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Autore: Sselene    10/10/2012    3 recensioni
William Ant, sospettato per truffa, viene trovato morto, con un proiettile nel cranio e una pistola stretta tra le dita. Peccato che il detective Sheller non creda affatto ai casi così semplici. Ma quando neanche il suo partner pare fidarsi del suo istinto ed un colletto bianco continua a ronzargli un po' troppo vicino, tutto si fa un po' troppo complesso anche per i gusti di Tiberius.
Terza storia della saga Detroit Police Department.
Genere: Generale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Detroit Police Department'
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L’uomo sospirò pesantemente, portando le dita a sfiorare la pistola che giaceva sulla scrivania alla quale era seduto.
La afferrò tra le dita, sfiorandone il tamburo con il pollice, poi la posò di nuovo.
“Forse c’è un altro modo…” Mormorò.
Sospirò pesantemente, portandosi le mani al volto e poi tra i capelli, tirandoseli indietro.
Lacrime grosse cominciarono a scivolargli sulle guance mentre tremiti violenti gli scuotevano il corpo.
“Cosa devo fare?” Singhiozzò. “Che cosa devo fare?”
 
“Papà?”
L’uomo mugugnò, aprendo lentamente gli occhi, guardandosi intorno.
Christine era seduta accanto a lui sul divano su cui si era addormentato quella notte, con una mano appoggiata dolcemente sul suo viso.
Richiuse gli occhi, scuotendo il capo per risvegliarsi, alzandosi a sedere. Ogni singolo muscolo gridò di dolore.
Non era più un ragazzino, non era una buona idea dormire sul divano.
“Papà…” Lo chiamò ancora la ragazza. “Io sto andando a scuola.”
Annuì, ma aveva ancora la bocca troppo impastata per poter parlare.
“Non ti fa bene dormire sul divano.” Disse Christine, alzandosi. “E non ti fa bene bere tanto la sera.” Aggiunse, raccogliendo dal tavolino tre bottiglie di birra.
“Le ho bevute molto lentamente.” Si giustificò il padre.
Christine, però, aveva ragione, non avrebbe dovuto bere tanto. Non reggeva più bene l’alcool come un tempo.
“Vado a farmi una doccia.” Mormorò, alzandosi in piedi.
La ragazza annuì, prendendo lo zaino da terra, caricandoselo in spalla.
“Ci vediamo stasera.” Salutò uscendo.
Tiberius sospirò pesantemente, passandosi ancora una mano sul viso e poi tra i capelli, poi si diresse verso il bagno, lasciando i vestiti con cui si era addormentato direttamente nel cesto dei panni sporchi, prima di infilarsi sotto la doccia.
Sperò che l’acqua risciacquasse ogni preoccupazione, ma fu vano, i pensieri continuavano a frullargli nella mente, sbattendo di qua e di là come palline da ping pong.
L’immagine di Cameron gli tornò in mente e la mano corse naturalmente al petto, dove di solito giaceva la C che portava.
A Cameron aveva detto che era per Christine, ma in realtà l’aveva comprata per lui, prima che la loro storia finisse, prima che Cameron gli chiedesse di dire di loro alla figlia.
Sentì il cellulare squillare e sospirò, uscendo da sotto la doccia.
Afferrò l’accappatoio e se lo sistemò addosso, uscendo dal bagno.
Difficoltosamente riuscì ad individuare da dove provenisse lo squillo del cellulare e prese il cellulare da dietro il cuscino del divano, aprendolo.
“Detective Sheller.” Ripose.
Ascoltò in silenzio dall’altro lato del telefono, afferrando una penna per segnarsi l’indirizzo che gli stavano dettando.
“Arrivo subito.” Confermò, chiudendo il cellulare.
Un caso era proprio quello che ci voleva per riprendersi dai pensieri.
 
Parcheggiò accanto al marciapiede, lanciando di nuovo un’occhiata al bigliettino per assicurarsi che fosse l’indirizzo giusto, sebbene già la massiccia presenza di polizia fosse un indizio rilevante, prima di spegnere l’auto ed uscirne.
“Detective.” Lo salutarono un paio di poliziotti, di guardia alla porta.
Lui ricambiò il saluto con un cenno del capo, entrando nella villetta.
Cameron era appena oltre l’ingresso, intento a parlare e a ridere con un altro uomo dai capelli mori e gli occhi scuri, fisicamente massiccio, con un leggero pizzetto.
Socchiuse un attimo gli occhi osservando il californiano che, come suo solito, invadeva lo spazio personale dell’altra persona, posandogli anche una mano sul braccio.
Aveva sempre l’abitudine di fare amicizia con i testimoni.
“Cameron…” Lo chiamò, avvicinandosi.
Lui si volse, sorridendogli.
“Tibbs.” Rispose.
Allungò una mano, passandogliela tra i capelli umidi.
“Hai i capelli bagnati.” Notò.
“Ero sotto la doccia quando mi hai chiamato.” Spiegò Tiberius.
“Potevi asciugarteli, prima di venire, i morti non scappano.” Rise Cameron.
“Non volevo fare tardi.” Ribatté solo l’uomo, stringendosi nelle spalle.
Il californiano sorrise poi osservò l’altro uomo. “Danny, lui è Tibbs. Tibbs, Danny.”
Tiberius allungò una mano, che fu rapidamente stretta.
“DetectiveTiberius Sheller.” Si presentò.
“Detective Dennis Banks.” Rispose l’uomo.
Detective? Quindi non era un testimone, forse.
“Detective…” Ripeté sorpreso. “A cosa dobbiamo questa visita?” Chiese.
“La vittima era il sospettato di una truffa che stavo seguendo, così sono stato chiamato anch’io.” Rispose l’uomo, indicando con un cenno del capo l’interno della camera.
Sheller annuì appena, rivolgendosi poi al collega.
“Cos’abbiamo?”
“William Ant, 51 anni, probabile suicidio.” Decantò Cameron, entrando nella stanza.
Era un grande studio, con due pareti ricoperte interamente da scaffali con libri e una bella scrivania di legno scuro alla quale era seduto il cadavere di un uomo dai capelli fortemente brizzolati, con del sangue che gli si era rappreso sul viso dopo essere scivolato fuori dalla ferita sulla tempia. Accanto al braccio abbandonato oltre la sedia era caduta la pistola.
“Sembra un suicidio in piena regola.” Notò Tiberius.
“Lo sembra.” Confermò il medico legale, avvicinandosi a lui. “Ma vorrei aspettare l’autopsia per assicurarmene.”
Sheller annuì appena.
“Quando è morto?” Chiese.
“Tra le tre e le quattro di questa notte.” Rispose la donna.
Ancora l’uomo annuì, rivolgendosi poi al detective che lo affiancava.
“Chi l’ha trovato?” chiese.
“La moglie, Deborah Ant.” Rispose Cameron. “Ora è in salotto con degli agenti.” Aggiunse.
Tiberius annuì, lanciando un’ultima occhiata alla stanza prima di avviarsi al salone.
La moglie della vittima, una bella donna sui 45 anni, con i capelli biondi, era seduta sul divano, in lacrime, con un fazzoletto di stoffa stretto tra le dita, vicino al viso.
Le si accostò, schiarendosi cautamente la gola.
“Signora… Sono il Detective Sheller.”
La donna alzò gli occhi arrossati su di lui, alzandosi.
“Detective…” Mormorò cortesemente, cercando di sorridendogli. “Posso… posso offrirle qualcosa?”
“No, no, non si disturbi.” Rispose rapidamente Tiberius. “Si sieda, prego… devo solo farle un paio di domande…”
Deborah annuì, tornando a sedersi sul divano.
“Certo…” Soffiò.
“Lei è la signora Deborah Ant, vero?” Cominciò il detective, prendendo il taccuino e la penna.
“Sì.” Confermò la donna.
“E’ lei che ha trovato… suo marito?” Chiese lui.
“Sì.”
“Perché non mi dice cos’è successo?”
La donna respirò profondamente, asciugandosi le guance e gli occhi con il fazzoletto di stoffa.
“Ieri ho litigato in maniera piuttosto dura con William, così ho passato la notte da mia sorella. Stamattina, quando sono arrivata l’ho… l’ho trovato così.” Spiegò in maniera piuttosto sintetica, riprendendo a singhiozzare.
“Ha mosso il cadavere in qualche modo?” Domandò Tiberius.
Deborah scosse lentamente il capo.
“No, no, assolutamente no.”
Sheller annuì.
“Suo marito aveva… dei motivi per il suicidio?” Chiese cautamente.
La donna lanciò uno sguardo duro oltre la porta.
Volgendosi il detective notò il Detective Banks vicino allo stipite.
“E’ colpa sua.” Soffiò lei, stringendo tra le dita il fazzoletto fino a che le dita sbiancarono. “Lui ha convinto tutti che mio marito era un truffatore!” 
“E invece non lo era?”
“No!” Esclamò la donna. “Mio marito era un brav’uomo!”
“Certo.” Confermò rapidamente Tiberius. “Grazie per la disponibilità, signora, se le viene in mente altro che vuole dirmi mi chiami.”
Deborah annuì, tornando ad asciugarsi gli occhi.
Il detective si alzò, raggiungendo l’uomo alla porta, che si era messo di nuovo a parlare e a ridere con Cameron.
Si schiarì la gola per farsi notare ed entrambi i detective si volsero verso di lui.
“Detective Banks…” Cominciò.
“Chiamami Danny.” Lo corresse l’uomo con un sorriso.
Sheller esitò, ma poi annuì.
“Danny…” Ripeté. “Dovrei farti qualche domanda sul caso di truffa in cui era coinvolta la vittima.”
“Gli ho già chiesto tutto io.” S’intromise Cameron.
“Preferirei farle di nuovo io stesso.” Precisò Tiberius.
Il californiano scoppiò a ridere, rivolgendosi al moro.
“Tibbs è così, lavoriamo insieme da anni, ma non si fida a lasciarmi fare niente.” Commentò.
“Non è vero…” Ribatté accigliato il castano, ma nessuno gli badava.
“Dovresti venire da me.” Disse Daniel “Io ti farei fare tutto ciò che vorresti.”
“Ah, posso pensarci.” Confermò Cameron con un sorriso.
Banks gli passò un braccio attorno alle spalle, tirandoselo vicino.
“Sarebbe splendido averti come collega.” Confermò.
Tiberius osservò senza parole quel piccolo scambio tra i due detective, poi scosse piano il capo.
“Posso farti qualche domanda?” Ripeté.
“Certamente.” Confermò l’uomo con un sorriso, ritraendo il braccio.
“Per cosa era indagata la vittima, esattamente?”
“Aveva cercato di truffare una giovane donna facendosi dare dei soldi da investire in fantomatiche azioni in realtà inesistenti. Il marito della donna ha sentito puzza di bruciato, ci ha chiamato e noi abbiamo indagato e abbiamo scoperto la truffa.” Raccontò il detective, sinteticamente.
“L’aveva fatto altre volte?” Chiese Tiberius.
“Abbiamo indagato profondamente, ma non abbiamo trovato nient’altro.” Rispose Banks.
“Motivi per cui avrebbe dovuto truffare quella donna?”
“Soldi.” Esclamò con convinzione Daniel. “Il signor Ant è sempre stato molto ricco, ma ultimamente ha avuto un tracollo finanziario, forse a causa del gioco d’azzardo, di cui era fan, diciamo. Forse ha anche contratto dei debiti con degli allibratori.” Aggiunse.
“Qualche nome?” Insistette Sheller.
“No.” Ammise Banks.
“Dobbiamo cercare più a fondo, potrebbe essere un ottimo movente per un omicidio.” Mormorò Tiberius.
“Credi sia un omicidio?” Domandò perplesso il moro.
“Credo che dobbiamo seguire ogni pista.” Ribatté l’altro con un tono serio.
“Abbiamo avuto casi molto strani.” S’intromise Cameron, ridendo piano.
Daniel si strinse appena nelle spalle, rivolgendosi a Tiberius.
“Allora qual è il piano, capo?” Domandò divertito.
“Ora torniamo in centrale.” Rispose Sheller cercando di ignorare la nota ironica. “E ci concentriamo sui trasferimenti monetari della vittima e sulle chiamate ricevute ed effettuate per cercare di individuare qualche nome.”
“Okay.” Confermò Banks. “Allora andiamo, credo che qui abbiamo finito.”
Tiberius tacque, lanciando un’ultima occhiata a Deborah Ant, che piangeva sul divano.
“Sì, abbiamo finito.” Mormorò.
 
Erano tutti e tre seduti alla scrivania, sommersi da scartoffie di ogni genere, cercando di accostare alla vittima un qualche nome che desse loro una pista. Avevano chiesto anche al Detective Banks di collaborare, perché una mano in più faceva sempre comodo.
Cameron sospirò, lasciando cadere i fogli.
“Io non vedo niente di particolare, tra le spese. Molti prelievi, ma sono normali se aveva il vizio del gioco, come sappiamo che ha.” Commentò.
Si portò  le mani al collo, muovendo il viso a destra e a sinistra per allentare la tensione dei muscoli.
“Came ha ragione.” Confermò Daniel, posando a sua volta i fogli. “Nessun versamento o trasferimento di grandi somme, niente di sospetto, niente che lo colleghi a qualche nome o a qualcosa in particolare, è del tutto pulito. A parte la truffa e il vizio del gioco.” Aggiunse ridendo.
“Sì, neanche io ho trovato niente.” Ammise Tiberius.
Sospirò, posando il mento su una mano, carezzandosi la mandibola con il pollice, assorto nei pensieri, poi si accigliò.
“Non ho trovato nessun trasferimento.” Ripeté.
“Sì, neanche noi.” Confermò il californiano, accigliato.
“Nessun trasferimento e nessun prelievo particolare.” Precisò Sheller.
Gli altri due detective si lanciarono un’occhiata perplessa, poi Cameron trasalì.
“Nessun trasferimento.” Ribadì.
“Questo mi sembra già ben chiaro.” Commentò ironico Daniel, lanciano occhiate confuse ai colleghi.
“E non ti sembra strano?” Gli chiese Tiberius, chinandosi in avanti, verso di lui.
Banks rimase in silenzio, senza capire bene la domanda, scuotendo il capo.
“No?” Rispose incerto.
L’altro rimase in silenzio un attimo, osservando i fogli che aveva davanti.
“Ha richiesto un avvocato d’ufficio?” Domandò.
“No, anzi, si è rivolto allo studio Johnson, uno studio piuttosto costoso.” Rispose Daniel.
“E come lo paga?” S’intromise Cameron.
L’uomo schiuse le labbra, poi tacque, osservando i fogli che aveva davanti.
Nessun trasferimento e nessun prelievo.
“Non lo so.” Ammise, per poi ridere. “Non credo faccia beneficenza.”
Tiberius annuì.
“Sai come si chiama?” Chiese.
Daniel ci pensò su qualche momento, poi annuì.
“Gabriel Duckay.” Rispose.
“Vado a parlargli.” Disse l’altro. “Cameron?”
“Oh, io resto qui a vedere se trovo altre piste.” Rispose il californiano.
Sheller gli rivolse un’occhiata sorpresa, ma non commentò.
“Sì… è una buona idea.” Mormorò.
Salutò entrambi i detective con un cenno del capo, poi si allontanò.
 
Il palazzo dell’ufficio legale Johnson era un alto palazzo completamente specchiato, incredibilmente maestoso e moderno.
Uscì dall’auto, entrando nell’androne del palazzo, avvicinandosi alla donna alla reception.
“Buongiorno, detective Sheller.” Si presentò, mostrando il distintivo. “Cercavo il signor Gabriel Duckay.”
La donna si scostò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.
“Il signor Duckay è al secondo piano.” Informò professionalmente.
Tiberius annuì, avvicinandosi all’ascensore. Premette il pulsante per chiamare l’ascensore, le cui porte si aprirono subito, ed entrò, selezionando il secondo piano.
Non sapeva ancora se era stato un suicidio o se c’era davvero la possibilità che fosse un omicidio, ma non era importante, doveva comunque indagare su ogni pista possibile.
Non ci volle molto perché le porte si aprissero di nuovo sul piano.
Avanzò, fermandosi davanti alla seconda segretaria.
“Buongiorno, detective Sheller.” Si presentò. “Ho bisogno di parlare con il signor Gabriel Duckay.”
“L’avvocato Duckay in questo istante è in riunione.” Rispose la mora. “Può aspettare o vuole che lo chiami?”
“Preferirei Lei lo chiamasse, grazie.” Ribatté il detective.
La segretaria annuì, prendendo il telefono e portandoselo all’orecchio, premendo un pulsante. Attese.
“Signor Duckay, c’è qui un detective che vorrebbe parlare con Lei.” Ascoltò, poi annui. “Certamente.”
Riattaccò il telefono, osservando il detective.
“Sta arrivando.” Gli disse con un sorriso.
Tiberius annuì, scostandosi dal tavolo della reception, guardandosi intorno. I corridoi erano pieni di copie di quadri più o meno famose.
“Detective?” Lo chiamò una voce bassa, ma gentile e calda.
Si volse, individuando l’uomo con i capelli brizzolati e gli occhi verdi che aveva pronunciato il suo nome.
“Signor Duckay?” Chiese.
“Sì, sono io. Prego, mi segua nel mio ufficio.” Disse l’avvocato.
Si avviò lungo il corridoio, seguito a pochi passi di distanza dal detective.
“Prego….” Mormorò Duckay, aprendogli la porta, seguendolo poi dentro la stanza. “Si accomodi.” Aggiunse, indicandogli una sedia.
Quando si furono sistemati, fu ancora l’avvocato a prendere la parola.
“Come posso aiutarla?” Domandò.
“Sto indagando su William Ant e dovrei farle alcune domane a riguardo.” Spiegò Tiberius.
“Credevo fosse un altro, il detective che si occupava della cosiddetta truffa.” Ribatté Gabriel, sottolineando particolarmente le ultime parole.
“Non mi occupo della truffa, infatti.” Ammise Sheller.
“E di cosa, allora?”
Il detective sospirò appena.
“Il signor Ant si è suicidato.” Rivelò.
L’avvocato schiuse sorpreso le labbra, accigliandosi.
“Oh…” Mormorò. “Oh, questa è… questo è inatteso…”
“Quindi non se l’aspettava?” Precisò Tiberius.
“No, assolutamente!” Confermò l’avvocato.
Sospirò, prendendo un pacchetto di sigarette dal cassetto.
“Le dispiace se fumo? William era un caro amico.”
Il detective gli fece cenno di fumare tranquillamente.
“E’ per questo che lavorava gratuitamente per lui?” Chiese.
“Sì.” Confermò Duckay. “Ma mi avrebbe pagato una volta ottenuti i soldi per i danni morali.”
“Mi sembrate molto sicuro della vittoria.”
Gabriel rise, espirando il fumo.
“Lo eravamo, infatti.” Confermò.
“Per quale motivo, esattamente?” Domandò Sheller.
“Diciamo solo che il procuratore non si è mostrato molto incisivo, durante l’incontro per la cauzione, forse ha altro per la testa, ma ha lasciato molto spazio di manovra a noi della difesa. Se avesse continuato così anche durante il processo avremmo vinto senza alcuna difficoltà.” Spiegò l’avvocato, intrecciando insieme le dita.
“E per quale motivo ha agito così? Forse non credeva nella colpevolezza del signor Ant?”
“Ne dubito!” Rise Gabriel. “Credo avesse semplicemente altro per la testa, ma non saprei davvero darle dei dettagli più precisi.”
Tiberius rimase in silenzio per qualche momento, assorto.
“La donna che il signor Ant ha truffato era presente?” Chiese.
“All’incontro per la cauzione? Sì.”
“Grazie per la disponibilità.” Concluse il detective, alzandosi. “Potrebbe essere necessaria qualche altra domanda, in seguito.”
“Quando vuole, detective.” Confermò Gabriel.
Si alzò a sua volta, stringendo la mano dell’uomo.
“Posso chiederle solo una cosa, detective?” Domandò dopo qualche istante.
“Mi dica.”
“Come mai queste domande? Se William si è suicidato…” Mormorò.
“Devo assicurarmi che abbiamo comunque seguito ogni possibile pista.” Spiegò Tiberius.
“Certo…”
Duckay sorrise, chinando il capo.
“Arrivederci, detective.”
“Arrivederci, signor Duckay.”
Il detective uscì dalla stanza e, facendo solo un cenno di saluto alla segretaria, tornò dentro l’ascensore. Afferrò il cellulare, componendo il numero del suo collega, portandoselo poi all’orecchio.
“Tibbs, dimmi.” Disse la voce di Cameron, resa metallica dal telefono.
“Cameron, mi passeresti un attimo il Detective Banks?” Gli chiese.
“Certo.”
Qualche secondo di silenzio, poi lo raggiunse la voce del terzo detective.
“Tiberius, dimmi pure.”
“Daniel, vorrei sapere il nome della donna che è stata truffata dal signor Ant.” Disse lui.
Premette il pulsante e l’ascensore cominciò a scendere con un piccolo sussulto.
“Perché ti interessa?” Chiese perplesso Banks.
“Devo soltanto farle qualche domanda, a proposito del caso.” Rispose Tiberius.
“Non vedo come potrebbe aiutarti.”
“Pare che il procuratore non fosse molto incisivo, nell’incontro per la cauzione, e lei era presente. Forse vedendo come stavano andando le cose ha deciso di vendicarsi da sola.” Spiegò.
Per qualche attimo l’altro detective rimase in silenzio.
“Rebecca non è una sospettata.” Mormorò freddamente.
“Questo lo deciderò io dopo averle fatto qualche domanda, detective Banks.” Ribatté Tiberius, ritrovando la propria professionalità. “Ora vuole darmi quel nome o devo fare richiesta ufficiale e perdere tempo?”
Ancora silenzio, dall’altro lato.
“Rebecca Granade.”
“E sa dirmi anche l’indirizzo, detective?” Insistette Sheller, con una fredda nota ironica.
Daniel sospirò pesantemente, ma poi gli disse l’indirizzo della donna.
“Grazie mille.” Concluse l’altro detective.
Chiuse il cellulare, infilandoselo poi di nuovo in tasca, appena prima che le porte dell’ascensore si riaprissero sul piano terra.
 
Saliti i pochi gradini che lo portavano alla porta della casa, Tiberius si fermò, assorto.
Rebecca Granade aveva sicuramente passato dei brutti momenti nel ritrovarsi quasi truffata e nell’aver visto un procuratore che non sembrava voler fare niente per battersi per la causa, non sapeva esattamente quale fosse il modo migliore per cercare di farle domande su dove fosse nel momento in cui il signor Ant era morto.
Con un leggero sospirò, bussò alla porta.
Una donna dai corti capelli mori e gli occhi verdi, piuttosto bassa, presumibilmente proprio Rebecca, gli aprì la porta e gli sorrise.
“Salve.”
“Buongiorno, signora.” Rispose lui, mostrando il distintivo. “Detective Sheller, posso farle qualche domanda?”
La donna schiuse sorpresa le labbra e aggrottò le sopracciglia in apprensione, ma annuì, facendosi di lato.
“Ma certo, detective, entri.”
Tiberius avanzò nella casa, rimettendo a posto il distintivo.
Un uomo con i capelli radi, rossicci, fece il suo ingresso, uscendo da una stanza. Notando l’uomo gli rivolse un’occhiata perplessa, sebbene il sorriso fosse cortese.
“Salve…”
“Rupert, lui è il detective Sheller, vorrebbe farci alcune domande.” Spiegò Rebecca, rivolgendosi poi al detective. “Prego, si accomodi in salotto, posso offrirle qualcosa?” Chiese, accompagnandolo verso la stanza.
“No, grazie.” Rispose Sheller con un sorriso.
Si sedette sul divano e attese che la coppia si sedesse nel sofà di fronte a lui.
“Lei è Rebecca Granade, vero?” Chiese, rivolgendosi alla donna.
“Sì, esatto.” Confermò lei.
“Dovrei farle alcune domande su William Ant.”
Rebecca schiuse le labbra, confusa, scambiandosi un’occhiata con l’uomo seduto accanto a lei.
“Credevo… fosse il detective Banks ad occuparsi del caso…” Mormorò.
“Infatti.” Confermò Tiberius. “Io mi occupo di un caso diverso. Il signor Ant si è suicidato.”
La donna trasalì, portandosi le mani alle labbra. Le braccia del probabile marito le si strinsero subito attorno alle spalle.
“Io… io non volevo morisse, volevo solo che fosse punito per ciò che aveva cercato di fare.” Mormorò Rebecca, evidentemente scossa.
“Ne sono certo, signora Granade.” La rassicurò il detective. “Ma, sono sicuro che ormai ha imparato come funzionano certe cose, devo farle delle domande per poterla del tutto escludere dai sospettati.”
“Sospettati?” Ripeté Rupert, alzandosi in piedi. “Mia moglie è la vittima, per cosa volete farla passare?” Aggiunse a voce più alta.
“Rupert, calmati, il detective sta solo facendo il suo lavoro.” Lo tranquillizzò la moglie.
Gli posò le mani sul braccio, tirandolo di nuovo a sedersi accanto a sé, poi portò lo sguardo sull’altro uomo.
“Anche se non capisco sospettata di cosa… ha detto che si è suicidato.” Aggiunse.
“E’ vero, ma devo seguire ogni pista.” Spiegò Sheller. “L’avvocato difensore del signor Ant ha detto che il procuratore non si è mostrato… molto incisivo.”
Rebecca tacque qualche momento, poi annuì.
“E’ vero.” Confermò. “Litigammo anche piuttosto pesantemente, perché… sembrava non credere affatto in noi e in una nostra possibilità di vittoria.”
“Ha idea del perché?”
“Assolutamente no.” Rispose lei, scotendo il capo. “Parlandone tra noi si era mostrato davvero molto fiducioso.”
Il detective annuì.
“Ora devo farle una domanda, è… semplice routine…” Mormorò.
Rebecca rise a voce bassa, annuendo appena.
“Mi dica l’ora della morte e Le darò il mio alibi, detective.” Ribatté.
“Tra le tre e le quattro di questa notte.” Rispose Tiberius.
“Beh, ero a dormire, a quell’ora.” Spiegò lei.
“E c’è qualcuno che può confermarlo, qualcuno a parte suo marito?”
Sheller non credeva molto in quella possibilità e anche la donna pareva sconsolata, mentre ci pensava, ma poi si illuminò.
“Beh, sì, in effetti sì.” Ammise, poi si rivolse al marito. “Abbiamo lasciato la telecamera accesa tutta la notte.”
Rupert avvampò e successivamente sbiancò con una velocità che Tiberius non credeva possibile.
“Quale telecamera?” Si azzardò a chiedere.
“Beh, noi, a volte…” Cominciò a balbettare la donna, arrossandosi a sua volta. “Noi filmiamo… sa, quando… facciamo… cose…” Cercò di spiegare, con la voce che si abbassava via via.
Il detective cercò di dissimulare l’espressione sorpresa, mantenendo un atteggiamento professionale.
“Capisco.” Disse solo. “Dovrei avere la cassetta.”
I due coniugi si lanciarono uno sguardo.
“La… memory card…” Precisò Rupert.
“Sì, la memory card.” Confermò Tiberius. “Dovrei averla.”
“Ma… non la vedrà nessuno, non è vero?” Domandò titubante Rebecca.
“Solo io e il mio collega.” La rassicurò il detective.
La donna tacque, poi annuì.
“Vado a prendergliela.” Mormorò, allontanandosi in fretta.
Rupert mantenne lo sguardo sulla direzione in cui la moglie si era spostata anche dopo che lei se ne fu andata, evidentemente a disagio a incrociare lo sguardo del detective.
Tiberius non fece alcun commento. Il suo cellulare squillò in quel momento.
Ringraziandolo mentalmente per averlo liberato da quella situazione imbarazzante, lo prese da tasca, rispondendo.
“Detective Sheller.” Disse.
“Tibbs, sono Cameron.” Lo raggiunse la voce del collega. “Abbiamo notato numerose chiamate tra la vittima e il procuratore che si occupava del caso.”
Sheller si accigliò.
“Questo è strano.” Ammise. “Andrò a parlargli, mi dai l’indirizzo?”
Il collega glielo diede senza farsi pregare.
“Quanto ci metti ad arrivare lì?” Chiese poi.
“Una quindicina di minuti, credo.”
“Allora ci vediamo lì.” Concluse il californiano, chiudendo poi la telefonata.
“Ecco la memory card, Detective.” S’intromise Rebecca, porgendogli la memory nella sua custodia.
“Grazie.” Mormorò il detective.
Si alzò dal divano, prendendola e mettendosela in tasca.
“Abbiamo finito?” Domandò la donna.
“Sì.” Confermò Tiberius. “Grazie per la disponibilità.”
“Quando vuole, detective.” Mormorò lei, poi esitò. “Ma spero non le capiti più di passare di qui.” Ammise a voce bassa.
“Non si preoccupi, sono sicuro che abbiamo risolto tutto.” La rassicurò Sheller.
Salutò con un cenno del capo Rupert, poi Rebecca lo accompagnò alla porta.
“Arrivederci, detective.”
“Arrivederci, signora Granade.”
Entrò nell’auto, mettendo in moto.
 
Cameron lo attendeva poggiato all’auto, con due bicchieri di caffè tra le mani. Sorrise notandolo e gli si avvicinò, porgendogliele uno.
“Ho pensato non fosse il caso di farti passare l’intera giornata senza un po’ di caffeina.” Rivelò con un sorriso.
Tiberius sorrise a sua volta, prendendo il bicchiere dalle sue mani.
“Ti adoro.” Mormorò, bevendo un lungo sorso di caffè.
Il californiano si limitò a ridere, scotendo il capo.
“L’avvocato che si è occupato del caso è Grayson Hudson.” Spiegò. “Da quando gli è stato affidato il caso ha scambiato numerose telefonate con l’indagato.”
“Abbiamo idea del perché?” Chiese Sheller.
“No, ma non è la prima volta che si incontrano in un caso. E’ già successo tre anni fa, ma poi il caso fu archiviato perché i documenti si persero magicamente. E poi il signor Ant ha fatto una generosa donazione allo studio di Hudson, per ripagarli del tempo sprecato.” Rivelò Cameron, con un sorrisetto. “Tu cosa immagini?”
Sheller non rispose, finendosi con un ultimo sorso la bevanda.
“Andiamo a vedere che cosa ci dirà questo avvocato.” Disse.
Insieme al collega, si avviò all’ingresso del palazzo, gettando il bicchiere in un cestino.
L’interno della hall era accogliente e ben arredato, particolarmente confortevole.
Si accostarono al banco della reception, dietro al quale un uomo dai capelli castani e gli occhi verdi era impegnato a controllare qualcosa al computer.
“Buongiorno.” Salutò Tiberius
L’uomo alzò lo sguardo su di lui, sorridendogli cortese.
“Buongiorno, posso aiutarla?”
“Sono il Detective Sheller.” Continuò il detective.
Mostrò il distintivo e fece ancora per parlare, ma l’uomo guardò oltre di lui, sorpreso.
“Cameron? Cameron Marshall?”
Il californiano, appena un passo indietro rispetto al collega, scosse il capo.
“No, mi confonde con qualcun altro.” Rispose con un sorriso.
“Ma no, sono sicuro, Cameron Marshall! Abbiamo frequentato le medie insieme!” Insistette il receptionista.
“E io sono sicuro che si sbaglia.” Ripeté Cameron, pacatamente.
L’altro scosse il capo con un sospiro, limitandosi a rivolgersi all’altro detective.
“Come posso aiutarvi?”
“Cercavamo l’avvocato Grayson Hudson.” Rispose questi.
“Come mai?” Chiese una voce dietro di loro.
Si volsero, incrociando la figura di un uomo forse sui 45 anni, con i capelli appena brizzolati e degli intensi occhi azzurri, elegantemente vestito.
“Questo vorremmo dirlo a lui.” Rispose semplicemente Tiberius.
“Allora ditemelo.” Ribatté l’uomo, porgendo poi la mano. “Grayson Hudson.” Si presentò.
“Io sono il detective Tiberius Sheller e lui è il mio collega Cameron Warren.”
L’avvocato strinse anche la mano del californiano.
“In cosa posso aiutarvi? Andrei un po’ di fretta, devo andare a prendere mia figlia a scuola.” Chiese poi, muovendo lo sguardo tra i due detective.
“Vorremmo farle alcune domande sul caso in cui era implicato il signor William Ant.” Spiegò Tiberius. “C’è un posto tranquillo in cui possiamo parlare?”
Dopo qualche attimo di silenzio, l’uomo annuì.
“Venite.” Disse solamente.
Percorse quasi l’intera hall prima di aprire una porta che dava su di una piccola stanza con un tavolo centrale e delle sedie attorno.
“Prego, accomodatevi.”
I due detective si sedettero, in attesa che l’altro facesse lo stesso.
“Come mai non c’è il detective Banks?” Chiese l’avvocato, accomodandosi.
“Non siamo qui strettamente per la truffa.” Spiegò Tiberius. “Il signor Ant si è suicidato.”
Grayson schiuse sorpreso le labbra, sgranando appena gli occhi.
“Oh.” Mormorò. “Un peccato, ma, sicuramente lo sapete, a volte i colpevoli lo fanno.”
“Certo.” Confermò il detective. “Abbiamo notato che ci sono state numerose telefonate tra lei e il signor Ant, da quando lei si occupa di questo caso.” Aggiunse, cambiando discorso.
L’avvocato tacque, inumidendosi lievemente le labbra con la punta della lingua.
“E’ vero, lui… mi chiamava spesso.  M’implorava di essere clemente, mi ricordava che aveva una moglie, che era un uomo disperato.” Mosse appena una mano, sospirando. “Non mi sorprende si sia suicidato, a dire il vero.”
“Signor Hudson…” S’intromise Cameron. “In cosa consisteva il caso imbastito contro il signor Ant sei anni fa?”
“Frode fiscale.” Rispose Hudson dopo qualche istante di silenzio. “Ma poi i documenti vennero persi e non se ne fece più niente.”
“E il signor Ant vi fece una grande donazione, non è vero?” Aggiunse Sheller.
I tratti dell’avvocato si indurirono.
“Cosa stareste insinuando, detective?” Domandò astioso.
“Assolutamente nulla, avvocato.” Rispose lui. “E’ solo una coincidenza curiosa.”
“Ma è una coincidenza, esattamente, niente di più.” Precisò Hudson.
“Quindi lei non ha insabbiato il caso, sei anni fa?” Chiese ancora il detective. “E il signor Ant non l’ha ricattata per questo?”
Grayson strinse le labbra, poi si alzò.
“Scusatemi, ma devo andare.” Disse solamente, gelido. “Arrivederci.”
Si allontanò in fretta, sbattendosi la porta alle spalle.
“Cameron…” Mormorò Tiberius, volgendosi verso il collega. “Tu uccideresti se qualcuno ti minacciasse di rovinare per sempre il tuo lavoro e la tua reputazione?”
“Senza pensarci due volte.” Confermò il californiano.
 
“Ho notato che vai molto d’accordo con il detective Banks.” Mormorò Tiberius, osservando attentamente le porte dell’ascensore che saliva.
“Sì, c’è un certo feeling tra di noi.” Rispose Cameron.
“In effetti mi sembra una persona molto gioviale.” Ammise il primo. “Ti… interessa? Intendo…”
“Sì.” Lo interruppe il californiano, con un sorriso. “Sì, mi interessa.”
Sheller s’irrigidì appena, stringendo una mano a pugno nella tasca dei pantaloni.
Il pensiero di Cameron con qualcun altro lo distruggeva, sebbene non avesse davvero alcun diritto di essere in qualche modo geloso. Era stato lui stesso a chiudere la loro storia.
“Capisco.” Disse solo, a voce bassa.
Cameron gli rivolse un’occhiata, ma non commentò e, appena le porte dell’ascensore si furono aperte, uscì sul piano.
“Scoperto qualcos’altro?” Chiese, rivolgendosi al detective ancora al tavolo.
Daniel scosse il capo, lasciando cadere il foglio che aveva in mano.
“Nient’altro di interessante. Voi avete fatto progressi?”
“Pensiamo che il signor Ant ricattasse il procuratore che, sei anni fa, ha fatto sparire dei documenti su di un caso per cui Ant era indagato.” Spiegò Tiberius.
Lanciò uno sguardo all’orologio, poi al collega californiano.
“Si è fatto molto tardi, direi che per oggi torno a casa, vieni con me?”
“Volentieri.” Confermò Cameron.
Poi la sua attenzione fu portata sul terzo detective.
“Ti unisci a noi? Potremmo parlare un po’ del caso.” Aggiunse immediatamente.
Daniel parve esitare, così Sheller s’intromise.
“Credo sia un’ottima idea.” Disse, maledicendosi poi.
Aiutare Cameron e Daniel a passare del tempo insieme non era il piano più geniale che potesse venirgli in mente.
“Beh, okay, perché no.” Rispose Banks, con un sorriso.
 
Tiberius scosse piano il capo, con un sorrisino, mentre i due detective dietro di lui ridevano rumorosamente.
Aprì la porta, entrando in casa, accolto immediatamente dalla luce che usciva dal salone.
Lasciò che fosse Cameron a fare gli onori di casa, mentre entrava in stanza.
“Christine.”
La ragazza alzò lo sguardo dal computer, sistemata al tavolo da pranzo.
“Papà.” Salutò “Came.” Aggiunse quando anche il secondo detective si presentò alla porta.
Si accigliò nell’incrociare poi Daniel.
“Salve.”
“Chrissie, lui è il detective Daniel Banks. Danny, lei è Christine, la figlia di Tibbs.” Presentò il californiano.
“Piacere!” Esclamò Christine, senza però alzarsi. “Nuovo assunto o appena trasferito?”
“No, io mi occupo di truffe.” Spiegò Daniel con un sorriso.
“Oh! Un colletto bianco.” Rise la ragazza.
“Possiamo dire così, sì.” Confermò il detective.
“Piuttosto, hai cenato?” S’intromise Tiberius.
Si chinò a baciare i capelli della figlia, che sorrise.
“Sì, papà, mi sono fatta un toast.” Rispose pazientemente.
“Solo un toast? Dovresti mangiare in maniera più sana.”
La ragazza alzò gli occhi al cielo, sospirando.
“Sì, papà.” Disse, poi si rivolse all’uomo appena conosciuto. “Vado a prendervi qualcosa da bere? Birra per tutti?”
I tre detective annuirono il loro consenso.
“Posso prendere una anche per me, pa’?” Chiese ancora lei con un sorriso.
Tiberius sospirò, ma poi annuì.
“Va bene.”
Christine sorrise e corse in cucina, mentre i tre si sedevano nel salotto, Cameron e Daniel sul divano e Tiberius in poltrona. La giovane Sheller tornò poco dopo, con quattro bottiglie in mano, offrendole e sedendosi poi sulle gambe del padre.
“Sei sposato, Daniel?” Chiese.
Daniel rise.
“No.” Rispose semplicemente.
“Ma avrai almeno una bella ragazza accanto.” Insistette lei.
“Se anche l’avessi, non mi interesserebbe.” Ammise l’uomo, ridendo ancora all’espressione curiosa di Christine. “Sono gay.”
“Ma sono tutti gay, nella polizia?” Si ritrovò a sbottare Tiberius, senza quasi rendersene conto.
Banks gli rivolse un’occhiata sorpresa.
“Anche tu?” Chiese.
In coro, Cameron e Christine scoppiarono a ridere.
“Tibbs? Assolutamente no!” Esclamò il primo. “Credo si riferisse a me.”
“Il mio papino è un pochino omofobino.” Rivelò la ragazza con un mezzo sorriso.
“Non sono omofobo.” Puntualizzò Sheller.
“E’ vero, altrimenti non frequenteresti così da vicino Cameron.” Acconsentì la figlia.
“Voi vi frequentate molto?” Domandò Daniel, bevendo un lungo sorso di birra.
“Abbastanza.” Ammise Cameron.
“Came è il mio secondo papà, è sempre qui.” Rispose ridendo Christine.
“Vuoi che ti parliamo un po’ del caso di cui ci stiamo occupando, Christie?” S’intromise Tiberius.
La ragazza rise.
“A papà non piace il discorso ‘altro papà’.” Rivelò con un sorriso.
Si sistemò meglio sulle gambe del padre, dandogli un bacio.
“Parlami del caso.”
 
Tiberius sbadigliò, passandosi le mani sul viso.
Alla fine la sera prima avevano fatto fin troppo tardi, per i suoi gusti.
Uscì dall’ascensore e, insolitamente, non lo accolse la voce squillante del collega e immaginò che anche per lui fare quell’ora fosse un problema. Sbagliava.
In realtà Cameron era troppo intento a chiacchierare con Daniel per accorgersi di lui.
“Buongiorno.” Salutò quindi a voce alta, per farsi notare.
Il collega si volse verso di lui, sorridendogli.
“Buongiorno, Tibbs.”
Banks si limitò a salutarlo con un cenno del capo, mentre sorseggiava il caffè.
“Ha chiamato Mercedes, ha effettuato l’autopsia e voleva vederci.” Informò Cameron.
“Va bene, andiamo.” Confermò Tiberius.
Il californiano si alzò, afferrando il bicchiere di caffè. Entrò nell’ascensore con il collega, offrendoglielo con un sorriso.
“Non è bollente come piace a te perché si è un po’ raffreddato mentre ti aspettavo.” Si scusò.
“Non importa, va bene così.” Lo rassicurò Sheller, iniziando a sorseggiare il caffè.
“Cosa ti aspetti di scoprire con quest’autopsia?” Domandò dopo qualche momento il californiano.
Tiberius non rispose subito, limitandosi a finirsi il bicchiere.
“Non lo so, a dire il vero.” Ammise. “Forse è un semplice suicidio, o forse c’è qualcos’altro sotto.”
Cameron si limitò a ridere, per poi uscire quando le porte si aprirono.
Insieme raggiunsero la sala autopsie, dove trovarono la dottoressa Jordan china sul cadavere.
“Buongiorno, dottoressa.” Salutò Tiberius.
La donna alzò lo sguardo, sorridendogli cortesemente.
“Detective Sheller, detective Warren.” Aggiunse più freddamente.
“Mercedes.” Rise il californiano.
Il medico legale fece per ribattere, ma Sheller la interruppe, intervenendo.
“Cosa può dirci, dottoressa?” Chiese.
“Beh, come avevamo immaginato la vittima è morta per un colpo di pistola alla tempia compatibile con un suicidio.” Rispose Mercedes. “Aveva una dose massiccia di alcool in corpo, immagino per farsi coraggio.”
“Nulla di sospetto?” Insistette il detective.
La dottoressa rimase in silenzio, poi sospirò piano.
“E’ una piccolissima cosa, ma… le giunture delle dita della vittima paiono forzate, come se qualcuno l’avesse costretto a spararsi. Ma non posso affermarlo con sicurezza.”
Tiberius rimase in silenzio, osservando il corpo della vittima.
“Potrebbe prendere le impronte dalla mano del signor Ant?” Domandò.
“E’ difficile, il cadavere è stato lavato e congelato… ma posso provare.” Confermò lei.
“Bene, provi e poi faccia un confronto con tutto l’archivio, magari siamo fortunati.” Disse il detective.
Jordan annuì.
“Va bene, detective, me ne occupo subito.”
“Mi faccia sapere.” Mormorò solo lui.
Poi fece cenno a Cameron e si allontanò, tornando nell’ascensore.
“Che facciamo?” Chiese il californiano.
“Aspettiamo, credo che abbiamo controllato ormai tutto.” Rispose l’altro detective.
Si poggiò alla parete dell’ascensore, lanciando un’occhiata al collega, come volesse dirgli qualcosa, ma rimase invece in silenzio finché le porte non si aprirono di nuovo.
“Novità?” Domandò Daniel.
“Forse William è stato forzato a spararsi.” Rispose Cameron, sedendosi alla scrivania. “Ma intanto possiamo solo aspettare.”
“Allora posso approfittare di questa pausa per invitarti a prendere un caffè?” Chiese ancora Banks.
Posò una mano su quella del collega, stringendola appena, ma questi esitò. Rivolse una rapida occhiata a Tiberius che, in risposta, gli sorrise lievemente.
Che cos’avrebbe dovuto dirgli? Che non voleva uscisse con qualcun altro? Che non voleva si creasse una relazione felice?
“Mi sembra una buona idea, Came, ti chiamo quando la dottoressa mi chiama per dirmi le novità.” Lo rassicurò.
Il californiano esitò ancora, ma poi annuì, alzandosi.
“Allora andiamo.” Disse con un sorriso.
Daniel sorrise anche di più, mentre a sua volta si alzava.
Sheller li osservò allontanarsi verso l’ascensore e sospirò, sedendosi alla scrivania.
La mano corse immediatamente alla catenina che portava attorno al collo.
Cameron…
Chiuse gli occhi, reclinando il capo all’indietro.
Doveva smetterla.
 
Quando il telefono squillò si rese conto di essersi assopito per qualche momento.
Si passò le mano sul viso e poi afferrò il cellulare, rispondendo.
“Detective Sheller.”
“Detective, sono la dottoressa Jordan.” Lo salutò la voce del medico legale dall’altro lato della cornetta.
“Dottoressa… ha trovato un impronta?” Chiese l’uomo, sistemandosi eretto sulla sedia.
“Solo parziale.” Sospirò Mercedes.
“Abbiamo qualche riscontro?” Domandò comunque il detective.
“Parecchi, in realtà.”
“Qualcuno collegato in qualche modo a William Ant?”
Dall’altro lato del telefono, ci fu qualche istante di silenzio, poi un sospiro.
“Coincide con quella dell’avvocato Grayson Hudson, ma, detective, non accetteranno mai questa impronta digitale come prova.” Si affrettò ad aggiungere la donna.
“Ma questo non dobbiamo dirglielo per forza.” Ribatté Tiberius. “Grazie per l’aiuto, dottoressa.”
“E’ stato un piacere.” Mormorò solo Jordan, chiudendo poi la telefonata.
Sheller si alzò, avvicinandosi ad un paio di agenti.
“Morris, Rossi, dovete andare a prelevare l’avvocato Grayson Hudson.” Ordinò.
I due poliziotti si alzarono immediatamente, allontanandosi.
Il detective aspettò si fossero allontanati, poi compose il numero del collega.
“Detective Warren.” Rispose il californiano, tra le risa sommesse.
“Came, sono Tiberius. La dottoressa Jordan ha trovato un’impronta parziale che corrisponde all’avvocato Hudson. Lo sto facendo portare qui.” Riassunse rapidamente Tiberius.
“Smettila…” Mormorò Cameron, sicuramente rivolto a Daniel, poi tornò al telefono. “Stiamo arrivando.”
“Ti aspetto.” Disse Sheller, ma il collega aveva già riattaccato.
Sospirò, sedendosi di nuovo alla scrivania, reclinando il capo all’indietro e chiudendo gli occhi. La mano corse al petto, sfiorando da sopra i vestiti la C che gli giaceva sulla pelle.
Doveva smetterla.
Non ci volle molto perché le porte dell’ascensore si aprissero e Cameron e Daniel ne uscissero, ancora ridendo tra di loro.
Il californiano portò lo sguardo su di lui, sorridendogli.
“L’avvocato è già arrivato?” Chiese, sedendoglisi accanto.
“No.” Rispose lui. “Com’era il caffè?”
Cameron si accigliò a quella domanda, ridendo piano.
“Buono…?” Rispose incerto.
Tiberius si guardò intorno e, notando la mancanza del terzo collega, riprese a parlare.
“Devo dire a Christine che il suo secondo papà si presenterà un po’ meno spesso?” Domandò.
Il californiano tacque, inumidendosi appena le labbra, poi distolse lo sguardo.
“Non lo so. Daniel ha detto di essere molto interessato.” Ammise. “Stasera ceniamo insieme.”
Sheller lo osservò, poi si volse totalmente verso di lui.
“Cameron, devo dirti una cosa.” Mormorò.
Doveva parlargli.
Warren sorrise.
“Dimmi.” Lo intimò.
“Allora, questo avvocato?” Chiese a voce alta Banks, accostandosi alla scrivania.
Tiberius si ritrasse, poggiando di nuovo la schiena sulla sedia.
“Arriverà a breve, credo.” Rispose semplicemente.
Daniel si limitò a sedersi, cominciando a portare avanti, con Cameron, una discussione da cui Sheller si estraniò totalmente.
Una decina di minuti dopo le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo e Morris e Rossi uscirono, accompagnando l’avvocato Hudson.
“Avvocato Hudson.” Lo salutò Tiberius, alzandosi.
“Che cos’altro volete, da me?” Sbottò l’uomo, evidentemente seccato.
“Dobbiamo solo farle qualche domanda, avvocato.” Lo rassicurò il detective. “Prego, mi segua.”
Cameron si alzò con lui, affiancando Grayson. Seguirono insieme il detective Sheller che, poi, aprì la porta della sala interrogatori.
“Prego.”
Palesemente irato, l’avvocato entrò nella stanza, andando a sedersi. I due detective gli si sistemarono di fronte.
“Perché sono qui?” Domandò astiosamente Hudson.
“Il signor Ant non si è suicidato, è stato ucciso.” Rivelò Sheller, piegandosi appena in avanti.
“E io sarei un sospettato, non è vero?” Esclamò Grayson. “Perché voi vi siete convinti che lui mi stava ricattando!”
“No, signor Hudson.” Mormorò il detective. “Lei è un sospettato perché abbiamo trovato una sua impronta sul cadavere.”
L’uomo si irrigidì, allargando le spalle.
“Non è vero.” Ribatté a voce bassa.
“Oh, sì che è vero.” Ribadì Tiberius con un sorriso. “Vuole dirmi com’è andata?”
L’avvocato si poggiò all’indietro contro lo schienale della sedia, serrando le labbra.
“No?” Insistette l’altro. “Ipotizzo io?”
Non ricevendo risposta alcuna, riprese a parlare.
“Allora partiamo da sei anni fa. Aveva un caso contro il signor Ant, ma lui le offrì uno scambio: se lei insabbiava tutto lui avrebbe fatto una grande donazione al suo studio.” Cominciò, osservando attentamente le reazioni dell’uomo. “Poi è stato indagato di nuovo, ma non aveva soldi con cui tentarla, così ha trovato un altro espediente: il ricatto.”
Grayson emise solo un breve verso seccato, scostando lo sguardo di lato.
“Così, per non rischiare di perdere la reputazione e il lavoro, lei ha deciso di uccidere il signor Ant. Era ubriaco, è stato facile mettergli la pistola in mano e costringerlo a spararsi.”
Tiberius si chinò ancora più in avanti, abbassando la voce.
“Non è forse andata così, avvocato Hudson?” Domandò.
L’uomo rimase cocciutamente in silenzio ancora qualche momento, ma poi sospirò.
“Avrebbe rovinato la mia reputazione…” Mormorò. “Era l’unica cosa che potessi fare.”
“Ha ucciso lei William Ant?” Chiese Sheller, per essere chiaro.
L’avvocato esitò ancora, muovendo appena la mandibola.
“Non potete saperlo, non avete prove.” Borbottò.
“E quanto pensa ci metteremo a trovarle?” Lo sfidò Tiberius.
“Sa…” S’intromise Cameron. “Io la capisco. Lei ha faticato per la sua reputazione, per il suo lavoro… ha accettato dei compromessi con la sua coscienza solo per poter continuare a fare del bene, perché senza quei soldi non avresti più potuto fare ciò che fai.”
Il passaggio al tu era stato immediato, ma così tranquillo da parere ovvio.
“E lui voleva levartelo, levarti il tuo lavoro, la tua reputazione, tutta la fatica fatta! Io avrei fatto la stessa cosa, davvero. Non avrei esitato un secondo.”
“Avrebbe rovinato la mia reputazione…” Ripeté l’avvocato.
“Signor Hudson, ha ucciso lei il signor William Ant?” Chiese ancora Tiberius.
Grayson tacque ancora, poi sospirò, chinando il capo.
“Sì… sì, sono stato io.” Rise amaramente, alzando lo sguardo al cielo. “Io non… non riesco a tenermelo dentro.”
“Questo le fa onore.” Mormorò Cameron, sfiorandogli una mano.
Hudson scosse il capo, chinando lo sguardo.
“Sono solo patetico.”
“Lei è molto coraggioso.” Ribatté convinto il californiano.
Tiberius sospirò sommessamente e si alzò, andando ad aprire la porta per concludere quella scena.
“Portatelo via.” Disse ai due agenti fuori la stanza.
I due uomini si accostarono all’avvocato, ammanettandolo e portandolo via, mentre meccanicamente gli recitavano il codice Miranda.
“Beh, complimenti, avete risolto il caso.” Si complimentò Daniel, entrando nella stanza, battendo un paio di volte le mani.
“Sì, è la nostra caratteristica principale.” Ammise Cameron con un sorriso.
“Complimenti anche per la comprensione mostrata, sono sicuro che l’avvocato ci ha creduto molto.” Aggiunse Daniel.
“Oh, il peggio non è che ci abbia creduto Hudson, ma che ci credeva Came.” Intervenne Tiberius.
Banks si accigliò, osservando i due colleghi.
“Come?” Domandò incerto.
“Cameron ha l’abitudine di comprendere profondamente i vari assassini che arrestiamo.” Spiegò Sheller, divertito.
“Cerco di capire ogni punto di vista.” Si giustificò Cameron.
“E’ un assassino…” Fece notare Daniel.
“Ma tu non avresti fatto lo stesso, per proteggere la tua reputazione e il tuo lavoro? Lavoro per cui sei stato disposto a scendere a compromessi con la tua coscienza?” Insistette il californiano.
Banks rimase in silenzio, lanciando un’occhiata a Tiberius, che si limitò a scuotere il capo.
“Non lo so.” Ammise infine. “Forse sì.”
Cameron sorrise vittorioso, ma non commentò.
“Comunque, è stato un piacere lavorare con voi, ma io devo tornare al mio ufficio, a vedere se hanno bisogno di me.” Disse Banks, per cambiare del tutto discorso.
“E’ stato un piacere, Daniel.” Confermò Tiberius, sorridendogli cortesemente.
Daniel ricambiò il sorriso, poi si rivolse al terzo detective.
“A stasera.” Lo salutò con un sorriso più luminoso, prima di allontanarsi.
“A stasera.” Mormorò Cameron, con un mezzo sorriso in viso.
Tiberius rimase in silenzio, osservando con la coda dell’occhio il collega dell’altro ufficio allontanarsi. Quando fu Warren a passargli accanto, però, lo fermò per un braccio.
“Devo parlarti…” Disse.
Il californiano lo osservò sorpreso, poi gli sorrise.
“Dimmi.” Lo esortò.
Sheller schiuse le labbra, ma poi esitò, rendendosi conto di non avere la minima idea di come esprimere i mille pensieri che gli si affollavano nella mente.
Si portò le mani alla cravatta, allentandosela sotto lo sguardo perplesso del collega, poi prese tra le dita la catenina al collo, tirandola per mettere in mostra la C.
“Sai per chi è questa?” Chiese.
“Christine. Me l’hai detto tu, Tibbs.” Rispose ancora più perplesso Cameron.
“Cameron.” Ribatté Sheller. “Lo comprai per te il giorno in cui ci siamo lasciati.”
“In cui tu mi hai lasciato.”
Tiberius sospirò, chiudendo un attimo gli occhi, stringendo la lettera argentata tra le dita.
“Tu volevi dirlo a Christine, Cameron, io… ho avuto paura.” Ammise.
“Paura? Paura di cosa? Perché sinceramente dubito che Christine si possa mai fare dei problemi se tu le portassi a casa un uomo come compagno.” Ricordò il californiano, irato.
“Non… non so esattamente di cosa avessi paura, Cameron, ma… quando mi hai chiesto di renderlo ufficiale io… io sono entrato nel panico, per questo ho deciso di chiuderla.”
Cameron rimase in silenzio, passandosi una mano sul viso, senza guardare il collega.
“Perché mi stai dicendo questo, Tiberius?” Domandò freddamente.
Lui esitò.
“Perché… ti voglio con me.” Ammise infine. “Ti voglio con me, accanto a me, voglio… poter dire a Christine che ho trovato una persona che mi rende felice, voglio renderlo ufficiale, voglio lo sappiano tutti. Voglio… voglio stare con te, Cameron.”
Il californiano rise, scotendo il capo.
“Ho un appuntamento a cena con Daniel, Tiberius. Un uomo simpatico, gentile, che non ha avuto alcun timore a provarci con me nonostante non sapesse neanche se fossi interessato agli uomini, che non ha avuto paura di provare a baciarmi in pubblico, che non esiterebbe un istante a rendere un nostro eventuale fidanzamento ufficiale. Perché mai dovrei mandare a quel paese quello che potrei avere con lui per stare con te?” Chiese gelidamente, stringendo i denti per non ritrovarsi ad urlare.
L’altro detective tacque a lungo, cercando qualcosa di sensato da dire, ma poi si limitò a scuotere il capo.
“Perché io mi sto innamorando di te.” Rispose solo, in un soffio.
“E quindi, Tiberius?” Ribatté freddamente il californiano. “Dovrei tornare da te in ginocchio?”
“No, Cameron.” Mormorò Tiberius. “Sono io che torno in ginocchio da te.”
Esitò un istante, sotto lo sguardo sorpreso del collega.
“So che ti ho fatto del male, Came, so che sono stato uno stronzo e non ho giustificazioni. Non ti chiedo di comprendere il mio punto di vista come comprendi quelli degli assassini, perché non lo comprendo neanch’io. Il pensiero di rendere ufficiale il mio rapporto con te mi ha fatto paura non per te, ma perché renderlo reale avrebbe reso più forte il dolore se tu te ne fossi andato. E so… so che tu non te ne saresti mai andato, Cameron, ma io ho avuto paura. E non posso dire che non ne ho più, perché non è vero, ma ora so che il dolore di starti lontano è anche più grande del possibile dolore di essere lasciato da te. Ti chiedo solo una seconda possibilità, Came. Solo una seconda possibilità.”
Cameron lo osservò a lungo, in silenzio, con gli occhi sgranati e ricolmi di sorpresa e confusione, poi gli volse le spalle. Afferrò il cellulare, componendo un numero e portandoselo all’orecchio.
“Daniel, sono Cameron…” Mormorò.
Tiberius lo osservò in silenzio, senza neanche il coraggio di sperare.
“Volevo dirti che… non verrò alla cena, stasera… No, neanche domani…”
Il californiano rise, passandosi una mano sul viso.
“No, Danny, neanche un altro giorno, temo.”
Per un po’ rimase in silenzio, ma non rivolse neanche uno sguardo al collega.
“No, io… non credo, ma grazie.” Concluse, chiudendo il cellulare.
Si volse finalmente verso Tiberius, puntandolo con un dito.
“Lo diciamo a Christine stasera stessa. Ed è la tua ultima possibilità, se fai qualche cazzata non solo non mi avrai più come compagno ed amante, ma neanche come amico. Né come collega.”
Il detective sgranò gli occhi a quelle parole, a quella seconda possibilità, sentendosi per un attimo mancare il fiato, poi sorrise, prendendo il viso del collega tra le mani, baciandolo con entusiasmo. Non dovette attendere molto perché il californiano ricambiasse quel bacio, con altrettanta euforia.
“Mi sto innamorando di te, Cameron.” Mormorò Sheller, quando si furono separati.
“Anch’io, purtroppo.” Ammise il californiano con un mezzo sorriso.
 
“Un altro caso brillantemente risolto da Sheller&Warren!” Rise Christine, mettendosi poi in bocca un’altra forchettata di torta.
“Come sempre.” Ricordò Cameron con un sorriso.
“E quindi non vedrete più Danny?” Chiese dopo qualche momento la ragazza.
“Presumo di no.” Confermò il californiano, bevendo un sorso di grappa.
“E’ strano, ero… convinta ci fosse una certa intesa, tra di voi.” Ammise la giovane Sheller.
Cameron rise, ma non commentò.
“Chrissie, c’è una cosa che vorrei dirti.” S’intromise Tiberius, posando il bicchierino di liquore.
“Dimmi.” Lo esortò la ragazza, spostandosi nel piatto un’altra fetta di torta.
“Ho… incontrato una persona. Una persona con cui… sono felice.” Si ritrovò a balbettare l’uomo.
Avrebbe dovuto organizzare meglio il discorso.
“Oh, papà!” Esclamò Christine. “Ma è fantastico! Non vedo l’ora di conoscerla!”
“La conosci già.” Ammise il padre con un mezzo sorriso.
Respirò profondamente all’espressione accigliata della figlia, poi posò una mano su quella del collega.
“E’ Cameron.”
Cameron non poté non sorridere, intrecciando le dita a quelle del compagno.
Christine boccheggiò qualche attimo, con gli occhi spalancati.
“Oh…” Mormorò. “Questo è… inatteso.” Ammise.
“Spero non sia un problema per te…” Borbottò Tiberius.
Allungò la mano libera a posarla su quella della figlia, stringendola lievemente.
“No, non un problema…” Rispose la ragazza, ridendo piano. “E’… solo inatteso, devo… metabolizzare un po’. Insomma, non… mi aspettavo davvero mio padre potesse interessarsi ad un uomo.”
Nessuno dei due uomini commentò, comprendendo più che bene la sorpresa della ragazza.
“Ma… ma va bene, papà, io voglio solo che tu sia felice.” Aggiunse in fretta Christine, con un sorriso. “E Cameron è una brava persona.”
“Grazie.” Mormorò il californiano, con un sorriso.
Christine sorrise ancora, poi si alzò.
“Vado in camera mia, devo finire la storia prima della scadenza del concorso e manca solo una settimana.” Mormorò.
“Non fare tardi come ieri sera, però.” La rimproverò il padre.
“No, papi.” Rispose lei, alzando gli occhi al cielo. “E voi non fate niente di sconcio.” Aggiunse con una linguaccia, prima di correre su.
“E’ andata bene.” Notò Cameron dopo qualche momento, stringendo la mano del compagno.
“Sì, è vero.” Confermò Tiberius.
Si volse verso il collega, sorridendogli.
“Lo sai…” Mormorò. “Sono veramente felice.”
Il californiano rise, chinando il capo, ma solo qualche istante.
“Sono felice anch’io.” Ammise.
Sorrise maggiormente, allungandosi verso l’uomo, baciandolo piano.
   
 
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