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Autore: Stella della sera    07/10/2012    5 recensioni
Quella che dovrebbe essere una semplice missione viene compromessa quando la gelosia di Agron ha la meglio su di lui.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agron, Nasir
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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Fu con dita delicate che Agron raccolse i capelli di Nasir, sollevandoli dal collo in modo da poter chiudere il vecchio collare da schiavo intorno alla gola del siriano. Agron odiava vederlo di nuovo lì, ma era necessario per la missione che si apprestavano a compiere. Un uomo che affermi di essere uno schiavo deve recarne il marchio, e il lavoro di Nasir quel giorno consisteva nel ricoprire quel ruolo. Uno che conosceva bene, uno che avrebbe interpretato in maniera convincente.

Senza dubbio Nasir era felice di poter essere d'aiuto, ma i sentimenti di Agron erano contrastanti. Avere Nasir al suo fianco sarebbe stato per lui motivo sia di conforto che di preoccupazione. Gli sarebbe piaciuto vedere il siriano in azione, ma se fosse giunto per Agron il momento di proteggerlo e non ci fosse riuscito... Non se lo sarebbe mai perdonato. Aveva a malapena perdonato se stesso per aver lasciato andare Nasir alle miniere senza di lui.

Ma c'era molto da fare, e tutto era già stato deciso. Sarebbe stato un piccolo gruppo a recarsi a Neapolis, quel giorno; solo Agron, Nasir, Donar, e un uomo per guidare il carro. Spartacus sarebbe rimasto indietro; il suo volto era troppo noto, ormai, e nemmeno un mantello con cappuccio avrebbe potuto nasconderlo dove stavano andando. Il piano era abbastanza semplice: sarebbero andati dal mercante di schiavi, quello che teneva la zona del porto, con la scusa di guardare le merci per il loro dominus. E lì, avrebbero trovato una documentazione completa delle varie attività portuali. Con tali informazioni, le date e gli orari di ogni arrivo di ogni nave carica di combattenti da altri lidi, il loro numero sarebbe cresciuto.

Con l'aiuto di Nasir, un panno fu avvolto attorno all'avambraccio di Agron per nascondere il marchio della fratellanza. Il nome di Batiatus si era senza dubbio diffuso in lungo e in largo, fino a Neapolis dove quel segno sarebbe stato riconosciuto. Quando Nasir fece un nodo alla stoffa, Agron lo guardò per un attimo prima di parlare. "Sarò io a strappare il collare dalla tua gola quando torneremo," promise. Il siriano si fermò, senza tuttavia distogliere lo sguardo da quanto stava facendo, e sorrise con quel sorriso mite, lento a cui Agron era così affezionato.

Era giunto per loro il momento di partire. Il viaggio non sarebbe stato lungo sul carro, e la missione stessa, se fosse andato tutto liscio, non avrebbe preso a sua volta molto tempo. Ma era così raro che le cose andassero effettivamente secondo i piani, con loro. Un fatto di cui Agron era dolorosamente consapevole.

Salì sul retro del carro con Nasir e Donar. Spartacus stava fuori a guardarli. "Viaggiate sicuri," raccomandò, "e procedete con cautela. Prendete quello che vi serve e uscite." Il trace fece loro un cenno e si avviò verso la parte anteriore del carro, dove senza dubbio diede simili consigli al conduttore.

"Facile a dirsi," rifletté Agron, appoggiandosi all'indietro e mettendosi comodo per il viaggio. Lanciò un sorriso a Nasir, che sedeva di fronte a lui. "Preghiamo i fottuti dèi perché sia facile anche a farsi."

Ma nonostante tutta la sua spavalderia, una parte di Agron temeva Neapolis, se non altro per i ricordi che gli avrebbe evocato. Quella città era dove lui e suo fratello erano stati portati e venduti come schiavi quella che sembrava una vita fa. Perfino il mercante di schiavi con cui dovevano incontrarsi poteva essere stato quello la cui mano aveva scambiato le loro vite con un pugno di monete, mettendoli sulla via per la casa di Batiatus. La stessa casa sulle cui sabbie Duro era morto. Per quanto lo desiderasse, non erano cose che avrebbe dimenticato presto.

A mano a mano che il viaggio procedeva e la città si avvicinava, il suo timore cresceva. Sapeva quello che doveva fare e lo avrebbe fatto, ma nemmeno tale proposito poteva cancellare la cupa espressione sul suo volto. Era un'espressione che Nasir doveva aver notato perché, quando Donar si girò dalla parte opposta - senza dubbio a vantaggio di Agron, dal momento che il gladiatore non avrebbe voluto che l'altro uomo vedesse questa irrequietezza in lui - si chinò in avanti e toccò il ginocchio di Agron. Fu il più gentile dei tocchi, giusto per ricordare ad Agron che lui era lì, e fu molto apprezzato. Agron prese quella mano e se la portò alle labbra, imprimendo un bacio lieve sulle nocche di Nasir. Forse era meglio che Nasir fosse lì con lui, dopotutto.

Presto furono all'interno della città, e si fecero largo attraverso le strade affollate, a piedi ora, fino al distretto portuale. Nasir camminava davanti; Agron e Donar erano entrambi dietro di lui, in modo da sembrare la sua scorta. Perché uno schiavo personale era prezioso per un dominus, almeno abbastanza da giustificare un paio di guardie del corpo in una città così grande e piena di pericoli sconosciuti in ogni vicolo. Quella era la loro storia, se non altro. Nasir pareva sufficientemente vulnerabile, con il suo collare e con le sue vesti leggere, da avere bisogno di simili guardiani.

Il mercante di schiavi che incontrarono era l'incarnazione di quel che faceva per vivere: era disgustoso, reso grasso dal denaro ricevuto per le anime perdute che passavano attraverso il luogo, sporco fino al midollo e con i denti anneriti, senza dubbio, dalle parole che proferiva ogni giorno per condannare altri uomini alla schiavitù.

Come Nasir riuscisse perfino a guardare l'uomo in faccia, a tenere una conversazione con lui, andava al di là della comprensione di Agron. Ne era colpito, tuttavia; non vi era alcuna traccia del cagnolino testardo e selvatico che aveva imparato a conoscere. C'era solo l'obbedienza, deferenza, gentilezza - o, perlomeno, quanta gentilezza un umile schiavo, anche uno con il titolo di 'schiavo personale', poteva possedere.

"Il mio dominus vuole conoscere la qualità degli uomini che passano di qui," disse Nasir al mercante di schiavi, "e usa me come i suoi occhi e le sue orecchie."

Lo sguardo dell'uomo scivolò su Nasir in un modo che indusse Agron a stringere gli occhi. Era uno sguardo che non poteva avere frainteso; la mente di quell'essere disgustoso era rivolta verso qualcosa di più degli affari. "E il tuo dominus ce l'ha un cazzo di nome, o devo indovinare?"

Stava andando esattamente come previsto. Esattamente come Nasir aveva predetto, in realtà. Sapeva meglio di chiunque altro come funzionava la schiavitù, di gran lunga meglio di uno qualsiasi dei gladiatori. Il siriano estrasse una borsa dalla tasca e lasciò cadere la moneta fra le dita sporche del mercante di schiavi. "Egli desidera rimanere anonimo, per ora. Altre monete troveranno la tua mano per la tua discrezione."

L'uomo si fermò per un attimo, soppesò la borsa nella mano, poi sorrise con un sorriso sgradevole. "Da questa parte." Iniziò a camminare, ma si arrestò un momento, volgendo lo sguardo verso di loro. "E chi sono queste montagne che camminano alle tue spalle?" chiese, accennando verso Agron e Donar. Nasir si guardò indietro e incrociò brevemente lo sguardo di Agron, ma poi la sua attenzione tornò ancora una volta al mercante di schiavi.

"Protezione," disse semplicemente, senza perdere un colpo. "In questa città c'è gente che potrebbe approfittarsene." Agron non riusciva a vedere il volto di Nasir, ma qualcosa nella sua espressione stava facendo sorridere di nuovo il suo interlocutore. Fu in quel momento che Agron non desiderò altro che di afferrare Nasir per un braccio e trascinarlo via di peso da quel luogo. Qualcosa si agitava dentro di lui.

Le parole di Nasir parvero soddisfare il mercante di schiavi, e il gruppo continuò a camminare. Si trovavano all'interno di un edificio enorme, procedendo lungo i sentieri che circondavano un ampio cortile dove, ricordò Agron, gli schiavi venivano messi in mostra per essere venduti. Aveva già percorso quelle stesse sale in precedenza, benché in catene. Ma cercò di non soffermarsi su tali pensieri. Avevano un lavoro da fare, e perdersi nelle memorie del passato non avrebbe certo favorito il compimento della loro missione.

Ben presto, il gruppo svoltò per scendere lungo una scala. Sotto i loro piedi, Agron lo sapeva, c'erano gabbie senza fine, una prigione in cui tenere gli schiavi. Fu allora che il mercante prese a indicarne alcuni, pronunciando enfatiche parole di elogio - senza dubbio a beneficio di questo 'finto' dominus - quasi fossero dèi anziché schiavi.

Il viaggio si concluse in breve tempo, e furono condotti al piano superiore e poi in un'altra stanza ancora. Questa sembrava promettente: c'erano fogli sparsi senza criterio su un tavolo e il lezzo rivoltante che permeava l'ambiente, proprio come quello emanato dallo stesso mercante di schiavi, faceva supporre che fosse il suo ufficio. Agron era stato così occupato a guardarsi intorno per determinare se ciò di cui avevano bisogno si trovasse dentro quelle quattro mura, che non aveva notato la conversazione in corso tra Nasir e l'uomo. Ma se ne accorse ora.

"Dimmi, che cosa fa uno schiavo personale per il suo dominus?" chiese il mercante di schiavi, il corpo massiccio seduto sul bordo della sua scrivania. Il legno gemeva sotto il suo peso.

"Devo soddisfare ogni esigenza del mio dominus," rispose Nasir in tono piatto.

Questo sembrò deliziare l'uomo. "Ogni sua esigenza. Ho bisogno di qualcosa, piccoletto."

L'uso di quell'appellativo affettuoso da parte di un essere così disgustoso indusse Agron a corrugare le sopracciglia e a stringere la mascella.

Il mercante di schiavi non doveva usare quelle parole. E non in quel tono, non verso Nasir. Agron serrò le mani a pugno, il suo sguardo ora puntato sull'uomo mentre questi sollevava la sua mole ingombrante dalla scrivania e si muoveva verso Nasir. Quanto più si avvicinava al siriano, tanto più difficile era per Agron rimanere dove si trovava. Avrebbe mandato con un pugno quei denti disgustosi giù per quella gola viscida. Ancora un passo e Agron prese ad avanzare...

Ma prima che potesse sollevare un piede da terra, una mano gli afferrò il polso. Agron guardò rapidamente al suo fianco, dove stava Donar. Il gladiatore scossa brevemente il capo, un moto quasi impercettibile, e questo fermò Agron. Liberò il polso dalla stretta di Donar e si volse di nuovo a guardare di traverso il mercante di schiavi, il suo respiro solo un po' più calmo di quanto non fosse prima. La sua rabbia, una volta scatenata, era difficile da tenere a freno.

Sarebbe stato in grado di controllarsi, non fosse stato per le parole successive dell'uomo. "Di' al tuo dominus che ho richiesto un pagamento maggiore a quanto offerto," disse quella voce strascicata, "per tenere la bocca chiusa. E che ho voluto essere pagato in natura." Poi il grasso mercante di schiavi allungò la mano ad afferrare Nasir per un braccio per tirarselo vicino - ma non riuscì ad andare oltre.

Con un ringhio, Agron balzò in avanti e fu su di lui. Entrambi caddero al suolo, Agron sopra l'altro uomo, e tirò indietro il braccio per prendere a pugni quella faccia disgustosa ancora e ancora, finché non sentì le ossa rompersi sotto il suo pugno. Agron era perso nella sua mente, nella furia cieca che saliva dentro di lui alla sola idea di quell'uomo che toccava Nasir. Fu soltanto quando due paia di mani lo afferrarono e lo trascinarono via che tornò in sé, ma solo leggermente. Respirava con affanno, seduto sul pavimento, e il suo pugno era coperto di sangue. Aveva lasciato il volto del mercante di schiavi ridotto a un grumo rossastro.

"Fratello," disse Donar, e prese con un gesto rude il viso di Agron nella mano, costringendo il gladiatore a volgere gli occhi azzurri verso di lui. "Controllati. Metà cazzo di città sarà su di noi se non ce ne andiamo prima che ci scoprano."

Nasir si era già allontanato da loro e stava frugando tra le carte sulla scrivania del mercante di schiavi, spingendo da parte le cose prima di trovare quello che gli serviva. "Qui," bisbigliò, ripiegando subito la pergamena e infilandola in un qualche luogo segreto. Fu in quel momento che un gemito si fece udire dal sacco di carne e ossa che Agron aveva lasciato sul pavimento. Agron aveva sperato di uccidere la merda romana; accennò ad alzarsi per essere sicuro di riuscirci questa volta, ma Donar lo trattenne.

"Dove hai la testa?" sbottò il gladiatore, tirando Agron indietro. "Nasir," disse poi Donar, in tono implorante.

Il siriano si avvicinò velocemente e prese con delicatezza il volto di Agron fra le mani. Questa volta, gli occhi di Agron misero a fuoco le immagini, la sua attenzione fu distolta dal mercante di schiavi. "Dobbiamo andare," disse Nasir tenendo la voce bassa e calma. Agron sbatté le palpebre e poi annuì,  tirandosi su per aggrapparsi alle braccia che Donar aveva avvolto intorno a lui. Una resa. Agron fu liberato e si alzò in piedi, il suo corpo ancora tremante per la rabbia che aveva scatenato. E, prima che potessero essere scoperti, i tre lasciarono la stanza, lasciarono l'edificio, si lasciarono dietro Neapolis. Il carro era in attesa alla periferia della città, per riportarli al tempio.

"Ricordami di non guardarlo nemmeno, il tuo fottuto siriano," disse Donar, battendo una mano sulla schiena di Agron mentre salivano sul carro. Agron sbuffò, anche se non era una risata. La rabbia non lo aveva ancora lasciato e il suo umore non era ancora migliorato. Si appoggiò alla sponda del carro e flesse le dita della mano che aveva usato per colpire in faccia il mercante di schiavi. Gli doleva e le nocche erano insanguinate e scorticate, ma non gliene importava affatto.

"Noteranno che il documento è stato preso," disse Nasir quando si sedette al suo posto. "Avrei preferito trascriverlo, piuttosto."

"Prima o dopo che il mercante di schiavi ti piegasse sulla sua scrivania ficcandoti il suo cazzo nel culo?" scattò Agron. Non era arrabbiato con Nasir, e senza dubbio il siriano lo sapeva. Era arrabbiato con se stesso per aver perso il controllo e, forse, rovinato i loro piani per liberare gli uomini stivati nelle navi a Neapolis. Avrebbero modificato la pianificazione delle attività portuali, una volta accortisi che il documento ufficiale era scomparso? Avrebbero anche capito che era stato rubato, o avrebbero solo pensato che fosse andato smarrito da qualche parte? Tutto sarebbe rimasto un mistero fino a quando Spartacus e gli altri non fossero tornati in città all'arrivo del prossimo bastimento di schiavi.

"Libera la mente dai pensieri spiacevoli," propose Donar, che sembrava molto più soddisfatto di Agron. "Abbiamo ottenuto quello per cui siamo venuti."

Ma non senza alcune complicazioni inutili. Agron non era convinto di non aver fatto un errore gravissimo. I suoi rimorsi si attenuarono, però, quando Nasir si sporse in avanti dal suo posto di fronte ad Agron e, con un gesto, invitò il gladiatore a fare lo stesso. S'incontrarono nel mezzo, i volti vicini.

"Ti mostrerò la mia gratitudine per quello che hai fatto per me," disse Nasir, una promessa provocante nel suo tono. Finalmente, un ghigno caratteristico da parte di Agron. Premette la fronte contro quella dell'altro ed erano così vicini che le loro ciglia si sfioravano. C'era ancora una cosa che Agron doveva fare per Nasir. Protendendosi verso di lui, fece scivolare la punta delle dita lungo la gola del siriano prima di afferrare il collare da schiavo e strapparlo via. Cadde sul fondo del carro e rimase lì, si sperava per non essere mai più usato.

Una verità pericolosa si era rivelata quel giorno: che Agron, senza pensare a se stesso o alla ribellione, avrebbe fatto tutto il possibile per il bene di Nasir. Piani accuratamente preparati sarebbero stati dimenticati. Dei sacrifici sarebbero stati compiuti. E tutto per vedere il siriano al sicuro tra le sue braccia, sano e salvo, a qualunque costo.



  
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