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Autore: HarleyQ_91    07/10/2012    1 recensioni
Vivien si avvicinò al dipinto e sollevò la candela per illuminarlo meglio.
Avevano tutti un’espressione così seria i conti Turner, persino la piccola Alyssa, che avrà avuto circa cinque anni, non sembrava godere di quella gioia e spensieratezza tipica della sua età.
E poi c’era lui, quel giovanotto che non era riuscita ad osservare bene qualche ora prima. Ora, col mozzicone di candela a qualche centimetro dalla tela, fece luce sul suo volto, illuminandone anche i più piccoli particolari.
Il conte Aaron Turner.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 16
- Un Sentimento Complicato - 



  Vivien si alzò quella mattina con una strana energia addosso. Aveva dormito bene, cosa che non le capitava da parecchie notti, era sprofondata in un sonno beato come quello di una neonata, non aveva sognato nulla e si era svegliata con le prime luci dell’alba, fresca e positiva come mai.
  Sembrava assurdo avere un umore così buono soprattutto dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni, ma era raro per lei sentirsi così bene, che pensò di godersi quegli attimi e basta, senza rimuginare sul perché.
  Uscì dalla sua stanza per dirigersi verso le stanze dei nobili per svegliare la contessina Alyssa e condurla a fare colazione, quando vide Meg scendere le scale dal piano superiore con un’espressione un po’ affranta.
  “Cercavo te”. Disse la biondina, porgendo a Vivien il vassoio che teneva in mano. “Il conte Aaron vuole che sia tu a portargli la colazione, ha ordinato a me di occuparmi della contessina”.
  Vivien guardò la ragazza di fronte a sé e non riuscì a spiccicare una parola, sentì le guance arrossarsi, così prese al volo il vassoio e si diresse sulla rampa di scale per darle le spalle. Meg mormorò qualcosa ma non riuscì a capire.
  Il conte Aaron aveva richiesto la sua presenza e lei si era emozionata come una ragazzina, si sentiva così stupida in quel momento. Eppure voleva andare da lui, vederlo, chiedergli come stava – vista soprattutto la perdita del giorno prima – sentire ancora il calore della sua mano nella sua.
  Improvvisamente Vivien si bloccò in cima alle scale, la porta della stanza del conte si trovava in fondo a quell’ampio corridoio tempestato di quadri. La consapevolezza di ciò che desiderava fu così forte che le mise paura. In quella stanza c’era tutto ciò che lei aveva creduto di odiare, e ora si ritrovava ad esserne irrimediabilmente attratta.
  “L’amore rende vulnerabili”. Le aveva detto suo padre qualche giorno prima della fatidica notte dell’incendio. “Bisogna fare attenzione a chi mostriamo le nostre debolezze”.
  Allora Vivien non aveva compreso il vero significato di quelle parole, ma forse ora incominciava a capire.
  Riprese a camminare lentamente lungo il corridoio, il tintinnio della tazza di tè e delle posate erano l’unico rumore che le facesse compagnia, appoggiò poi il vassoio sul braccio destro e bussò alla porta con l’altra mano.
  Si aspettava che il conte le desse il permesso di entrare, invece passati un paio di secondi la porta di aprì e lui le fu davanti, aveva un’espressione ansiosa, che si rilassò quasi subito e, senza dirle una parola, si spostò per lasciarle lo spazio per entrare.
  “Credevo che avresti rifiutato il mio ordine, rimandando Meg indietro”. Commentò Aaron, chiudendosi la porta dietro le spalle. Doveva appena essersi lavato la faccia, perché qualche goccia d’acqua era rimasta incastonata tra la barba leggermente incolta.
  “Siete un malfidato, signore”. Ironizzò lei, posando il vassoio con la colazione sul comodino accanto al letto.
  “Aaron!” La ribeccò lui. “Ne abbiamo già parlato, basta con questo signore!”
  Vivien sospirò. “Non sono nella posizione di potervi chiamare per nome, signore!”
  “Ti do il mio consenso, di che altro hai bisogno?”
  Di potermi fidare di te! Quelle parole però le rimasero in gola, non sentendosela di farle uscire.
  Vivien si morse inavvertitamente il labbro inferiore e abbassò lo sguardo. Perché le stava succedendo questo? Quell’uomo era stato vile con lei, crudele a volte, l’aveva oltraggiata, derisa, picchiata, ma sembrava non le importasse più.
  Quei comportamenti appartenevano al passato, ora lui era gentile, quasi premuroso. Istintivo e passionale, certo, ma con un coraggio che pochi potevano vantare. Con un ideale da perseguire, un paese da difendere, un amico da vendicare.
  Come poteva non provare ammirazione per un uomo del genere?
  Sempre che poi di ammirazione si trattasse…
  La mano di lui ancora un po’ inumidita dall’acqua le si posò su una guancia e Vivien alzò di scatto la testa. Tutti quei pensieri non le avevano fatto notare che si era avvicinato.
  “Te lo chiedo di nuovo, di che altro hai bisogno, Vivien Foster?” La sua voce si era fatta più bassa, calda e suadente. Un sussurro che le accarezzò le orecchie, cullandola.
  Vivien chiuse gli occhi e toccò quella mano che le accarezzava il volto.
  “Di te!”
  Quando si accorse di non averlo soltanto pensato fu troppo tardi. Aaron la prese tra le braccia, catturandole le labbra e stringendola a sé. Il bacio fu intenso, passionale e lei non trovò la forza per opporvi resistenza.
  I loro corpi aderivano come se fossero stati fatti per sfiorarsi e lei sentì la sua erezione a contatto col suo bacino. Si sentiva bruciare, ardeva di desiderio per lui.
  Lo voleva.
  Era sul punto di circondargli il collo con le braccia, ma qualcuno bussò alla porta.
  Di colpo lei si distanziò, aveva il viso in fiamme, sentiva uno strano calore pervaderle il basso ventre e il fiato le si era accorciato.
  “Chi è?” Chiese Aaron in tono scocciato.
  Dalla porta della stanza fece capolino la testa di Hans, che salutò il suo padrone facendo un inchino e dandogli il buongiorno.
  “Il conte vostro padre desidera vedervi”. Disse il maggiordomo nella sua figura dinoccolata e elegante. “Vuole che vi presentiate nel suo studio fra dieci minuti”.
  Aaron contrasse la mascella e annuì a forza, Hans si congedò con un inchino e tornò alle sue faccende. Era evidente che tra padre e figlio non scorresse buon sangue, Vivien se ne era accorta fin dal primo momento in cui aveva visto il conte Richard. 
  “Che aspetti in eterno!” Esclamò Aaron voltandosi di nuovo verso di lei e cingendole la vita con un braccio. La baciò di nuovo, ma stavolta in quel bacio non c’era solo desiderio, anche ansia, astio, frustrazione.
  La lingua del conte si fece più esigente, come anche le mani. Esse cercarono di farsi spazio tra i lacci del corpetto e di inoltrarsi sulla pelle nuda, mentre col corpo la spingeva sempre più verso il bordo del letto.
  Vivien aveva già vissuto quell’esperienza e, di certo, una parte di lei non vedeva l’ora di riprovare quelle sensazioni così sconosciute ed eccitanti. Ma non in quel modo.
  “Lasciatemi!” Sentenziò, ponendo le sue mani sul petto del conte e distanziandolo da lei.
  “Non mentire, Vivien. Lo vuoi anche tu, me lo hai detto!” Il tono di lui era aspro, pieno di agitazione. L’uomo che fino a un minuto prima l’aveva abbracciata e baciata teneramente non c’era più.
  “Non è questo ciò che voglio!” Gli rispose lei a tono. “Non sono un oggetto per alleviare le vostre frustrazioni. Non potete usarmi solo per soddisfare i vostri capricci. Ho dei sentimenti e una virtù da difendere e finché voi non avrete imparato a rispettarli, mi dispiace, ma non troveremo mai un punto d’incontro”.
  “Vuoi che ti dimostri quanto ti amo?” Sbottò lui. “E’ questo che mi stai chiedendo?”
  “Amore?” Vivien non poteva davvero credere che potesse arrivare a mentire così spudoratamente. “Il vostro non è amore. Il vostro è desiderio, volete vedermi giacere nel vostro letto e dimenarmi sopra di voi come una sgualdrina. Ecco qual è il vostro concetto di amore. Beh, mi spiace deludervi, ma io la vedo in modo completamente diverso”.
  Aaron stette per replicare ma si trattenne, contrasse la mascella e strinse i pugni. Quel silenzio fu per Vivien solo un’ulteriore conferma delle sue paure. Il conte non l’amava, né l’avrebbe mai amata.
  Con tutta la dignità che le era rimasta, si rimise a posto il bustino e lisciò la gonna, dopodiché si diresse verso la porta. “Con permesso”. Disse accennando un inchino e uscendo dalla stanza.
  Vivien percorse il corridoio e scese le scale lentamente, così da permettere al suo cuore di rallentare i battiti e alle sue lacrime di smettere di uscire. Erano lacrime di rabbia più che di tristezza. Lacrime di delusione perché mai si sarebbe aspettata che i suoi sentimenti la tradissero in questo modo.
  Giunse alla fine della rampa di scale e si fermò nell’ampio atrio, alla sua destra il quadro della famiglia Turner la sovrastava come mai prima di allora. Lo sguardo gelido del conte Aaron la fissava, immobile e scultoreo e, sebbene nel dipinto fosse solo un fanciullo, si vedeva benissimo quanto poco amore ci fosse in quel volto.
  Era un uomo d’onore, leale, certo. Ma l’amore era un’altra cosa.
  “Signorina Vivien, tutto bene?”
  La ragazza alzò la testa e si asciugò le lacrime in fretta prima di voltarsi. Di fronte a lei c’era l’anziana balia dei conti Turner, col suo sorriso caloroso, ma dagli occhi vispi.
  “Sì, sto bene, grazie!”
  La donna scosse la testa. “La vecchia Adele sa riconoscere le anime in pena”.
  Parlava di lei in terza persona, Meg le aveva detto che quella signora non era del tutto in sé.
  Adele si avvicinò a Vivien e le posò una mano sulla spalla. “Siete entrambi ancora così acerbi, così orgogliosi. Dai retta a questa povera vecchia, le lacrime non servono, serve la comprensione”.
  “Oh, credetemi, io ho compreso benissimo!” Vivien fece un passo indietro e si sforzò di sorridere. “Ora scusatemi, ma la contessina mi starà aspettando”.
  Adele era stata la balia del conte Aaron, avrebbe dovuto conoscerlo bene. Di certo era la malattia a farla parlare in quel modo, perché quell’uomo non c’era modo di farlo cambiare.
 
  Aaron si vestì di malavoglia. Era così arrabbiato che avrebbe voluto spaccare qualcosa con le sue mani, invece si limitò a buttare per terra la sedia davanti al suo scrittoio con un calcio.
  Quella stupida!
  In quel momento non trovava parola più adatta per descriverla. Aaron gli aveva confessato di amarla e lei non gli aveva creduto.
  Beh, se si aspettava che lui glielo dicesse di nuovo per convincerla, allora la sua stupidità raggiungeva livelli inimmaginabili. Solo perché si era innamorato, non significava che aveva perso il suo orgoglio. Il suo amore per lei sarebbe continuato a crescere, ma non glielo avrebbe dimostrato, non almeno finché lei non fosse stata capace di accoglierlo.
  Uscì dalla sua stanza e vide Hans di fronte alla porta intento a bussare, subito il maggiordomo si scostò e fece un inchino.
  “Signore, il conte vostro padre vi attende…” Disse con titubanza. Hans era a conoscenza del rapporto teso tra padre e figlio e Aaron era più che certo che in quel momento avrebbe preferito lavare i bagni piuttosto che trovarsi in mezzo.
  “Perché non si scomoda lui, una volta tanto”. Esclamò il conte, più a se stesso che al maggiordomo.
  Avrebbe preferito non andare, già il suo stato d’animo non era dei migliori, parlare con suo padre gli avrebbe soltanto rovinato irrimediabilmente la giornata.
  In più c’erano questioni urgenti da risolvere, ora che Sam non c’era più. Il proposito dei Mercenari andava perseguito, bisognava trovare il traditore e liberare il paese da un re folle.
  Decisamente Aaron aveva ben altre cose a cui pensare al posto di andare a parlare con suo padre.
  Scese le scale fino all’ingresso della villa, ma invece di girare a sinistra verso lo studio del conte Richard, si diresse alla porta e prese il suo soprabito.
  “Signore…” Lo chiamò Hans. Anche se la sua voce era come al solito inespressiva, Aaron avrebbe scommesso metà della sua fortuna che in realtà era sorpreso e, in parte, ansioso.
  “Parlerò con mio padre quando avrà il disturbo di venirmi a chiamare di persona”. Esclamò infilandosi il cappello.
  “Ma signore, sapete che è usanza sociale farsi annunciare prima di…”
  “Ultimamente delle usanze sociali non me ne frega proprio niente!”
  Ed era vero.
  Fino a qualche mese prima sarebbe andato da suo padre, nonostante il disappunto, perché era ligio ai suoi doveri di figlio e alla condizione sociale che rivestiva la sua famiglia nella società. Un tempo non avrebbe aspettato un attimo a licenziare un maggiordomo che si era permesso di ribattere su un suo comportamento, perché era una mancanza di rispetto nei confronti di un uomo più potente e ricco di lui.
  Ma era pur vero che, un tempo, non avrebbe permesso a una donna, una serva – anzi, peggio, una nobile decaduta – di entrargli dentro fino al centro esatto dell’anima e di sconvolgere tutte le certezze con cui aveva convissuto sin dalla nascita.
  I doveri sociali non erano niente in confronto a questo. Lui era nobile, orgoglioso della sua posizione sociale, e, in verità, una parte di lui ancora non riusciva ad accettare ciò che gli stava succedendo. Ma Vivien gli aveva fatto vedere il mondo in una prospettiva diversa, più umana e meno dettata dalla rigidità dei ranghi.
  “Aaron!”
  La voce tonante di suo padre che un tempo l’avrebbe fatto rabbrividire, ora gli arrecava solo noia. Si voltò con lentezza e alzò lo sguardo sul conte Richard, aveva le guance in fiamme dalla rabbia, se c’era qualcosa che non sopportava era essere ignorato.
  “Che significa questo comportamento? Ti ho fatto chiamare due volte!”
  “Scusatemi padre, ma avrei delle faccende da sbrigare”. Si giustificò Aaron, aprendo la porta di casa.
  “Non ti ho insegnato proprio niente, eh?” L’uomo si avvicinò a suo figlio e lo afferrò per un braccio. Non faceva male, ma Aaron si divincolò all’istante. “Il rispetto Aaron, è la prima cosa! Come puoi considerarti un Turner se non hai bene in mente questo concetto?”
  “Il rispetto bisogna meritarselo, padre!”
  Gli occhi del conte Richard si fecero improvvisamente più scuri e la vena sul collo gli pulsò a tal punto che Aaron era convinto gli scoppiasse. Stava per urlare, per sputare veleno, esattamente come faceva ogni volta. Ma Aaron questa volta non avrebbe abbassato la testa come al solito, lo avrebbe affrontato, da uomo a uomo.
  Una porta si aprì da dietro la tromba di scale, Alyssa uscì dalla biblioteca con un’espressione ansiosa e, dietro di lei, Vivien con un libro in mano cercava di capire cosa stesse succedendo.
  Aaron la guardò serio e provò a comunicarle di rientrare in biblioteca, perché suo padre poteva diventare pericoloso, molto pericoloso. Ma Vivien non si mosse, forse non aveva compreso, oppure – come suo solito – aveva compreso ma non voleva dargli ascolto.
  “Oh, certo, ora è tutto chiaro!” Esclamò il conte Richard, avvicinandosi alle due ragazze. Scansò Alyssa con una spinta e prese Vivien per un braccio, trascinandola davanti al figlio. “E’ lei, giusto?” Tuonò. “La sgualdrina che ti ha reso così, dico bene?”
  Aaron strinse i pugni, colmo di rabbia. Vivien era ancora un po’ spaesata e lo guardava come se desiderasse delle risposte, ma non c’era tempo per spiegare in quel momento.
  “Ma che state dicendo?” Anche Aaron si ritrovò ad alzare la voce. Sul viso del conte Richard ombreggiò un sorriso.
  “Avevo capito che come figlio non valevi niente, ma non credevo potessi essere tanto stupido”. Con uno strattone scaraventò Vivien a terra. Aaron avrebbe voluto soccorrerla subito, ma era inchiodato dallo sguardo del padre, così fu Alyssa ad accasciarsi accanto alla serva per rialzarla.
  Il conte Richard fece qualche passo fino ad arrivare a pochi centimetri dal viso del figlio e gli piantò un indice nel petto. “Prova a mancarmi ancora di rispetto”. Gli sussurrò. “E la tua servetta passera davvero dei brutti momenti”.
  Aaron lo vide uscire di casa per andare chissà dove, almeno però poté rilassarsi. Solo allora si accorse che l’atrio della villa era pieno di servitori curiosi.
  “Tornate a lavoro!” Ordinò. Suo padre non era cambiato affatto, anzi sembrava che i suoi attacchi d’ira fossero addirittura peggiorati, fortunatamente ancora non era riuscito a mettere le mani addosso a nessuno.
  Vivien era ancora a terra, dolorante, così Aaron le si inginocchiò vicino, la prese in braccio e la sollevò.
  “Posso camminare!” Disse immediatamente lei.
  “Da quel che vedo, non credo proprio”. Aaron le indicò con gli occhi la gonna sporca di sangue. Nel cadere aveva urtato un mobile, probabilmente era solo un graffio, ma lui si sentiva lo stesso in colpa. “Alyssa, vai in cucina e fatti dare delle pezze bagnate con dell’acqua calda. Io porto Vivien nella sua stanza”.
  La ragazzina annuì e corse immediatamente, mentre Aaron si diresse nell’ala della servitù.
  “Non serve che mi portiate voi, mandate a chiamare James o…”
  “Non manderò a chiamare nessuno!” Ribatté lui. “Non mi interessa se la società considera riprovevole che un nobile entri nell’ala della servitù, ti sei fatta male a causa mia e voglio fare qualcosa per rimediare”.
  Vivien sembrava sorpresa, allora doveva essere vero che ai suoi occhi lui risultava un mostro viscido e orribile senza capacità d’amare.
  “Non è colpa vostra”. Disse poi lei, con un filo di voce come se si vergognasse. “Ecco, è questa”.
  Aaron si fermò davanti ad una porticciola in legno dozzinale. Il suo avo quando aveva costruito quella villa sapeva bene come far distinguere gli alloggi dei diversi ranghi sociali.
  “Sì, invece”. Disse entrando e posando delicatamente Vivien sul letto. Poi si inginocchiò davanti a lei e sospirò. “Mio padre ha sempre avuto problemi nel controllare la rabbia, ha anche picchiato mia madre e, se non fossi intervenuto, avrebbe messo le mani addosso anche ad Alyssa”.
  Vide Vivien sgranare gli occhi dallo stupore e dal ribrezzo, ma non disse nulla.
  “Io l’ho provocato, l’ho sfidato. Sono stato stupido, adesso lui ti ha presa di mira e…”.
  “So cavarmela, signore, dovreste saperlo”. Esclamò lei, incrociando le braccia al petto.
  Aaron rise leggermente. “Sì, lo so”. Poi alzò una mano fino ad accarezzarle il volto. “Ma detesto saperti in pericolo. Se dovesse accaderti qualcosa, io…”
  Lasciò la frase in sospeso, come se nessuna parola potesse descrivere ciò che stava provando in quel momento, rabbia, frustrazione… desiderio.
  Aaron le sfiorava la guancia con le dita, fino ad arrivare poi alle sue labbra. Avrebbe tanto voluto baciarla, assaporare il suo sapore sulla lingua, ma dopo la discussione avuta quella mattina temeva un rifiuto.
  D’un tratto invece eccolo lì. Aaron lo riconobbe all’istante, era lo stesso sguardo colmo di desiderio di quando si erano baciati a casa di lei, così ardente, così vivo. Era come se Vivien lo stesse invitando, si alzò allora dal pavimento e andò a sedersi sul letto accanto a lei. La desiderava così tanto che aveva paura a baciarla perché non era certo che poi sarebbe riuscito a fermarsi.
  “E’ vero ciò che avete detto?” Chiese lei in un sussurro. “Mi proteggereste ad ogni costo?”
  “Anche con la vita”. Rispose Aaron senza esitazione. Il suo orgoglio lo implorava di non abbassarsi a tanto, ma era strano come improvvisamente amare una donna non gli apparisse più umiliante, anzi la trovava quasi una forma di coraggio sconosciuta, che prima non possedeva.
  I loro volti erano così vicini, così prossimi che ad Aaron sarebbe bastato sporgersi di qualche centimetro per catturarle la bocca, ma non si mosse. Ormai lui aveva scoperto tutte le sue carte, adesso toccava a lei.
 
  Vivien lo osservava intensamente, spostando lo sguardo dai suoi occhi alla sua bocca. Il bruciore alla gamba non era nulla in confronto a quello che provava nel petto. Dio, voleva quell’uomo con tutta se stessa, anche se era contro i suoi principi, anche se probabilmente avrebbe finito col soffrire.
  Desiderava il conte Aaron quasi come l’aria per respirare.
  Baciami!
  Fu la prima volta che bramava quel contatto con così tanto ardore, ma lui non si mosse.
  Vivien si morse il labbro, cercando il coraggio di pronunciare quella parola. Pian piano poi si sporse in avanti, aprì la bocca, socchiuse gli occhi…
  “Ecco le bende!”
  Alyssa irruppe nella stanza senza bussare, con Meg a seguito, Aaron si alzò di scatto dal letto e distolse lo sguardo.
  Vivien provò uno strano senso di vuoto, aveva già provato qualcosa di simile in passato. Avrebbe voluto che lui le restasse accanto, non voleva che se ne andasse, che si vergognasse di farsi vedere dagli altri con lei.
  Ma sapeva bene che questo non sarebbe mai accaduto.
  Anche se i sentimenti del conte fossero stati reali, che genere di relazione avrebbero mai potuto intraprendere? Anche se i matrimoni tra ceti differenti non erano vietati, erano malvisti dalla società, e la famiglia Turner era prestigiosa, non si sarebbe mai infangata il nome con un matrimonio sbagliato. In più lei non era una semplice serva, ma una nobile caduta in disgrazia, l’umiliazione sarebbe stata ancora più profonda.
  “Vivien, stai bene?” Alyssa aveva preso posto accanto a lei sul letto, esattamente dove poco prima sedeva suo fratello.
  La ragazza annuì distrattamente. Ogni sua attenzione era concentrata sull’uomo appoggiato al muro con le braccia conserte, che osservava Meg mentre le medicava la ferita sullo stinco.
  “Ahi!” Urlò all’improvviso. Meg aveva tamponato troppo forte.
  “Oh, scusami”.
  Vivien non era certa se la ragazza fosse davvero pentita, ma preferì non approfondire.
  “Sta’ più attenta!” La rimproverò invece il conte, facendosi avanti. Meg annuì all’istante e, chissà perché, da quel momento fino alla fine della medicazione, Vivien non sentì più alcun dolore.
  “Non te ne andrai, vero?” Chiese Alyssa, prendendole la mano, mentre Meg veniva congedata dal fratello.
  “Certo che no”. Rispose lei. “Perché dovrei?”
  “Molte nostre cameriere e dame di compagnia sono state importunate da nostro padre”. Intervenne Aaron. “Picchiate, violentate a volte. Non saresti la prima che scappa terrorizzata”.
  Vivien sgranò gli occhi. Ora capiva, quando la contessina Alyssa era così preoccupata perché lei potesse andarsene, non era a causa del fratello, ma di suo padre.
  Era il conte Richard Turner il mostro.
  Vivien strinse entrambe le mani di Alyssa e le sorrise. “Ve l’ho già promesso, contessina, io non andrò da nessuna parte. E poi…” Alzò lo sguardo verso il conte. “Sono convinta che, se dovessi trovarmi in pericolo, ci sarà sempre qualcuno a proteggermi”.
  La contessina sorrise con gioia e l’abbraccio, prendendola un po’ alla sprovvista. Aaron ridacchiò divertito e distolse lo sguardo.
  “Continuiamo la nostra lettura, ti va?” Propose Alyssa in preda all’eccitazione. “Aspetta qui, vado a prendere i libri, così non ti sforzi”.
  Senza nemmeno dare a Vivien il tempo di replicare, la contessina era corsa fuori dalla stanza. Solo allora il conte si lasciò andare ad una risata un po’ più sonora.
  “Come ci riesci?” Le chiese poi.
  “A fare cosa?” Vivien lo osservò, quando rideva gli brillavano gli occhi, aveva un’aria così spensierata e fanciullesca che sarebbe rimasta volentieri ad ascoltare la sua risata per ore.
  “A rendere vive le persone. Mia sorella è sempre stata una ragazzina chiusa in se stessa, parlava a stento, guardala invece adesso, è felice. Tu l’hai resa felice”.
  “Sono una semplice dama di compagnia”. Rispose lei, stringendosi nelle spalle. “Dunque le ho solo… tenuto compagnia”.
  Il conte però scosse la testa e andò a sedersi di nuovo sul letto. Vivien sentì inavvertitamente i battiti del cuore aumentare.
  “Non è solo con Alyssa che ha funzionato questo tuo… incantesimo”. Il tono di Aaron si era fatto un delicato sussuro. “Hai stregato anche me, in un modo che nemmeno immagini”.
  “Signore, io…”
  “No, aspetta, fammi finire”. Aaron le prese una mano e se la portò alla bocca. Baciò ogni singolo dito e poi la posò sul suo petto. “Lo senti? E’ la prima volta che batte in questo modo, e solo perché ti sto accanto”.
  Vivien rimase sorpresa di come quel battito fosse simile al suo.
  “Io ti amo, Vivien”. Confessò. “E se esiste anche una minima speranza che tu possa provare lo stesso nei miei confronti, allora dimmelo. Ti voglio con tutto me stesso”.
  La ragazza abbassò la testa e ritrasse la mano, portandosela in grembo. Era quello che sognava di sentirsi dire, una dichiarazione esplicita e passionale, eppure non riusciva ad essere felice. Non riusciva a fidarsi.
  “Siete proprio sicuro?”
  Aaron a quel punto la guardò strano. Forse non si aspettava quel genere di risposta alla sua confessione.
  “Voi dite di amarmi, ma questo sentimento quanto durerà? Siete certo che non svanirà una volta che mi avrete avuta?” Vivien si morse il labbro. “Vedete, io non ho nulla, a parte l’affetto di poche persone che mi stanno intorno. Io non posso offrirvi nulla”.
  “Ma a me non importa!” Si intromise lui.
  “Davvero? Da quando vi conosco non avete fatto altro che esplicitare la vostra posizione e la mia, rendendole ben chiare e distanti. Come pretendete che io ora creda che non vi importa?”
  Aaron si passò una mano tra i capelli e rimase qualche attimo in silenzio, poi si voltò di nuovo verso di lei.
  “Te le dimostrerò”. Esclamò alzandosi dal letto. “Questo sabato, al ballo in maschera dei Gilbert, vieni con me”.
  Vivien non fece in tempo a ribattere che la contessina Alyssa piombò di nuovo nella stanza con in mano dei volumi di almeno quattrocento pagine l’uno. “Non sapevo quale scegliere, così li ho presi tutti”. Esclamò ridendo.
  Aaron invece era serio, così tanto che incuteva quasi timore. “Vi lascio alle vostre letture”. Disse, poi uscì dalla stanza.
  Vivien era ancora un po’ intontita, presentarsi dai baroni Gilbert al fianco del conte significava mostrare a tutta la nobiltà di Landburg che lei era la compagna di Aaron Turner. Davvero lui era disposto a tanto?
  “Vivien, ti senti bene? Sei pallida”. Alyssa le si sedette accanto e le porse un libro.
  “Sì, contessina”. Mentì lei. Decise di lasciar perdere i pensieri sul conte Aaron – per quanto possibile – e concentrarsi su Alyssa. Per ora, lei era l’unica della famiglia Turner di cui riuscisse a fidarsi ciecamente.


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Perdonate tantissimo il ritardo di questo aggiornamento, ma al ritorno dalle vacanze mi è successo di tutto.
Problemi all'università, esami da preparare, uno spettacolo da portare a fine ottobre a Lucca e (ultimo ma non meno importante) mi è morto internet per circa tre settimane.^^'
Insomma il delirio più totale.
Comunque spero che nell'attesa non vi siate stufati di Vivien ed Aaron, perché loro sono ancora qui!^^
Il prossimo capitolo verrà postato più rapidamente, lo prometto.
Un bacio a tutti quelli che recensiscono o leggono solamente la mia storia, siete fantastici!

*HQ*

  
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