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Autore: funkia    25/04/2007    34 recensioni
Se n’era andata in una tipica giornata di pioggia inglese, tra le sue valigie e vestita del suo cappotto preferito aveva mostrato un sorriso che avrebbe dovuto essere rassicurante per chi restava ma che faceva trasparire tutti i timori che si teneva dentro. Con un cenno forse un po’ troppo frettoloso era salita sull’aereo. Ciao. Arrivederci. Addio. Nessuno seppe mai cosa significava veramente quel gesto veloce, quel mezzo sorriso, quella stessa partenza. Si era solo chiuso un capitolo per aprirne un altro. … Però dite la verità, chi di voi non è mai tornato almeno su un capitolo una seconda volta?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Hermione Granger

                                   HI MUM, THIS IS MY BOSS

 

 

Do you ever feel like breaking down?
Do you ever feel out of place?
Like somehow you just don't belong
And no one understands you

 

                                                                     Simple plan- Welcome to my life

 

 

Hermione Granger. L’ultima volta che l’Inghilterra ebbe l’opportunità di vederla aveva solo diciannove anni, una ragazzina con un cervello troppo grande per essere sprecato. E qualcuno se n’era accorto.

Non ebbe nemmeno il tempo di uscire dalla scuola e diplomarsi che il Dipartimento degli Studi Magici Avanzati di Vienna l’aveva contattata offrendole un cospicuo posto di lavoro. Aveva accettato. Senza troppi pensieri, senza troppo rimuginare.

Chiunque poteva capirla, era appena uscita da una guerra dove aveva perso molti amici, conoscenti, e tutto quello che si vuole è cercare di ricostruirsi una vita nuova, magari perché quella vecchia è troppo difficile da mandare avanti, magari perché ci si rende conto di non essere più gli stessi.

Aveva accettato. Punto.

Se n’era andata in una tipica giornata di pioggia inglese, tra le sue valigie e vestita del suo cappotto preferito aveva mostrato un sorriso che avrebbe dovuto essere rassicurante per chi restava ma che faceva trasparire tutti i timori che si teneva dentro. Con un cenno forse un po’ troppo frettoloso era salita sull’aereo.

Ciao. Arrivederci. Addio.

Nessuno seppe mai cosa significava veramente quel gesto veloce, quel mezzo sorriso, quella stessa partenza. Si era solo chiuso un capitolo per aprirne un altro.

Però dite la verità, chi di voi non è mai tornato almeno su un capitolo una seconda volta?

 

 

                                                                                      *

 

 

Era un giorno tipicamente inglese, come tanto piaceva chiamare a sua madre. Pioggia a catinelle e un cielo grigio e denso di nuvole, il traffico congestionato e la vita spenta e monotona. Lui, chiuso nel suo impermeabile color cammello, che decisamente faceva a cazzotti col colore acceso dei suoi capelli, camminava tra la gente in tranquillità come facendo una passeggiata di piacere.

 

Sorrise incontrando con lo sguardo gli scatti nevrotici delle persone accanto a lui che non avevano un secondo di tempo da perdere. Il Ministero non era lontano da casa sua, solo qualche isolato, e ci si sarebbe potuti risparmiare una bella fatica usando il camino di casa, ma in tanti anni di carriera aveva sempre preferito camminare. Camminare lo rilassava, lo faceva sentire diverso da tutte quelle persone che non si soffermavano un minuto continuando freneticamente la loro vita, mentre lui oh se pensava. Camminare era il suo rifugio dalla realtà.

 

In quelli che gli sembrarono davvero pochi minuti raggiunse un immenso palazzo e furtivamente vi scivolò all’interno facendo ben attenzione a non essere visto dai Babbani. L’ascensore, secondo piano, quarta porta a sinistra.

 

Aprì la porta del suo ufficio senza ormai badare più alla targa che vi luccicava sopra e la chiuse scaraventando il cappotto contro l’attaccapanni alla sua destra. Due passi verso la caffettiera e riempita una tazza diretti verso l’ufficio.

 

Passò un corridoio pieno di scrivanie salutando qua e là gli impiegati e chiusosi la porta del suo personale ufficio alle spalle, si lasciò andare sulla sedia rilassandosi completamente. Dopo due minuti contati un colpo alla porta e l’entrata di Susan, la segretaria.

 

“Signor Weasley, si può?”

 

Ron rivolse un sorriso sereno alla signora ormai non più giovane facendole cenno di entrare “La mia porta è sempre aperta per te, lo sai. Dimmi pure”

 

“Vorrei solo ricordarle che questo è il mio ultimo giorno” Ron la guardò perplesso “Oh, lo sapevo che se n’era dimenticato, accidenti giovane, io sarò pure vecchia ma la tua memoria ha davvero qualcosa che non va!”

 

Ron scoppiò in una risata. Susan le piaceva tanto e lo faceva ridere. A suo modo le ricordava tanto sua madre coi suoi atteggiamenti protettivi e materni, nonostante fosse un’eccellente impiegata dava quella giusta intonazione come se non parlasse al suo capo ma a suo nipote.

 

“Scusami Susan, lo sai come sono fatto. Dopo tutti questi anni insieme mi lasci così, a cuor leggero?”

 

La donna si mise le mani sui fianchi “Senti un po’ giovanotto, ho ottantadue anni io, quando vorresti farmi andare in pensione? E scommettiamo che non farai fatica ad abituarti alla nuova segretaria? E’ una bella ragazza di trent’anni freschi freschi, proprio come il bel giovane che mi siede davanti”

 

Ron rise di nuovo al tono malizioso della donna e scosse la testa. Gli dispiacque pensare che non avrebbe più visto Susan in quel ufficio, non poter ridere ai suoi modi di fare e sentirsi un po’ come a casa sua.

 

“Spero che la nuova segretaria sappia il fatto suo, non è facile rimpiazzare una come te”

 

“Se cerca di farmi arrossire non c’è riuscito, Signor Weasley, la mia pensione me la deve tutta e non le lascerò qualche centesimo di più solo per qualche lusinga!” Ron nascose un sorriso “E la nuova segretaria l’ho istruita io!”

 

Ron annuì distrattamente controllando alcuni fogli che erano sparsi per la scrivania, alcuni provenienti da altri reparti del Ministero, altri da esterni stessi, uffici privati. “Mh…e come hai detto che si chiama?”

 

“Non l’ho detto, testone!” la donna cominciava davvero a spazientirsi ma lei stessa non poté fare a meno di sfociare in un sorrisetto divertito. “Sai che faccio, ti fisso un appuntamento con lei stasera, almeno ci parli di persona”

 

Ron alzò la testa guardandola stranito “Da quando mi dai del tu?”

 

“Da quando sto per andare in pensione!”

 

Susan uscì sbattendo la porta alle sue spalle e Ron si lasciò sfuggire un’altra risata sommessa. Non aveva nessun dubbio, nessuno sarebbe riuscita a rimpiazzare quella dolce vecchietta un po’ strampalata con energia da vendere.

 

Dopo qualche minuto e diversi sorsi di caffè decise di mettersi a lavoro e portatosi un pacco di fogli davanti agli occhi cominciò ad esaminarli uno ad uno, firmandone alcuni, timbrandone altri, trascrivendo il necessario su dei tabulati appositi e archiviarli.

 

Dipartimento degli Studi Magici Avanzati.

 

Suonava così fine detto così, eppure ogni giorno di più si trovava a pensare che non ci fosse niente di così affascinante in quel nome, tanto quanto il lavoro che doveva svolgere. Doveva riconoscere che essendo il Capo aveva ben poco da fare lì, assicurarsi che tutto andasse per il verso giusto e controllare eventuali esami su incantesimi e cose di questo genere, ma d’altronde non aveva le qualità per svolgere la parte più interessante del lavoro: collaudare nuove fatture e incantesimi.

 

Tuttavia non poteva di certo lamentarsi, amministrava un intero reparto e svolgeva un lavoro semplice ma allo stesso tempo piacevole, poteva andare dovunque in quell’ufficio e divertirsi tra i nuovi esperimenti. Un eterno bambino. Sua madre glielo diceva sempre.

 

Un sonoro crack lo riscosse dal suo intrattenimento e alzata la testa sorrise all’amico moro con dei brillantissimi occhi verdi invariati negli anni. Harry Potter, Auror.

 

Harry era rimasto suo amico in tutti quegli anni nonostante la sua notorietà come eroe del mondo magico. Era diventato un Auror proprio come avrebbe voluto, Ron aveva sempre scosso la testa con un sorriso dicendo che quando Harry Potter vuole qualcosa siamo sicuri che prima o poi la otterrà.

 

I suoi capelli spettinati e gli occhi della sua caratteristica tonalità erano l’unica cosa che potesse ricordare all’Harry Potter bambino, il suo fisico si era irrobustito negli anni e quello che era uno smilzo ragazzetto si era trasformato in un uomo a tutti gli effetti con tanto di barba incolta.

 

“Ehi, turno di mattina? Allora, come va ai piani alti?”

 

Harry alzò le spalle stancamente e si sedette sulla sedia davanti a Ron mandando la testa all’indietro. Sbadigliò sonoramente e tornò a guardare l’amico con uno sguardo provato.

 

“A dire il vero avevo turno di notte, ho appena finito e ho pensato di fare un saluto veloce. Non è che hai del caffè, eh?”

 

Ron rovesciò la tazza con un sorriso “Finito. Com’è che finisci un turno di notte alle…” diede uno sguardo all’orologio “…quattro di pomeriggio?”

 

“I soliti teppisti hanno pensato che stregare qualsiasi oggetto Babbano nel raggio di un chilometro fosse la cosa più divertente da fare in una nottata come questa. E tu cos’è quell’aria malinconica?”

 

“Pare che oggi sia giorno di lutto, Harry”

 

Harry corrucciò la fronte un po’ allarmato “Lutto? …non è…cioè…”

 

“Susan va in pensione, è il suo ultimo giorno”

 

“No!” Harry si mise dritto sulla sedia con uno sguardo incredulo. Susan era sempre piaciuta particolarmente ai due ragazzi, forse appunto per i suoi modi protettivi, e anche Harry, sebbene non lavorasse in quel dipartimento, l’aveva sempre vista come una zia. Le classiche zie strampalate che abbiamo tutti, molte delle quali hanno la fissazione per i gatti.

 

Ron annuì gravemente e Harry si trovò a scuotere la testa. Rimasero in un religioso silenzio per i minuti seguenti fino a che Harry prese un respiro demoralizzato.

 

“Possiamo sempre invitarla alla Tana, non è vero? Ai tuoi piace Susan, si fanno sempre delle gran chiacchierate insieme. Insomma, è una di famiglia ha il diritto anche lei di partecipare alle cene”

 

“Sono sicuro che a mamma farà piacere. Susan non si libererà di noi così facilmente”

 

Harry ridacchiò al pensiero di loro due che infastidivano la vecchia segretaria e Susan che li inseguiva con un ombrello in procinto di tirarglielo sulla zucca. Si illuminò di colpo.

 

“Ma se Susan se ne va adesso…”

 

Ron annuì risistemando dei fogli sulla scrivania “Ho un colloquio con la nuova segretaria questa sera. Spero solo che sia puntuale, non voglio arrivare a casa tardi per cena. Ma Susan dovrebbe saperlo, quindi sono sicuro che le ha detto di venire massimo per le sei”

 

Harry abbozzò un sorriso “Sarai perso senza di lei, lo sai?”

 

“Lo so” disse gravemente Ron “Era l’unica che riusciva a salvarmi in ogni situazione, mi conosce meglio di quanto mi conosca io, sa le mie abitudini. Amico, si prospettano tempi duri senza Susan Walker qui dentro!”

 

Harry rise di nuovo ma si tranquillizzò distogliendo lo sguardo. Lentamente si umettò un labbro quasi senza accorgersene, completamente immerso tra i suoi pensieri. C’era solo una cosa che poteva distrarlo così. Una sola cosa. Lei.

 

“Come sta Ginny?”

 

Ron si mosse irrequieto sulla sedia e decise di non alzare lo sguardo su di lui. Odiava parlare di sua sorella con lui, odiava tutta quella situazione perché lui ne era l’intermediario, ma capiva Harry. Oh, se lo capiva.

 

“Sta bene, un po’ stanca. I bambini le portano via molto tempo”

 

Harry non disse niente ma continuò a guardarlo interessato. Stava morendo dalla curiosità di sapere ancora, di chiedere quello che in realtà non avrebbe voluto sapere. Perché ogni volta che chiedeva si più si sentiva morire dentro.

 

“E Mark?”

 

Questa volta Ron alzò i suoi occhi blu su Harry e sospirando pesantemente mise via i fogli che stava consultando. Uno sguardo compassionevole. Uno sguardo di qualcuno che ti capisce. Un amico.

 

“Loro… credo che non vada così bene, ecco. Ginny, lei sta sempre a casa nostra o fuori coi bambini. Mamma ha fatto due conti e ha notato che il tempo che passa a casa sua è durante l’orario di lavoro di Mark. Ma non sono affari nostri, giusto?”

 

Domanda retorica. Stupida domanda retorica. Invece sì che erano affari suoi, eccome se erano affari loro. Ma Harry disse quello che era più corretto dire in quel momento e si limitò a muovere la testa da una parte con un cenno.

 

“Giusto” rispose.

 

Ancora silenzio. Ancora comprensione. Poi due parole

 

“Io vado”

 

Ron annuì e lo guardò uscire dalla porta, niente smaterializzazione. E Ron lo conosceva troppo bene per sapere che se non usava quella tecnica era perché era troppo demoralizzato e perso tra i suoi pensieri. E Ron si conosceva troppo bene per non potergli dare ragione.

 

Ginny Weasley. No. Quella che un tempo era Ginny Weasley adesso andava a giro col nome di Ginny Tayler, casalinga e madre di due figli, Damian e Libby.

 

Come ci era finita in quella situazione non lo avrebbe saputo dire nemmeno lei. Sapeva solo di aver deciso che la vita che conduceva fino a quel momento non le andava più, che doveva cambiare aria, che dopo aver passato una guerra come quella aveva bisogno di riscoprirsi.

E aveva conosciuto Mark.

 

Non si erano frequentati a lungo prima che lui le chiedesse di sposarlo, neanche un anno di appuntamenti e tutte le classiche romanticherie di coppia appena sbocciata che si erano trovati a convivere felici con un anello al dito. E dopo due anni l’arrivo di Libby.

 

Harry non era mai riuscito a dimenticarla nonostante gli anni trascorsi, era come un demone che tornava a tormentarlo nei suoi sogni più proibiti, quelli in cui un tempo era costretto a dirsi che era la sorella di Ron e che ora lo costringevano a ricordare che era una donna sposata. Comprensibile, aveva affrontato una battaglia contro il Mago più potente di tutti i tempi solo col pensiero di tornare da lei e avere una vita insieme. Quello che aveva ottenuto era un cuore spezzato in due, totalmente.

 

Erano passati otto anni da quando Ginny si era sposata e Harry non era uscito con nessun’altra. Il motivo era semplice, non c’era nessun’altra che potesse rimpiazzarla perché lei era unica e lui lo sapeva. Non c’era ragione di cercare qualcun’altra perché lei era l’unica che avesse amato nel vero senso della parola, non come una cotta a cui va dato il giusto peso, il suo amore per lei non poteva avere misura.

 

Ron non aveva potuto dire una parola a riguardo o ci avrebbe rimesso il legame con la sorella, ma dentro di sé non poteva far altro che urlarle contro e di dare maledettamente ragione a Harry. Dentro di sé non poteva che mandare il pensiero a lei, Hermione Granger.

 

Dentro di sé sapeva di non potere.

 

Si alzò dalla sedia lasciando dietro di sé i suoi pensieri e uscito dall’ufficio prese a girare lungo le scrivanie degli impiegati fino a una stanza a un lato e senza bussare entrò.

La nuova camera era di un accecante bianco, completamente vuota ed enorme. Due uomini non troppo alti stavano l’uno davanti all’altro entrambi con la schiena alla parete e si lanciavano incantesimi tra di loro.

 

“Come procede qua dentro?”

 

I due si voltarono verso di lui, l’uomo più alto tra i due si asciugò la fronte facendo qualche passo nella sua direzione, entrambi a corto di fiato.

 

“Signore, non riusciamo a perfezionare l’incantesimo che abbiamo inventato. Continua a dare effetti collaterali”

 

Ron aggrottò la fronte “Effetti collaterali? Che tipo di effetti collaterali?”

 

I due uomini si scambiarono uno sguardo, poi l’altro uomo, più tarchiato e con una gran quantità di capelli biondo sporco, diede loro le spalle e si tirò giù i pantaloni. Ron non seppe se rimanere sconvolto o divertito dalla situazione che gli si presentava davanti ma decise di mostrare una faccia neutrale e magari un po’ perplessa davanti ai suoi dipendenti.

 

“Ehm…capisco. Avete già idea di come togliere quelle…ma cosa sono, vesciche?”

 

“Verruche, signore”

 

Ron si trovò a pensare che magari collaudare gli incantesimi non era un lavoro poi così divertente, e neanche simpatico a dirla tutta. Non avrebbe per nulla voluto ritrovarsi il sedere pieno di verruche. Dallo sguardo afflitto dell’uomo capì che non dovevano aver ancora trovato rimedio e sospirò pesantemente.

 

“Va bene, Smith puoi uscire prima oggi e passa al S. Mungo, c’è un reparto antifatture al terzo piano, sono sicuro che possono aiutarti”

 

I due annuirono e Ron lasciò la stanza non potendo evitare che un sorrisetto divertito scappasse sulle sue labbra. Verruche, roba da non crederci. Passando per il corridoio principale incrociò lo sguardo con Susan che alzò le due mani con un sorriso quasi di rimprovero.

 

Dieci minuti.

 

Ron alzò automaticamente gli occhi sull’orologio appeso alla parete e sorrise scotendo la testa. Le cinque e venti. Susan lo conosceva troppo bene.

 

Continuò a girovagare per l’ufficio controllando che fosse tutto a posto e scambiando qualche parola con i dipendenti di tanto in tanto, augurato buon lavoro a Betsy, una signora cicciotella piuttosto simpatica che si occupava delle trascrizioni di nuove pozioni, tornò nel suo ufficio per sbrigare alcune pratiche.

 

Si mise comodamente seduto alla scrivania attirando di nuovo i fogli a sé, li stessi che stava esaminando poco prima dell’arrivo di Harry. Ne firmò alcuni e ne timbrò altri nella solita routine, si passò una mano sulla faccia stanco di tutte quella parole scritte su un bianco accecante.

 

Neanche se avesse voluto farlo apposta ci sarebbe riuscito, con un gomito urtò la tazza di caffè che stava ancora sulla scrivania da quando vi era entrato quel pomeriggio e questa si rovesciò rotolando sui fogli che si ricoprirono qua e là da macchiette color bronzo.

 

“Oh, dannazione!”

 

In fretta prese ad asciugare i fogli e tamponarli con un fazzoletto senza ottenere grandi risultati, non si sapeva spiegare come mai non aveva mai la bacchetta a portata di mano quando serviva. Nello stesso momento qualcuno bussò alla porta e Ron roteò gli occhi pensando che quando ne combinava una oltre al danno doveva sempre arrivare la beffa.

 

Era matematico.

 

“Avanti” disse con aria seccata continuando a ripulire le pratiche dal caffè. Non si disturbò neanche ad alzare la testa, vide con la coda dell’occhio Susan e al suo fianco la figura di una giovane donna con due gambe lunghe e snelle.

 

“Non lo si può lasciare solo cinque minuti! Cos’ha combinato adesso?”

 

“Niente Susan, ho solo…” alzò appena la testa verso la ragazza senza veramente guardarla tornando subito ad occuparsi dei suoi preziosissimi fogli “…mi scusi signorina, ho combinato un disastro con delle pratiche importanti…sono subito da lei”

 

“Gliel’avevo detto io che è peggio di un bambino! Mi creda, se ha qualche referenza come baby-sitter questo lavoro le calza a pennello, non avrà nessun tipo di problema!”

 

Per qualche attimo ci fu il silenzio fino a che Ron non udì distintamente un paio di tacchi fare qualche passo avanti e una voce a suo modo familiare.

 

“Ron?”

 

 

**

 

Lo so che non aggiorno da una caterva di tempo ma avevo il pc che era andato a farsi friggere di nuovo, comunque lo so anche che avrei dovuto aggiornare l’altra storia ma mi andava di scrivere qualcosa di diverso e così…

Insomma, dico solo che da questo primo capitolo ancora non si è capito veramente niente di quella che sarà la storia, fidatevi, anche se alla fine come storia è abbastanza banale.

Siccome non so se poi ce la faccio ad aggiornare così presto –anche se spero di sì- oltre al mio compleanno il primo maggio si festeggia anche un anno che sono su Efp, quindi mi faccio tanti auguri a me ^^

 

…ragazzi ma io tra 5 giorni divento graaande…che emozione **

 

Un baciotto, Zia Funkia

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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