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Autore: Erodiade    05/10/2012    5 recensioni
Voldemort ha vinto la guerra, ma cinque Horcrux sono andati distrutti; rimangono Nagini, il ragazzo e strade inesplorate. Le sue ricerche per sconfiggere la Morte si fondono col tentativo, da parte di Harry, di tenere in vita un’illusione dolceamara.
“Le Arti Oscure hanno il vantaggio di vendere al mago ciò che vuole, vedilo come uno scambio. Prendi un mago nobile e altruista, e ponilo di fronte alla scelta di salvare uno dei suoi cari o rimanere puro e incorrotto. Che cosa farà, a quel punto?”
[Mentor!Voldemort, Gray!Harry]
SOSPESA.
Genere: Dark, Horror, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Lucius Malfoy, Remus Lupin, Sorelle Black, Tom Riddle/Voldermort | Coppie: Harry/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Ceneri fredde,,


- III - 
 


 




Aprì gli occhi di scatto al rumore del silenzio.
Il sottofondo altalenante di schianti, esplosioni e urla da mattatoio era cessato; non sapeva se da secondi, minuti o ore. La prima cosa che vide fu il cielo e la luce rischiò di abbagliarlo. Gli diede quasi le vertigini da quanto era alto. Gli diede quasi le vertigini anche perché era sicuro di essersi guardato da lassù solo poco prima: un corpo gettato nel fango le cui braccia possedevano angolazioni strane, troppo pallido per essere vivo, la faccia un impiastro di ecchimosi e sangue. I vestiti erano stracci del colore della terra, ma poco importava.
Poi venne la consapevolezza di poter respirare e di stringere qualcosa in mano. Qualcosa che era qualcuno – un volto a forma di cuore, magliette assurde, jeans rattoppati e capelli sparati come quelli di un maschiaccio; qualcuno che aveva l’odore di lenzuola pulite e marmellata alla fragola, aveva piedi che pestavano a terra dalla rabbia quando non le si dava retta e denti che mordevano le labbra nel tentativo di fermare il tremito quando era vicina al crollo ma si rifiutava di cedere…
Mettersi a carponi fu tutt’uno coi ricordi. “Ninfadora…?”
Pensò qualcosa che somigliava molto ad un’invocazione di pietà. Rivolta a cosa, o a chi, non aveva idea. La scosse per la spalla, ma non si svegliò. Gli tornò in mente quanto lei odiasse sentirsi chiamare per nome. Quando lo faceva – si rifiutava di chiamare sua moglie per cognome, Merlino! – gli tirava un pugno sulla spalla. Qualche volta rimaneva il livido.
“Dora… Dora… Tonks…”
Fu difficile districare le dita dalle sue. Erano rigide e lui non voleva. Si diceva che era…andata via, o gli occhi non sarebbero stati aperti. Solo che non era possibile. Lui era vivo. Se proprio uno doveva morire, di loro, era lui, come i suoi amici. Rivedere Sirius, James e quel tornado di Lily. Morire sarebbe stato forse ingiusto con lei ancora in vita e Teddy che aveva bisogno del papà, ma si era sempre sentito con i giorni contati e, stranamente, più il tempo diminuiva più gli pesava sulle spalle. Conoscevano i rischi. Lei aveva voluto combattere. Aveva voluto stare con lui. Era colpa sua. Lo aveva guardato e gli aveva proibito di sentirsi in colpa se le fosse accaduto qualcosa, ma era colpa sua comunque. Avrebbe dovuto impedirglielo.
Rievocò improvvisamente il duello contro Dolohov e lo sprazzo di luce verde che l’aveva colpita al petto. Solo allora sollevò il capo a guardarsi attorno. Ciò che vide fu un amalgama offuscato di lacrime, terriccio, macerie. E cadaveri. Il prato attorno a Hogwarts era stato rivoltato da giganti, Acromantule e maledizioni.
Lontano, delle figure si muovevano tra i corpi e si udiva un basso gemito di sottofondo.
I capelli di Dora erano violetti e corti, assurdi, e facevano a pugni con l’innaturale immobilità del viso – lei che non stava mai ferma, sempre a prestarle attenzione perché non facesse cadere accidentalmente qualunque cosa teneva in mano. Una volta l’aveva invitata a ballare e si era ripromesso di non farlo mai più per tutte le volte che gli aveva pestato i piedi con il carroarmato degli anfibi.
Realizzò che il gemito proveniva da lui.
Avevano perso, questo Remus lo capì all’istante mentre i suoi occhi vagavano e il cuore si sbriciolava. Avevano perso la battaglia, probabilmente anche la guerra. Harry. Dov’era Harry? Doveva cercare Harry. Doveva mettere al sicuro Andromeda e Teddy. Doveva portare Dora a casa. Doveva…
Invece guardò l’orizzonte, dove la luna era scomparsa, e la sua mente fu piena del sorriso storto di Dolohov mentre la uccideva. Le dita rasparono il suolo come zampe e desiderò il plenilunio per la prima volta nella sua vita – perdere il controllo, perdere completamente la ragione libero dall’Antilupo.
Fu questione di pochi minuti. Alla fine le sagome si avvicinarono all’unica figura seduta in un mare di nulla.
“E chi abbiamo qui? Ma è il nostro vecchio amico!” esclamò una bassa voce ringhiante, accompagnata da risate ferali.
Una bassa voce ringhiante che lui conosceva molto, molto bene.




***
 



 


I sotterranei dei Malfoy erano ampi e gelidi. In tempi di pace vi si conservavano le provviste; ora erano per lo più adibiti a carceri e laboratori. I prigionieri venivano spesso utilizzati per i suoi esperimenti, o torturati per ricavare informazioni sulla Luce. Fu in una delle ampie sale di pietra scura che condussero il corpo esanime della ragazzina; lo collocò personalmente nel tubo di vetro colmo di Filtro Rigenerante, dove rimase sospeso in una nube di capelli rosso sangue, quasi neri nella semi-oscurità. Pareva un piccolo cadavere galleggiante, il cadavere di una diciassettenne sottile e pallida dai seni acerbi. Potter aveva insistito che, se proprio si doveva spogliarla, sarebbe stato lui a farlo, ma l’aveva svestita con delicatezza, distogliendo lo sguardo dalle curve accennate come se potesse scottarsi.
Riddle non era riuscito a reprimere un ghigno davanti a quella forma di amorevole rispetto. Anche da giovane, non gli era mai importato dei piaceri della carne, aveva sempre avuto aspirazioni più elevate e, quando si era trattato di togliersi uno sfizio, l’aveva fatto senza vera passione, quasi con sprezzo – meri impulsi biologici, pensava.
Ciò che lo deliziava era vedere Potter con le unghie incrostate di sangue mentre le sue dita impacciate sganciavano il reggiseno candido di lei. Uccidere un uomo non aveva ancora intaccato la sua purezza, ma era già riuscito a strappargli alcune piccole certezze in bianco e nero – che il suo bene non era per forza quello altrui, che l’amore non era abbastanza e che la guerra era peggio, molto peggio di ciò che pensava.
Non era stato davvero toccato da quelli che la gente comune definiva ‘orrori della guerra’, non aveva mai assaporato le urla né la vista del sangue. Conosceva il volto della morte, ma non sapeva nulla della sofferenza vera, quella per cui si è disposti a dare tutto pur di farla cessare.
Avrebbe imparato.
Voldemort pensava che nutrirsi pezzo a pezzo della sua anima sarebbe stato interessante e avrebbe reso il ragazzo maggiormente vulnerabile. Seppur con difficoltà, era giunto a sospettare quanto un’anima integra potesse risultare pericolosa per lui; non essere riuscito a prendere possesso del suo corpo per più di qualche secondo, nell’Ufficio Misteri, avrebbe già dovuto fungere da campanello d’allarme, in passato. Non comprendeva ancora ogni sfaccettatura della questione, ma intendeva analizzare quella che per più d’un decennio aveva rappresentato una minaccia.
Naturalmente, questo e il fattore Horcrux non erano gli unici motivi per cui intendeva controllare il ragazzo. Desiderava sfruttarlo più a fondo e, con pazienza, ci sarebbe riuscito. Degradarlo gli interessava solo fino ad un certo punto – era fin troppo facile e l’odio per lui era stato alimentato a sufficienza a partire dalla morte dei suoi sciocchi genitori – ma non poteva impedirsi di immaginare possibili umiliazioni da infliggergli per essere ripagato di quei tredici, penosi anni in Albania.
Mentre Potter guardava la ragazza oltre il vetro, i riflessi delle torce sulla superficie trasparente e quelli bluastri della pozione sui loro visi, Riddle pensava che la sua espressione tormentata fosse una ricompensa maggiore di qualunque Cruciatus potesse scagliargli.
“Già pentito, Harry?” chiese piano, godendosi il suo silenzio.
Alla fine, il giovane scollò lo sguardo dal vetro. Troppo testardo per mostrarsi sperduto o intimorito, raddrizzò invece le spalle. “Le cose che ho dovuto estrarre da quell’uomo, prima…devo metterle in una pozione?”
“Dobbiamo” corresse Riddle, facendo veleggiare i barattoli sugli scaffali in legno di quercia, lo stesso della porta massiccia rinforzata in ferro. “Dubito che saresti in grado di eseguire rituali Oscuri da solo. Ti fornirò le direttive e tu potrai…”
“No” lo interruppe di getto. “Non mi fido di te. Prima voglio dei libri con delle spiegazioni sulle conseguenze e tutto quello che mi serve per capire in cosa consistono i tuoi rituali.”
Voldemort gli rivolse un’occhiata venata di curiosità. Si era aspettato che prima o poi abboccasse, ma la richiesta suonava comunque strana dalle sue labbra. “Vuoi che t’insegni le Arti Oscure, Potter?” chiese piano, senza riuscire a nascondere un’inflessione torbida nella voce.
Gli occhi del ragazzo si dilatarono appena e parve tentennare per un istante, la fronte corrugata. “Non tutte le Arti Oscure” rispose, come se fosse un’indecenza anche solo pensarci. “Solo quelle che mi servono per…per lei.” Parve di nuovo a disagio, forse resosi conto dell’assurdità della situazione.
Riddle nascose un ennesimo sorriso. Grazie alla presenza di un frammento della propria anima, il ragazzo doveva possedere una certa predisposizione nei confronti della magia nera, anche se la odiava. Una parte di sé temeva che acconsentire avrebbe significato fornirgli un’arma, l’altra diceva che il sapere di un diciassettenne era nullo se confrontato a quello del grande Lord Voldemort; ve n’era una terza, poi, che risultava a suo modo intrigata dalla proposta. Sondare le sue capacità poteva rappresentare un ottimo modo per valutarne limiti e potenzialità, per scoprire che cosa li accomunava realmente, ammesso che tale legame esistesse, e aveva avuto intenzione, in ogni caso, di usarlo per le sue ricerche… Dunque perché no? Cos’aveva da temere da un ragazzino sconfitto, lui, il proprietario della Bacchetta di Sambuco, nonché il mago più potente che avesse mai calpestato il suolo terrestre?
Certo, la Stecca della Morte si rivelava sempre più una delusione e Harry Potter non era stato spezzato, ma finché teneva tra le sue mani la vita di Ginevra Weasley, il ragazzo non poteva ribellarglisi.
“Potrei anche insegnarti qualcosa in più di ciò che avevo previsto,” iniziò Riddle, “ma se credi che sia simile alle formulette con cui il vecchio ti ammaestrava a Hogwarts, sbagli. Quella che chiamano Difesa Contro le Arti Oscure, ai livelli scolastici, è poco più d’uno sbuffo rispetto al ruggito infuocato d’un drago. Hai avuto solo un assaggio, nella sala dei Malfoy, con quella carcassa. Parlavamo del prezzo, prima, dunque sai a cosa vai incontro.”
Vide chiaramente l’effetto che le sue parole avevano sul giovane nel momento stesso in cui le pronunciava. Era facile leggere il suo volto, quasi non serviva entrare nei suoi pensieri, ed era squisitamente semplice manovrare le sue emozioni. Scorse chiaramente il timore di che cosa sarebbe potuto diventare – più precisamente, se sarebbe divenuto come lui. Riddle ne dubitava ampiamente. Aveva impiegato decenni a raggiungere il proprio livello e, dacché ricordasse, la sua brama più grande era sempre stata divenire Lord Voldemort. Il ragazzo era troppo naïve per avere ambizioni simili alle sue.
Potter cercò nuovamente d’assumere un’aria sicura, ma fu con una goccia d’amarezza che si forzò a dire: “Bene.”
Il mago Oscuro si limitò ad un lieve cenno d’intesa. Poteva rivelarsi un esperimento produttivo.




 

***
 




Spigoli strani negli angoli spogli, dita d’ombra che calavano fuori e dentro di lui. Figure di tenebra si protendevano verso il suo petto dal soffitto, teste deformi e movimenti vacillanti. Nel vuoto delle loro bocche spalancate stavano stridii disumani, i loro occhi erano gorghi. Lo chiamavano. Le sentiva, qualunque cosa fossero, lo volevano risucchiare. I loro corpi si agitavano nel tentativo di raggiungerlo, paralizzandolo sul letto.
 
Non dormì quella notte né quella successiva. Non uscì dalla stanza. Non parlò con nessuno. Non mangiò nulla. Non sapeva neppure l’esatto perché. Ma voleva che durasse poco. Doveva combattere le ombre e liberarsi del senso d’oppressione. Trovare una cura. Per Ginny. Per i superstiti. Per se stesso.


 



***
 




Si trovava nella cucina della Tana. Riconosceva il soffitto basso e il tavolo di legno, il cucinino sgangherato da cui la signora Weasley sfornava prelibatezze che gli facevano brontolare lo stomaco a sentirne soltanto l’odore, il pavimento a scacchi e le tende a colori vivaci. Però era strano essere lì da solo. Ogni volta che era stato alla Tana per le vacanze, con lui c’erano sempre i fratelli di Ron con Ron e Hermione, e le loro risate riempivano l’aria assieme al profumo di cibo. Così, nonostante la vividezza del sole fuori dalle finestrelle, era tutto molto triste e insensato.
Perché l’avevano invitato, se poi lo lasciavano da solo? Forse avevano litigato e non se ne ricordava? Era possibile litigare con Ron, ma con tutta la sua famiglia pareva fuori dal mondo. La signora Weasley gli voleva bene come ad un figlio e il signor Weasley aveva un che di paterno e protettivo nei suoi confronti, poi Fred e George nemmeno li immaginava essere in grado di tenere il muso a qualcuno, a meno che non fosse una cosa molto seria. Forse era una cosa seria.
Merlino. Certo che lo era! Aveva seguito Voldemort volontariamente! Certo che nessuno voleva più parlargli. Perché l’aveva fatto?
“Ginny!”
In effetti, Ginny era proprio lì con lui. Gli dava le spalle, il viso rivolto alla finestra. I capelli le arrivavano alla vita e indossava un vestito di lino bianco.
“Ginny… Io… Mi dispiace. Mi sento uno schifo. Voglio ucciderlo, credimi, solo che non sono pronto. Ho bisogno di diventare più forte. Silente non aveva ragione riguardo a me. Non sono abbastanza preparato per duellare contro Voldemort. Se sono qui non è perché sto dalla sua parte, dillo a Ron e agli altri. Per favore. Tu mi credi?”
Lei non si volse né diede segno d’averlo udito. Era arrabbiata. Le spalle non mostravano tensione, ma era l’unico motivo per cui potesse comportarsi in tal modo con lui.
“Ginny, mi dispiace. So che è un’assurdità. Mi avrebbe costretto. Non so dove si nasconde l’Ordine per raggiungerlo… Riddle dice che non esiste più, ma io non gli credo. Qualcuno dovrà pur essersi salvato, no? Non sapevo…”
Non sapevo dove andare.
Di colpo, gli tornarono in mente tutti i flash della battaglia. Greyback con le fauci spalancate e le grida di Hermione e il rantolo strozzato di Ron quando gli aveva strappato il braccio e il colore della materia cerebrale sulla corteccia del faggio. Gli mancò il fiato e si aggrappò al tavolo.
La cucina fu di nuovo smagliante attorno a lui, i particolari intagliati perfettamente sulla retina.
“G-Ginny…?”
Se la ricordava a terra, ora, se la ricordava. Il vestito non era più lindo, era sporco di terriccio e strappato. I capelli erano arruffati come se si fosse rotolata nel fango. Eppure, era ancora in piedi davanti a lui. Le toccò una spalla e non gli sembrò di avvertire né calore né altro. Solo pelle. Provò l’urgenza di guardarla in viso e si avvicinò, si avvicinò… Voleva i suoi occhi, i suoi occhi nocciola, caldi, ardenti, i suoi occhi addosso.
Ma non c’erano. Erano bulbi oculari, quelli, un verme bianco che vi strisciava all’interno. Il teschio non aveva espressione, solo un ghigno scoperto sinistro e quasi maligno, brandelli di pelle attaccati alle guance…
Si svegliò di soprassalto, le lenzuola attorcigliate alle gambe. Due occhi lo guardavano da destra.
“AAAHHH!”
La nuca scontrò il muro, un dolore sordo che gli fece recuperare l’uso della ragione. Si trattava di un elfo domestico, solo un dannato elfo domestico che gli aveva portato la colazione.
“Grazie” disse, massaggiandosi la testa. Non attese risposta: ai due elfi di Malfoy Manor non era consentito parlare con lui per nessun motivo. Erano comunque le uniche creature con cui avesse un qualche tipo di comunicazione a parte Voldemort, quindi non se la sentiva di essere sgarbato, e la colazione era sempre ottima. Vide l’elfo esibirsi in un piccolo inchino e sgusciare fuori dalla porta senza emettere una sillaba.
La notte, Harry si chiudeva dentro con un incantesimo per evitare che Nagini entrasse. Da sveglio era un conto, ma non voleva che s’infilasse nella sua camera mentre dormiva: era pur sempre un serpente gigante allevato a carne umana.
Per il resto, pranzava e cenava in camera ed evitava i Mangiamorte con tutto se stesso. Nessuno gli proibiva di parlare con loro né di girare per il maniero, ma preferiva starsene rintanato nella stanza che gli avevano fornito o scendere nel sotterraneo di Ginny. Era un passatempo deprimente che gli donava un sonno agitato, ma lo preferiva rispetto a scambiarsi occhiate truci con Bellatrix e la sua ghenga. Per quanto ne sapeva, la casa ospitava Voldemort, i Malfoy e un viavai di maghi Oscuri che la utilizzavano come base; spesso scorgeva i Lestrange nei corridoi.
Aveva trascorso i pochi giorni da quando era lì a stare zitto e a studiare grossi tomi raccapriccianti su sacrifici di sangue, rituali che si servivano di cadaveri per potersi compiere, riti orgiastici di potenziamento e altre cose che solo a vederne le immagini diventava color prugna o rabbrividiva. O entrambi. Altri libri riguardavano la medimagia, la chimica, l’anatomia umana, ed erano sicuramente più ordinari, sebbene non corrispondessero ai suoi gusti. Voldemort diceva che, prima di cominciare seriamente, aveva bisogno di una preparazione di base acquisibile dagli scritti. Hermione sarebbe stata più felice di lui, nonostante i temi tutt’altro che amabili, ma era meglio evitare il pensiero e la solita fitta che l’accompagnava.
Iniziò a mangiare, ignorando il ricordo dell’incubo. Non era il primo che aveva avuto, né sarebbe stato l’ultimo, ma forse poteva preparare una Pozione Dolcesonno per riuscire a riposare – ne aveva letto per caso il giorno precedente. Preparare Pozioni esigeva troppa pazienza per lui, ma senza Piton a sbeffeggiarlo era certo di essere più bravo.
Il cervello gli inviava spesso sogni su coloro che aveva conosciuto, sogni in cui tentava di giustificarsi e di dare un senso agli eventi.
Era arrivato alla conclusione di non avere sufficiente abilità nel duello per uccidere Voldemort e di dover migliorare seriamente. Preoccupato per il lasso di tempo che avrebbe impiegato ad essere pronto, non vedeva comunque altra soluzione.
Il primo giorno, quando Riddle l’aveva trovato sul campo di battaglia, era sconvolto, credeva che tutto fosse stato spazzato via: amici, speranza, Hogwarts. La notte era riuscito difficilmente a chiudere occhio, voltandosi e rivoltandosi come in balia delle fiamme, pensando che mai avrebbe dovuto seguire Voldemort, neppure per Ginny, che lei non l’avrebbe voluto, ma, in seguito, si era ricordato del rapporto di Bellatrix, di come una piccola opposizione perdurasse, e aveva meditato che non poteva cedere finché qualcuno ancora resisteva.
Cercava di convincersi che il motivo per cui si trovava lì non fosse solo egoistico – la salvezza di Ginny – ma anche altruistico: avrebbe imparato di più sul nemico, si sarebbe esercitato col proposito di batterlo. Di stare a deprimersi senza fare nulla non se ne parlava. Non era accaduto dopo la morte di Sirius, non voleva accadesse proprio allora.
Aveva compreso che forse, se Silente l’avesse allenato meglio, avrebbe potuto farcela anche il giorno della battaglia di Hogwarts. Pensare al Preside gli metteva addosso un senso di delusione tremendo. Si domandava perché, se aveva creduto in lui, non gli avesse offerto un aiuto concreto, perché non lo avesse informato del fatto di possedere un frammento dell’anima di Voldemort dentro di sé. E non sapeva rispondersi.
Dunque cercava libri e si esercitava con gli incantesimi, molto più complessi di quelli cui era abituato, e si era giurato di continuare a farlo finché gli sbuffi di fumo non si fossero tramutati in miglioramenti. Certo, sarebbe stato meglio se Voldemort fosse stato lontano o molto ottuso, ma aveva l’impressione che sapesse cosa voleva fare. E che glielo permettesse.
Anche questo non gli piaceva, ma era sicuro che si trattasse del suo modo di sottovalutarlo.
Il mago era ricomparso un paio di volte e gli aveva messo a disposizione due intere ale della biblioteca dei Malfoy in cui poteva sedere a sfogliare pagine ingiallite dai secoli. Aveva sempre preferito le lezioni pratiche a quelle teoriche, ma ci sudava perché non voleva permettere che Voldemort impugnasse completamente il controllo della situazione quando in ballo c’era la vita di Ginny. Si domandava se realmente non esistessero rimedi magici alternativi, dato che le uniche dichiarazioni provenivano da Voldemort, ma ormai era imprigionato dai Malfoy e non aveva contatti con l’esterno che gli permettessero di chiedere ad un Guaritore.
Se solo gli elfi gli avessero parlato…
Per ora poteva farcela. Era intrappolato lì, ma lo era volontariamente, e ciò gli donava una certa, stramba fiducia. Si sentiva molto lunatico in quel periodo: alternava momenti d’energia e impegno a periodi di depressione e sconforto.
Finita la colazione, ripose il vassoio su un tavolino e si vestì. Si chiedeva da dove provenissero gli indumenti. Non pensava che i Malfoy gli dessero quelli appartenuti a loro figlio, era più propenso a credere che fossero stati ordinati appositamente. Erano tutte vesti dalle poco variegate sfumature di nero, verdone e viola scuro, nulla di particolarmente elegante ma dai tessuti soffici, le cuciture accurate e il taglio sartoriale.
Gli ricordavano parecchio Draco. Su di lui, biondo e bianco, facevano uno strano effetto, mentre su Harry, moro e ultimamente esangue, con occhiaie poco attraenti e occhi di un verde spento, risultavano semplicemente lugubri. Gli sembrava di andare in giro vestito da funerale.
Funerale.Si chiedeva dove fossero stati seppelliti i membri dell’Ordine. Tutto si poteva dire, ma non che Draco non avesse la sua tomba in marmo bianco nella cappella di famiglia. Quella mattina avrebbe voluto dirigersi in biblioteca per studiare, ma un impulso strano lo spinse in giardino, verso la cappella. Il pavimento era mosaicato, le colonne di marmo rosato e il soffitto affrescato in una scena di magia, la magia benevola che accompagnava il culto dei morti nel mondo dei maghi. Molti dettagli erano in oro zecchino.
La tomba era scolpita a rappresentare un Draco dormiente, terribilmente somigliante. Era un po’ triste e un po’ inquietante, in realtà. Harry non sapeva perché era lì. Hermione avrebbe parlato di ‘senso di colpa del sopravvissuto’ e Ron avrebbe alleviato l’atmosfera con una delle sue uscite, ma loro non c’erano. Neppure Draco c’era, però avere la prova concreta che fosse esistito, in qualche modo, rendeva tutto più accettabile. Il piccolo ritratto del ragazzo lo guardava con una smorfia arrogante, di quelle che negli ultimi anni erano state sempre più difficili da dipingersi in viso.
Harry osservò la foto incorniciata, che gli rimandò lo sguardo in modo molto poco amichevole. Stava per dire qualcosa, quando percepì un brivido sulla nuca. Una presenza.
Il volto candido di Narcissa Malfoy, alle sue spalle, spiccava nitido contro il vestito nero dalle gonne gonfie sul retro, da epoca vittoriana, il cappellino con la veletta sui capelli acconciati in uno chignon. Gli occhi erano fissi in avanti, d’un azzurro più limpido di quelli del marito – del figlio – ma stranamente distanti. Tutto, in lei, era remoto: la postura, le mani guantate congiunte in grembo, anche l’assenza di lacrime. La pelle liscia, i capelli d’un biondo argenteo e i tratti delicati – era bella, pensò Harry, ma di una bellezza segnata da marchi invisibili. Troppo statica, troppo fredda.
Incerto su come comportarsi, le rivolse un cenno rigido. Non gli stava propriamente simpatica, ricordava bene i suoi modi sgarbati da Madama MacClan, ma era una strega così triste, e aveva appena perso un figlio… Le vesti a lutto non le si addicevano. Si diresse verso la tomba senza dare traccia che si fosse accorta di lui, passando le dita sottili sul volto di pietra e ritraendole poco dopo.
“Eravamo divisi.” Quando parlò, Harry non capì subito che cosa stesse dicendo, o a chi. “Lui al castello, noi appena fuori, nel prato. C’era confusione. Urla. Ma pensavamo di riuscire a trovarlo. Era lì, d’altra parte… Vicino.”
La voce era priva d’increspature, un mormorio discreto senza intonazione.
“Siamo arrivati tardi. Il castello era stato invaso e…tutto quel sangue. Non l’abbiamo trovato quel giorno, ma il pomeriggio successivo, quando il peggio era passato. Rabastan raggruppò le famiglie perché avevano rinvenuto i corpi di alcuni ragazzi. Eravamo tutti lì, noi e altri, a guardarci di sfuggita augurandoci che fosse il figlio di qualcun altro. Ma era l’unico con la divisa di Serpeverde.”
Fu allora che la voce venne meno, sfumando in un sussurro più delicato.
“L’abbiamo riconosciuto dall’anello. Aveva un anello col nostro blasone. I capelli erano troppo…pieni di sangue.” Un gesto con la mano, come a scacciare qualcosa. “Il colore non si riconosceva. Il viso…strappato via.” Un altro gesto a mimare appena l’azione. Ritirò la mano in grembo come se si fosse bruciata. Esitava, ma non piangeva.
Harry continuò a fissare la statua. Difficile respirare quando l’aria sembrava piombo nei polmoni. Le immagini nella sua mente erano vorticose e cruente. Le vedeva già tutte le notti.
Ad un certo punto, la donna avvicinò le dita guantate al suo mento, voltandogli il capo con uno sfioramento di pollice e indice.
“Era rimasto. Tutti i suoi compagni se n’erano andati, ma lui era rimasto. Io so perché.”
Harry si liberò dal suo tocco, scacciandolo, e disse ciò che di più gli pesava sullo stomaco simile ad un timore: “Non è colpa mia se suo figlio è morto.” Non è colpa mia. L’ho tirato fuori dall’Ardemonio. L’ho aiutato con quel Mangiamorte. Ho cercato. Voleva consegnarmi a Voldemort.
Sentì di aver parlato bruscamente, troppo. Riprese a fissare la lapide a pugni chiusi.
Dopo lungo tempo, Narcissa parlò di nuovo, riprendendo la calma glaciale di poc’anzi: “No, non è colpa tua. Hai meno colpa tu di me, immagino. Mi piacerebbe che lo fosse, però… Tua piuttosto che nostra.”
Si sfilò rapidamente i guanti, rivelando mani sorprendentemente rovinate, unghie che mettevano in mostra la carne viva, come se passasse il tempo a tormentarsele mentre il resto del suo corpo non mostrava reazione.
“Sono stati Greyback e i suoi. Selvaggi mannari completamente fuori controllo. Hanno imbastito una carneficina per giorni, i primi ad entrare in battaglia e gli ultimi ad uscirne.” Il volto mise in mostra per la prima volta rughe di sprezzo. Lo sguardo ceruleo incontrò nuovamente il suo, come in attesa. “Anche i tuoi amici, mi dicono…”
Harry rabbrividì. Certo, Ron e Hermione erano stati…uccisi da Greyback, e Scabior era stato uno dei Ghermidori. Lui li odiava. Tuttavia, perché la strega lo fissava in quel modo?
“Che cosa vuole da me?”
Il viso di lei fu vicino al suo. Fu solo un sussurro: “Vendetta.”
E per un attimo, somigliò a sua sorella.
Harry capì che Narcissa aveva pagato il prezzo delle Arti Oscure, assieme a Lucius, Bellatrix e tutti gli altri in quella casa. L’odio consuma, come la magia che da esso deriva: ecco perché il vuoto, la distanza, il tormento e la nevrosi. Il dolore lacera per primo, l’odio corrompe.
Voldemort era ciò che rimane di un incendio, e Harry avvertiva già le prime fiamme del proprio.


 
 

Non so cosa dire per i miei mostruosi ritardi, se non ringraziare i santi che riescono a tenere il passo con i miei aggiornamenti a rallent. Ditemi solo perché seguite questa cosa. E' angst, potreste non sopravvivere fino alla fine. Forse siete anche voi masochisti? Rimando alle note iniziali aggiunte nel primo capitolo per chi volesse capire in che diamine consiste questa storia. È un progetto minore ed è una cosa che scribacchio quando ho voglia/tempo/energia e soprattutto quando intendo rovinarmi l’umore, ma non lo ritengo secondario. Solo più piccolo. Piccolo perché depressivo, ecco. Per il resto, capitolo forse di passaggio ma piuttosto importante per allacciarci a ciò che viene dopo. Harry sta cercando di superare la demoralizzazione iniziale, ma è difficile e per farlo non riesce ad aggrapparsi a sentimenti completamente positivi. Non tutte le pippe introspettive sono chiare, ma il discorso sull’odio ci sarà ancora. Ho scelto di non soffermarmi troppo sul processo psicologico perché sarebbe stato da svenarsi anche per me. Inoltre, se Narcissa chiede vendetta a Harry e vi sembra strano, è perché il personaggio sa delle cose che il lettore non conosce, né ho riportato l’intera conversazione tra loro. E Remus. Sì, ho deciso d’“ingrandire” un tantino e mostrare anche che cosa capita al povero Remus redivivo.
Nel prossimo, Harry inizia il suo tirocinio allucinante e fa tanti progetti per il futuro.

 
   
 
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