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Autore: Lily__Rose    09/10/2012    1 recensioni
"Nel loro manto è racchiuso tutto il loro potere, così si racconta.
Chi ruba il manto a un Selkie acquisirà a sua volta i poteri della sirena."
Marys è una sirena a cui le è stato rubato anni addietro il suo prezioso manto di foca. Ogni notte passeggia sulla spiaggia osservando la sua casa così vicina eppure così lontana. Ogni notte passeggia sulla spiaggia ascoltando il richiamo dell'oceano, il canto di sua Madre, che porta sempre nel suo cuore, assieme al desiderio di libertà.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Somewhere beyond the sea
somewhere waiting for me
my lover stands on golden sands
and watches the ships that go sailin'”

 Bobby Darin, Beyond the sea.

 


L’oceano si estendeva fino all’orizzonte come l’abito di seta di qualche dama, abbandonato e lasciato a gonfiarsi al soffio del vento.

Era di una bellezza da straziare il cuore. Nel suo rincorrere delle onde tra la schiuma bianca, l’abito prendeva vita in un meraviglioso uccello marino che metteva in mostra orgoglioso il suo piumaggio. Il suo suono sommesso, una cantilena dolce intessuta di velata minaccia, ti chiedeva solo di lasciarsi ammirare.

Il canto dell’oceano.

Il delicato canto che le conchiglie racchiudevano nel loro alveolo schiudendolo come un tesoro alle orecchie dei mortali. Quel canto era chiuso anche nel cuore di Marys.

Non c’era notte, giorno, luna o sole, non esisteva il confine tra i sogni e la realtà; quel canto era dentro di lei. Come poteva essere altrimenti per una creatura del mare? Una figlia dell’oceano che incessantemente veniva richiamata nel ventre materno?

Marys chiuse gli occhi e si lasciò abbandonare a quel canto.

Il vento si alzò smuovendole i capelli e gli abiti, trasportando gocce di mare. Si depositarono delicate sulla sua pelle, le lacrime di sua madre. Una le bagnò le labbra. Era salata: sapeva di sofferenza.

Il profumo forte e salmastro le colpì le narici con violenza. Respirò a pieni polmoni. Era l’alito della vita.

Fu scossa da un tremito. Tentò invano di trattenersi ma il singhiozzo che la strozzava uscì dalle sue labbra. Sentì gli occhi inondarsi di lacrime e a quel punto le sue difese erano abbassate e cominciò a piangere assieme all’oceano. Percepì i piedi bagnarsi, le scarpe inzuppate, l’orlo dell’abito appesantito dall’acqua.

Aprendo gli occhi notò di essersi avvicinata talmente all’oceano che aveva le gambe per metà affondate nell'acqua. Istintivamente le attraversò la mente il desiderio di proseguire. Di continuare a camminare fino a quando l’abbraccio della madre non l’avrebbe sommersa col suo amore, fino a quando non sarebbe entrata dentro il suo corpo fino a ucciderla col suo amore.

Amore. Amore di morte.

Se non poteva riavere la sua precedente vita almeno avrebbe potuto mettere fine a questa nel modo che più desiderava: ovvero tornare a casa.

Risate gioiose la distolsero dal suo intento.

Agirò lo sguardo intorno a lei fino a quando non scorse delle figure pallide tuffarsi nell’oceano, rincorrersi, nuotare. Le sue sorelle. La fitta al cuore fu più profonda. I ricordi la sommersero ma li allontanò per rimanere a galla.

Quelle non erano più le sue sorelle come l’oceano non era più sua madre. Ella stessa era una mamma, adesso. Doveva curare i suoi figli.

Marys voltò le spalle alle risa e alla gioia e si incamminò risoluta lungo la spiaggia.

 

Ritornando a casa non si aspettava di vedere suo marito desto.

Era seduto curvo su una delle poltrone vicine al camino in cui brillavano soffocate le ultime braci. Era ancora un bell’uomo, Luk Seelord, e nel pieno delle sue forze. Il suo volto bruciato dal sole aveva i lineamenti tondi, regolari, a eccezione del naso storto e aquilino, coperto da una leggera barba nera, scura come i capelli radi sul capo. Tuttavia in quel momento quel viso era indurito dalla severità, accentuato dalla penombra.

Il cuore di Marys fece un tuffo, ed ebbe timore di suo marito.

«Sei andata ancora a guardare l’oceano», affermò Luk con durezza, senza guardarla negli occhi. Li ostinava a tenerli fissi sulle braci.

Marys respirò a pieni polmoni per tentare di calmarsi prima di rispondere.

«Sì, Luk.»

Nonostante ciò la sua voce era uscita tremula.

«Quante volte ti ho detto che non amo quando vai a guardarlo? Soprattutto di notte, di nascosto, come una ladra?» Luk Seelord la fissò con i suoi occhi chiari. «Sono passati tanti anni. Pensavo che non ne sentissi più il bisogno», sospirò, addolcendo i suoi modi.

Marys non si fece commuovere. «Sono pur sempre una figlia del mare. Mi hai privato della mia libertà, come dovrei sentirmi?»

Gli occhi di Luk sembravano lucidi. Marys si mangiucchiò il labbro inferiore, pentita di averlo ferito.

«Mi sembravi felice e innamorata.»

«Innamorata, sì. Quantunque tu mi abbia fatto ho imparato ad amarti. Tuttavia come non puoi vedere la mia tristezza? Credo che sia così tangibile quello che la mia anima sta urlando, persino ora. L’oceano è la mia unica casa. Lì sono nata e lì… vorrei vivere.» Stava per dire “lì vorrei morire”, ma si era fermata all’ultimo momento. Non voleva ferirlo ulteriormente. E non voleva aggravare la sua delicata posizione. Non voleva privarsi del tutto della libertà rimasta. Altrimenti ne sarebbe morta davvero.

Luk annuì con vigore, però non sembrava aver compreso le parole della moglie. Si alzò e prese a camminare avanti e indietro davanti al camino. Quando si arrestò la osservò come faceva spesso da quel primo giorno: uno sguardo di profonda ammirazione. Marys sospirò e scosse il capo agitando i capelli neri. L’amore del marito era pura illusione, come quella che credeva di provare per lui. Tante volte glielo aveva ribadito, invano. Luk era sordo. L’ammirazione, l’amore, la bellezza di lei… erano le illusioni di una sirena.

«Ridammi il mio manto, Luk, per favore. O dimmi dove lo hai nascosto se pur dovrò cercarlo negli angoli più remoti di questo mondo e degli altri pianeti. Dimmi dove si trova e io svanirò assieme ai miei figli. Vivranno felici nell’oceano.»

Luk aveva tenuto a pugno le mani fin da quando aveva iniziato a parlare, digrignando i denti. A udire di lasciarle anche i bambini fu percosso da un ondata di rabbia.

Batté un pugno sul muro, ferendosi le nocche. «I nostri figli vorrai dire, strega del mare!», sbottò. «I nostri figli non si toccano e tu non osare chiedermi di nuovo il tuo stupido manto. Sono stato così astuto da rubartelo e tu sei il mio pegno. Mai lo riavrai indietro, capito? MAI!»

Era insolito vedere Luk arrabbiarsi e proprio per tale motivo quando sbottava era uno spettacolo tremendo.

Marys fu scossa da tremiti incontrollabili. La testa le girava in modo violento e dovette appoggiarsi alla parete dietro di lei per non cadere.

Nel frattempo, i loro figli si erano svegliati a causa di tutto quel trambusto e si affacciarono sulla porta vivamente spaventati, i visi cerei.

«Mamma?», mugolò la bambina, la più piccola, due anni appena, abbracciata alla sua bambola di pezza.

Marys lanciò uno sguardo sferzante al marito e si diresse verso i figli.

«Andiamo, piccoli miei. Ritorniamo a letto. Non è successo nulla.»

Rinchiuse la porta alle spalle e li accompagnò alla loro camera. Era ancora impauriti, la osservavano con gli occhi sbarrati e i visi accesi anche di curiosità.

Li rimise a letto, imboccò loro le coperte, posò sulle loro gote rosee dei buffetti mentre mormorava loro parole dolci e rassicuranti.

«Perché papà è arrabbiato con te, mamma?», chiese l’altro figlio, il maggiore, quando si fu seduta sul suo letto.

«Non temere, non è nulla. Domani sarà tutto sistemato. Dormite, bambini, prima che le streghe del mare vi portino via.»

Prima di andarsene spense la lanterna che avevano lasciato accesa in quella stanza. Il buio li sommerse.

Fu la luna a illuminarle i passi fino nella sua stanza.

Il letto era vuoto. Luk doveva essere rimasto nel salotto. Marys ne fu contenta e sperò che non si facesse vivo fino a domani mattina. Anzi sperò che all’indomani lui fosse sparito assieme a quella casa, ai figli – che madre snaturata le venne da pensare – svegliandosi assieme alle sue sorelle nell’azzurra immensità.

Il suo sonno fu disturbato.

 

Intorno a lei, il mondo era blu.

Ella fluttuava in quel paradiso libera da pensieri di sofferenza e morte; libera dai pensieri dei mortali. Esisteva solo l'oceano e il suo canto. Ed ella cantava assieme alla Grande Madre in una comunione di pensieri e d'anima. Con lei, le sua sorelle. Le loro risa si univano al canto.

Quel mondo era blu e perfetto. Il suo mondo, la sua realtà.

Vide una costa sabbiosa. Argentata sotto i raggi melanconici della luna. Seguì le sue sorelle a riva sulla quale tolsero i loro manti pallidi di foca. Ne fecero dei fagotti e li nascosero in posti differenti, lontani dagli occhi avidi dei mortali. Marys nascose il suo in una cavità di uno scoglio scuro e presto se ne dimenticò. Annusando l'aria salmastra e intonando un inno alla madre, corse nuda e pallida verso il mare tuffandosi e giocando colle sorelle. La luna la loro torcia nelle tenebre.

«Odio le ombre», sentenziò Marys osservando la costa immersa nell'oscurità.

«Se non fosse per le ombre non potremmo toglierci il nostro manto e nuotare liberamente, celate dagli sguardi», replicò Pho, una sua sorella.

«Perché la nostra pelle di foca dovrebbe essere un fastidio se nuotando ogni giorno con esse ci fa sentire così libere?» Marys rabbrividì e si abbracciò sentendo la pelle morbida da donna divenire come quella di oca spennata. Non si era mai prima di allora sentita così vulnerabile. Aveva un cattivo presentimento e l'ultima cosa che desiderava era starsene così nuda e indifesa.

Corse fuori dal mare, schizzando acqua da tutte le parti.

Quello che sentì per primo fu una scossa che le percorse la spina dorsale e che si propagò presto in tutti gli arti. Si bloccò. Gridava dentro di sé di muoversi ma i suoi arti non volevano obbedirle.

La seconda cosa che udì, fu l'urlo.

«Un mortale!»

Una delle sue sorelle stava fuggendo velocissima tenendo stretto il suo manto.

«Un mortale ci ha scoperte. Prendete il vostro manto, sorelle. Presto!»

Si sistemò la pelle di foca sulle spalle e appena raggiunta le profondità del mare si tuffò, nascondendosi alla vista come foca bianca.

L'allarme mise in subbuglio le sue sorelle. Non ci furono più grida, non per lo meno quelle che si potevano udire, ma solo urla e lamenti silenziosi.

Marys era ancora bloccata. Nessuna la degnava di uno sguardo. Se anche avesse potuto muoversi sarebbe stata raggelata dalla paura. Sapeva cosa era successo. Il suo cuore batteva all'impazzata e avrebbe voluto piangere. O almeno tuffarsi in mare e morire affogata. Meglio morta che schiava.

Quando anche l'ultima delle sue sorelle se ne su andata, Marys lo vide. Il suo futuro marito. Un giovane pallido e mal vestito che si avvicinava sbigottito a lei reggendo un manto, il suo manto.

«Si-siete una si-sirena?», balbettò.

Marys digrignò i denti lottando con il desiderio di tacere o sputargli addosso. Tuttavia alla fine cedette.

«Ovvio.»

Il suo padrone le mostrò la pelle di foca. «E' vero che se un uomo riesce a trovare il nascondiglio in cui una sirena cela il manto e riesce a impadronirsene, ella sarà in suo potere?»

«Sì», replicò Marys in tono secco, sputando odio.

«Voi siete mia», sentenziò il ragazzo sorridendo avido. «Vi ho visto numerose volte fare il bagno e desideravo tanto avervi.»

«Non si ottiene nessuna donna con la forza.»

«Non siete una donna», sbottò il ragazzo, stringendo a sé la pelle di foca.

Marys strinse i pugni e si costrinse a non piangere. Non davanti a lui, almeno.

«Avrete il mio manto e , sì, dovrò obbedirvi in tutto, ma sappiate che non mi avrete mai completamente. E' di cattivo auspicio catturare un Selkie.»

«E' cattivo auspicio ucciderlo. Io non vi farò mai del male.»

«L'avete già fatto. E io morirò comunque.»

Il ragazzo le lanciò un'occhiata carica piena di significati: odio, dubbio, paura, desiderio...

Le fece cenno di seguirlo e le gambe di Marys si mossero da sole. Non aveva nessuna scelta.

Lontano giungeva il richiamo dell'oceano.

C'era sempre nei suoi sogni il blu e il richiamo dell'oceano.

 

Il pensiero non l'abbandonò fino a sera. Sentiva di potercela fare. Lui non le avrebbe mai rivelato il nascondiglio della pelle di foca. E fino a quando l'avrebbe tenuta celata poteva sì comandarla dal non scappare, di esaudire i suoi desideri, ma il potere era limitato. Non poteva toglierle la libertà. Anche se la libertà odorava di morte.

Verso sera cominciò a cantare.

Erano riuniti attorno al tavolo, lei, suo marito e i due bambini. Avevano finito di cenare, i resti abbandonati sul ripiano.

Ella si lasciò trasportare dal suono delle onde lontane, dall'eco dentro il suo cuore. E cantò. Con voce cristallina, dolce, soave, ipnotica, ondulante. Come la voce del mare.

Appena aveva cominciato, il marito le stava proibendo di cantare. Tuttavia il canto subito lo conquistò e fu trasportato dal suo ritmo. Chiuse gli occhi per vedere meglio le immagini che quelle note suggerivano e davanti a sé vide solo blu profondo.

Così fecero i due bimbi. Si accoccolarono vicini e abbracciandosi, il sorriso sui visi paffuti, ascoltarono la voce della Madre.

Le parole della canzone erano sconosciute al resto della famiglia. Non per Marys. Era il linguaggio dell'oceano. Solo chi ne era figlio ne era a conoscenza. Era una lingua millenaria, forte, malinconia, seria, gioiosa, azzurrina, arcana come le onde del mare.

E Marys cantava, il richiamo dell'oceano. Più cantava e più le palpebre del marito e dei bambini si facevano pesanti come piombo, fino a quando un velo di sogni non calò su di loro e s'addormentarono.

Non si sarebbero svegliati molto presto, però Marys non perse tempo. Finì il canto con note melanconiche, prese in braccio i suoi figli – stranamente sembravano pesare come piume e non provava il minimo sforzo a sollevarli entrambi – e fuggì dentro la notte.

Arrancando nella sabbia si avvicinò alla riva così vicina a causa dell'alta marea che subito sentì i piedi nudi bagnati dall'acqua. Il vento salmastro le scompigliò i capelli come una carezza. L'oceano ruggì nel profondo nel salutarla mesto.

Fu presa da quel richiamo che ora era un grido nel suo cuore e non ebbe più paura.

Avanzò nel mare, la veste che le svolazzava intorno, i bimbi addormentati che ronfavano tra le sue braccia. Una lacrima cadde nell'oceano.

Avanzò, Marys, piangendo.

Avanzò la sirena, gioendo.

Finalmente sarebbe morta e con la sua morte sarebbe cessata la maledizione. Eppure, Marys era felice. Si sarebbe unita ancora alla Madre, avrebbe nuotato con le sue sorelle. Poteva anche rivedere i suoi figli. Erano due anime pure e le anime pure affogate nel mare diventavano Selkie. Per sempre sarebbe vissuta in completa armonia con l'oceano, diventando spuma marina.

Avanzò la bella Marys, l'acqua al petto.

Affondò i bambini ignari e così continuò a camminare mentre la vita scivolava via dai giovani corpi. E quando il mare le arrivò al mento, abbandonò i corpicini morti e s'immerse a sua volta.

Respirò a pieni polmoni l'essenza vitale della Madre. Lasciò che essa le invase la bocca, i polmoni, il corpo, la vita. Presto perse i sensi e gioendo un'ultima volta seppe di essere finalmente tornata a casa.

Intorno a lei il colore dell'immensità e il canto dell'oceano.

 

 

  
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