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Autore: MrEvilside    12/10/2012    15 recensioni
[ CONCLUSA ]
Dopo la cattura di Loki, il suo scettro è stato affidato a Tony Stark, l'unico che abbia resistito alla sua magia soggiogatrice, e Loki consegnato ad Asgard, dove viene detenuto in attesa di giudizio. Quando fugge, i Vendicatori si preparano ad affrontarlo, convinti che il suo primo obiettivo sarà senza dubbio riappropriarsi dello scettro sconfiggendo Tony, ma quest'ultimo scoprirà che per una volta è Loki ad aver bisogno d'aiuto. Il semidio lo porrà di fronte a più di una scelta: vita o morte, verità o menzogna, amore o qualcos'altro, sullo sfondo di una guerra per garantire la pace sulla Terra.
Non sempre è tutto bianco o nero.
[ IronFrost ]
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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#08: Hit the ground
 
But just tonight I won’t leave
I’ll lie and you’ll believe
-Just Tonight, The Pretty Reckless
 
Buio. Luce. Buio. Luce.
Essere morti era seccante, avrebbe voluto che quell’alternanza cessasse, a lungo andare gli provocava una sgradevole emicrania.
Ehi. Fece un passo indietro. Aveva l’emicrania; per quel poco che ne sapeva, in teoria con la morte non avrebbe più dovuto avere un corpo, che l’aldilà esistesse o meno. Niente corpo, niente cervello, niente emicranie. Che sta succedendo qui?
Non era necessario un genio per indovinare che, evidentemente, non era morto.
In contemporanea con quella consapevolezza giunse anche il dolore, un dolore atroce che gli fece riguadagnare la percezione del proprio corpo, un ammasso di sofferenza e fiamme e fasci di nervi. Beh, stavo molto meglio morto. Sarà per la prossima volta.
Con il tempo, riacquistò anche l’uso dei cinque sensi.
Non riusciva a muoversi, ma era emerso dal silenzio e ora udiva un vociare di sottofondo di cui non avrebbe saputo distinguere le parole, però se non altro lo avvertiva, non aveva più l’impressione di essere rinchiuso nella campana di vetro del Paradiso – o dell’Inferno. No, c’è troppo casino per essere l’Oltretomba.
Qualche volta arrivava a socchiudere le palpebre e a cogliere delle immagini confuse, talora non più di una macchia di colori indistinti, in altre occasioni, invece, una scena più a fuoco, tanto che alla fine stabilì di trovarsi in un ospedale – o qualcosa di simile – considerato il bianco sulle pareti, delle lenzuola e dello scarso mobilio che aveva intravisto.
Quando non provava troppo dolore per pensare a qualcos’altro, si chiedeva dove fossero gli altri, se stessero bene, se avessero vinto la guerra o meno, ma per la gran parte del tempo era preda di una sofferenza così lacerante che non c’era spazio per nient’altro.
Poi, un giorno, un cambiamento, il cambiamento.
Una sfumatura di verde in quella camera troppo bianca. Verde e nero.
Prima di sprofondare in una nuova fase del delirio provocato dal dolore, la sua mente, che talvolta sembrava quasi volersi sfilacciare dal corpo e allora temeva che sarebbe morto per davvero, mise insieme quattro lettere.
Loki.
Poi ci furono di nuovo buio e sofferenza.
Quando il tormento che lo logorava si placò di nuovo ed ebbe occasione di rivedere la stanza, Loki era di nuovo lì. Forse ancora lì, non riusciva a capire quanto durassero le ricadute, se un giorno, un’ora o pochi secondi. Insieme a lui c’era del rosso, ora – Pepper.
Apparvero anche altri colori – oro, azzurro, viola, nero, di nuovo rosso e marrone scuro – ma il verde non mancava mai in mezzo a loro. Persino al fianco dell’oro.
Era ormai divenuto una presenza abituale accanto al suo letto – doveva esserci una sedia, perché era molto più basso di come lo ricordava – quando, all’improvviso, un giorno non c’era più. C’erano il blu e il rosso, ma del verde nessuna traccia. Lo cercò invano per l’intero minuto in cui riuscì a rimanere cosciente, poi svenne.
 
 
«Si sta svegliando?»
«È già sveglio. Gli dia un altro minuto per rendersene conto, vedrà che aprirà gli occhi. Ormai è guarito, il dottor Banner ha reinserito il reattore ieri sera. È fuori pericolo e perfettamente funzionante. Oh, ecco: è di nuovo con noi. Ben svegliato, signor Stark».
La voce sconosciuta di una donna, quella più familiare di Pepper, la luce brillante che si rifletteva su ogni superficie candida e la consapevolezza che non provava alcun dolore – a parte un leggero indolenzimento dei muscoli – lo colpirono senza soluzione di continuità e per una manciata di minuti non fu in grado di fare altro che battere le palpebre e sforzarsi di abituarsi al forte chiarore.
«Pep».
Parlare era stata una reazione istintiva e non riconobbe immediatamente la propria voce: flebile e roca, era quella di qualcuno che non pronunciasse una parola da giorni – una condizione che Tony Stark non aveva mai sperimentato in vita propria.
«Sì, Tony». C’erano lacrime e commozione nel tono gentile di Pepper e una mano prese la sua con delicatezza. Lunghe dita affusolate, indubbiamente femminili. Dita che l’avevano accarezzato e amato tante volte, dita che conosceva meglio delle proprie, le dita di lei. «Sono io. Pepper. Sono qui. Tranquillo. Non devi parlare per forza…»
«Miss Potts ha ragione, signor Stark» aggiunse la dottoressa, intervenendo con molto tatto nella loro intimità. «Parli solo quando se la sente».
«Figuriamoci». Tony si sforzò di sollevarsi a sedere, ma il suo corpo non rispondeva bene agli stimoli inviati dal cervello: le braccia tremarono nel tentativo di sorreggerlo, poi ricaddero inerti lungo i fianchi. «Non so nemmeno… da quanto tempo non lo faccio… e pretendete che non parli…?»
Mise a fuoco un sorriso spezzato sul volto di Pepper, che stava piangendo davvero. Piangere, in realtà, non era l’espressione giusta: le lacrime le solcavano le guance leggermente paffute, ma le sue spalle erano ferme e non un solo singhiozzo lasciava le sue labbra.
«Un mese, Tony». Quella che per chiunque altro sarebbe stata una battuta, per lei era una domanda. Come avrebbe fatto senza di lei? «Dopo che sei svenuto, Thor ti ha portato d’urgenza in ospedale. Il dottor Banner ha aggiustato il reattore. Saresti morto, senza il suo aiuto. Sei stato privo di conoscenza per un mese».
La dottoressa se n’era andata, discreta e silenziosa.
Pepper gli accarezzava con insistenza il dorso della mano, tracciava figure invisibili con il pollice, come se volesse sincerarsi che quella mano esisteva ancora, che era ancora calda, viva. Come avrebbe fatto senza di lui?
«Ricordami che… gli devo un drink». Con sua soddisfazione, stava recuperando in fretta la facoltà di conversare. Quella, se non altro. «La guerra…?» Aggrottò la fronte, mentre i ricordi emergevano sulla superficie confusa dei suoi pensieri. Troppo lenti, troppo indistinti. «Come è andata? Come stanno… gli altri?»
Avrebbe voluto porre altre domande, ma la raffica di parole che gorgogliavano nel suo stomaco, impazienti di risalire la gola, provocò un eccesso di tosse che lo fece piegare in due per il dolore – metaforicamente, dal momento che era disteso. Stupide costole.
Pepper scosse il capo, ma era un gesto di sollievo. «È finita. Quei mostri sono stati distrutti e i criminali – Osborn, Doom – sono stati catturati. Va tutto bene ora. Puoi smettere di fare l’eroe».
Sul finire della frase una nota di collera e risentimento trovò spazio nella voce della donna, sebbene gli angoli della sua bocca fossero ancora piegati all’insù.
Tony conosceva bene quell’espressione: significava che Pepper era in dubbio tra il prenderlo a pugni e il gettarsi fra le sue braccia, che per una volta era lei ad avere bisogno di lui e non il contrario – ti prego, smetti di fare l’eroe, smetti di rischiare di morire. Smetti.
Per un attimo, Tony pensò a come sarebbe stato lasciare gli Avengers, appendere l’armatura al chiodo e ritirarsi a vita privata. Magari sposare Pepper, avere dei bambini.
La paura, il terrore di provare dei sentimenti, di poter correre il rischio di perderli, era in agguato, così come la consapevolezza che, se non si fosse fatto coraggio, allora avrebbe perso Pepper, forse avrebbe perso anche se stesso, perché lei era una parte di lui. Bianco o nero, era costretto a scegliere.
Poi pensò a Loki.
Loki con l’armatura verde, che progettava di distruggere New York. Loki con la pelle blu e gli ornamenti dorati di Jotunheim, che salvava la vita a tutti. Che tentava.
Grigio.
«Per ora posso prendermi una vacanza» ammise con lentezza, gli occhi bassi, la voce ridotta a un mormorio. «Finché al mondo non servirà di nuovo Iron Man».
Alla fine alzò lo sguardo e incrociò quello di Pepper, la guardò e seppe che, anche se non poteva decidere tra bianco e nero, lei sarebbe rimasta, sarebbe rimasta sempre. Anche se non poteva renderla felice, lei l’avrebbe amato sempre. Anche se lui aveva paura di offrirle il suo amore in cambio, lei sarebbe stata lì.
Dopotutto gliel’aveva già domandato, un altro giorno, in un’altra vita. “Sei stata al mio fianco per tutti questi anni. Vuoi andartene adesso?
Pepper abbozzò una risatina. «Naturalmente. Dovrai accontentarti di essere Tony per un po’. Non Tony Stark, soltanto Tony: ti proibisco di mettere mano a un qualsiasi attrezzo per almeno un’altra settimana. Devi riprenderti, sei quasi morto, santo cielo».
Tony levò gli occhi al soffitto e Pepper gli tirò un pugno scherzoso sul braccio, salvo poi ricordarsi che era ancora in convalescenza e affrettarsi a scusarsi. Cadde un silenzio che avrebbe dovuto essere quieto, ma Tony non riusciva a rilassarsi; trepidante, voleva fugare altri dubbi, ma temeva che lei non fosse la persona giusta con cui farlo.
Alla fine fu proprio Pepper a introdurre l’argomento, cogliendolo di sorpresa. «Pensavo mi avresti chiesto anche di Loki».
Spiazzato, Tony cercò l’accusa o il rancore nei suoi occhi, ma non ne trovò; allora si schiarì la voce e si sforzò di far suonare convincente la replica stiracchiata: «Cosa, uhm, cosa te lo fa pensare, di preciso?»
«Il fatto che se lo meriti, per esempio» enumerò lei, seria in volto. Tony le scoccò un’occhiata incredula, la donna si spiegò in tono mesto: «Quando ti ho detto che speravo meritasse la tua preoccupazione, ero sincera. Lo speravo per davvero. Non mentirò: non posso affermare che mi faccia piacere che tu abbia scelto proprio Loki».
C’era un sospiro tra le righe, un sospiro cui però lei non diede voce, come invece avrebbe fatto solo due mesi prima. Forse era prematuro sostenere che stesse imparando ad apprezzare il semidio, ma era senza dubbio passata oltre la fase di puro e semplice rifiuto.
«Però non sono così sciocca da fingere di non vedere la realtà. Si rifiutava di uscire da questa stanza. All’inizio il direttore Fury non sapeva come comportarsi con l’uomo che aveva tentato di conquistare il mondo e poi l’aveva salvato; quando ha provato a discutere la sua permanenza qui e Loki gli ha dato fuoco, ha lasciato perdere. Era sempre qui, seduto su quella sedia». Ammiccò alla sponda opposta del letto rispetto a dove si trovava lei. «Sospetto non abbia mai dormito. Per questo mi stupisce che tu non avessi ancora domandato di lui».
Tony aspettò che proseguisse, ma lei non lo fece. «Però…?» la incoraggiò in tono calmo.
«Quando hanno arrestato i membri della Cabala, la maga asgardiana – se non sbaglio, Thor l’ha chiamata Amora – è riuscita a fuggire. Loki si è offerto di rintracciarla e farla prigioniera» riprese Pepper, chiaramente di malavoglia. «Ha scoperto dove si trovava la settimana scorsa ed è partito per catturarla. Da allora nessuno ne ha più avuto notizie».
Tony annuì.
Si limitò a incassare il colpo senza altro gesto che quel lieve cenno d’assenso, in parte perché non c’era molto altro che potesse fare, nella sua posizione, in parte perché lui stesso era incerto sulla reazione che quelle parole avevano provocato.
Non che si illudesse che Loki sarebbe rimasto per sempre, che sarebbero diventati migliori amici e sarebbero piovuti arcobaleni e pony rosa, però era strano, dopo quello che avevano passato insieme – loro malgrado – e ciò che aveva visto e che Pepper gli aveva raccontato, svegliarsi e non trovarlo accanto al letto, se non altro per rendergli quel pugno di cui aveva preso nota Jarvis.
Non trovarlo e non poter neppure ipotizzare se sarebbe mai tornato.
Dopotutto, non gli era più di alcuna utilità: Thanos era stato esiliato, la guerra scongiurata e il semidio era anche diventato re, non aveva più alcuna ragione per abbassarsi ad avere a che fare con un banale umano.
A parte il fatto che si erano baciati, naturalmente.
Pepper era sul punto di riprendere la parola, forse per confortarlo, forse per cambiare argomento nel tentativo di metterlo a suo agio, quando fu lui a spezzare quel nuovo silenzio, molto meno accogliente del precedente: «Beh, fantastico, l’unico che poteva provare che il mio coinvolgimento con il Dio dell’Inganno aveva uno scopo onesto ha deciso di sparire. Fury mi trascinerà in tribunale e mi sbatterà in cella solo perché finalmente ero morto e poi sono resuscitato per indispettirlo».
La donna batté le palpebre, colta alla sprovvista da quell’uscita improvvisa, poi scelse di assecondarlo e scosse il capo. «Il direttore ha acconsentito a proscioglierti da qualsiasi accusa, dal momento che Loki si è rivelato un alleato». Sulle sue labbra si disegnò un sorriso maligno che fece scorrere un brivido lungo la schiena di Tony – un sorriso molto alla Loki che Pepper sfoggiava solo quando voleva incutergli terrore. E funzionava bene. «Anche se io sospetto l’abbia fatto perché Loki gli ha dato fuoco e perché non poteva rischiare di perdere la faccia facendoti causa dopo che hai salvato la Terra».
Tony non aveva mancato di notare che era già la seconda volta che menzionava il fatto che Loki aveva dato fuoco al direttore e di colpo realizzò che la divertiva.
Pepper e Loki avevano gli stessi gusti in materia di scherzi – inquietante.
«Ah, beh, buono a sapersi» mugugnò mentre tentava con scarso successo di ignorare la consapevolezza che aveva appena maturato. «Wow, mi sono appena svegliato e ho già ricevuto più buone che cattive notizie. Se mi dici che domani non vado al lavoro, il mio compleanno dev’essere arrivato in anticipo. Insieme a Natale. E a tutte le feste».
 
 
Sebbene, una volta ripresosi dal coma, le sue condizioni fossero abbastanza stabili, al punto che i medici gli proposero di venire dimesso prima del previsto, Pepper mantenne la propria promessa e impose che non tornasse alla Stark Tower prima di una settimana.
Un’intera settimana senza nient’altro da fare che parlare o ascoltare gli altri. Per fortuna era quasi sempre in compagnia di qualcuno, che fossero gli Avengers, Pepper, gli agenti dello S.H.I.E.L.D. o Fury, che lo aggiornavano quotidianamente e gli raccontavano gli sviluppi avvenuti durante la sua convalescenza, perché non si annoiasse troppo.
Ciononostante, fu sollevato quando finalmente poté lasciare l’ospedale. Steve si offrì di accompagnarlo a casa, nemmeno fosse suo padre, ma a parte quello il suo ritorno fu perfetto.
Niente più bianco, niente più obbligo di stare a letto, niente più ordini di non toccare l’alcool.
Dopo che aveva rifiutato la proposta di Steve, gli altri Avengers avevano acconsentito a rispettare il suo bisogno di trascorrere del tempo da solo con se stesso, nel suo dominio, Pepper si era trovata da fare al lavoro e persino Fury gli aveva fatto la concessione di non presentarsi a infastidirlo circa il Progetto Winx e quanti altri dati aveva accumulato sulla magia di Loki e blablabla.
Soltanto lui e Jarvis.
«Bentornato a casa, signore».
Lui, Jarvis e un semidio comodamente seduto sul sofà con le gambe accavallate, come se farsi sorprendere in un’altrui dimora con gli abiti intrisi di macchie scarlatte – eppure in perfetto ordine, segno che quel sangue non gli apparteneva – fosse la cosa più normale dell’universo.
Trascorsi i primi secondi di smarrimento, Tony proruppe in un’esclamazione soffocata: «Jarvis, traditore, l’hai lasciato entr-!»
«Nessun tradimento, Stark». Loki si osservò la mano, assorto, prima di ravviarsi con disinvoltura i capelli. «Mi sono semplicemente teleportato. Jarvis non è programmato per prendere delle contromisure contro un trucco del genere».
Che il semidio conoscesse il verbo programmare era ancora peggio – non avrebbe dovuto permettergli di leggere tutti quei libri, durante il suo breve soggiorno alla Stark Tower. Se la conoscenza di Loki si fosse estesa anche alla tecnologia, non voleva immaginare che cosa sarebbe accaduto.
«A ogni modo, mi offendi,» aggiunse il semidio, scoccandogli un’occhiata pungente «credevo saresti stato più contento di vedermi».
«Scusa se sono un tantino disturbato dal vederti apparire in casa mia grondante sangue!»
Loki aggrottò la fronte, abbassò gli occhi sulle vesti, risollevò pigramente il capo e ribatté: «Oh, questo? Ti ringrazio per la premura, ma non è il mio». Sulle iridi verde chiaro calò un velo nero che lo fece apparire più antico, più pericoloso. «È dell’Incantatrice. Non so se te l’abbiano detto, ma ho pensato di ricordarle qual è il prezzo da pagare quando mi si tradisce».
Tony era curioso per natura, ma quella volta non volle sapere altro, non era necessario e non era sicuro che, dopo tutta la morte che aveva visto, sarebbe stato in grado di tollerarlo, anche se si trattava di un nemico, anche se quella donna non avrebbe esitato un secondo prima di ucciderlo.
Il semidio si riscosse, la ferinità della sua espressione venne meno. «Tu sei turbato, Stark. Forse disapprovi che io abbia ottenuto vendetta per i tuoi morti?»
Per una volta, Tony rifletté con cura sulle proprie parole prima di pronunciarle: «Abbiamo metodi diversi, Loki. Mi dispiace, davvero, di non essere nato mostro assetato di sangue. La prossima volta mi impegnerò di più, parola di scout». Non che il risultato fosse meno fatale, anche quando tentava di concentrarsi.
Sfortunatamente il suo organismo non riusciva ad accettare di fare a meno del sarcasmo, in particolar modo in compagnia di Loki.
Peccato che molto spesso il semidio non cogliesse il suo senso dell’umorismo.
Questi dovette prendere la sofferta decisione di concedergli ancora qualche anno di vita, perché si limitò a studiarlo per un lungo istante, in silenzio, prima di mormorare: «Quando ti sei svegliato?»
Il cambio di argomento fu talmente repentino che Tony boccheggiò, smarrito. E poi Pepper si lamentava che pensava troppo in fretta, parlava troppo in fretta e che lasciava fuori tutti gli altri dalla sua mente e così facendo non si sarebbe mai fatto degli amici, ma – quasi dimenticava – in effetti Loki non aveva amici, forse il motivo era lo stesso per cui Pepper lo rimproverava, e non era importante perché non aveva ancora risposto e le sopracciglia del semidio si stavano sollevando a un’angolazione poco rassicurante.
E si diceva che gli dei fossero pazienti.
«Una settimana fa» replicò, Loki annuì, assorto, Tony si domandò che cosa stesse meditando, si stancò di chiacchierare con il proprio cervello e buttò lì un argomento qualsiasi. «Tu sei tornato da molto?»
«No».
Non aggiunse altro, si limitava a guardarlo, come se avesse in mente qualcosa, oppure stesse aspettando che qualcosa accadesse, Tony non riusciva a stabilirlo e cominciava a provare un certo disagio sotto l’esame di quegli occhi penetranti. Di conseguenza provò a ravvivare la conversazione: «E da quanto di preciso…?»
«No, Stark» lo interruppe di colpo il semidio, un istante prima seduto mollemente sul divano, l’istante dopo di fronte a lui, vicino, vicino. «Non ti interessa».
Poi Loki lo stava baciando e non erano più in piedi, ma in qualche modo era finito seduto e il semidio sulle sue gambe, a cavalcioni, le dita strette sulla sua camicia e la lingua contro le sue labbra, in bocca, avvinghiata alla sua, e – era vero – non gli interessava.
«Jarvis,» mugugnò in una pausa tra un bacio e l’altro «non ci sono per nessuno. Fino a domani».
Loki arricciò le labbra tumide in un sogghigno famelico e Tony avrebbe voluto avere il tempo di correggere il tiro – domani non bastava, aveva bisogno almeno di una settimana – ma il semidio insinuò una mano nello spazio tra i boxer e la sua pelle, le dita lunghe e sinuose che avvolgevano la carne bollente, le gambe che lo serravano in una morsa estremamente piacevole, il bacino che si muoveva con una lentezza esasperante contro il suo, e nient’altro aveva davvero importanza.
 
 
Al proprio risveglio, Tony non riuscì a stupirsi nel trovarsi nel proprio letto anziché sul sofà o dovunque si trovassero lui e Loki l’ultima volta che il suo cervello aveva provato un guizzo di curiosità nei confronti dell’ambiente circostante.
A spingerlo seduto, ancora per metà immerso nel sonno e sbadigliante, fu la sconcertante consapevolezza di essere solo.
Fu abbastanza per costringerlo a scrollarsi e guardarsi attorno con attenzione per individuare il semidio in piedi accanto a una delle vetrate che rivestivano le pareti, di spalle, immobile e nudo come una statua di marmo.
«Devo andare, Stark».
Non si era voltato, non sembrava neppure che stesse respirando, eppure sapeva che lui era sveglio e lo stava fissando. Ancora non del tutto strappatosi al torpore, Tony impiegò diversi secondi a comprendere quell’affermazione. Non una domanda, non un’incertezza, non devo andare? o forse dovrei andare. Solo me ne vado.
Eh?
Cercò di uscirsene con qualcosa di meglio di quello che la sua mente gli propinò. Non ottenne risultati soddisfacenti. «Eh?»
«Sono stato lontano dal mio regno troppo a lungo. Il mio popolo ha riportato una vittoria, ma ci sono state delle perdite anche tra gli jotun». Loki si volse con lentezza, Tony si prese tutto il tempo per ammirare il suo corpo statuario alla luce della luna. «Hanno capito quando ho detto loro che dovevo vendicare delle morti; ora, tuttavia, è giunto il momento che dedichi loro la mia attenzione. D’altra parte, non c’è posto per me, su Midgard: non vorrei creare uno spiacevole incidente diplomatico. Io sono di Jotunheim, adesso».
«Beh, a Jarvis sei sempre piaciuto» gli sfuggì e, Dio, non aveva proprio nient’altro con cui rendersi ridicolo? Si schiarì la gola per darsi un tono e aggiunse: «Voglio dire, puoi tornare».
«Lo farò, Stark». Un sorriso aleggiava sulle labbra del semidio mentre gli si avvicinava a lunghe falcate che lo facevano apparire senza peso, intangibile, eloquenti dimostrazioni della sua grazia millenaria. «Anche se non posso prometterti quando. Però lo farò».
Tra loro, me ne vado bruciava.
«Rimani stanotte» propose Tony prima che il filtro tra il cervello e la bocca potesse fermarlo – sempre che ne avesse uno.
Considerando nella penombra l’espressione dipintasi sul volto di Loki, ebbe la duplice quanto contraddittoria impressione che stesse aspettandosi quell’offerta e ne fosse compiaciuto, oppure che fosse indeciso sulla risposta da dare.
Dopo un secondo che parve cristallizzarsi in dieci anni, il semidio appoggiò un ginocchio sul bordo del materasso, lo afferrò per la spalla e lo attirò a sé. Soffiò sulla sua bocca, il fiato caldo e impalpabile contro la sua pelle.
«Solo stanotte».
Fu allora che a Tony sovvenne un dubbio, fino a quel momento relegato in un angolo della memoria, e sapeva che Loki era sul punto di baciarlo, ma quella domanda lo stava tormentando da giorni. Spezzato tra il desiderio di tacere e assecondarlo e quello di porgli il quesito, finì con il farfugliarlo senza particolare coerenza e baciarlo al tempo stesso.
Il semidio sospese il bacio con uno sbuffo irritato e su Tony si aprirono due pozzi di fastidio. «Cosa c’è ora, Stark?»
Quella fu probabilmente l’unica volta in cui Tony Stark maledisse la propria parlantina, di cui altrimenti andava molto fiero – come d’altra parte andava fiero di qualsiasi parte di se stesso. «Mi ero dimenticato di chiederti perché non mi hai ucciso. Quel giorno, intendo, quando tu eri nella cella dell’Elivelivolo e volevi conquistare il mondo e- sì, insomma, hai capito».
Loki lo fissò, forse non del tutto convinto che fosse uno scherzo o meno, poi, colta l’ingenua spontaneità nel tono e nello sguardo del midgardiano, non riuscì a trattenere un sogghigno. «Oh, quel giorno. Credi davvero che sarei stato così imprudente da rivelare che potevo lasciare liberamente quell’inutile prigione?»
Non gli lasciò il tempo di elaborare l’informazione, ma Tony non aveva alcuna intenzione di risentirsi.
 
 
Il fruscio delle vesti che scorrono sulla pelle nuda, assordante nel silenzio.
«Thor si prenderà cura di te durante la mia assenza».
Poco più di un sussurro nella stanza intrisa di sonnolenta oscurità.
«Thor… Thor?!»
Lo sfolgorare di un sorriso, il baluginio verde della magia che appariva e spariva, e portava via con sé tutto, meno che un ultimo saluto.
«Thor sa tutto, Stark».




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Questo momento, il momento di concludere Save your enemy, è arrivato prima di quanto pensassi. Ammetto che avevo cominciato questa fanfiction con l'intenzione di finire da tutt'altra parte: all'inizio era una storia su cui dovevo sfogare tutti i miei p0rnfeels, poi è finita col diventare una storia piena d'azione (rispetto ai miei standard, almeno), in cui per certi versi l'IronFrost principale è passato in secondo piano, anche se (come avrete senza dubbio notato XD) non ha mai smesso di essere parte integrante della trama. Quest'ultimo capitolo, notevolmente più breve degli altri, vuole ricollegarsi al prologo, vuol essere un capitolo per tirare le fila di tutto ciò che è successo (il titolo, tra parentesi, si rifà a quello del prologo, Prelude of the fall, per sottolineare che la caduta è terminata) e, beh, volevo anche un momento da infarcire di FrostIron e, almeno in parte, di p0rnfeels. Con una mancata scena di sesso, lo so, ma che volete farci? Ogni volta che mi propongo di scrivere p0rn (beh, quasi ogni volta) alla fine prende tutto una strada strana.
Ciò detto, passo ai ringraziamenti. Mi sembra inutile fare copiaincolla delle liste di chi ha inserito la storia tra i preferiti/seguite/whatever, ma ci tengo se non altro a dire grazie a tutti quelli che hanno letto e commentato questa storia. I vostri pareri sono stati molto importanti per me e mi hanno spronata a portare a termine Save your enemy (ritengo doveroso anche citare Shi_Tsu_Geass per aver fatto richiesta d'inserire Save your enemy tra le Storie Scelte. Grazie!). Grazie per esservi sorbiti novanta pagine di Word, grazie.
  
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