Premetto che nutro grande stima e
rispetto nei confronti di Dave Lepard e che con questa mia creazione
non voglio in alcun modo disonorare la sua vita né la sua
morte.
R.I.P.
Dave,
die
young, live forever.
A Peter piacevano gli uomini.
A Dave non piacevano gli uomini; a Dave piaceva Peter.
A Peter piaceva l’inverno, perché quando la fredda
notte scandinava calava su
di loro, l’affrontavano insieme, trascorrendo le lunghe
serate nell’appartamento
di Dave a Uppsala.
Ad entrambi piaceva fare l’amore.
E lo facevano così a lungo da vedere l’alba, a
volte. Senza pretese, lasciavano
che le cose seguissero il loro percorso, in balia del vento che li
faceva
stringere l’uno all’altro per non sentire freddo.
Dave aveva sempre visto la vita da quella prospettiva. Permetteva agli
eventi
di susseguirsi senza cercare di comandarli, con il rischio che avessero
la meglio
sul suo vivere quotidiano.
A Peter questo non piaceva. Avrebbe voluto aiutare Dave a riprendere in
mano le
redini della propria vita, dandole una direzione che non andasse
necessariamente verso il catastrofico. Ma sapeva che lui avrebbe fatto
di testa
sua in ogni caso e che, in un modo o nell’altro, se la
sarebbe cavata.
Per questo non obiettava quando Dave chiedeva di passare qualche giorno
da
solo.
Tuttavia, di solito Dave
rispondeva al telefono. Non sempre,
magari per un paio di giorni lo teneva spento, ma poi si faceva
sentire. Erano
passati dieci lunghi giorni dalla loro ultima conversazione telefonica
e Peter
cominciava ad avere un cattivo presentimento, che però non
riusciva ad
identificare.
Ogni volta che componeva il numero di cellulare del frontman, veniva
accolto
dalla poco calorosa segreteria telefonica. L’abbonato
non è al momento raggiungibile.
Con il passare del tempo i tentativi di rintracciare Dave
nell’arco della
giornata si erano fatti più rari. Peter immaginava che si
sarebbe fatto vivo
non appena si fosse trovato in pace con se stesso. Non gli era passato
nemmeno
per l’anticamera del cervello di irrompere senza invito in
casa sua ad Uppsala.
Conoscendo il carattere di Dave, l’avrebbe potuta prendere
come un’invasione
della sua privacy. E a Dave era molto cara la sua privacy.
Era la notte fra il 19 e il 20 gennaio 2006, quando la suoneria del
telefono di
Peter rimbombò in tutta la casa, svegliandolo. Si
alzò velocemente, lanciando a
terra il piumone, e raggiunse il soggiorno dove aveva attaccato il
cellulare al
caricabatterie prima di andare a letto.
Non guardò nemmeno il numero sul display, tant’era
convinto di sentire la voce
di Dave dall’altra parte.
- Dave, finalmente! Stavo cominciando a pensare che… - si
interruppe.
Attraverso il ricevitore udiva quello che con ogni
probabilità doveva essere un
pianto. Un uomo che piangeva.
D’improvviso, il cattivo presentimento di Peter si
trasformò in terribile
consapevolezza.
Allontanò il telefono dal proprio viso del necessario per
leggere il nome sul
display: Martin.
Sentì le gambe cedere ed un peso gravare
all’altezza del cuore, costringendolo
a sedersi sul pavimento. Continuò a tenere fra le dita il
cellulare, fissando
con sguardo vacuo lo schermo; i singhiozzi di Martin arrivavano fievoli
alle
sue orecchie.
Il chitarrista pronunciò un’unica parola, un unico
nome. Dave.
Il mondo crollò addosso a Peter nell’esatto
istante in cui quelle quattro
lettere vennero assimilate.
Le lacrime iniziarono a scendere lungo le sue guance in silenzio,
mentre
ascoltava Martin che cercava invano di trovare le parole per descrivere
ciò che
doveva essere accaduto.
Peter sperava di svegliarsi e di poter archiviare quegli istanti come
attimi
fin troppo realistici di un incubo, ma più i secondi
scorrevano strazianti sul
display, più si rendeva conto che stava davvero vivendo
l’istante peggiore
della sua vita. E faceva male. Il dolore più acuto che Peter
avesse mai
sperimentato, che lacerava lentamente la sua anima, facendogli dolere
ogni
parte del corpo e trasformandosi in sofferenza fisica.
Il cellulare registrò nove interminabili minuti di pianto,
poi Peter decise di
riattaccare. Non diede spiegazioni, sapeva che Martin avrebbe capito.
Rimase immobile, seduto
contro il muro,
e pianse. Pianse così tanto da sentire l’aria
mancargli.
Pianse così a lungo da vedere
l’oscurità abbandonare il cielo.
E quando sorse il sole, i raggi deboli del mattino rifletterono la luce
sul suo
viso bagnato e Peter ripensò a quando l’alba la
vedeva stringendo la mano di
Dave nella sua. Cercò di contenere con le mani
l’ennesima fitta di dolore che
gli attraversava la testa e chiuse gli occhi.
A Peter l’inverno non sarebbe mai più piaciuto.