Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Valentina Viglione    09/10/2012    7 recensioni
3° classificata al contest "La Ballata delle emozioni" di phoenix_esmeralda e vincitrice del premio speciale per il carisma!
"Così prendendo un bel respiro, mi alzo aiutandomi con le braccia.
Traballo leggermente ma ritrovo subito stabilità.
Magari facendomi una passeggiata riuscirò a ricordare dove ho parcheggiato la macchina …
Vedo ancora un po’ appannato, ma dovrei riuscire a camminare. Così inizio a fare i primi passi.
Ed è un attimo.
Solo un attimo che va come al rallentatore.
Il mio piede si appoggia male sullo scalino del marciapiede facendomi cadere in avanti, in mezzo alla strada.
I miei occhi prima di chiudersi per la paura vedono le luci di una macchina che mi sta venendo contro.
L’uomo di fianco alla donna mezza vestita le dice a bassa voce < va tutto bene Ilary >> ma io riesco a sentirlo.
E qualcosa, o meglio qualcuno, mi afferra il braccio tirandomi indietro, lontano dalla strada e dalla macchina che a momenti mi avrebbe investita.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Shyness

 

Quest’odore non mi piace. No.

Proprio per niente.

Ma da dove cavolo viene? Sto per vomitare, me lo sento.

Odore di alcool...

Ah già, mi sa che è il mio alito.

Sono seduta su un gradino. Non so dove, non so davanti a cosa, non so con chi.

Voglio solo andare a casa, ma non mi ricordo dove ho messo la macchina.

Sono un po’ disorientata, devo ammetterlo. E non riesco a ragionare.

A quanto pare io e l’alcool non andremo mai a braccetto insieme.

Respiro profondamente, sperando che l’aria arrivi anche al mio cervello, per rinfrescarmi le idee.

Mi gira la testa. Ho sonno e vedo appannato.

Qualcuno, a qualche metro da me, sta rimettendo rumorosamente tutta la sua cena sull’asfalto.

Mi torna la nausea.

Ma perché ho bevuto? L’alcool mi fa schifo!

Poso la bottiglia di birra che ho in mano sul marciapiede, poi chiudo gli occhi e metto la testa tra le mie ginocchia iniziando a dondolare.

Mi sento proprio una scema. Sembro una bambina. Ubriaca, ma pur sempre una bambina.

Continuo a respirare profondamente, mentre con la coda dell’occhio vedo un paio di tacchi color argento passarmi di fianco leggiadri.

Mi sembra di ricordare qualcosa, ma non so quanto possa essere attendibile.

Ricordo di essere venuta in centro, per accompagnare Marie, la mia migliore amica, a fare shopping.

Ricordo che aveva insistito tanto, perché voleva fare un figurone alla festa di natale di David, un nostro compagno di scuola, di cui Marie era stracotta da mesi.

E se c’è una cosa che ricordo ancora meglio di tutte, è quando “la mia migliore amica” mi ha scaricato!

Rialzo il capo di colpo. Forse troppo in fretta, perché la testa torna a girarmi.

I ricordi della serata, diventano leggermente più nitidi.

E quella voglia di scomparire che mi aveva portata ad entrare dentro un bar per ordinare 3 super alcolici, ritorna.  Non è mai andata via.

Ora non mi sento solo scema. Mi sento una scema abbandonata.

Marie è … o a questo punto dovrei dire “era”, l’unica amica che avevo. Su cui facevo affidamento.

Chiamiamola pure, l’unica amica che mi considerava …

Di amiche ne ho altre, questo si, però … non sono mai riuscita ad entrare in confidenza con nessuna di loro.

O forse erano loro, a non riuscire ad entrare in confidenza con me.

In fondo, cosa ce ne si fa di un’amica chiusa come me?

Tutti vogliono solo una compagna di divertimenti, quella che dice una battuta in una frase e nell’altra pure, che è popolare, che è brillante, che è bella.

Quella a cui piace fare le cazzate.

Beh io non sono così. Sono una persona tranquilla, non sono popolare a scuola e di certo non mi ritengo bella. Direi … che sono nella media, ecco. O forse un po’ sotto la media …

E se c’è una caratteristica che non mi appartiene per niente è la simpatia.

Non nel senso che io sia “antipatica” o cose simili, no. Io, semplicemente non faccio ridere.

Alle mie battute di spirito, che devo ammetterlo, assomigliano più a delle frasi di sarcasmo pesante, nessuno ride mai.

Non sono brillante, ne a scuola ne nella vita. Non penso che mi si noterebbe in mezzo ad una folla.

Io sono Jennifer. La tranquilla, solitaria, riservata Jennifer.

Ma nonostante io non abbia le caratteristiche dell’”amica ideale”, penso di potermi dare il merito di possedere altre qualità.

Sono un’amica che sa ascoltare.

Quante volte Marie, che litigava con i suoi genitori almeno 2 volte a settimana, veniva a sfogarsi con me che ascoltavo pazientemente le sue infinite file di parole. E quante volte l’avevo invitata a casa mia, per passare l’intera notte in bianco a mangiare patatine guardandoci i film più idioti che trovavamo in casa, solo per tirarle su il morale?

Se questo non è un comportamento da amica, non so cosa possa essere.

Sono dolce (almeno spero). Mi piace essere abbracciata, anche se non do a vedere il mio gradimento quando questo avviene. Mi fa sentire accettata, voluta bene e cercata.

E sono paziente. Molto paziente.

Chi potrebbe sopportare i continui cambi di umore di Marie se non io? Un momento è su di giri, un momento è arrabbiata, subito dopo ha un’idea, e poi nel giro di due minuti vuole fare qualcos’altro.

Una persona l’avrebbe già mandare a fare in culo.

Ma io no, io sono sempre stata paziente con lei.

Ed infatti è stata lei a mandarti “a quel paese”

Sbuffo.

Sbuffo mentre con una manica del giubbotto asciugo la lacrima che sta cadendo sulla mia guancia.      

Non so neanche io cosa sia successo in realtà. E’ stato tutto troppo veloce, e forse non me ne rendo conto ancora.

Non ho ancora metabolizzato il fatto di non avere Marie di fianco a me con 50 buste piene di vestiti, in questo momento. Non ho ancora metabolizzato il fatto di essere seduta davanti ad un bar sconosciuto, in mezzo a volti sconosciuti, ubriaca.

 

Marie …

La vedevo strana da qualche giorno, ma non immaginavo che si sfogasse in questo modo.

In fondo le avevo solo ripetuto, per la centesima volta, che io alla festa di David non ci sarei andata.

<< Ma perché Jenny!! Di cosa ti vergogni accidenti! E’ solo una stramaledetta festa! >>

<< No senti … non mi va, lo sai che non sono il tipo … >>

<< Non fare la sfigata come al solito! Io sono paziente con te e  ho sempre accettato tutto, ma ora siamo al limite! Cerca di cambiare un po’ perché io di un’amica come te non so che farmene! Ciao >>

Aveva detto, dopo il mio ennesimo rifiuto lasciandomi da sola, come una cretina, dentro al negozio.

Perché dico io?

Non volevo semplicemente presentarmi ad una festa … cosa avevo fatto di così sbagliato?

Forse sono io che sono sbagliata. Forse sono io ad essere sfigata, come mi ha definito Marie.

Gli occhi tornano lucidi.

Sfigata.

Me lo avevano detto in tanti a scuola, anche quando ero piccola.

Mi sono sempre convinta che chi me lo diceva lo facesse solo per cattiveria, per farmi un dispetto. Non ho mai pensato di sentirmi chiamare così da Marie.

Mai.

 

Quando vedo qualcuno, o meglio percepisco qualcuno, sedersi di fianco a me, alzo lo sguardo.

Sono un donna ed un uomo, potrebbero avere l’età dei miei genitori.

Guardo senza farmi vedere il modo in cui è vestita la donna.

No quella non potrebbe mai essere paragonata a mia mamma. Ha più l’aspetto da … “poco di buono?”, posso chiamarla solo così per non essere volgare. Anche perché, di volgare c’è già lei.

Calze a rete, minigonna di pelle nera, tacchi rosso fuoco ed un toppino piccolo piccolo che mi fa venir freddo solo a guardarlo.

E’ ubriaca anche lei, come me.

Ma a parte questo, siamo completamente opposte.

Lei è più femminile, fin troppo direi, ma da un kilometro di distanza si vedrebbe che è un essere di sesso femminile. Io invece ho le scarpe da ginnastica bianche, (o forse sarebbe meglio dire “grigie” da quanto sono sporche), un jeans e il giubbotto marrone scuro che mia madre mi aveva regalato al mio 17° compleanno, l’anno scorso.

Da un kilometro di distanza, di me si vedrebbe solo un puntino.

Un insignificante, noioso puntino magrolino e pallido.

C’è poi un’altra cosa che differenzia me e la signora mezza nuda: Io sono sola, mentre lei ha di fianco a se il suo compagno. Non so dire se sia il marito, il fidanzato, il migliore amico o il vicino di casa.

So solo che è in imbarazzo per la donna al suo fianco e che la continua ad abbracciare, forse per coprirla da occhiate indesiderate, o forse  solo per riscaldarla.

E’ il 10 Dicembre … non è che si muoia di caldo!       

Questo pensiero mi ricorda che anch’io ho freddo, e percorsa da un brivido  mi stringo di più le braccia intorno al corpo.

Voglio andare a casa, al caldo.

Voglio bere un tè verde per togliermi quest’orribile gusto di alcool dalla bocca.

Voglio allontanarmi da questa “coppia”, che mi fa sentire ancora più sola di quanto già non mi senta.

Così prendendo un bel respiro, mi alzo aiutandomi con le braccia.

Traballo leggermente ma ritrovo subito stabilità.

Magari facendomi una passeggiata riuscirò a ricordare dove ho parcheggiato la macchina …

Vedo ancora un po’ appannato, ma dovrei riuscire a camminare. Così inizio a fare i primi passi.

Ed è un attimo.

Solo un attimo che va come al rallentatore.

Il mio piede si appoggia male sullo scalino del marciapiede facendomi cadere in avanti, in mezzo alla strada.

I miei occhi prima di chiudersi per la paura vedono le luci di una macchina che mi sta venendo contro.

L’uomo di fianco alla donna mezza vestita le dice a bassa voce << Va tutto bene Ilary >> ma io riesco a sentirlo.

E qualcosa, o meglio qualcuno, mi afferra il braccio tirandomi indietro, lontano dalla strada e dalla macchina che a momenti mi avrebbe investita.

Il conducente dell’auto mi urla qualcosa che non riesco a capire, forse è straniero, e mi fa il dito medio mentre mi sfreccia davanti a grande velocità.

Ho le gambe molli e mi fa male il piede, ma il braccio che mi ha appena  salvato dal diventare una sardina schiacciata mi sostiene tenendomi in piedi.

Faccio passare alcuni secondi e poi mi volto a vedere, e a ringraziare la persona che mi ha salvata.

E’ un ragazzo. Sembra alto, sembra anche bello. Ma vedo ancora appannato e non riesco a mettere a fuoco il suo viso per esserne sicura.

Non faccio nemmeno in tempo ad aprire bocca che lui mi precede.

<< Ma sei impazzita! Dove cazzo stavi guardando?! >>

Le sue parole, e il volume che ha usato per urlarmele contro mi rimbombano nelle orecchie, e mi viene un dolore improvviso alla testa.

<< Ahi la testa … >> farfuglio coprendomi gli occhi. Mi gira tutto, forse non mi sarei mai dovuta alzare.

Il ragazzo mi scuote un po’ il braccio  e poi mi riparla, fortunatamente con un tono più basso e gentile.

<< Ehi ci sei? Ti senti bene? >>

Scuoto la testa.

No che non sto bene.

Voglio andare a casa!

 

Tolgo la mano da davanti gli occhi e continuo a scuotere la testa. Mi sento sempre più scema.

<< Lasciami >>

Sul suo viso spunta un sorriso.

<< Come faccio a lasciarti scusa? Sei ubriaca, stavi per essere investita da una macchina e hai dimenticato la tua borsa davanti ad un bar >> mi informa indicandomi con un cenno della testa la borsa, la mia borsa, che si trova di fianco alla coppia che si era seduta accanto a me qualche minuto fa. Ho la mente così confusa che non ricordavo nemmeno di aver portato con me la borsa oggi. Il portafoglio, la carta d’identità, il cellulare, avrei perso tutto se questo ragazzo non mi avesse fatto notare la mia dimenticanza.

Un attimo … il cellulare! Potevo chiamare qualcuno per farmi venire a prendere! Perché non ci avevo pensato subito! Che idiota.

Non gli rispondo, e forse inizia a pensare che io abbia davvero qualcosa che non va.

<< Ohi ti senti bene? Vuoi … ti serve qualcosa? >> La sua voce è preoccupata.

Torno a guardarlo. La vista è leggermente più nitida e riesco a vedere il suo viso molto più chiaramente.

Si, avevo ragione. Questo ragazzo è bello, davvero bello.

Ed è anche troppo vicino al viso della sottoscritta.

Quando me ne rendo conto, riabbasso lo sguardo e arrossisco.

Dannata timidezza! Anche da ubriaca riesco ad arrossire!

 

<< Emh… Dylan? Chi sarebbe sta tizia? >>

Domanda una voce femminile proveniente da dietro la schiena del mio “salvatore”.           

Riesco a vedere il ragazzo di fronte a me che alza gli occhi al cielo, sembra scocciato.

<< Nessuno, è una ragazza. Non si sente molto bene e la sto aiutando. Ti crea problemi? >> le risponde a tono girandosi verso di lei.

 

Nessuno, è una ragazza.

Chi è questa ragazza? Nessuno.

Si, direi che è un buon modo per descrivermi.

Sarà l’alcool a farmi venire questi pensieri da depressa, ma in ogni caso, quando mi accorgo che la ragazza che ha parlato, potrebbe essere la sua fidanzata, vorrei scomparire.

Fa qualche passo verso di noi e diventa visibile ai miei occhi.

E’ anche carina.

Mi dà uno sguardo, squadrandomi dall’alto in basso. Mi guarda storto.

Ora si che vorrei scomparire.

<< No, non mi crea problemi, ma così facciamo tardi! >>

Lui sbuffa. Non mi ha ancora lasciato il braccio, forse è per questo che la ragazza mi sta mandando occhiate che sembrano volermi fulminare.

<< Ok, allora tu inizia ad andare, io ti raggiungo appena ho finito >>

<< Appena hai finito di fare cosa? Di provarci con questa?! >>

Il ragazzo sbuffa ancora più forte e le da le spalle.

<< Non c’è motivo di essere gelosa, inizia ad avviarti ti ho detto >> le dice con tono che non ammette repliche.

<< Ok ne parliamo … dopo >> si arrende, per poi passarci davanti ancheggiando un po’ troppo con i suoi stivali col tacco.

Com’è che stasera sono tutte vestite come se dovessero partecipare ad una sfilata, fatta eccezione per la sottoscritta?

 

Quando la sua ragazza è abbastanza lontana da noi, ricomincia a parlarmi.

<< Allora stai bene? Parlami altrimenti sarò costretto a portarti all’ospedale con il sospetto che tu abbia avuto un trauma cranico >>

Dovrebbe essere una battuta? Oppure dice sul serio?

<< No… emh… sto bene stai tranquillo. >> gli rispondo finalmente.

Guardo il mio braccio, che non ha ancora mollato. Le mie guance si fanno ancora più rosse.

Quando se ne accorge molla la presa.

Barcollo leggermente, così mi riprende il braccio per sostenermi. E mi sorride.

<< Ti consiglio di tornare a casa, in queste condizioni non puoi andartene da nessuna parte. Ed io non posso certo seguirti tutta la sera per evitare che qualcuno ti investa mentre cammini >>

Rialzo lo sguardo.

Tornare a casa… dovevo chiamare qualcuno con il cellulare prima.

Ricordandomi che la borsa è ancora parcheggiata davanti al bar, faccio qualche passo incerto, mi abbasso e me ne riapproprio.

Lui mi segue.

Probabilmente sospetta che cadrò da un momento all’altro.

Lo schermo illuminato del cellulare mi da inizialmente fastidio, così sono costretta a socchiudere gli occhi leggermente. Ma poi mi abituo e guardo lo schermo, e sempre controllata dallo sguardo del ragazzo di fronte a me, noto che ci sono 4 chiamate perse. Di Marie.

La speranza ritorna.

Vuole chiedermi scusa. La mia migliore amica vuole scusarsi con me, è preoccupata per me. Non sa dove sono.

Un sorriso spunta sul mio viso e vedo con la coda dell’occhio il ragazzo che mi guarda un po’ confuso.

<< Chi è? Il fidanzato? >> mi chiede imitando il mio sorriso.

E’ stata solo una mia impressione quella punta di sarcasmo che ho avvertito nella sua voce?

Beh… anche se fosse, non avrebbe tutti i tordi a dirlo con sarcasmo. Come può una ragazza come me avere il fidanzato?

Una che, avendo di fianco a lei un ragazzo così bello, non ci prova neanche.

Una che si vergogna a momenti ad alzare lo sguardo e a guardarlo negli occhi. Che si vergogna a momenti di parlargli, di conoscerlo, di cogliere l’occasione per mettersi in mostra.

Togliamo “a momenti”. Io mi vergogno e basta.

Non gli ho nemmeno chiesto il nome, e non mi sono neppure presentata.

Sei un disastro Jenny. Cogli l’attimo no? Com’è che si dice? Carpe diem!

Eh già… diciamolo a qualcuno un po’ più spigliato di me vah.

<< No >> gli rispondo infine, non spostando il mio sguardo dallo schermo del cellulare. << E’… la mia migliore amica >>.

Non perdo molto tempo e schiaccio il pulsante di chiamata, appoggiando il telefono all’orecchio.

Due squilli dopo, Marie mi risponde agitata.

<< Pronto Jenny? Oddio, non mi rispondevi e mi stava venendo un infarto! Stai bene vero? >>

<< Si sto bene >> biascico la risposta.

Dovrei utilizzare un tono duro per punirla del modo in cui mi ha scaricato oggi.

Ma non sono capace di fare la dura.

<< Senti io… oddio mi dispiace tantissimo! Mi rimangio tutto quello che ti ho detto. E’ solo che… uff… facciamo così, ne riparliamo di persona va bene? Io sono davanti alla tua macchina da mezz’ora ad aspettarti. Raggiungimi, così torniamo a casa >>

<< Si ma io … non mi ricordo dov’è la macchina … >> rispondo sempre a bassa voce. Mi gira la testa.

Dall’altra parte del telefono non sento nulla per diversi secondi.

<< Hai bevuto? >> mi chiede seria.

<< Si >> le dico semplicemente.

Probabilmente ne è rimasta sorpresa. Non capita tutti i giorni che una come me beva  e si ubriachi come fanno la maggior parte delle diciottenni in questo secolo.

Ma non l’ho certo fatto ad una festa, per divertirmi come fanno tutti. Ho bevuto perché ero triste, e perché sono una cretina.

<< Dimmi dove ti trovi … così ti raggiungo >>

Parlo e guardo il pavimento. Il ragazzo è ancora di fianco a me. Mi sostiene ancora il braccio.

Il mio braccio è in fiamme, come il mio viso.

<< Sono davanti alla cartoleria “Riacy”, sai dov’è? >>

<< Cartoleria “Riacy”?... non mi dice nulla >> le rispondo con tono sconsolato.

Forse dovrei rassegnarmi a rimanere davanti a questo bar per tutta la vita.

Ad certo punto sento una mano che si appropria del mio cellulare, e la voce del tizio davanti a me.

<< Non ti preoccupare, so io dove si trova la cartoleria, te la riporto io la tua amica. … Sono un’amico, sisi non ti preoccupare sta bene… si un po’ confusa ma sta bene stai tranquilla. A dopo >> E chiude la chiamata.

Non so dove trovo il coraggio, ma quando mi porge il cellulare, lo guardo storto.

Vorrei dirgli di non impicciarsi, ma non oso farlo. Il mio sguardo deve avergli comunicato il messaggio.

Lui mi sorride.

Oddio è davvero bello.

E riabbasso lo sguardo.

Ridicola. Sei proprio ridicola.

Diglielo che ritornerai a casa da sola, senza il suo aiuto.

Oppure provaci… insomma… fai qualcosa diamine!!

Ma non faccio nulla. E’ lui a fare qualcosa al mio posto.

Prendendomi in braccio.

Caccio un piccolo urletto quando non sento più la terra sotto ai piedi e d’istinto, mi aggrappo al collo del ragazzo.

Lui ride. E io ritiro subito le braccia.

Ora sono ancora più ridicola di prima.

<< M-ma che… fai? >> dico balbettando per l’imbarazzo. E’ la prima volta che mi trovo in braccio ad un ragazzo, se non contiamo il mio papà che quando ero piccola mi teneva tra le sue braccia ogni qual volta che poteva.

<< Come che faccio? Trovo una bella ragazza ubriaca che non riesce a camminare bene… ovvio che me la porto a casa per passarci la notte! >> risponde. E lo dice con tanta disinvoltura che in un primo momento credo che dica sul serio.

E ride di nuovo per la mia espressione sconvolta.

 << Ma ti pare? Ho trovato una bella ragazza ubriaca che non riesce a camminare bene, quindi devo aiutarla a raggiungere la sua amica. Sono un bravo ragazzo io, cosa ti credi?! >>

E inizia a camminare, presumibilmente, verso la cartoleria indicatagli da Marie.

Metto la mia borsa sulle gambe, come se fosse un fagotto e con le mani gioco con la cerniera. Almeno so dove metterle, visto che mi vergogno ad aggrapparmi al suo collo.

Alcune persone, vedendoci, sorridono.

Forse pensano che stiamo insieme.

E io arrossisco, figurarsi se non lo facevo.

 

Passiamo, senza più dire una parola, davanti a molti locali e bar.

Sembra quasi di avere di fianco un jukebox che cambia canzone ogni pochi secondi.

Musiche da discoteca, ballate latino americane, Rock, ancora musica da discoteca.

Non conosco la maggior parte delle canzoni che sento. Non sono esattamente un tipo da festa o da discoteca…

Ma poi la sento. Una canzone che riconosco subito.

La canzone preferita di mio padre, ed anche la mia.

Una canzone che una ragazza della mia età riterrebbe da vecchi.

E il ragazzo che mi tiene in braccio mi sorprende ancora, quando incomincia a canticchiare la suddetta canzone.

<<  Ed ho voglia di piangere e chiedere aiuto… >> canta sussurrando. Ma lo sento, e sento che è anche stonato.

<< non ho niente da perdere, niente da dare >> finisco per lui, cantando a voce ancora più bassa.

Sposta immediatamente lo sguardo sul mio viso, sorpreso.

<< Incredibile, finalmente ho trovato qualcuno a cui piaccia Marco Masini! E non hai nemmeno 40 anni! Cosa ancora più incredibile!! >>

Ride ancora, è un tipo allegro. E fa ridere leggermente anche me.

Passano tanti altri minuti, e tra di noi cala il silenzio.

Un silenzio un po’ imbarazzante che lui spezza continuando a canticchiare la canzone ascoltata poco prima.

Il rossore e il calore sulle mie guance non mi ha dato tregua nemmeno un attimo, è sempre presente. E lui se ne sarà accorto sicuramente.

Forse è per questo che non mi fa domande e non cerca di fare conversazione.

Deve aver capito che sono il tipo di ragazza che ha vergogna a parlare.

O forse, semplicemente, non vede l’ora di ritornare dalla sua bella ragazza e di togliersi dalle braccia questa ragazza chiusa e muta come un pesce.

In fondo lo capisco.

Eppure non cammina velocemente, anzi.

 

Quando Marie prova a richiamarmi sul cellulare non le rispondo, perché la sto già vedendo dall’altra parte della strada. Appoggiata al cofano della mia macchina.

Il ragazzo si ferma.

<< Ci siamo, l’hai già vista? >>

Io annuisco.

Marie batte nervosamente il piede sull’asfalto, e riprova  a chiamarmi, mentre noi ci avviciniamo.

Quando siamo a pochi metri da lei, finalmente si accorge della nostra presenza.

Sospira di sollievo e mi viene incontro.

<< Accidenti tu oggi mi fai preoccupare troppo! Ma dove diavolo sei stata? >> mi chiede.

Poi guarda il ragazzo che mi tiene in braccio e vedo dal suo sguardo che è a disagio. O forse è  in trance, a causa della sua bellezza da conquistatore.

<< Mi puoi aprire la macchina? Così la faccio sedere sul sedile, non è esattamente capace di stare su con le proprie gambe al momento >> le chiede risvegliandola dal suo stato di trance momentaneo.

Lei sbatte un po’ le ciglia, e poi fa come le è stato detto.

Mi da fastidio che lo guardi in quel modo, non so perché.

Quando Marie apre la portiera, il ragazzo si china con me tra le braccia e mi poggia delicatamente sul sedile. Mi ha trasportato in giro come se fossi una piumetta da un grammo o anche meno.

Certo sono magrolina, ma non così tanto da non fare alcuno sforzo!

Quel ragazzo non era solo bello, praticava sicuramente anche la palestra!

In una sola parola: Perfetto.

In altre parole: Non adatto ad una come me.

Rimane con noi alcuni minuti. E’ girato, non so cosa stia facendo…

Poi si rigira verso di me.

<< Ok, mi dispiace dovervi lasciare, ma devo proprio andare se non voglio che la mia tipa mi mangi la testa quando arrivo >>

Ed il momento del congedo arriva troppo presto.

Assieme ad un suo bacio sulla guancia e ad un mezzo abbraccio.

<< Ciao bella ubriacona >> mi dice sorridendo e facendomi l’occhiolino, per poi andarsene a passo svelto.

E sparisce dalla mia visuale.

Mi tocco la guancia ancora sotto shock. Le mie guance sono incandescenti e la mia testa leggera.

Mio dio… è stato solo un bacetto sulla guancia! Non ti sembra di essere troppo esagerata?!

 

Sento Marie salire dalla parte del guidatore e chiudere la portiera di colpo.

Mi abbraccia e mi fa ricordare il motivo per cui è successo tutto questo.

Il motivo per cui mi sono ubriacata come una stupida.

Il motivo per cui ho quasi rischiato di essere investita da un’auto.

Il motivo per cui ho incontrato il ragazzo più bello che io abbia mai visto.

La mia migliore amica mi aveva scaricato, perché ero un’ amica sfigata.

<< Jenny, ti prego scusami… sono stata ingiusta con te oggi pomeriggio. Il fatto è che… è una festa, non capisco perché tu voglia rimanere tappata in casa quando hai la possibilità di divertirti! Mi divertirei 100 volte di più anch’io se tu fossi presente >>

La guardo. E sembra capire ciò che voglio comunicarle.

So già cosa accadrebbe se andassi alla festa. Io da sola, in un angolo della pista che faccio la figura del pesce fuor d’acqua, e lei al centro della pista, che balla con gli altri della scuola e che ci prova con David.

Non penso proprio che la mia presenza influirebbe sul suo umore, anzi.

<< L’hai detto tu stessa no? Cosa te ne fai di un’ amica come me? >>

Vorrei tanto che il mio tono risultasse acido. Invece,  la voce che esce dalla mia bocca sembra malinconica, sul punto di piangere.

I miei occhi sono lucidi.

<< Ero arrabbiata oggi, delusa direi. Per l’ennesima volta in 3 mesi rifiuti di presentarti ad una festa… in fondo anche se sei fatta così… >>

<< Io sono fatta così! Scusa tanto  eh! >> scoppio infine.

E le lacrime, delle lacrime stupide e insensate, iniziano a cadere sulle mie guance.

<< Tu non sai come vorrei essere un tipo allegro come te, estroverso, simpatico,  che si adatta a tutte le situazioni… ma purtroppo non sono così, e non mi sento di cambiare. Non sarebbe da me, non sarebbe nella mia… personalità. E’ così sbagliato che io mi senta a disagio in un posto pieno di gente, in cui sono costretta a vestirmi elegante e a ballare?! Non è da me, e dopo tutti questi passati insieme pensavo che almeno tu l’avessi capito! Pensavo che avresti compreso i motivi per cui rifiutavo e rifiuto tutt’ora di andare alle feste! >>

Tutto d’un fiato.

Brava Jenny, finalmente hai parlato. Hai detto quel che pensi.

E il fatto che tu abbia parlato mentre eri rossa come un pomodoro a causa del precedente bacio sulla guancia di uno splendido ragazzo,  e mentre stavi piangendo come una bambina, è  irrilevante.

Era ora di farsi sentire.

 

Marie è sorpresa. Stupita da me. Dalle mie parole.

E’ raro che io esprima a parole quel che sento e quel che penso. Che io ricordi, potrebbe anche essere la prima volta.

Metabolizza tutte le mie parole ed il loro significato, e poi finalmente riacquista il dono della parola.

<< Io… lo so che sei una persona introversa… timida. Basta capirlo dal fatto che arrossisci sempre quando devi parlare in pubblico o con persone che non conosci. Ma penso che sia un bene per te, fare uno sforzo. Insomma… non ti sto chiedendo di diventare il contrario di ciò che sei adesso… ti sto chiedendo, anzi… consigliando, di provare ad essere più aperta. E quale occasione migliore di una festa, per conoscere gente, sorridere e provare a divertirsi? >>

Sospiro.

Marie è proprio una cocciuta come poche.

Vuole che io vada alla festa e continuerà ad insistere.

Così mi arrendo, ma alle mie condizioni.

<< Va bene, verrò. Però devi promettermi che cercherai di stare con me il più possibile. Non voglio fare la parte del cane abbandonato. Io mi sforzerò … però tu aiutami >> dico infine.

Sul viso della mia migliore amica ricompare il sorriso, ed entusiasta come mai prima mi abbraccia. E io mi lascio abbracciare.

Sospiro di nuovo.

Marie è davvero impossibile, riesce a cavarsela sempre, anche quando si comporta male.

Io la perdono sempre.

In fondo non ha detto nulla di sbagliato, o almeno, niente che non fosse vero.

Sono chiusa, timida, introversa… ho bisogno di aprirmi, ma da sola non ce la faccio, per questo ho bisogno del suo sostegno.

Il modo in cui mi aveva parlato quel pomeriggio era un altro paio di maniche però.

Beh poco male…  Le avrei tenuto il broncio per un paio di giorni. In fondo se lo meritava, ed io ero bravissima a fare la musona a tempi prolungati.

 

Quando il nostro abbraccio si scioglie mi guarda ancora sorridente, ma stavolta anche curiosa.

<< Ma dimmi un po’… chi era quel bel tipo che ti ha portato qui in braccio? >>

E’ maliziosa.

Ciò che io non riesco ancora  ad essere.

<< Beh … è un ragazzo che mi ha aiutata… non riuscivo a camminare bene… sai ero ubriaca e così … >> provo a spiegare, ma lei mi interrompe come al solito.

<< Si quello me lo ha raccontato anche lui! Il nome Jenny! Voglio sapere come si chiama! E gli hai chiesto il numero vero? >> mi chiede tutta eccitata. Sembra una questione di vitale importanza… chissà come reagirà quando scoprirà che non ho ne il nome, ne il suo numero da comunicarle…

<< E cos’hai nella tasca scusa? Un volantino? >> mi chiede prima che io possa risponderle.

La guardo confusa. Poi abbasso lo sguardo alla tasca del mio giubbotto.

C’è un pezzetto di carta. Un bigliettino.

Lo prendo in mano, lo apro e poi lo leggo.

 

Non hai alzato lo sguardo su di me per più di 5 secondi di fila, quindi non mi

Stupisco del fatto che tu non mi abbia nemmeno chiesto come mi chiamo.

Jennifer … un bellissimo nome (Me lo ha detto la tua amica al telefono).

Questo è il mio numero, se vuoi chiamami nei prossimi giorni. Mi troverai.

Un bacio, bella ubriacona.

Da Dylan.

 

 E le mie guance si infiammano nuovamente.

Dannata timidezza!!

 

 

 

 

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Valentina Viglione