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Autore: Black Swan    15/10/2012    7 recensioni
"Morire per amore.
Tre parole che hanno avuto un impatto atomico sulla mia mente. E sulla mia vita, azzerandola.
Non è un gioco di parole.
Ti cambia la vita quando sai che la morte non è una probabilità ma una costante.
Prima potevo dire Morirei per te e ricevere da Reita un sorriso. Adesso mi massacrerebbe di botte.
Sono pensieri un po’ strani mentre stai per fare l’amore con l’uomo che ami più della tua stessa vita, ma..."

Quando l'amore sfonda e supera il concetto di "estremo".
Una Reituki.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Reita, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Batticuore

I personaggi di cui scrivo non mi appartengono e non ho contatti con loro. Non pretendo di descriverli come sono in realtà, né di descrivere situazioni realmente vissute da loro.

Quanto scrivo non è a scopo di lucro.

Le mie sono opere di fantasia e rivendico i miei diritti su esse solo in quanto sono state partorite dalla mia immaginazione.

Questo scritto contiene scene di affetto e tenerezza reciproci fra due uomini (… e che uomini…), se certi contenuti ti possono offendere, fammi e fatti un favore: non leggerli.

In ogni caso non perdere tempo a scrivermi lamentandoti perché ho altri problemi che meritano la mia attenzione. Arigatou!

 

 

 

 

Voglio dedicarla a tutte quelle bimbe che aspettano pazienti che recuperi il bandolo della matassa di diverse ff in corso. Che vi nomino a fare? Sapete benissimo chi spupazza la vostra pazienza. *sbatte ciglia*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Legenda:

Carattere in nero = Ruki’s PoV

Carattere in viola = Reita’s PoV

Carattere in blu = narrazione

 

 

 

 

 

 

 

 

Batticuore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Morire per amore.

Tre parole che hanno avuto un impatto atomico sulla mia mente. E sulla mia vita, azzerandola.

Non è un gioco di parole.

Ti cambia la vita quando sai che la morte non è una probabilità ma una costante.

Prima potevo dire Morirei per te e ricevere da Reita un sorriso. Adesso mi massacrerebbe di botte.

Sono pensieri un po’ strani mentre stai per fare l’amore con l’uomo che ami più della tua stessa vita, ma da poco più di un anno, mi capita sempre.

Ormai è come un binario parallelo che scorre accanto ai preliminari, alle sensazioni, ai sussurri, ai gemiti, ai sospiri, alle parole che fino a quella notte potevo avere scrupoli a pronunciare, ma che da mesi non hanno più filtri.

A quanto lo amo.

A quanto mi ama.

 

Il medico di Ruki era stato buttato giù dal letto tre giorni prima, appena Reita era riuscito, solo gli Dei sapevano come, a far ripartire il cuore di Ruki.

Il ricovero era stato immediato, come la lista di esami da fare.

«Dottore, forse non mi sono piegato: il suo cuore si è fermato. Ha smesso di respirare. Non me lo sono sognato, ancora non mi spiego come ho fatto a rianimarlo.»

La voce di Reita suonò glaciale, per chi non lo conosceva non era neanche lontanamente immaginabile il vulcano che si stava scuotendo sotto quel gelo.

Ruki era sdraiato sul letto immacolato, a sua volta non brillava di colorito. Odiava gli ospedali, odiava il cibo, odiava quel bianco sporco… e odiava che Reita la sera dovesse andarsene per lasciarlo solo lì.

«Gli esami parlano chiaro: il cuore è a posto. Gli esami sottosforzo sono andati bene. Se c’è una disfunzione fisica, è talmente interna che neanche i raggi x la percepiscono.»

Reita si soffermò ad osservare quell’uomo in camice bianco, età avanzata, che si era trovato ad ascoltare il suo resoconto circa lo storico paziente che, dopo aver fatto l’amore con un uomo, era praticamente morto.

«Non ho una laurea in medicina, dottore, la cosa che so fare meglio è suonare il basso… potrebbe parlare molto, e sottolineo molto, chiaramente?»

Il medico prese un profondo respiro, «Un arresto cardiaco può verificarsi per molteplici cause: la più ricorrente è una cardiopatia coronarica, ma il cuore di Takanori è perfetto e nella sua famiglia non ci sono precedenti; per una forma di diabete, ma i risultati degli esami sono compatibili con un uomo della sua età in buona salute; per ipertensione, ma gli esami sottosforzo…»

«… sono andati bene» concluse Reita.

Ruki sentì la gola stringersi.

Reita cercava al buio qualcosa di inodore di cui non conosceva la forma o la consistenza.

Non aveva bisogno di essere a casa con lui, sdraiato nel loro letto, per sapere che erano tre giorni che non dormiva.

«Esattamente. A questo punto mi viene in mente solo una cosa.»

«Sarebbe?»

«Un carico emozionale talmente forte da…»

«Ok, non faremo sesso dopo il concerto» lo interruppe Reita. «Lo sforzo, specie alla fine di un tour…»

«Non sto parlando di sforzo fisico» lo interruppe il dottore calmo. «Ho detto emozionale

Reita rimase immobile a guardarlo, «Un concerto dei nostri implica uno sforzo fisico molto superiore ad un amplesso, dottore.»

Ormai il vulcano era in piena ebollizione…

«Evidentemente non ama cantare quanto ama lei.»

… e la lava incandescente che rischiava di esplodere finì con il divorare il vulcano stesso.

Reita sembrò implodere.

«Dottore, se non posso più fare l’amore con lui, tanto vale che mi spariate un colpo in testa» disse calmo ma fermo Ruki.

Il buon vecchio dottore lo aveva visto nascere, aveva scoperto la sua omosessualità in un modo allucinante.

«Dovrò fare un corso di rianimazione al tuo compagno, Takanori» concluse il dottore.

 

Con il tempo, il mio amore per Reita era diventato talmente forte, il mio coinvolgimento mentre facevamo l’amore talmente profondo… che il mio cuore non reggeva. Si fermava.

I rischi erano, ovviamente, abnormi. Intercorrono un pugno di minuti dalla cessazione del battito cardiaco ai danni ischemici irreversibili al sistema nervoso centrale.

Credetemi sulla parola: una brezza primaverile in confronto alla reazione di Uruha, Kai e Aoi quando sono venuti a sapere della situazione nel suo insieme.

Li ho visti… persi. Persi. Sto male quando ripenso a quelle espressioni sperdute, incredule… agghiacciate, impotenti… alle lacrime.

Una forma di disperazione corrosiva, muta, calma.

Eppure, nessuno ha messo in forse che io e Reita avremmo continuato ad amarci, anche fisicamente.

L’unico che lo ha fatto, è stato proprio Reita. Il momento più lungo e angosciante della mia vita.

 

Il dottore uscì dalla stanza, silenzioso.

«Rei…» sussurrò Ruki. «Vieni qui.»

Reita neanche si voltò. «Forse se rinuncio a te, sei salvo.»

Il silenzio si fece feroce.

«Senza di te non voglio vivere.»

«Ruki, cazzo, ti rendi conto che tutte le volte che facciamo l’amore potresti morire??»

«Voltati. Guardami. Io e te non abbiamo mai affrontato i problemi dandoci le spalle. Ti prego: non cominciare adesso.»

Gli ubbidì. Si trovò davanti un pianto a dirotto e perfettamente muto.

Ruki allargò le braccia, le lacrime pronte a gettarsi in picchiata sulle guance «Vieni qui.»

Piansero entrambi per… un tempo che gli sembrò eterno, poi… cominciarono a cercare una soluzione… e delle possibili precauzioni.

 

Fino a quando il dottore non ha stabilito che Reita fosse pronto ad usare autonomamente un defibrillatore, abbiamo praticato la più severa castità.

Per poco mi ha assassinato quella.

Le precauzioni, se così si possono definire, consistono essenzialmente nell’impegno di Reita ad imparare ad usare il defibrillatore… mi ha quasi ucciso dalle risate quando un giorno che stava leggendo il libretto delle istruzioni, prima dell’inizio del corso con il dottore, ha alzato lo sguardo su di me con un solare Io e te siamo proprio avanti tesoro! Gli altri si preoccupano del preservativo… noi di avere il defibrillatore pronto‼… ma mi sono innamorato di lui anche per questo: per quanto sia tragica la situazione, Reita trova il modo di rialzarsi e riesce ad inquadrarla nella giusta prospettiva.

Quando ha capito che senza di lui sarei comunque morto, ha deciso che ci avrebbe pensato lui a tenermi in vita.

Dei del Cielo, sono cosciente della immensa responsabilità che gli ho scaricato addosso.

Quando il mio cuore smette di battere c’è solo lui a lottare per riportarmi in vita e il rimorso lo ucciderebbe se non riuscisse a riportarmi indietro… ma mi fido di lui.

Ho deciso di affidargli la mia vita nel momento in cui mi sono reso conto di essere follemente innamorato di lui, nel momento in cui ho capito che neanche i The GazettE avevano un senso se dovevo rinunciare a lui.

Sono un egoista del cazzo, essenzialmente.

Non l’ho mai detto a Reita… a malapena riesco ad ammetterlo con me stesso. Sono un egoista. Uno stronzo. Gioco ai dadi con la mia vita, e di riflesso con quella dell’uomo che amo e quella dei miei migliori amici, per una scopata.

Non riesco a convincermi. Non ci riesco perché senza Reita sarei morto comunque… e lo stesso manderei a puttane anche la vita dell’uomo che amo e quella dei miei migliori amici.

Il dottore mi ha chiesto se volevo parlare con qualcuno, gli ho risposto che ho già abbastanza problemi e so di essere completamente pazzo: non devo pagare qualcuno perché me lo dica.

Ci siamo, sto per morire.

Dea del Cielo, fammi rivedere il viso di Reita. Prenditi i soldi, il successo, la mia vena creativa, la mia voce… ma fammi tornare da Reita anche stavolta. Sono uno stronzo e non deve rimetterci proprio lui.

 

E’ strano programmare il sesso come se fosse una vacanza. Ci devono essere almeno due giorni liberi per permettere a Ruki di riprendersi. L’ho preteso, avendo la meglio anche sull’interessato.

Ovviamente il ritmo dei nostri rapporti sessuali è stato stravolto. Due volte al giorno è irrealistico, come anche due volte alla settimana, se è per quello.

Con il tempo anche Ruki si è reso conto che un arresto cardiaco non è come una corsa particolarmente impegnativa… e Ruki non fa jogging, per inciso, quindi è diventata la regola.

E’ stata dura, ma vaffanculo, ok? Va bene.

Va bene tutto, basta che non mi togliete questo nanerottolo. Se fosse necessario vivere a testa in giù, lo farei.

Forse, e sottolineo forse, fra un centinaio d’anni riuscirò a non pensarci.

Ogni orgasmo è correlato da quella lama gelida che mi affonda nella schiena.

 

«E se non ci riuscissi?» chiese improvvisamente Reita una sera dopo il corso.

Ruki rimase a fissarlo in silenzio, «Ci riuscirai.»

«Ma se non…?» insistette Reita.

«Pensi che sia un pericolo reale?»

«Cazzo, ho l’aria dell’infermiere professionista? Oggi sono riuscito ad autodefrillib… autodefill… è talmente assurdo che non esiste neanche la parola per definirlo‼‼»

Ruki aveva annuito lentamente, «Allora devo dirti che ti amo. Sempre. Alla fine. Non potrei morire in pace se non ti dicessi per l’ultima volta che ti amo.»

Il primo istinto di Reita fu di appiccicarlo al muro, il secondo di piangere.

«D’accordo» annuì. «Quando smetterai di dirmi che mi ami, saprò che non sei più con me.»

«Aggiungiamola alla lista delle precauzioni» concluse Ruki, annuendo a sua volta.

 

«Rei… ti amo… ti…» si perde nel nulla.

Salto giù dal letto imponendomi di non guardarlo.

… milletre millequattro…

Afferro la valigetta del defibrillatore portatile, ormai so cosa fare… ma il terrore di non riuscirci è sempre lì, artigli di ghiaccio che mi affondano nel cuore, mi comprimono i polmoni, aggrovigliano lo stomaco.

Questo è puro terrore, ma devo ignorarlo.

… milleundici milledodici milletredici millequattordici…

La mia vita senza di lui non ha senso, quindi devo riuscirci per forza. Non ci sono alternative.

Lo collego alla macchina tramite gli elettrodi.

milleventitré milleventiquattro milleventicinque…

Quel fischio è angosciante. Mi dice che Ruki non è qui con me.

Con un’occhiata controllo che la scarica sia alla giusta potenza, lo controllo anche prima di fare l’amore con lui, ma non posso impedire ai miei occhi di atterrare sempre lì.

Il gel sulle piastre ormai lo applico alla cieca.

Le sfrego fra di loro, poi appoggio le piastre sul suo torace, «Scarica…»

Lo vedo sussultare.

Secondi eterni.

Niente.

… milletrentasei milletrentasette milletrentotto…

Alimento di nuovo la scarica.

… millequarantasette millequarantotto millequarantanove millecinquanta millecinquantuno millecinquantadue…

La prima volta che alla prima non è successo niente per poco mi è preso un infarto, la prima volta che mi sono reso conto, “sul campo”, di quanto ci vuole a questo aggeggio a ricaricarsi l’ho maledetto con tutte le mie forze.

… millecinquantanove millesessanta millesessantuno millesessantadue millesessantatré millesessantaquattro…

Mi sono dato un limite di tre minuti. Centottanta secondi. E’ inferiore al limite “medico”, ma qui non c’è nessuno a soffiargli ossigeno nei polmoni, una volta per poco… ma non devo pensarci ora.

Devo contare, non perdere il conto.

Qui ci sono solo io, il mio amore e la mia testardaggine. E anche una buona dose di follia pura.

Il segnale acustico mi dice che è pronta la scarica.

… millesettantadue millesettantatré…

«Scarica…»

Il corpo di Ruki sobbalza di nuovo…

… millesettantacinque millesettantas…

… e Dei del Cielo vi ringrazio il cuore ricomincia a battere.

Amo quel suono. Quel bip bip bip. Amo quel ritmo. Il batticuore di Ruki.

«Bentornato amore…»

Appoggio le piastre e gli tasto il collo per cercare il battito.

Eccolo.

Sorrido.

Porto un dito sotto il suo naso e sento il suo respiro.

Bene, il peggio è passato anche stavolta.

Aspettando che si svegli, rimetto a posto l’attrezzatura e lo pulisco per bene.

 

«Tu lo sapevi che per contare correttamente i secondi occorre dire “mille” prima di ogni numero?» chiese Reita mentre apparecchiava «Mentre dici “mille” passa effettivamente il secondo che conti. E dovrò contare mentalmente, non ad alta voce.»

«Non lo sapevo.»

«Devo iniziare a contare da quando… quando…»

«… smetto di respirare?» gli andò in aiuto Ruki aprendo il frigorifero.

«Lo sai che siamo da manicomio? Tutti e due. Stiamo a parlare come se…»

«Reita, io mi fido di te. Non ho dubbi sul fatto che ci riuscirai. Il minimo che tu possa fare è condividere con me questa certezza. Ne abbiamo già parlato, mi sembra.»

«E più ci penso, più è follia.»

«Mi lasceresti se fossi epilettico?»

«Cosa?»

«E se fossi sonnambulo? Se soffrissi di un’allergia per… che so, la polvere, il pelo canino o le piume? Ti sei guardato intorno?»

Reita lo stava fissando impotente, ma Ruki era concentrato a prendere da bere dal frigo.

«Io non ti lascerei neanche se ci fosse di mezzo l’AIDS» riprese pacato il solista al suo silenzio. «Posso morire in tanti modi, Rei… facendo l’amore con te non è il peggiore della lista, anzi.»

«Io non so come fai a convincermi.»

«Per la pietà degli Dei mi ami almeno quanto io amo te…»

«Certo, molto meno romanticamente parlando: se sopravvivi ci chiuderanno in una matrimoniale in manicomio.»

 

E’ come se mi fosse passato sopra un treno.

Come se fossi andato in frantumi e il mio corpo fosse tornato insieme un attimo prima di aprire gli occhi.

Reita mi sta passando sul torace una salvietta bagnata. E’ calda.

Mi sta togliendo il gel delle piastre.

«Ciao…» mormora quando incontra i miei occhi.

Sorride.

Dei quanto amo quel sorriso.

«Ciao…» rispondo in un soffio.

«Non ti sforzare.»

Ad occhio e croce mi ha già ripulito dallo sperma.

«Per quanto tempo sono stato senza conoscenza?»

Mi lancia un’occhiataccia, «Recettivo come un muro eh?» Borbotta qualcos’altro circa la mia testardaggine, poi… «Circa venti minuti totali, ma senza battito cardiaco solo settantasei secondi.»

Sorrido. Migliora costantemente.

Non scherzo. Il tempo più lungo è stato centoquarantasei secondi: ha dovuto usare le piastre tre volte… e l’ho trovato in lacrime quando ho ripreso conoscenza.

E’ stato dopo quella volta che, parlando con il dottore, hanno deciso di saltare il passaggio del massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca. Ci sono poche possibilità di rianimarmi in quel modo per un singolo uomo e per Reita è una perdita di tempo inutile.

Ho scoperto che si è dato un limite molto inferiore rispetto a quello da manuale e quella volta c’è andato maledettamente vicino… mi ha dato una spiegazione che mi ha pienamente convinto, quindi va bene.

Ho detto che mi fido di lui e non è un modo di dire.

«Ti è riuscito alla prima stavolta.»

«Macché. Ho dovuto dare la scarica due volte.»

Sono senza parole. «Ma… ma sei velocissimo con quel coso.»

Lo vedo mordersi il labbro inferiore. Significa che ha ingoiato una di quelle battute che mi farebbero piangere dal ridere.

Quando riprendo conoscenza sono come un cristallo in mezzo a degli schiacciasassi e Reita cerca di farmi stare il più tranquillo possibile.

Finisce di lavarmi.

Dopo un bel sonno fra le sue braccia tornerò come nuovo.

Ufficialmente noi non abbiamo mai parlato con il dottore. Ufficialmente il mio cuore non si è mai fermato. Se succederà il peggio, io e Reita siamo d’accordo, accordo che è costato urla e lacrime: andrà in camera di Kai per avvisarlo, poi nella camera sempre vuota che prenotiamo per coprire che io e lui dormiamo insieme, la mattina successiva mi troveranno senza vita in camera da solo.

La sorprendente padronanza di Aoi delle pratiche forensi (ci rompe le palle da quasi dieci anni con quelle sigle assurde ma sono contento che lo abbia fatto!) ha sollevato un paio di problemi non da poco: 1) durante l’autopsia salterebbe fuori che ho fatto sesso di recente e il DNA di Reita sarebbe facilmente individuabile e 2) come possiamo essere sicuri che le ripetute rianimazioni non lascino segni sul mio cuore? Senza contare l’accurata opera di pulizia esterna che esegue Reita ogni volta ma che secondo Aoi non convincerebbe Grissom neanche se fosse cieco.

E’ bastata un’occhiata fra me e il mio uomo per cassare il preservativo.

A Reita non frega un cazzo che si sappia che io e lui facciamo sesso. L’ultimo problema dopo la mia morte sarebbe nascondersi per piangere.

Per quanto riguarda il punto due… beh, non è proprio un piano perfetto, si è capito vero?

Reita ha chiuso il discorso dicendomi che non è un problema mio.

Cosa che mi ha dato la certezza che nella camera troverebbero due cadaveri, non uno solo.

Anche per questo sono felice tutte le volte che apro gli occhi e lo vedo.

Reita mi lascia un attimo solo e torna dopo pochi secondi con le mani libere.

«Ok, adesso dormiamo.»

Si sdraia accanto a me e si volta verso di me.

Faccio fatica a muovermi e lo sa, è sempre lui che mi cerca.

Stanotte ho bisogno di farlo. Ho bisogno di togliermi questo peso.

«Prima di spegnere la luce mi concedi una piccola parentesi... egoista?»

«Sentiamo.»

«Io...»

Reita mi fissa aspettando il resto, dopo qualche secondo vedo il sopracciglio scattare come una molla, «... tu?»

«Io. Cosa c'è di più egoista quando siamo in due qui?»

«Tu non sei egoista. Non lo sei mai. Dal tono la frase non era finita...»

Sorrido, «... ti amo.»

Reita risponde al sorriso con una carezza sulla guancia, «Mi sembrava. Allora sono egoista anche io.»

Lo vedo voltarsi verso il comodino e la luce si spegne.

Ho il sorriso sulle labbra e le lacrime agli occhi. Ecco quello che volevo sentirmi dire.

Siamo nati separati, ci siamo trovati, ci siamo accettati, ci amiamo, la finiremo insieme.

Quando mi sveglierò questo pensiero non mi basterà più, mi conosco. L’idea che Reita si tolga la vita mi è intollerabile… ma adesso… adesso va tutto bene. Non sono egoista, lo ha detto Reita, con quel suo sorriso sfrontato e luminoso.

Chiudo gli occhi con un solo, piccolo peso: Kai, Aoi e Uruha.

Uruha in particolare, il migliore amico di Reita.

Forse sono davvero egoista, ma non posso pensare a tutti. Non adesso, comunque.

Pazienza. Tanto ne ho ancora di strada da fare con quest’uomo.

«Smettila di pensare. Dormi» mi ordina Reita.

«Abbracciami.»

«Lo sto già facendo.»

«Baciami.»

Esegue senza discutere.

Reita è il mio batticuore. E’ lui che da tre anni da il ritmo alle mie sensazioni.

Il mio cuore batte per lui.

Va bene così.

 

 

 

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NOTE:

 

Io devo piantarla di pensare prima di addormentarmi.

Primo: forse mi addormenterei prima.

Secondo: altrettanto forse eviterei idee allucinanti come questa. Una di quelle che quando ti si ficcano nel cervello, per quanto la vocetta saggia che alberga in ogni testolina la classifichi come “assurda”, non c’è modo di ignorarla.

L’unica via d’uscita è spalmarla su un foglio word.

 

 

Non ho la più pallida idea se una cosa come quella descritta può succedere davvero.

Mai e poi mai vorrei perdere l’abitudine alle mie licenze poetiche.

Tutto è partito dalla domanda “E se davvero l’amore potesse uccidere?”

Devo anche piantarla di pormi domande, vero?

 

Gilbert “Gil” Grissom = il mio eroe di C.S.I. Las Vegas, ovviamente uno dei personaggi fatti fuori…

   
 
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