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Autore: phoenix_esmeralda    09/10/2012    8 recensioni
"Quella era la nostra follia comune, intrisa di affetto, di intesa, di autenticità.
La “cuginanza” la chiamavamo. Tu con il tuo essere assurdamente schietta, fino all’imbarazzo, io con il mio ottimismo indistruttibile, senza cedimenti.
Il tuo disegnare e il mio scrivere, la tua bicicletta e le mie corse, le tue strane convinzioni e le mie assurde soluzioni. Mi davi sicurezza, io ti davo serenità."

Prima classificata al contest "Mille e non più mille" di Gaea
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FOLLIA




Mille parole per parlare di follia, quando la follia è fatta di minuti.
Non aria vibrante fra le corde vocali, non inchiostro vergato sul bianco di un foglio. Non poesia, non  storia, non pensiero.
La follia è tempo: vivo, reale, vissuto. Testimone di me e di te.
Torno a ritroso negli anni e aggroviglio le nostre vite nel pugno di una mano; le accartoccio finché presente e passato si toccano e io posso vedere l’inizio e la fine quasi sfiorarsi.
L’inizio trova spazio all’alba dei nostri giorni: io bambina e tu più di me. Eri la mia cuginetta minuscola, la seconda sorella, l’attracco su cui sbarcava senza remore la mia fantasia.
Non avevamo bisogno di giochi, la nostra sintonia trasformava il mondo in un palcoscenico da fiaba.
Usavo le mani come personaggi: avevano nomi, abitudini, un carattere e una vita. Creavo storie davanti ai tuoi occhi e il tuo sguardo mi seguiva meravigliato e incredulo.
Davo voce agli oggetti, un passato e una storia a qualunque cosa ci passasse per le mani. Una molletta, una biro, un tappo, un bicchiere. Non aveva importanza.
La mia fantasia bastava per entrambe.
Non c’era limite, non c’era confine. Poca logica e scarsa razionalità.
“Mi piacciono le tue vocine. Sono solo tue, nessun altro sa animare gli oggetti come te. Ti ho sempre ammirata per questo.”
Eravamo già adolescenti quando mi dicesti questo. Eravamo ancora amiche.
La follia fra noi era ancora quella della nostra infanzia: colore, fantasia, illimitatezza. Risate.
Uno stuoino da mare trascinato attraverso i corridoi, un lungo evidenziatore al posto di un microfono, un foulard sulle spalle in luogo di un mantello. Ci spostavamo lungo la casa di montagna da una stanza all’altra, fermandoci quando incontravamo qualcuno: tua madre sul letto che leggeva, mia madre in giardino a prendere il sole, mio padre in bagno a farsi la barba...  Stendevamo lo stuoino, afferravamo l’evidenziatore e ci presentavamo.
“Salve a tutti, noi siamo i Top Mers e vi canteremo la nostra nuova canzone!”
Le parole? Inventate da noi.
Contro i merli che ti stavano antipatici.
Così eravamo: ridicole, folli e senza senso.
 
L’altro giorno ho rivisto su facebook le foto scattate alcuni anni fa.
La prima ci vede entrambe in bilico su un piede solo, l’altra gamba è piegata dietro la schiena in modo insano. “Facendo aerobica” , dice la didascalia. Sotto, le tue parole  commentano con entusiasmo le nostre acrobazie.
Un’altra foto ci mostra in riva al torrente, le mani alzate al cielo in un inno muto: “I turisti osannano le fonti del Travignolo”, è la scritta a lato. Quel giorno ridemmo fino a perdere il fiato, lo stesso giorno della foto successiva: tre o quattro amici aggrovigliati uno sull’altro e tu, sotto tutti, che emetti un grido muto e disperato. “Composizione azteca” l’avevamo denominata.
Ci sei tu che imiti la calvizie di Pamela Anderson, io che ne riproduco il silicone.
Per un  ultimo dell’anno balliamo all’antica moda egizia.
“Avevamo fatto anche un trenino!”, scrivi tu come commento.
“Davvero?”, rispondo io dimentica del fatto.
“Come puoi scordarlo? Sei sempre tu l’istigatrice di queste cose folli!”
Forse la ero, ma tu mi seguivi.
Mi seguivi nei mondi che creavo e nelle strade che dipingevo.
“Solo tu sei come me e mi capisci”, mi dicesti un giorno, ammirando in bicicletta le zolle scure di un campo sotto il battito del sole.
Accoglievi la mia essenza come un contenitore senza fondo, aspiravi, assorbivi, accettavi. E così facendo amplificavi.
Quella era la nostra follia comune, intrisa di affetto, di intesa, di autenticità.
La “cuginanza” la chiamavamo.  Tu con il tuo essere assurdamente schietta, fino all’imbarazzo, io con il mio ottimismo indistruttibile, senza cedimenti.
Il tuo disegnare e il mio scrivere, la tua bicicletta e le mie corse, le tue strane convinzioni e le mie assurde soluzioni. Mi davi sicurezza, io ti davo serenità.
 
“Voglio chiarirmi con te. Non mi importa quello che pensano gli altri, solo quello che pensi tu. Perché ti voglio bene.”
Sono le parole che mi hai rivolto l’ultima volta che ci siamo parlate.
Due anni e mezzo fa.
 
Questa follia non mi piace.
Questa nuova follia non c’entra niente con noi. C’entra con te e con il mal di vivere che ha stretto la tua vita fino a disintegrarla.
Volevi chiarire, ma le tue parole non avevano senso. Nei tuoi occhi non c’era che la fissità di un’alterazione chimica, nel tuo corpo pelle e ossa la convinzione che il digiuno ti migliorasse. Nella tua mente il chiodo acuminato della bellezza come unico mezzo per essere amati.
Non ho trovato la risata nel tuo sguardo, nessuna luce oltre lo smarrimento di una donna ormai adulta che disperde la sua vita come un sasso nell’acqua corrente.
La tua follia è senza equilibrio, senza colore, senza sentimento.
Non c’è spazio per me, se non accolgo i tuoi pensieri. E i tuoi pensieri sono di rancore, di odio e di vendetta. Vedi cospirazioni, ma non ci sono. Racconti violenze che hai vissuto solo nella tua mente.
In ogni istante ti senti disprezzata e rifiutata, eppure sei tu a non amarti. Il peso del tuo stesso disprezzo ti ricade sul corpo come un martello sull’incudine.
Come sei arrivata fino a qui? Qual è stata la svolta... qual è stato il momento in cui ti ho persa di vista?
Non ero abbastanza vicina, non ho capito, non ho sentito... Sei sgusciata via mentre ero girata altrove e ora non ti trovo più. Non c’è più cuginanza, né magia, né intesa.
Così ho agito contro di te. 
Lo so, è  tradimento. Tu ti fidavi.
E io l’ho fatto perché ti voglio ancora bene.
Pur sapendo che non avresti capito. Che mi avresti cancellata.
Ero in torto nel cercare di nuovo ciò che eri?
Non posso farne a meno, Sara, non posso lasciare che il mostro ti mangi fino a non lasciare nulla di te.
Voglio scambiare questo automa delirante con la mia cuginetta imbronciata. Voglio barattare questa follia con la nostra.
Muoverò le mani per te, canticchiando nuove storie. Te ne racconterò una che ti darà serenità.
Lasciamelo fare.
 
 
 


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Ringrazio Gaea per l'idea di questo contest. Dovevano essere mille parole per parlare di un argomento che nel mio caso - se non si fosse capito... - era la follia. Per il contest ho voluto farne 1000 esatte e di questo aveva risentito un filino la forma del testo, quindi questa  pubblicazione ha subito piccole variazioni rispetto all'originale e presenta 11 parole in più!
Grazie a tutti quelli che si fermeranno a recensire questa one-shot. ^^

phoenix_esmeralda


 
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