo di Rebecca:

Vado controcorrente!
I due tontoloni non stavano insieme, ed io scrivevo della loro unione.
I due tontoloni si metto finalmente insieme, ed io scrivo di loro separati.
Non sto bene, lo so... ma è questo che ho pensato :)

 
  
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