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Autore: LaniePaciock    08/10/2012    6 recensioni
Una capsula del tempo. Una lettera per una persona speciale...
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alexis Castle, Kate Beckett, Nuovo personaggio, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Al mio fratellino, 
anche se forse non leggerai mai queste righe.
In ogni caso,
Buon Compleanno Sniper 1!


Caro Daniel,
Buon compleanno!! Ovviamente sperando che tu abbia aperto questa lettera il giorno del tuo quattordicesimo compleanno e non prima… Ma so che non lo farai. Per quanto curioso tu sia (in fondo sei sempre figlio di Richard Castle!) ti conosco. Da quel lato per fortuna hai preso più da tua madre, ringraziando Kate, che da papà!
Beh, a questo punto, visto che questa lettera verrà chiusa in una capsula del tempo per dieci anni in uno dei vasi di casa, vorrei approfittarne per ‘parlare’ un po’ noi due… Ti starai chiedendo perché, vero? Facciamo due conti. Nel momento in cui ti sto scrivendo, io ho vent’anni e tu quattro. Vuol dire che quando leggerai queste righe, tu avrai quattordici anni e io trenta. E per quanto ti diranno sempre che sono stata una ragazza giudiziosa, e forse anche troppo matura per la mia età, io ho comunque vissuto l’adolescenza. E fra dieci anni tu ci sarai completamente dentro. È un periodo strano… non saprei come spiegartelo. So solo che a un certo punto inizierai a stancarti di stare a casa con la tua famiglia. Anzi i tuoi familiari ti risulteranno quasi imbarazzanti a volte. La tua famiglia diventeranno gli amici e vorrai la ‘libertà’ dal giogo parentifero. Le litigate aumenteranno, stanne certo, anche se poi sono sicura che tu, papà e Kate troverete un modo per fare pace. Inoltre inizierai a interessarti alle ragazze e sarai sempre fuori a darle la caccia… Se hai preso anche solo un quinto dei geni di papà, allora fidati, sarà così. Finché non troverai la ragazza giusta per te ovviamente… Ma ora sto divagando.
Dicevo, conosco l’adolescenza e so che vorrai staccarti dalla tua famiglia ad un certo punto. Io d’altronde, quando aprirai questa lettera, sarò già abbastanza grande per vivere per conto mio. Inoltre, spero, avrò già un lavoro, mentre tu sarai occupato dalla scuola. Quindi riusciremo a vederci solo poco, per quanto anche il solo pensarci e scrivertelo ora mi faccia male. Perché so già che mi mancherai tantissimo.
Hai già quattro anni, fratellino, ma mi sembra ieri che sei nato, che hai fatto i primi passi, che hai detto le tue prime parole... D’accordo, la tua prima parola, ancora prima di ‘Mamma’ e ‘Papà’, è stata ‘Omitidio’. Ma la quarta parola che hai imparato è stata ‘Aessis’, e io non potrò mai dimenticare il momento in cui la pronunciasti la prima volta. Ti lamentavi già da un po’ che volevi essere preso in braccio. Kate però era stata ferita ad una spalla mentre inseguiva un assassino, quindi non poteva sollevare pesi, e papà era impegnato a cucinare. Così gattonasti verso di me, che ero da poco rientrata a casa dal college per pranzare con voi, allungasti le manine e dicesti semplicemente “Aessis” con tono di supplica, aprendo e chiudendo i pugnetti. Dovesti ripeterlo almeno tre volte prima che io ti prendessi finalmente in braccio e ti stringessi a me. Comprendimi, ero rimasta pietrificata. Mi avevi preso alla sprovvista!
Ok, lo so, sto divagando di nuovo… Sto scrivendo a ruota libera e ti sto scarabocchiando un sacco di frasi che forse a te nemmeno interessano, ma da qualche parte dovevo pur cominciare, no? La premessa è un po’ lunga, ma in realtà ci sono solo poche parole che vorrei scriverti e che vorrei che tu tenessi sempre bene a mente. È solo per questo che ho accettato questa idea di papà, ricavata da un film, della capsula del tempo. Solo per poterti dire ancora una volta poche parole: ti voglio bene, fratellino. Solo questo. E non importa se tra qualche anno litigheremo costantemente o se saremo lontani a mille miglia di distanza senza poterci vedere. Non importa cosa succederà. Sappi solo che io ti ho voluto bene dal primo istante in cui sei entrato nella mia vita. E non smetterò mai di volerti bene neanche dopo che l’avrò lasciata, questa vita. Ok, lo so che a vent’anni non è la cosa migliore su cui riflettere, ma con il lavoro che fa tua madre e con quello che scrive nostro padre, senza contare il periodo che ho passato in obitorio con Lanie, io semplicemente a volte non riesco a non pensarci. Perché la vita è breve e troppe cose spesso lasciamo in sospeso, chiudendo gli occhi e fingendo di poter vivere per l’eternità. Perché potrei andarmene tra cent’anni come potrei finire sotto un autobus domattina. Non so cosa accadrà. Non prevedo il futuro. Ma sono sicura di una cosa. Comunque sarà la nostra situazione tra dieci anni, tu, con questa lettera, avrai la possibilità di sapere che i miei sentimenti verso di te non sono cambiati. Anche se nel tempo ti sembrerà il contrario, perché ti parrà che sposandomi e andandomene da casa ti abbia abbandonato. Anche se nel tempo ti dirò il contrario, perché avrai fatto in modo di farmi litigare con l’uomo che amo e che non ti sembrerà mai all’altezza per me. Anche se ti dirò che ti odio. Non è vero. Non credermi. Non credermi mai. Perché, dici? Perché semplicemente non ci riuscirei ad odiarti. Come non riuscirei mai ad odiare papà, Kate o la nonna. Siete troppo importanti per me. Ricordati questo, piccolo. Io ti amerò sempre. Qualunque cosa accada.
Ti auguro ogni bene, fratellino. Buona fortuna.
 
Con tutto l’affetto del mondo,
 
la tua sorellona
Alexis
 
PS: Se mai non dovessi essere presente all’apertura di questa lettera, ti prego di farmi un favore. Dai un bacio alla nonna, a papà e a mamma e dì loro che li amo. Lo so che mi sentirai chiamare sempre Kate per nome, invece che ‘mamma’ come scrivo qui, ma ricorderò sempre che è stata la cosa più vicina ad una madre che io abbia mai avuto. Meredith è la mia vera madre e le voglio bene, ma non posso paragonarla a Kate.
Sei un bimbo fortunato, fratellino, perché hai delle persone accanto a te che non ti abbandoneranno mai. Non dimenticarlo in nessun caso.
 
PPS: Ehi, per sbaglio (ok, stavo origliando, ma non l’ho fatto apposta!), mentre scendevo a consegnare questa lettera, ho sentito papà e Kate parlare della possibilità dell’arrivo di un nuovo componente della famiglia Castle!! Speriamo che sia così!! Tanto lo so che è un anno che continui a chiedere un fratellino o una sorellina più piccoli! Chissà che aprendo questa lettera, non sarà arrivato anche il tuo turno di scriverne una per lui o per lei…
 
Alexis
 
 
Stringo la tua lettera in mano e sorrido leggermente. È la terza volta che rileggo quelle righe. Sto per ricominciare a farlo, quando mi accorgo di aver bagnato il primo di quei fogli tanto preziosi per me. Stavo cercando di trattenere le lacrime, ma evidentemente non ci sono riuscito. Prendo immediatamente un fazzoletto dal pacchetto sulla scrivania e asciugo delicatamente quelle gocce. Tratto questi fogli come reperti archeologici. E forse lo sono davvero, visto che ormai sono l’ultima cosa che mi resta di te.
Ho aspettato dieci anni come concordato, sorellona. Nonostante tutto, ho aspettato. Oggi ho compiuto quattordici anni, Alexis. La prima cosa che ho fatto stamattina è stata balzare giù dal letto, scendere velocemente le scale e fiondarmi nel balcone del salone. Non me ne è fregato niente del fatto che fossi in pigiama e che sul balcone ci fosse quasi mezzo metro di neve.
Ho evitato mamma e papà, che ho trovato già svegli e seduti al piano bar della cucina, anche loro in pigiama. Li ho sentiti a malapena che mi facevano gli auguri, ma non mi hanno fermato. Sapevano cosa volevo fare. Erano dieci anni che aspettavo. No, mi correggo. Erano quattro gli anni. Quattro anni da quel maledetto giorno.
Sono uscito sul balcone, mi sono fatto spazio tra la neve e ho trovato il grosso vaso in cui avevamo seppellito la mia capsula del tempo. In quel momento fui grato più che mai a papà di aver avuto un’idea del genere. Non sentivo il freddo pungente. Presi il vaso a due mani e lo rovesciai a terra, fregandomene della povera pianta su di esso, e rovesciando tutta la terra scura e indurita sulla bianca e soffice neve. Dopo un secondo lo vidi. Quel cilindretto metallico così importante per me spuntava da una zolla di terra. Lo tirai fuori delicatamente, quasi fosse un vaso antico.
Rientrai e mi diressi velocemente verso le scale per la mia stanza, passando di nuovo davanti ai miei e ora anche di fronte alla piccola Johanna, che evidentemente si era appena svegliata. Cercò di prendermi per la vita per abbracciarmi, mentre mi diceva festosa “Buon compleanno Dan!”. Me la scrollai di dosso e mamma la prese subito in braccio. Lei e papà mi lanciarono un lieve sguardo di rimprovero. Con la coda dell’occhio vidi Jo stupita e ferita, sull’orlo delle lacrime, ma ora non avevo tempo per pensarci. Le volevo bene, ma in quel momento non avevo la testa per starci dietro. Dopo mi sarei fatto perdonare. Corsi in camera mia e mi ci chiusi dentro. Il piccolo cilindro metallico era talmente freddo che quasi non riuscivo a tenerlo in mano e mi stava ghiacciando il fianco contro cui lo stringevo, oltre che le dita. Mi sedetti alla scrivania e dopo aver fatto un respiro profondo, lo aprii da una delle basi. All’interno c’erano dei fogli di carta arrotolati in tre mucchi, ognuno legato da un nastro di colore differente. Li tirai fuori delicatamente. Non si erano rovinati per fortuna.
Il primo plico che aprii, più grosso degli altri e legato con un nastro blu, era di papà. L’elegante calligrafia era facilmente riconoscibile. E poi chi altro in famiglia avrebbe scritto tanto? La prima cosa che notai fu una frase distaccata dal resto del testo, posizionata sul primo foglio in altro a destra.
 
Perché tu non possa mai dimenticare il tuo lato di bambino. Sarà capace di mostrarti il mondo con occhi sempre nuovi. E inoltre è molto utile con le ragazze! (Ma questo non dirlo alla mamma!!)
Buon compleanno piccolo
Il tuo fantastico super papà
 
Scossi la testa divertito e iniziai a leggere. Feci un mezzo sorriso meravigliato quando capii che aveva messo per iscritto la storia che preferivo da bambino e che gli chiedevo di raccontarmi quasi ogni sera. Era lunga dieci fogli e parlava di alieni verdi che chiedevano aiuto a un bimbo speciale per salvare il loro pianeta da un gruppo di alieni neri cattivi. Era un insieme di fantascienza e spionaggio, visto che a un certo punto veniva tirata in ballo anche la CIA. Alcuni agenti aiutavano il bimbo, ma allo stesso tempo altri agenti malvagi facevano accordi segreti con gli alieni neri per controllare la mente delle persone. Il piccolo a quel punto chiedeva aiuto alla sua famiglia, composta dal suo geniale papà, dall’intrepida mamma, dalla perspicace sorella, dalla pazza nonna e dal saggio nonno. Dopo varie peripezie insieme riuscivano a catturare i doppiogiochisti agenti CIA, consegnandoli a quelli onesti, a sconfiggere i cattivi alieni neri e a salvare il pianeta di quelli verdi. Se non ricordavo male, metà delle volte mamma finiva per sgridare papà perché mi faceva stare sveglio troppo a lungo invece di farmi addormentare.
Finii di leggere e, ancora con l’ombra di un sorriso sulle labbra, misi da parte quel plico di pagine. Presi quindi il rotolino più piccolo, composto da un solo foglio e chiuso da un nastro verde. Appena lo aprì mi accorsi che non era un foglio di carta, ma una fotografia. C’ero io, mamma, papà e Alexis. Davanti a noi erano sparpagliati diversi regali ancora da scartare, mentre dietro ci sovrastava un grande albero decorato. Nonostante all’epoca fossi piccolo, ricordavo quel giorno. Probabilmente uno dei miei primi ricordi nitidi di bambino. Era il Natale del mio terzo anno di età. Avevamo fatto una grossa cena insieme con nonna Martha e nonno Jim. Fu la nonna a scattare quella foto. Tutti e quattro eravamo seduti a terra davanti all’albero e ricordo che io ero molto impaziente perché volevo aprire i regali. Beh, quale bambino non lo sarebbe stato? Papà era sdraiato a terra su un fianco e mi teneva stretto per la vita, cercando di impedirmi di buttarmi sui regali per almeno il tempo sufficiente per scattare la foto. La sua testa era appoggiata alle gambe di mamma, seduta accanto a lui, che nel frattempo teneva un braccio appoggiato sulle spalle di Alexis. Lei era dietro papà, in ginocchio. In parte ricambiava la stretta di mamma e in parte era mezza appoggiata su papà. La nonna ci aveva preso in un attimo fortuito. In quel momento tutti e quattro stavamo guardando l’obiettivo e tutti sorridevamo felici. Conoscevo bene quella foto. Mamma ne aveva una uguale sulla scrivania del distretto e sapevo che era una delle sue preferite.
Passai lentamente una mano su quell’immagine felice di noi. Una felicità che era stata maggiore solo alla nascita di Jo. Stavo per posare la foto, quando mi accorsi di una scritta sul retro. Riconobbi subito la scrittura di mamma in quelle poche e semplici righe.
 
Non smettere mai di credere alla magia, Daniel. Insegui il tuo sogno, per quanto impossibile ti possa sembrare, e credi in esso. Ogni cosa si avvererà. Fidati. Per me è stato così. E tu e questa famiglia ne siete la prova. Una stupenda e bellissima prova.
Buon compleanno amore
Mamma
 
Sorrisi, gli occhi leggermente umidi. Tirai su col naso e scossi la testa per riprendermi. Quindi appoggiai la foto sopra al plico di papà. Mamma non aveva mai nascosto che se ora credeva nella magia era grazie a papà. Anche se non gli avevano mai detto da dove venisse fuori questa cosa della magia… e, se ci pensava, neanche del perché secondo loro avrei potuto dare un senso alle canzoni tra qualche anno. Alzai le spalle. Prima o poi l’avrei scoperto.
Con un respiro profondo, tornai a prestare attenzione alle ultime pagine arrotolate rimaste, quelle che più mi interessavano. Erano due fogli chiusi da un nastro rosso e riempiti con la sottile e ordinata calligrafia di Alexis. Mi morsi il labbro nervoso. Delicatamente sciolsi il nodo, quasi con la paura che quelle pagine potessero sbriciolarsi al contatto con le mie dita. Misi da parte il nastro e spiegai i fogli.
La prima volta che li lessi, ero talmente concentrato sulla tua scrittura, Alexis, sul pensare che la tua mano era passata su quel foglio come una delle carezze che mi davi da bambino, che quasi non capii cosa mi stessi dicendo. La seconda volta inizia a comprendere il senso del discorso. La terza volta non riuscì a trattenere le lacrime silenziose che poi mi accorsi bagnarono il foglio, rischiando di sbavare l’inchiostro.
Più leggevo, più mi chiedevo se tu davvero non prevedessi il futuro. Perché scrivere quelle righe altrimenti? Rilessi le tue parole. No, non sapevi cosa sarebbe accaduto. Non avresti potuto prevedere che sei anni dopo aver scritto questa lettera, uno dei tanti taxi gialli di New York avrebbe segnato la tua fine. Era bastata una distrazione, forse un po’ di stanchezza sia dell’autista che tua. Ed era successo.
Abbiamo conosciuto quell’uomo dopo l’incidente. Era disperato per quello che era successo. Non era cattivo. Era solo un povero diavolo che per mantenere la sua famiglia aveva appena finito un turno di ventiquattro ore filate. Come te, quel giorno voleva solo tornare alle sue quattro mura domestiche.
Ero a casa con papà, mamma e Jo quando accadde. Ricordo che la nonna sarebbe dovuta arrivare più tardi. Era venerdì pomeriggio e tu dovevi tornare a casa da noi per il weekend. Un mese dopo avresti dovuto laurearti con il massimo dei voti alla Columbia University. Ricordo anche che avevamo preparato una mega torta. L’avevo chiesta io, perché il finesettimana precedente avevamo litigato per non so più nemmeno quale motivo e io volevo farmi perdonare. Preparare un dolce era il nostro modo per chiedere scusa. Ricordo come se fosse ieri quella telefonata dall’ospedale che ci avrebbe sconvolto la vita…
Papà fu forse quello che ne risentì di più della tua assenza. Iniziò a bere e per settimane lo vedemmo girovagare per casa come uno zombie. Mangiava e beveva qualcosa di diverso dall’alcool solo se forzato. Non scriveva più, non usciva più. Semplicemente quasi non viveva più. In quei giorni perfino io e Jo sembravamo diventati quasi invisibili. Mamma cercava di aiutarlo come poteva. Tentava di tirarlo su, di farlo reagire, ma anche lei sembrava aver perso parte della forza che di solito la caratterizzava. Non era la tua vera mamma, ma, come hai scritto tu Alexis, era come se lo fosse. E ti voleva bene come se lo fosse stata davvero. Tornò al distretto solo quando papà iniziò a rimettersi in sesto, seppur lentamente, grazie alla nostra sorellina. Sì, sembra strano, ma proprio grazie a quel piccolo scricciolo, papà finalmente iniziò a riprendersi. Solo quando un giorno Jo lo abbracciò forte e gli disse, con tutta la sua ingenuità di bambina di quattro anni, che tu, Lexi, come ti chiamava lei, eri andata in cielo, ma non ci avresti mai lasciato davvero perché in realtà ci guardavi da lassù. Non so che miracolo fece dove tutti gli altri avevano fallito. So solo che da quel momento papà sembrò finalmente uscire dal suo dormiveglia, ricordandosi che c’erano anche altre persone nella sua famiglia. Persone che avevano bisogno che lui tornasse alla vita. Non gliene feci mai una colpa. In fondo Alexis era stata la sua unica figlia per anni.
Non vedemmo la nonna per giorni e quando finalmente ci venne a trovare sembrò più pallida e invecchiata, senza la vitalità e quel pizzico di pazzia che solitamente la rendevano unica. Nonno Jim si era affezionato molto a te e stette male anche lui anche se in maniera più lieve. Venne spesso a casa per occuparsi di me e Jo, mentre Mamma tentava di far rinsavire papà.
Fu in quei giorni terribili dopo la tua scomparsa che conobbi Meredith. Nei miei dieci anni di vita era venuta ben poche volte e solo per vedere te, Alexis. Non che a me o a Jo importasse molto. Che mi ricordi era una bella donna, anche se non aveva niente a che vedere con mamma. Ricordo che con rabbia mi chiesi cosa piangesse a fare davanti alla tua tomba. Ti incontrava solo una volta l’anno, se andava bene. Ora so che l’amore non si misura dalla distanza. Ti amava, anche se a modo suo, ma all’epoca non riuscivo a capirlo.
Zio Javier e zio Kevin vennero spesso a casa nostra dopo la tua morte. Stavano con me e Jo, cercavano di tenerci su di morale e tentavano di fare qualcosa per lo stato catatonico di papà. Una volta vidi zio Javi tirargli un cazzotto dritto in faccia, urlandogli che doveva reagire. Servì a ben poco. Anche zia Lanie e zia Jenny venivano spesso da noi per dare una mano a mamma. La maggior parte delle volte si portavano dietro anche Nicholas, Sarah e Miguel per farci giocare con loro e distrarci per un po’.
Sai che ora Migu sembra zio Javi in versione tredicenne, sorellona? Sono identici. Se potessi vederli. L’unica differenza è che il carattere è quello della zia Lanie. Nick invece, nonostante i suoi quindici anni, continua a sembrare un bambino. Zio Kevin afferma che a lui era successa la stessa cosa e che se Nicholas farà come lui, allora crescerà tutto d’un colpo nel giro di qualche mese. La piccola Sarah invece a sette anni sembra sempre più una peste, ma zia Jenny dice che anche lei da piccola ne combinava di tutti i colori. Chissà perché, ma sospettavo che Sarah e la nostra sorellina sarebbero diventate grandi amiche… Inoltre Jo è più grande di lei di solo un anno.
Rilessi l’ultima parte della lettera e sorrisi appena. “Ho sentito papà e Kate parlare della possibilità dell’arrivo di un nuovo componente della famiglia Castle…” Avevi sentito bene, sorellona. Papà e mamma stavano progettando di avere un altro piccolo mostriciattolo per casa. Ma tra un nuovo assassino seriale e un nuovo tour per l’America, riuscirono a coronare questo sogno solo due anni dopo, quando nacque la piccola e bellissima Johanna. Quando te ne andasti, Alexis, lei aveva solo quattro anni. Mi avevi promesso che mi avresti aiutato a scrivere una lettera per lei da mettere nella sua personale capsula del tempo. Ma non facemmo mai in tempo. La prima volta che entrai in camera tua dopo quella folle telefonata, vidi sulla tua scrivania una lettera. C’era solo l’intestazione: “Cara Johanna,”. Avevi iniziato la tua lettera per lei, ma non l’avresti mai portata a termine.
È da quel giorno che aspetto di vedere cosa mi hai scritto, che aspetto di leggere quelle parole che hai pensato solo per me, per sentirti un po’ più vicina. Io avevo dieci anni quando te ne sei andata, Alexis. Dieci. Un’età in cui si è troppo grandi perché ti dicano una bugia per nascondere il male. Un’età in cui si è troppo grandi per non capire che non ti avrei più rivisto. Ma anche un’età in cui si è troppo piccoli per non sperare di rivederti un’ultima volta e chiederti scusa per aver litigato.
 
Leggo di nuovo la tua lettera e quasi riesco a immaginarti china sulla tua scrivania, che sorridi leggermente, mentre scrivi che la mia prima parola è stata ‘Omitidio’. Arrivo a rileggere le ultime righe e all’improvviso mi ricordo che ho un favore da farti. Prendo quelle due pagine, esco dalla camera e scendo di sotto. Papà, mamma e Johanna sono ancora nelle stesse posizioni in cui li ho lasciati. Noto che la luce è cambiata fuori e buttando un occhio all’orologio della cucina, capisco che ho passato quasi un’ora chiuso in camera. Mi avvicino piano a loro. Mamma e papà mi guardano con un mezzo sorriso triste e curioso insieme. Sanno che ho aperto la capsula e sanno, anche senza leggerle, che le pagine che ho in mano sono quelle scritte da Alexis. Jo è ancora in braccio a mamma, la testa affondata nel suo collo, e solo quando arrivo dietro di lei si gira e mi guarda. C’è rimprovero nel suo sguardo. Uno sguardo molto simile a quello di mamma, quando ci riprende. Doveva essere nel pacchetto completo quando hanno deciso che avrebbe avuto gli occhi verde-marrone di mamma. I suoi capelli lunghi però sono rosso acceso, come quelli di Alexis. Mi fermo un momento a guardarla, spostando il peso da un piede all’altro, non sapendo bene come scusarmi. Quindi ho un’idea. Lascio i fogli sul bancone della cucina accanto ai miei, così che possano leggerli, e all’improvviso la prendo in braccio e inizio a girare su me stesso. Jo, come sospettavo, non riesce a rimanere seria e scoppia a ridere. Dopo quasi un minuto di giravolte e risate mi fermo e la stringo a me. Inizia a essere pesante. Fra un po’ non potrò più fare scherzetti del genere. Sento che Jo si attacca al mio collo e io le lascio un piccolo bacio sulla sua testa rossa.
“Mi dispiace, Jo” le sussurro.
“Non fa niente” la sento mugugnare contro il mio collo. “Volevi sapere cosa ti aveva scritto Lexi e io ero in mezzo…” Quella piccola adorabile mostriciattola.
“Tu non sei mai in mezzo, Joa” la riprendo dolcemente con il nomignolo che le avevo dato anni fa. “Sono stato cattivo. Tu volevi solo farmi gli auguri.” Alza appena le spalle.
“Beh, ma ti sei scusato. Quindi te li faccio ora. Buon compleanno Danny!” mi mormora all’orecchio come un segreto. Io non posso fare altro che sorridere.
“Grazie” le sussurro in risposta, lasciandole un altro piccolo bacio sulla testa e stringendola ancora di più a me. Dopo qualche secondo alzo gli occhi e vedo che mamma e papà stanno leggendo le ultime righe della lettera. Mamma ha una mano sulla bocca e gli occhi lucidi. Papà sembra impassibile, ma noto che anche lui ha gli occhi leggermente umidi.
Stacco da me Johanna e le sorrido. Lei ricambia felice. Quindi la rimetto a terra. In quel momento i miei finiscono di leggere la lettera. Appena mamma si gira a guardarmi, io mi fiondo ad aggrapparmi al suo collo. Fino a un paio di ore fa non l’avrei mai fatto. Quale adolescente abbraccia la mamma? Ma ora volevo solo avere un po’ di conforto. Quel conforto che solo le mamme riescono a darti. E lei certo non me lo negò. All’inizio rimase stupita del mio comportamento, lo sentivo dalla sua rigidità. Dopo un secondo però mi strinse forte a sé. Con lei non erano mai servite troppe parole. Capiva sempre al volo ciò che ci serviva. Ad un tratto sentii che i miei capelli erano diventati leggermente umidi nel punto in cui mamma aveva appoggiato la sua guancia alla mia testa.
“Buon compleanno Dan” mi sussurrò lasciandomi alcuni baci sul capo, continuando a stringermi. Rimasi in quella posizione per qualche secondo, quindi mi spostai appena, le lasciai un bacio sulla guancia e mi staccai da lei. Mamma mi sorrise, mi prese il viso fra le mani e mi baciò sulla fronte, come quando ero bambino. In quel momento mi chiesi perché non avessi più voluto farmi dare dei baci da lei. Erano dolci, rassicuranti e sembravano spazzare via un po’ di dolore.
Jo mi passò all’improvviso davanti e d’un balzo, neanche fosse un gatto, saltò su mamma che la prese al volo con uno sbuffo divertito per via del suo peso. Non potei fare a meno di ridere. A quel punto mi voltai verso papà. Era seduto sullo sgabello accanto a mamma e ci osservava con un lieve sorriso in volto. Quindi i suoi occhi incrociarono i miei. Aveva uno sguardo triste, ma allo stesso tempo sembrava sereno. Feci qualche passo in avanti in modo da portarmi davanti a lui. Ci guardammo negli occhi per diversi secondi senza dire nulla. Avevamo gli stesso occhi blu. Gli stessi che avevano caratterizzato anche Alexis.
Papà allungò appena una mano verso di me e mi fece appena un cenno. Non me lo feci ripetere. Mi aggrappai a lui come poco prima avevo fatto con mamma. Mi tenne la testa contro di sé con una mano come quando ero piccolo. Mi stringeva, ma non faceva male. Gli sentì emettere un leggero singhiozzo, ma nulla più. Quando ci staccammo avevamo entrambi gli occhi lucidi.
“Buon compleanno Dan” mi disse semplicemente con un mezzo sorriso che ricambiai.
“Adesso possiamo fare colazione?” domandò Jo all’improvviso facendoci voltare verso di lei. Aveva un visetto imbronciato e le braccia conserte. Scoppiammo tutti a ridere.
“Ai tuoi ordini, piccola!” esclamò papà ridacchiando. In un attimo era tornato quello di sempre. “Cosa preferisce mangiare stamattina, milady?” Jo sbuffò.
“È il compleanno di Dan non il mio! Deve scegliere lui!” esclamò con tono esasperato roteando gli occhi. Era decisamente una piccola Kate Beckett in miniatura. Papà glielo diceva sempre.
“Beh, festeggiato, hai sentito la tua sorellina. Cosa vuoi che prepariamo stamattina?” domandò allora papà a me. Io finsi di pensarci su, ma tutti e tre sapevano quale era la mia colazione preferita.
“Pancakes con sciroppo d’acero!” esclamai. Vidi mamma sospirare e scuotere la testa come rassegnata.
“Ti pareva” dichiarò divertita. “Esattamente come suo padre.” A questa uscita papà ridacchiò e mi scompigliò i capelli, in un moto d’orgoglio. “Speriamo solo che non prenda anche la tua pancia, Rick…” A quest’ultima uscita, papà le rivolse uno sguardo offeso.
“Non ho la pancia!” affermò convinto. “Sono solo muscoli che si sono spostati di zona. E poi mi sembra che qui nessuno ancora si sia lamentato dei miei muscoli…” aggiunse lanciandole uno sguardo malizioso. Mamma arrossì leggermente e girò la testa noncurante.
“Papà” esclamai, mentre iniziavo a tirare fuori il latte dal frigo. “Parental control! Ti ricordo che ci sono bambini in stanza!” Lui mi guardò stupito per un momento. Poi ridacchiò e alzò le mani in segno di resa. Era da qualche tempo ormai che iniziavo a capire le allusioni dei miei. Volevo evitare di sapere anche i dettagli. E soprattutto, da bravo fratello maggiore, volevo evitare che Johanna li conoscesse prima del tempo. Un lungo tempo.
“Amore, perché non vai a sederti sul divano mentre noi prepariamo la colazione?” mi domandò mamma, vedendomi tirare fuori anche lo sciroppo d’acero. “Il festeggiato non deve lavorare” continuò con un sorriso, facendomi l’occhiolino. Io sorrisi in risposta e annuì. Quindi recuperai la lettera di Alexis, ancora sul piano bar della cucina, e mi diressi al divano.
 
Dietro di me sento Jo ridere allegra, mentre papà e mamma si muovono per la cucina e iniziano a tirare fuori padella e piatti. Io non posso fare a meno di rileggere le tue parole un’altra volta, Alexis. Non riesco a smettere, sono come un droga. Ero piccolo, lo so, ma mi sei mancata tantissimo. Sei mancata a tutti noi. E ora, leggendo queste tue parole, so che mi hai voluto bene tanto quanto te ne volevo io. Nonostante le litigate. Sei lontana, sorellona, in un posto che non ho idea di quando raggiungerò. Ma so che mi vuoi bene. E io, noi, te ne vogliamo altrettanto. Ovunque tu sia.

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Xiao! :)
Allora per prima cosa voglio ringraziare le mie due consulenti di fiducia (purtroppo) interiste, Sofy e Katy (altrimenti detta draghetta)! XD Meno male che ci siete voi con cui sclerare!! XD <3
Ora veniamo alla storia... è nata come lettera singola ed è finita come storia intera! X) Spero solo vi sia piaciuta... Era una cosa che volevo fare e ciò ne è uscito... X)
In ogni caso tornerò presto con altre storie (fate voi se è una minaccia o meno), ma non so dirvi sezione Castle o Cast Castle... Insomma siamo sempre lì! Non è che mi muova tanto dal seminato... X) In ongi caso, se vi interessa, tenete un'occhio anche lì! Ho qualcosa di particolare in mente... Avverto però che non è una Stanathan! In fondo è il Castle CAST... e su ciò sarà! XD Ok lo so vi ho fatto scappare tutte... Le mie consulenti però hanno detto che era interessante!! Vabbé giudicherete voi...
Ora dico alle mie dite che smettano di scrivere altrimenti non me la cavo più...
Se vorrete lasciarmi un commentino ne sarò estremamente felice! :)
Beh, a presto e Buon Castle Monday!! ;D
Lanie
  
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