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Autore: Pendragon of the Elves    13/10/2012    3 recensioni
Non era una bambina forte. Forse un giorno lo era stata ma da quando era in quell'orfanotrofio aveva perso ogni volontà di combattere: la sua autostima e la sua considerazione di se stessa erano in frantumi nel suo giovane cuore. La sua vita era un incubo: ogni speranza di felicità sembrava persa. Per fuggire alla sua dolorosa realtà si rinchiudeva sempre più in se stessa ogni giorno che passava, nacondendosi dai bambini crudeli che l'avevano distrutta facendola scivolare in un'apatia solitaria. Non aveva nessuno al mondo.
Così dal suo mondo dell’impossibile, seduta su colline invisibili, aspettava. Cosa? Non lo sapeva bene nemmeno lei. Scivolava, così, insensibile negli anni delle sua vita, lasciandola scorrere via lentamente fino al giorno in cui l’avrebbe lasciata del tutto. Voleva soltanto che qualcosa la portasse via di lì, fosse stata anche la morte non si sarebbe voltata indietro. E invece, arrivò Watari...
La storia di una bambina, senza nome e senza passato a cui viene offerta la possibilità di crearsi un futuro. Ma ce la farà lei, così debole e insicura, a trovare la sua strada senza perdersi tra le fulgenti stelle della Whammy's House?
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The Softness of a Bed
 

«Datemi la mano, così non rischiate di inciampare», fece Ichigo.
«Se posso permettermi, con te rischiano il doppio…», osservò Nicole.
«Già, forse hai ragione», ridacchiò.
«Comunque, scusate ma a quest’ora non possiamo accendere le luci: sono già tutti a dormire, quindi cerchiamo di fare piano…».
Salirono in silenzio la prima rampa di scale, ritrovandosi in un pianerottolo deserto ed oscuro. Omicron credette di sentire il suo piccolo cuoricino fermarsi di fronte a quella immensa ed impenetrabile parete nera: quello era il dormitorio dove tutte avrebbero dovuto dormire? Un comune dormitorio grande e buio per dormire senza intimità per tutta la notte?  Alla fine, il suo cuore tirò un sospiro di sollievo quando quelle paure vennero fugate, veloci come si erano materializzate.
«Il dormitorio è nel piano sopra di questo…».
«Meno male!», sospirò Fi, «non so se avrei abbastanza forza per sostenere un’altra gradinata senza accasciarmi sui gradini e addormentarmi li!».
Salirono, questa volta ancora più in silenzio, la seconda rampa fino a sbucare timidamente in un corridoio buio. Tutto sembrava tacere addormentato. Se si concentrava, o in virtù del suo udito sviluppato da anni passati a tendere ansiosamente le orecchie o della suggestione, poteva quasi sentire il lieve rumore di tanti silenziosi respiri nell’oscurità attorno a loro. L’unico segno di attività era un flebile fascio di luce che proveniva da sotto la prima porta del corridoio alla loro sinistra. E, da qualche parte nel buio, un leggero rumore di tasti.
«Da questa parte», sussurrò Nicole, conducendole a sinistra. «Ora, cercate di fare piano: la nostra stanza è dall’altra parte del corridoio».
Zampettarono in silenzio come topini, scivolando contro il muro, fino a quando Nicole non le trascinò velocemente verso una porta. La aprirono e vi ci si infilarono velocemente.
«Ah, finalmente!», fece Ichigo, «fatemi un applauso: sono riuscita ad arrivare fino a qui senza inciampare neanche una volta!».
«Sono contenta per te ma ora stai ferma, per non rischiare di rovinare il tuo record… sempre che tu riesca a rimanere ferma per più di un istante, almeno finché non accendo la luce… Ah, dannazione! Mi sono persa…».
«Non preoccuparti, ho una torcia!».
«Tu hai una… cosa?».
«Ecco fatto!». Sì sentì un piccolo clic e un sottile fascio di luce bianca illuminò da sotto il viso di Ichigo: visto così sembrava ancora più spaventosamente maniacale.
«Un giorno dovrai spiegarmi da dove tiri fuori certi oggetti…», mormorò Nicole.
«Già, forse… magari un giorno anche tu sarai degna di condividere la mia immensa saggezza».
«Basta che questo non comporti acquisire anche il tuo equilibrio…».
«Uffa! Se l’uomo fosse nato per stare in equilibrio sarebbe nato soprammobile! O almeno con una coda…».
«Piantala di sparare cavolate e dammi quella torcia!», afferrando la fonte di luce, Nicole si diresse verso un comodino ed accese una lampada posata su di esso. Una fredda luce bianca  finalmente la stanza: non era molta e non era abbastanza per illuminare perfettamente l’ambiente ma contribuiva a creare un’atmosfera rilassante e conciliante per il sonno. Tuttavia, a Omicron bastò per darle un’impressione sulle dimensioni della camera.
La prima cosa che notò era che la luce veniva proiettata sulla vernice bianca molto più in alto di quanto ci si sarebbe aspettati: dovevano esserci almeno 5 metri tra il pavimento e il soffitto. Solo per questa altezza insolita la stanza poteva definirsi “grande”, in quanto occupava notevole volume soprattutto estendendosi verticalmente. Per il resto aveva forme e dimensioni normali: era un semplice ambiente rettangolare dalle pareti bianche. Su quella di sinistra c’erano una scrivania e un’enorme scansia a ripiani mentre sulla sinistra c’erano un’altra scrivania, un armadio a due ante e una porta di legno. Sulla parete di fronte a loro, invece, c’erano i letti. E che letti.
Omicron aveva sentito parlare di un cosa chiamata “letto a castello” in vita sua ma, ciò che vedeva ora, oltrepassava e umiliava la leggenda. Del resto, lo spazio di una stanza con un’altezza del genere, era logico venisse sfruttato di conseguenza, coerentemente con queste dimensioni, ma a vederlo coi propri occhi era semplicemente sconvolgente.
Niky, Fi e Omicron fissarono sbalordite il letto a castello di ben tre piani che si ergeva dinnanzi a loro nella semi oscurità.
«Dovete scusarci, ma non potevamo sapere che sareste arrivate oggi», disse Nicole frugando nell’enorme armadio a due ante, talmente profondo che ci scompariva dentro con tutto il busto, «quindi non ci siamo preparate a dovere. Per ora, dovrete usare i nostri vestiti. Accidenti… dov’è quel dannato pigiama? Ah, eccolo!», fece, sbucando dall’armadio con in braccio tre pigiami invernali per le ospiti. «D’altronde…», disse, «non vi avranno lasciato portare indumenti personali dall’orfanotrofio con voi, o sbaglio?».
«No», ammise Niky, «possono essere materiale compromettente…».
Nicole sorrise, «Già, è esattamente quello che hanno detto anche a me. Comunque, questi sono per voi», disse porgendo loro i pigiami, «ne abbiamo altri di sotto ma ora è tardi per andare a prenderli: per oggi dovrete usare questi».
«Tieni», disse Ichigo, porgendo a Omicron un pigiama bianco con le maniche rosse, «questo è mio: dovrebbe andarti bene».
«G-grazie…».
In verità le sarebbero andati bene tutti, dato che, anche se piccola, non era molto più bassa di loro, ma apprezzò comunque la premura.
«In bagno ci sono degli asciugamani puliti, potete usare quelli se volete lavarvi.», continuò Nicole, «Purtroppo mancano gli spazzolini e qui non ne abbiamo in più: temo che per ‘stasera dovrete fare a meno di lavarvi i denti».
«Sopravvivremo», fece Fi, «ma… dov’è il bagno?».
«Lì», Ichigo indicò la porta di legno che si apriva a fianco dell’armadio.
«Avete un bagno tutto vostro?», esclamò Fi, strabuzzando gli occhi.
«Sì, siamo tra le poche privilegiate che hanno un bagno nella camera», fece Ichigo, «i bagni comuni sono su questo piano. Comunque, andate pure a prepararvi: noi eravamo già pronte prima, dobbiamo solo metterci il pisclama».
«Il cosa?».
«La parola di Ichigo per dire “pigiama”», intervenne Nicole.
«Ah…».
 
Omicron fu l’ultima a prepararsi. Si mosse con molta cautela per non fare troppo rumore sapendo che, dall’altra parte del muro, c’erano degli altri orfani che dormivano. Si lavò con uno spaventoso timore addosso: il fracasso provocato dalla poca acqua che usciva dal lavandino era a dir poco imbarazzante, nonché tremendamente esagerato. Si stupiva ogni volta di quanto ogni rumore apparisse maledettamente amplificato di notte o quando si desiderava non essere uditi.
“Certo che il silenzio è una cosa davvero fragile…”, pensò.
Con altrettanta riluttanza, infilò il pigiama di Ichigo: si stupì di quanto fosse morbido e confortevole. In effetti, però, era un po’ largo e volteggiava attorno alla sua piccola figura senza riuscire a scaldarla perfettamente. E doveva ammettere, che era da un po’ che sentiva freddo.
Aprì piano la porta del bagno e la richiuse attentamente dietro di se. Proprio in quel momento si stava discutendo di come organizzare i letti. Fu Fi a lanciare il discorso.
«Allora… noi dove dormiamo?», cercava di dissimulare ma era palese che desiderava soltanto andare a dormire e, desumibile dalle occhiate malcelate che lanciava verso il letto, a uno dei piani sopraelevati. Si vedeva, però, che aveva già capito di non avere speranza di conquistare quei posti.
«Ah, dove volete», fece Nicole, «qualcuna di voi soffre di vertigini?».
Le altre si guardarono.
«No, perché?».
«Perché io e Ichigo dormiamo sotto: io soffro di vertigini e Ichigo… Beh, avete visto che razza di equilibrio si ritrova: cerchiamo di evitare una tragedia».
«Senza contare che sono sonnambula ad intermittenza!», sorrise Ichigo.
Niky e Fi le guardarono come se fossero pazze. Omicron poteva quasi leggere i loro sguardi: “Avete un letto a castello a tre piani e dormite nel più basso?”. In effetti, la cosa era davvero sorprendente, un vero colpo di fortuna: nessuno sano di mente (o che soffre di vertigini e/o sonnambulismo) si sarebbe fatto scappare un’occasione simile.
«Io di sopra!», dissero Fi e Niky in contemporanea.
«Io verso il muro, però!», fece Fi.
«D’accordo…», sbuffò Niky.
Poi, come folgorate, si voltarono verso Omicron, leggermente imbarazzate, guardandola con occhi leggermente colpevoli.
Lei ricambiò quello sguardo con sorpresa e velata agitazione: non capiva il perché di quello sguardo (tantomeno di quell’attenzione che non era abituata a ricevere).
«C-che  c’è? Ho f-fatto qualcosa di male?».
«No», esitò Niky, «ma noi sì… scusa: volevi…», si interruppe, «sicura di non voler stare tu di sopra? A me va bene anche quello sotto…».
Omicron la guardò con gli occhi spalancati, incapace di credere a quello che aveva appena sentito: loro… l’avevano presa in considerazione? Era impossibile, eppure non poteva essere altrimenti. Era talmente emozionata che riusciva solo a sentire il suo cuore battere come un tamburo in un momento di rullante ma potente come una grancassa. Si sentì molto strana, imbarazzata, forse, ma non a disagio: era la prima volta che qualcuno usava una tale premura per lei. La prima. E non sapeva come comportarsi. Frugo disperatamente nella mente alla ricerca di parole adatte da usare – come una ragazza in ritardo che cerca dei vestiti nell’armadio accumulandoli sul letto dopo una breve occhiata – fino a che non trovò quelle giuste. Le guardò con gli occhioni limpidi, lucidi e profondamente grati e le sfoderò con la forza data dall’intensità della sua gratitudine. «No, grazie: preferisco dormire in quello di mezzo».
Stette un attimo zitta e ferma, con lo sguardo perso nel vuoto, come ricordando e assaporando il colore dell’attimo appena trascorso, neanche fosse una grande esperienza. Era piuttosto ridicolo ammetterlo e davvero incredibile da constatare ma, per lei, era davvero un’esperienza di vita (sapeva ancora così poco di comportamenti in società).
Niky e Fi si guardarono, sorprese da un atteggiamento così bizzarro, senza sapere esattamente cosa rispondere.
«Ok… d’accordo…», fecero, mentre si accingevano a salire la scaletta del letto a castello.
Omicron salì dietro di loro e, cautamente, s’infilò in quello che aveva scelto essere il suo nuovo letto: quello al primo piano del castello affiancato alla parete. Scostò piano quel piumone blu notte e ci si infilò. Rimase quasi estasiata da quanto era morbido: il materasso era vecchio e confortevolmente molle ed il cuscino di piuma soffice come una pagnotta. Il letto era ancora freddo e lei prese a tremare leggermente ma, quando si distese, le sembrò di stare su una nuvola.
«Bene», disse Nicole con voce assonnata, «io spengo la luce, vi va bene?».
«Non c’è problema», sbadigliò Niky dal piano di sopra.
«D’accordo. Buona notte a tutte: ci si vede domani mattina».
E con un piccolo click, la stanza tornò a piombare nel buio.
Omicron rimase immobile: si ricordava fin troppo bene quanto nel suo vecchio orfanotrofio temesse l’ora del coprifuoco che era per tutti, senza nessuna eccezione, alle nove di sera. Aveva sempre paura in quei momenti: la sera recava sembra con se un’angoscia inimmaginabile man mano che si avvicinava l’ora fatale. Ma il terrore raggiungeva il culmine solo quando venivano spente le luci. Il suo cuore prendeva a battere talmente forte quelle volte che era un miracolo che non lo sentissero anche al piano di sotto. Non aveva affatto paura del buio o dei mostri sotto al letto come gli altri bambini. Anche perché i mostri che temeva lei non si trovavano negli armadi o fuori dalla finestra pronti ad entrare, ma dormivano anche loro nei letti -tutti distesi immobili in letti dalle lenzuola bianche come i cadaveri negli obitori- decine nella stessa stanza assieme a lei, chiusi tutti fino all’alba con il divieto più assoluto di uscire. Decine contro una sola.
Eppure, in quell’istante, nel suo piccolo cuoricino non c’era affatto inquietudine: solo un profondo, semplice e immenso senso di tranquillità come non l’avrebbe mai provato nella in tutti quegli anni. Ma stava pensando troppo al passato: ora era lontano da quella vita, era lì, in quel suo lettuccio morbido che la isolava del resto del mondo crudele tra quelle coperte, tra quelle mura già così accoglienti. E nelle sue orecchie risuonavano soltanto quelle tenere, incredibilmente dolci parole: “Buona notte”.
Ora, non c’era motivo di avere paura, perché era lì con le uniche persone al mondo che sarebbe stata contenta di rivedere la mattina dopo.





                                              




 

Fine Seconda Parte



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Un saluto a tutte le anime buone che ancora leggono questa storia indegna di tale nome!
Mi dispiace per il ritardo spaventoso (più di un mese... Dio, sono un mostro!) ma queste settimane di scuola sono state terribli e sono passate in un turbine indistinto di maledizioni contro la scuola, la vita, sonni confusi, interrogazioni freneiche e imprecazioni varire. Il tempo è diventato un'opinione nella mia testa. Alla fine non mi sono accorta che era passato tanto tempo, mi ero quasi dimenticata di dover aggiornare. Inutile dire che non sono nemmeno riuscita ad andare avanti a scrivere: lo cofesso, ho pronto solo un capitolo e mezzo ancora. Dall'altra parte, mi stanno venendo delle buonissime idee per sfruttare i cosigli delle anime gentili che mi hanno consigliato (grazie, ragazze! T T). Insomma, alla fine ho deciso di far finire quì la seconda parte del racconto per giustificare un futuro ritardo di pubblicazione che, praticamente, si tradurrà in una pausa di uno o due mesi durante i quali scriverò: lo prometto. Mi disciace lasciarvi con un capitolo così insulso ma mi sembrava significativo terminare quì: ci rivedremo col mattino e, si spera, con dei capitoli scritti decentemente.
Inutile dire che sono ancora aperta a eventuali consigli per OC (però vi prego, non fateli diventare tutti amici di Omicron: non è che diventa una bomba di socialità! xD) o per aggiungere particolari mentre vi lascio senza spoiler per le ideuzze che mi sono venute per quelli che mi avete dato... sono malvagia, lo so! ;)
Se proprio vi manco troppo -oppure (più palusibilmente) volete un'altra opportunità per dirmi tutte le parolacce che mi merito- sappiate che scriverò una storiella brividosa su Death Note per Halloween: non vedo l'ora! :3
Ringrazio tutti quelli che hanno seguito letto questa storia fino a qui, tutti quelli che hanno recensito, la mia sempre presente Hamber of the Elves e quegli angeli che mi hanno donato dei consigli, Eru Roraito, chiarelle99 e Mikusama: mi avete dato la forza per andare avanti, vi adoro!
Ci vediamo presto!

Pendragon of the Elves


P.S.: Se c'è qualcuno a cui piacerebbe che i titoli dei capitoli fossero scritti col font della "L" di L, fatemi sapere... ;)

P.P.S.:[L'immagine non è mia]

  
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