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Autore: violetsugarplum    08/10/2012    4 recensioni
[Future!Fic] Blaine ha sessantotto anni quando decide di non voler più essere un peso per la famiglia e vede in Villa Liberty il luogo adatto in cui trascorrere gli ultimi momenti della sua esistenza. Non sa ancora che questa sua scelta cambierà la vita di molte persone, soprattutto quella di una sua vecchia conoscenza.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Nuovo personaggio, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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. Benvenuto a Villa Liberty, signor Anderson


Blaine guardò fuori dal finestrino facendo ruotare la fede all'anulare con aria distratta, come era solito fare quando era nervoso. Il lungo viale alberato sembrava senza fine, il pomeriggio primaverile era più caldo rispetto a quello che il meteo aveva dichiarato il giorno prima e lui iniziava già a sentirsi un po' stanco per il viaggio, nonostante fosse breve.

"Siamo arrivati?", chiese rivolgendo lo sguardo allo specchietto retrovisore per cercare di incrociare gli sguardi dei suoi due compagni di viaggio.

"Impaziente?"

Due luminosi e grandi occhi azzurri si rifletterono nello specchietto e lo scrutarono attentamente.

"No, è che sono-"

"Siamo arrivati, papà."

La gentile voce della figlia li interruppe. Blaine guardò subito l'edificio a cui Virginie aveva parcheggiato davanti e fu felice di constatare che la foto sul sito Internet era veritiera e che la struttura somigliasse più a un country club che a una casa di riposo.

Afferrò saldamente il bastone poggiato sul sedile e, appena aprì la portiera, la mano libera fu prontamente stretta da una più forte e morbida che tentava di farlo alzare.

"Vuoi che chiami qualcuno con una carrozzella?"


"No, voglio entrarci con le mie gambe. Tanto sappiamo entrambi che non uscirò da qui se non sdraiato in una bara."

"Papà!", esclamò inorridita Virginie mentre lo sorreggeva dall'altro lato. "Ti ricordo che è stata tua l'idea venire qui. Sai che non avremmo avuto problemi a tenerti con noi e..."

"Lo so."

Blaine zittì la figlia cercando di non sembrare troppo seccato. Era un discorso che avevano fatto decine di volte nelle ultime settimane, ma Blaine era diventato inamovibile. Aveva deciso che avrebbe trascorso gli ultimi... Mesi? Anni, forse, se si sentiva particolarmente ottimista?- in una casa di cura perché non voleva più essere un peso per la sua famiglia che ogni volta doveva andare a recuperarlo da qualche parte di Westerville in cui si era perso.

Da quando gli era stato diagnosticato l'Alzheimer aveva promesso di rimanere in casa il più possibile, ma sempre più frequentemente riusciva a sgattaiolare fuori senza esser visto dai vicini e andava al parco a lanciare le molliche di pane alle anatre, come faceva con suo marito tutte le domeniche con Virginie quando era piccola. Ma non era mai riuscito a raggiungere il laghetto. Come non era mai riuscito ad arrivare in altri luoghi prima di ritrovarsi a vagabondare senza meta.

Lentamente i tre raggiunsero il porticato dove lo aspettavano due donne: una alta, magra con la faccia contratta in un'espressione severa che rispecchiava lo sguardo freddo presente nei suoi occhi e l'altra, decisamente più bassa e grassoccia, con un viso rotondo e roseo che le conferiva un'aria materna e rassicurante e che si apriva in un grande sorriso.

"Benvenuto a Villa Liberty, signor Anderson", lo salutò la donna alta porgendogli meccanicamente la mano. "Siamo lieti di averla qui. Sono la signora McDillon, la responsabile di questo luogo."

Blaine le strinse la mano accompagnando il gesto con un debole sorriso e poi sentì un braccio cingergli un fianco mentre si avviavano all'interno della struttura.

"E io sono Rose, una delle infermiere. Ciao, pulcino! Vedrai che qui ti divertirai un mondo!"

Blaine guardò divertito la donna che senza permesso gli aveva già trovato un nomignolo discutibile e azzerato lo spazio personale e immediatamente la prese in simpatia. Appena entrati Blaine notò subito che il posto era bello, luminoso e accogliente con numerosi quadri antichi alle pareti. I corridoi avevano grandi finestre che davano su un giardino ben tenuto, pieno di alberi e fiori dalle forme e dai colori più vari. Se non fosse stata una casa di riposo in cui scontare gli ultimi momenti della sua vita, Blaine avrebbe voluto rimanere lì per sempre.

Si diressero nell'ufficio della signora McDillon e, dopo aver salutato Rose battendole il cinque con la mano come da sua richiesta, Blaine si lasciò cadere su una scomoda poltrona di fronte alla scrivania della donna e i suoi accompagnatori, un po' straniti dalla situazione, fecero lo stesso.

"Bene, signor Anderson. Adesso le illustrerò i programmi del nostro istituto. Sa, sono rimasta molto sorpresa quando ho ricevuto la sua telefonata. Solitamente sono i parenti a forzare il paziente a venire qui." La donna fece un sorriso stiracchiato di circostanza.

Blaine si schiarì la gola. "Mi esponga i programmi, prego."

La signora McDillon afferrò nervosamente dei fogli sulla scrivania e iniziò a leggere.

Il programma era diviso in giornate: il lunedì mattina veniva trascorso parlando del fine settimana passato coi famigliari e, dopo pranzo, attività ricreativa a scelta; il martedì ci si recava nella palestra dell'ala est per fare un po' di attività motoria seguita da fisioterapia per i pazienti che lo avevano richiesto; il mercoledì...

Blaine aveva smesso di ascoltare, tanto era sicuro che non sarebbe mai riuscito a tenere a mente tutto. Per fortuna c'era Rose che sembrava abbastanza disponibile e che l'avrebbe aiutato, no?

"E questo è tutto", concluse formalmente la donna alzando lo sguardo dai fogli. "Domande? Questioni?"

"Quando sono permesse le visite?"

"Tutti i sabati e le domeniche, orario libero. Per un incontro al di fuori di questi due giorni, bisogna telefonare prima per avvisare il personale."

Blaine annuì cercando lo sguardo di sua figlia che gli sorrise teneramente. "Verremo, non ti preoccupare."  

"Ora la faccio accompagnare nella sua camera dove potrà riposarsi un po' prima della cena. Poi, se desidera, può andare nel salone comune a conoscere gli altri ospiti oppure leggere un libro nella biblioteca. Proprio ieri sono arrivati nuovi volumi donati dalla famiglia del fondatore", lo informò la donna alzandosi dalla sedia.

Blaine fu condotto nella sua camera. Aveva richiesto espressamente una singola e fortuna volle che fosse quella che si affacciava sul bellissimo giardino perché l'altra, già occupata, dava sul cortile interno e, secondo Blaine, non era così entusiasmante.

La camera era pulita, ordinata e ospitale. Il letto era ampio, il pulsante per le emergenze era facile da raggiungere e l'enorme armadio aspettava solo di essere riempito con i suoi indumenti ancora chiusi nella valigia appoggiata accanto alla scrivania.

Blaine si sedette sul letto rivolgendo un sorriso radioso a sua figlia. "Visto? È proprio una bella camera."

Virginie gli sorrise di rimando cercando di trattenere le lacrime. "Già... Hai bisogno di aiuto per sistemare le cose?"

"No, no. Potete andare adesso, sto bene. Starò bene."

Virginie si avvicinò a lui abbracciandolo stretto. "Ti voglio bene, papà. Ci vediamo presto, lo sai", disse quasi in un sussurro sciogliendosi lentamente dall'abbraccio.

"Ti voglio bene anch'io, tesoro", Blaine le sorrise sfiorandole appena la mano. "E tu? Non me lo dai un abbraccio?"

L'uomo, che era rimasto in mezzo alla camera a scrutare l'arredamento con una smorfia indecifrabile, scoppiò in una debole risata e lo raggiunse.

"Sei uno sciocco, Blaine", disse scompigliandoli scherzosamente quei pochi capelli rimasti; i folti ricci scuri, che da giovane aveva tentato inutilmente di domare con il gel, erano ormai un ricordo lontano.

"La tua è tutta invidia perché qui hanno anche la piscina", Blaine ridacchiò. "Vieni quando vuoi, va bene? Ok, Kurt?"

"Certo. Verrò ogni seconda domenica del mese, te lo prometto. Non ti lascio da solo in questo luogo di perdizione."

Dopo un breve abbraccio, i due si separarono e Blaine aspettò che entrambi uscissero -dopo un'ulteriore serie di raccomandazioni e promesse- per sdraiarsi sfinito su letto e chiudere gli occhi.

A disfare la valigia ci avrebbe pensato dopo.


 
 

Blaine si svegliò una decina di minuti dopo più stanco e intontito di prima. Ah, i brevi sonnellini degli anziani! Quelli che si fanno durante il pomeriggio perché ti senti esausto e che poi ti fanno pentire durante la notte, quando fatichi a trovare il sonno.

Si alzò, tentò di aggiustare i vestiti un po' spiegazzati e, ignorando ancora la valigia, decise di andare nella sala comune a conoscere gli altri ospiti.

Camminando piano con il suo fidato bastone nel corridoio, capì ben presto di non sapere dove fosse la stanza. Forse sarebbe bastato prestare più attenzione alla signora McDillon.

All'improvviso, una voce squarciò lo strano silenzio presente nell'edificio. "Ehi, tu! Sei quello nuovo?", domandò gridando un uomo che stava correndo trafelato verso di lui. Sembrava piuttosto giovane, sulla trentina d’anni e aveva un paio di occhiali dalla spessa montatura quadrata che continuava a scivolargli sulla punta del naso.

"Sì, per quanto possa essere nuovo, ovviamente... Mi chiamo Blaine. Blaine Anderson", rispose Blaine con un sorriso insicuro.

L'uomo si lasciò scappare una risatina mentre lo squadrava da capo a piedi. "Sono Ralph. Sono anch'io un ospite. Stai cercando un'infermiera?"

"No, in verità stavo cercando di raggiungere il salone comune, ma mi sa che mi sono perso. Ed è una cosa che mi capita sempre più spesso, se devo essere sincero."

"Oh, beh, io ho il diabete", concluse semplicemente l'uomo alzando le spalle. "Vieni, possiamo andarci insieme."

I due si diressero verso la sala e Blaine non rimase sorpreso nello scoprire una stanza molto grande, anch'essa luminosa e confortevole come il resto delle camere della casa di riposo. Un tavolo rotondo era al centro, vicino a un lungo divano a tre posti e due poltrone di chintz dall'aria molto comoda. Una televisione dallo schermo piuttosto grande era accesa su un canale sportivo. Alle pareti erano appesi alcuni quadri e un orologio che scandiva rumorosamente il passare dei secondi. L'altro lato della stanza, invece, era occupato da uno scaffale pieno di trofei, medaglie e alcuni libri e da un pianoforte un po' impolverato, probabilmente inutilizzato da diversi mesi.

"Ecco, questo è il salone comune. L'abbiamo trovato!", esclamò Ralph ridendo, avvicinandosi furtivamente al pianoforte e spostando la panchetta il più silenziosamente possibile per sedercisi sopra. Poi riprese. "Adesso ti presento gli altri. I due che stanno giocando a carte seduti al tavolo sono Frank e Lucille e quella vicino a Lucille è l'infermiera Rose," Blaine guardò il curioso terzetto e rispose con un cenno alla donna che si stava già sbracciando nella sua direzione.

"Lì sul divano a leggere per la millesima volta gli stessi libri c'è Annie." L'uomo intimò a Blaine di avvicinarsi per potergli sussurrare nell'orecchio. "È un po' pazza, poverina, però è tanto dolce e cara..." Ralph sorrise sognante. "...ed è anche tanto bella, anche se adesso ti dà le spalle e non puoi vederla. Poi quello è accanto a lei si chiama..."

Preso dalla foga, Ralph fece scivolare incautamente il gomito sulla tastiera del pianoforte che, di tutta risposta, emise un suono tanto lugubre quanto sgradevole.

"Ancora, Ralph? Quante volte devo ripeterti di smetterla? Non sei Beethoven che, fra parentesi, almeno era scusato, essendo sordo. E poi il pianoforte è scordato, te lo sei scordato?" Una risata fredda e tagliente interruppe per un attimo lo sproloquio. "Lo sai che non lo sopporto, sembra quasi che tu mi innervosisca di proposito."

Una voce ancora più irritante del suono riprodotto dallo strumento si alzò aggressiva dall'uomo seduto accanto a Annie.

"S-scusami, è che sono scivolato e-"

"Non l'ha mica fatto apposta."

Blaine emise un sbuffo infastidito per la maleducazione di quella testa canuta che continuava a rimanere girato. Non era passata nemmeno mezza giornata e Blaine si era già trovato uno che cercava litigi?

"Hai assunto un avvocato, Ralph? Voglio rammentarti che anni fa ero uno di loro, so come funziona il gioco. Ma tu chi sei? Sei un nuovo acquisto del manicomio?" chiese sprezzante.

"Ragazzi..." mormorò debolmente Rose spostando lo sguardo dall’uno all’altro.

"Sì, sono il nuovo arrivato," rispose Blaine ignorando l'ammonimento dell'infermiera e scandendo bene le parole, mentre con passo incerto faceva il giro del divano per poterlo guardare in faccia. Se proprio doveva litigare, almeno avrebbe voluto farlo osservandolo negli occhi.

L'uomo grugnì non preoccupandosi minimamente di mascherare il suo disappunto. "Allora benvenuto, Nuovo Arrivato. Infelice di conoscerti. Io sono..."

Finalmente Blaine riuscì a metterglisi davanti e a guardare il volto di quell'uomo così fastidioso e, specchiandosi per un momento nei suoi grandi occhi verdi screziati d'azzurro, trattenne rumorosamente il fiato.

"S-Sebastian?"








Ecco qui, il primo capitolo (o forse è più un prologo?) della mia prima long. Finalmente mi sono fatta coraggio e l'ho postata, nonostante sia ancora insicura su mille aspetti perché le tematiche non sono facili. Ci sono sopra da tre mesi, non l'ho ancora conclusa, sono perennemente attanagliata da enormi dubbi. Però è qui e voglio provarci.
 
Avverto subito dicendo che no, non finirà nel modo che tutti si aspettano. Perché questo non è 'The Notebook', anche se può ricordarlo. E sì, il personaggio di Annie è una debole scopiazzatura della fragile Annie creata da Suzanne Collins.

E mi pare giusto dire che nel prossimo capitolo, per chi vorrà leggerlo, ci sarà un colpo di scena e sarà pieno di angst. Ma proprio colmo fino all'orlo. Perché mi piace far soffrire la gente, da buona sadica quale sono, per cui mi sembrava doveroso mettere questa premessa. LOL

Ringrazio voi per essere arrivati fino a qui e la mia beta silenziosa che corregge i miei verbi e le mie preposizioni random senza mai ridermi in faccia.

Ma ringrazio più voi, insomma, perché sappiamo bene che una possibilità non si nega mai a nessuno :)

-violetsugarplum
  
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