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Autore: Mikage    12/10/2012    6 recensioni
Le foglie ingiallite rappresentano l'autunno con tutta l'incertezza e la malinconia delle creature che ci abbandonano per sempre.
*Romano Battaglia, Foglie*
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nabiki Tendo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ispirazione per questa piccola one-shot me l’ha data una canzone che amo molto e che vi consiglio di ascoltare: “Autumn” di Paolo Nutini.
Buona lettura!
 
 
 
 
Crick.
 
Crick.
 
Odio questo rumore.
 
Odio queste foglie accartocciate che si riducono in piccoli frammenti sotto le suole delle mie scarpe.
 
Più di tutto, odio questa maledetta stagione.
 
È una mattina fredda, e stringo meglio intorno al collo la sciarpa grigia, grigia come questo cielo di ottobre,  che, come nei giorni scorsi, minaccia pioggia.
 
Stringo più forte la presa alla mia cartella e cerco di ignorare questo rumore fastidioso che mi accompagna ad ogni passo.
 
Sono una persona fatta per l'estate, mi piace divertirmi, e questo non è un segreto per nessuno. Ma il vero motivo per cui odio questo periodo non ha niente a che fare con le vacanze o con il tempo libero.
 
Crick. Crick. Crick.
 
Il rumore si fa più intenso, qualcuno sta correndo alle mie spalle.
 
"Nabiki!Nabiki!"
 
Mi volto, e appare mia sorella, le guance arrossate per la corsa, il respiro appena affannoso.
 
"Sono riuscita a raggiungerti! Dai, andiamo a scuola insieme?"
 
"Che c'è, Saotome ti ha dato buca per la mattinata?"
 
Lei ignora completamente la mia provacazione, per rifilarmi uno di quegli sguardi compassionevoli di cui sono capaci solo lei e mia sorella maggiore. Pare proprio che questo segmento di dna mi abbia snobbato.
 
"Ti ho visto a colazione, sai? Avevi una faccia strana."
 
Mi volto dall'altra parte, scossa. Odio quando la gente intuisce le mie emozioni. Ma Akane sembra incoraggiata dal mio silenzio, e continua.
 
"Lo so perchè ti senti così. E' lo stesso anche per me."
 
Ha capito, ha capito perfettamente.
 
Cerco di concentrare l'attenzione sui miei passi, sull'asfalto ricoperto da un mosaico di foglie colorate.
 
Come ogni anno, queste maledette foglie mi ricordano quei mesi.
 
Quei lunghi mesi dove ogni cosa è cambiata, dove tutte le mie certezze sono crollate. Avevo una casa, un posto felice. Ero spensierata, la più felice delle bambine. D'un tratto, quel posto c'era ancora, con il suo odore di legno, ma era diventato freddo e spoglio. I mobili si coprivano di polvere e le stanze non mi erano mai sembrate tanto grandi e vuote. Sul patio, dove prima si stendeva un tappeto di sole, dove c'era lei, dove c'erano le sue carezze ed il suo profumo, ora si affollavano le foglie secche. Nessuno che pensasse di sgombrarle, in quel momento.
 
Papà vegetava, chiuso nella sua stanza, e compariva talvolta in giro per casa, i lunghi capelli sporchi e la barba incolta. Kasumi si occupava della casa e di noi, facendo il possibile e l'impossibile. Akane era troppo piccola, ed andava protetta.
 
 Ma io?
 
Io ero nel mezzo, troppo piccola per assumermi delle responsabilità e troppo grande per essere tenuta all'oscuro. Ero scaltra e sveglia, non avrebbero potuto mentire. Sapevo perché la mamma non c’era.
 
Cosa potevo fare? Mamma diceva che la mia forza era l'intelligenza, la capacità di focalizzarmi sui dettagli. Potevo cominciare dalle piccole cose, da quello che gli altri, presi dalle grandi cose, non vedevano. Presi la scopa di saggina dal giardino e mi avvicinai al patio, dove l'odore di mamma stava svanendo, e cominciai a togliere via le foglie.
 
Ad un tratto, una presenza alle mie spalle. La piccola Akane, quel botolo rompiscatole che piangeva sempre e mi faceva mille domande su mamma, mille domande a cui non sapevo e non volevo rispondere. Proprio la persona che avrei voluto vedere di meno in quel momento. Mi guardava, gli occhioni spalancati ed un ditino in bocca.
 
"Cosa fai?"
 
"Cosa vuoi, scema? Vattene da Kasumi!"
 
Mi guardò fisso, ignorando completamente le mie parole.
 
"Cosa fai?"
 
"Ancora?! Lasciami stare e vattene!"
 
Mi girai, piena di rabbia. Quel momento era mio, era il momento in cui decidevo di reagire, in cui cercavo di ripristinare il rapporto con la mamma, facendo maldestramente qualcosa che avrebbe fatto lei.
 
Akane non c'entrava niente. Lo facevo per lei, e quasi mi sembrava di farlo con lei. Come se non se ne fosse mai andata, come se il sole brillasse ancora come quell’ultima estate insieme. Akane, con le sue domande, mi avrebbe ricordato il perché fossi lì, da sola, con quella scopa quasi più grande di me. Tornai a spazzare con più vigore. Volevo fingere, immaginando lo sguardo stupito della mamma nel vedere quanto era stata brava la sua bambina, di quanto fosse forte, di quanto fosse indipendente. Forse era questo che volevo dimostrare a me stessa. Che ero capace di vincere il dolore, che potevo diventare invincibile, e mai più nulla al mondo avrebbe potuto ferirmi.
 
Quando mi voltai, trovai la piccolina inginocchiata sulle assi di legno, che sollevava le foglie una ad una e le faceva volteggiare leggere, gettandole verso il giardino. Accorgendosi di me, alzò la testa e mi sorrise, un'espressione decisa sul volto.
 
"Voglio aiutarti!"
 
Non dissi nulla, ma continuammo a lavorare insieme. Kasumi arrivò poco dopo, si portò una mano sul volto e cominciò a piangere sommessamente, e ci venne incontro per abbracciarci. In quel momento capì che saremmo sopravvissute a quel periodo, che ce l'avremmo fatta, e che avremmo salvato papà.
 
Oggi come allora, Akane è ancora qui, nel momento in cui volevo essere sola, sola a combattere con l'assenza. Quell'assenza che quanto meno viene invocata, più forte si fa sentire. Il silenzio si fa pesante, tra noi, ma anche questa volta Akane non demorde.
 
Mi prende la mano, costringendomi a fermarmi, e mi guarda dritto negli occhi.
 
"Manca anche a me."
 
Il suo sguardo mi fa sentire come queste foglie. Mi sono sempre detta che non mi importa, che sono più forte, che se ho sconfitto il dolore una volta potrò farlo per sempre. Ma poi basta uno sguardo così e sono fragile come una foglia secca, mi sbriciolo e mi disperdo nel vento.
 
Non sopporto questa sensazione, soprattutto agli occhi di chi mi vuol bene, perché mi fa capire quanto sia debole in realtà.
 
Sei una bugiarda, Nabiki Tendo, sei talmente bugiarda da mentire anche a te stessa. Sei fragile e lo sai, e quell’armatura di ghiaccio fa solo rumore quando ti viene sfilata.
 
Camminiamo in un silenzio confortevole, e mentre ci avviciniamo al cancello di scuola indosso di nuovo la mia maschera, quella della cinica approfittatrice.

Come una foglia alla fine dell'autunno, indurisco le mie venature, e mi copro di g
elo.
  
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