Storie originali > Fantascienza
Ricorda la storia  |       
Autore: Mannu    04/10/2012    0 recensioni
All'improvviso la necessità la sopraffece. Ristabilire il contatto era l'unica cosa importante. Assimilare la tecnologia del luogo per ristabilire il contatto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Star Trek: la nuova frontiera'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1.

Spalancò gli occhi, di scatto. Rimase immobile: il soffitto di una sala operatoria, o di un'infermeria. Potenti fari la investivano con raggi accecanti, i suoi occhi si adeguarono immediatamente per evitare l'abbagliamento.
- È attiva! - una voce, una femmina umana. Timorosa.
- Attiva? - maschio, umano. Tra l'indignato e il divertito. Diversi volti entrarono nel suo campo visivo: medici in divisa. Federazione dei Pianeti Uniti. Due umani, un boliano, un denobulano.
- Segnali vitali invariati. Attività cerebrale in aumento – la donna umana leggeva degli strumenti sopra la sua testa, fuori vista. Il denobulano attivò un tricorder medico e l'analizzò distaccando da esso il piccolo scanner a corto raggio.
- Inutile – disse sorridendo, nervoso. La sua acconciatura pareva una criniera intorno al viso scuro, la bocca era una cuspide stretta con la punta rivolta verso la cresta del mento.
La Collettività. Il silenzio. Ecco cosa mancava: era isolata. Non poteva comunicare. Informazioni, connessioni, scambi di dati: tutto assente. All'improvviso la necessità la sopraffece. Ristabilire il contatto era l'unica cosa importante. Assimilare la tecnologia del luogo per ristabilire il contatto. Cercò di alzarsi: qualcosa la trattenne. Era legata. Gli altri si allarmarono. Indietreggiarono.
- Calma, signori. È legata saldamente – il boliano alzò le sue grandi mani azzurre come per infondere sicurezza. Gli altri si avvicinarono nuovamente, nervosi. Lei infranse i legami con facilità e si drizzò a sedere.
- Sicurezza in infermeria subito! - la mano del denobulano era volata al comunicatore sulla divisa. La porta si divise in due metà che scivolarono silenziosamente da parte, lasciando uscire i medici mentre lei terminava di liberarsi. Quel senso di vuoto, la solitudine: doveva porvi termine il prima possibile. La Collettività: la connessione, le voci dei suoi simili. Dov'erano tutti? Necessitava di istruzioni, di informazioni. Ne aveva bisogno: un profondo, irrinunciabile, impellente bisogno.
La porta si aprì nuovamente mentre lei volgeva intorno a sé lo sguardo alla ricerca di qualsiasi cosa potesse dimostrarsi utile per ristabilire il contatto. Uomini armati con pistole phaser fecero fuoco per stordirla, dandole tutto il tempo di assimilare le frequenze di sparo di ciascuna arma e di potersi quindi difendere con la massima efficacia. Quando se ne resero conto fecero fuoco per uccidere, ma era troppo tardi. Colpì il primo che tentò di ingaggiare un corpo a corpo: lo mandò a terra centrandolo in pieno petto col palmo della mano sinistra. Gli altri indietreggiarono aprendo inutilmente il fuoco su di lei coi loro phaser manuali regolati al massimo. Attraversò la porta, riconobbe il corridoio. Era a bordo di una nave ma non poteva dire esattamente di che tipo. Le mancavano le informazioni e, cosa ancor peggiore, la sua mente era mutilata dei collegamenti per reperire i dati di cui necessitava disperatamente. Era sola, avrebbe dovuto cavarsela da sé.
Nuovi aggressori, nuove armi. Un fucile phaser le provocò una bruciatura al centro del petto, ma nulla più. Poi i soldati si fecero da parte per sgombrare la linea di tiro a uno di loro che imbracciava un'arma diversa dalle altre. Fece fuoco contro di lei, un sottile raggio purpureo la centrò al ventre. Non riuscì ad assimilarlo. Non poté comunicare a nessuno la nuova minaccia. Cadde a terra ancora cosciente, paralizzata.

Spalancò gli occhi, di scatto. Rimase immobile: vedeva il soffitto della sua cabina, era a bordo della Starfender. Nel buio di quell'ambiente ristretto che i suoi occhi penetravano in ogni angolo con facilità. Aveva sognato di nuovo. Il medico le aveva detto che era buon segno, anche se si svegliava di colpo dopo sogni particolarmente vividi. Tutti i miei sogni sono vividi, pensò stringendo le labbra. Si sollevò a sedere nel letto e si aggiustò la coperta sulle gambe, compiacendosi per quel gesto così umano e spontaneo. Non aveva freddo: le nanomacchine borg che aveva nel sangue e ovunque nel corpo provvedevano a difenderla con efficacia da cambiamenti di temperatura anche bruschi. Lenzuola e coperte servivano più a confortarla che a scaldarla. Servivano a farla sentire umana.
Scivolò fuori dal letto e si diresse allo specchio. Poteva vedere ogni dettaglio di se stessa anche senza luce: la pelle bianca un po' troppo tesa sugli zigomi forse, il naso dritto, le labbra turgide che lei dipingeva di rosso scuro per dare un tocco di colore al suo viso altrimenti smorto. Evidentissimi spiccavano i bulbi oculari neri e riflettenti e il grosso impianto borg attaccato al lato sinistro della testa, con quell'orrendo tubo che le entrava nel cranio. Lo odiava, anche se grazie a esso poteva fare cose che difficilmente un umano avrebbe potuto emulare senza aiuto. Telecomunicazioni a lungo raggio, capacità di calcolo ancora da valutare con precisione, elaborazione di immagini complesse in tempo reale. All'Accademia aveva individuato una frattura in un cristallo di dilitio nuovo semplicemente guardandolo funzionare dentro un nucleo di curvatura. Aveva visto distintamente il plasma di curvatura “soffiare” via dalla microscopica frattura con la stessa facilità con cui chiunque avrebbe visto un ricciolo di fumo grigio. I chirurghi non erano stati in grado di rimuovere l'impianto senza rischiare di ucciderla. Non avevano nemmeno capito a cosa servisse esattamente, ma le avevano promesso ulteriori ricerche.
Addossata alla parete più lunga spiccava la sua alcova speciale. Una versione terrestre dell'alcova di rigenerazione borg che, a occhi umani, si rendeva evidente per i baluginii verdi della piastra radiante in corrispondenza della testa. Non ne aveva bisogno, teoricamente. Il suo corpo aveva ripreso quasi tutte le sue funzioni biologiche, inclusa la rigenerazione autonoma dei tessuti. Sanguinava se ferita: sangue cupo, scurissimo e denso. Aveva bisogno di cibo e sonno. Eppure le mancava qualcosa. Non era semplice insoddisfazione: era la remota consapevolezza di un bisogno fondamentale disatteso, una necessità sopita. Guardò la sua alcova con odio: rappresentava, insieme all'impianto ancora attaccato al cranio, il suo repellente legame coi borg. Inscindibile, almeno in apparenza. Sciolse ogni indugio e si coricò nell'alcova, certa che avrebbe dormito un colpevole sonno senza sogni. Senza bisogni, senza insoddisfazione.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Mannu