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Autore: teabox    28/04/2007    21 recensioni
In un tempo dopo la fine della guerra contro Voldemort.
Un sabato mattina il mondo magico si sveglia, prende la Gazzetta del Profeta e trova una notizia inaspettata a ricoprire la prima pagina del giornale. Una notizia che vedrà alcune persone catturate in una ragnatela di mezze bugie e mezze verità e che le costringerà ad affrontare il loro presente e il loro passato per dimostrare di essere innocenti. O far credere di esserlo.
Genere: Romantico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: voilà, ci siamo.
I ringraziamenti sono alla fine, questa volta.




6. Dove la storia finisce e si scopre come andarono i fatti


Spinner’s End, Inghilterra, un giorno, due anni più tardi

Spinner’s End era l’infezione dentro un taglio. Tutta la città era una brutta cicatrice che spiccava nella altrimenti verde campagna inglese, ma Spinner’s End... era il buco nero. Nessuno ci si avvicinava, se non costretto. Nessuno ci abitava più.
Solo il vecchio Firey si rifiutava ancora di lasciare la sua catapecchia in quella strada; ma, del resto, tutti in città sapevano che quell’uomo era sempre stato un po’ matto.
Tuttavia, a chi aveva voglia di ascoltarlo, Firey finiva sempre e comunque per dire che non era l’unico matto, lui, ad essere rimasto ancora lì, a Spinner’s End.
C’era una casa, in fondo alla strada, a qualche centinaio di metri da quella del vecchio Firey. Una casa malandata, da cui non usciva mai nessuno e da cui si poteva sentire qualche rumore solo di notte. Topi, dicevano al vecchio Firey, o qualche volpe, magari.
Ma il vecchio Firey sapeva che non era così.
Era arrivata una lettera, tempo prima. Il postino l’aveva lasciata sulla soglia della porta, non osando bussare, ed era scappato. Era rimasta lì per tutto il giorno. Poi era arrivata la notte e quindi di nuovo la mattina. La lettera era sparita.
E i topi e le volpi non sanno leggere, no?

*

Spinner’s End, Inghilterra, un giorno, due anni più tardi

Severus Piton, alla debole luce del caminetto acceso e di una lampada ad olio, si passava tra le mani una lettera che aveva aspettato per un po’ di tempo. Nonostante l’indirizzo fosse stato scritto a macchina e non ci fosse nessun mittente sul retro della busta, sapeva con certezza chi gliela aveva mandata.
Strappò senza impazienza la carta e ne estrasse qualche foglio sottile, ripiegati con cura l’uno nell’altro. Apparentemente sembravano normalissimi fogli bianchi, come se qualcuno si fosse stupidamente divertito a spedire delle pagine vuote. Ma dopo un istante, senza stupore, Piton vide le parole cominciare ad apparire, riempiendo fittamente le carte che teneva in mano.

*

Professor Piton,

le scrivo questa lettera per darle la spiegazione che le promisi anni fa.
Partirò dall’inizio, sperando così di darle un quadro il più preciso possibile di quello che avvenne e del perché avvenne.
Cominciò l’estate che seguì la fine della Guerra. Come sa, il Wizengamot mi affidò ai Weasley per un periodo “rieducativo”, come venne definito. Le prime settimane furono come me le ero immaginate. Avevo deciso di collaborare, per quanto mi fosse stato possibile, nella speranza di potermene andare via di lì velocemente, ma in sostanza io ignoravo loro e loro ignoravano me. Non c’eravamo messi d’accordo, ma immagino che a tutti sembrasse l’unica soluzione accettabile in una situazione tanto assurda. A tutti tranne che, a dire il vero, a Ginny. Ginevra Weasley. Sembrava l’unica, in casa Weasley, a considerare la mia presenza lì, nella sua famiglia, come un fatto reale e non un’allucinazione passeggera o una strana illusione ottica. Era l’unica a guardarmi in faccia quando, durante i pranzi e le cene, ci riunivamo nella cucina dei Weasley. Lei mi passava le cose, quando gli altri si limitavano a spingerle verso di me. Lei mi chiedeva se volevo qualcosa, invece di lasciare i piatti in mezzo alla tavola perché mi servissi in silenzio. Se in quel periodo non mi convinsi di essere diventato invisibile, fu soprattutto grazie a lei.
Non saprei dire quando Ginny iniziò a venire da me, perché quando mi accorsi che per lei era diventata un’abitudine, succedeva già da qualche tempo. Bussava alla porta, entrava, si sedeva vicino alla finestra e cominciava a parlare. Non ci furono mai grandi discorsi fra di noi, piuttosto era lei che sosteneva gran parte della conversazione chiacchierando di tutto quello che le passava per la testa. Non mi fraintenda, Professore. Non provavo niente per lei, a quel tempo. Anzi, la trovavo decisamente fastidiosa. Io cercavo di dare una logica a quella situazione e lei, invece, finiva solo per toglierla, la logica, ridicolizzarla. M’irritava il solo vederla. E sentirmi irritato da lei, mi faceva arrabbiare ancora di più. Se bastava una qualsiasi Ginevra Weasley, mi dicevo, per togliere senso ai miei valori, allora ero ben poca cosa. Allora davvero non valevo niente, come mi avevano detto altri, prima.
La verità, Professore, è che quando il mondo intorno a te crolla, è fin troppo facile e ovvio aggrapparsi all’unica persona che si dimostra un po’ gentile. L’unica persona che ti fa ancora sentire un essere umano e non una specie di mostro o di fantasma.
Arrivò poi un pomeriggio in cui Ginny mi chiese di accompagnarla in un posto. Nel mezzo del bosco vicino a casa dei Weasley si trova una piccola radura, un cerchio delle streghe (o “il Lot”, come lo chiamano ad Ottery St. Catchpole). Ginevra mi spiegò che lo usavano le streghe soprattutto per celebrare il ciclo delle stagioni, i riti di continua morte e rinascita della terra. Mi spinse nel mezzo del cerchio e mi disse di ascoltare, di sentire. Disse che anch’io ero morto, in qualche modo, e stavo giusto incominciando a rinascere. Ricordo che rise dicendomi di cercare di rinascere meglio di quello che ero stato. Ginevra divenne “Ginny” per me, quel giorno. Ovviamente solo nella mia testa. Nelle parole (quelle poche che dicevo) non usavo mai nomi e non mi riferivo mai a nessuno in particolare.
Poi successe. Una sera vidi Potter ed Hermione Granger baciarsi. Provai un moto di rabbia improvviso e fui sul punto di andare da Ginny e dirle tutto. Invece aspettai qualche giorno, cercando di avere un’idea più chiara di quello che stava succedendo. E alla fine, invece di parlare con Ginny, decisi di andarmene. Arthur Weasley mi diede il permesso quasi con sollievo, senza farmi domande. Io, del resto, non avrei neanche saputo cosa dirgli. Perché vede, Professore, se me ne andavo era soprattutto perché non sopportavo più quella situazione. Ero terrorizzato da quello che sapevo che stavo iniziando a provare per Ginny. Non volevo niente del genere, per nessun motivo. Così pensai che la soluzione ideale fosse andarmene, staccarmi da lei con la speranza che sarebbe bastato quello a dare un taglio a sentimenti scomodi.
Non fu così semplice. La incontravo spesso a Diagon Alley, troppo spesso per riuscire in quello che volevo fare. Iniziai ad informarmi discretamente su di lei e sulla sua vita. Mi dicevo che finché mi tenevo a distanza, nell’ombra, ero al sicuro dal resto. Potevo permettermi di assicurarmi che fosse felice e serena, se non andavo oltre a quello. Poi capitò l’incidente dell’articolo sulla Gazzetta del Profeta. Credo che sappia a quale mi riferisco. Trovai Ginny fuori dal Ghirigoro, quel giorno. Era in lacrime. La portai a casa mia e lasciai che si sfogasse. Poi, prima di riuscire a fermare le parole, le confessai quello che sapevo. Quello che avevo visto quella sera d’estate a casa dei Weasley e quello di cui ero stato informato da poco. Hermione Granger era incinta e forse il padre era Potter. Lei sembrò crollare. Cadde sulle ginocchia e mi guardò incredula, come se fossi un pazzo. Cercai di convincerla che le stavo dicendo la verità, ma lei si allontanò da me infuriata. Lasciò il mio appartamento e io credetti che non l’avrei rivista mai più. Mi sbagliavo, Professore.
Tornò da me, la notte del giorno dopo. Una figuretta pallida e tremante. Disse che aveva litigato con Potter la sera prima e che non sapeva cosa fare. A chi chiedere consiglio. A chi credere. Le dissi di mandare un gufo ad Hermione Granger, il giorno successivo, e di parlare con lei. Capivo che non potesse avere fiducia in me, le dissi, e quindi che verificasse da sola. Tutto quello che doveva fare era chiedere alla Granger se era incinta e sentire la sua risposta. Cercai di metterla in guardia, però. Non credere che non ti mentirebbe, le dissi. In fondo ha già tradito la tua fiducia una volta. Ginny sembrava titubante e io provai ad insistere. Le dissi che forse, in fondo, era inutile, perché sicuramente la Granger le avrebbe risposto che sì, era incinta, ma che il figlio era di Ron Weasley e che lei e Potter erano solo amici ed era Ginny che si stava immaginando tutto. Lei sembrò scossa da quelle parole. Ricordo il suo sguardo fisso su di me, in bilico tra l’incredulità e il dolore e la rabbia. Se ne andò. E io iniziai a mettere in moto tutto.
Poco più tardi contattai lei, Professore, e le feci quella richiesta che la sorprese tanto. Ricorda? Le chiesi di procurarmi due biglietti aerei per New York e di andare da mia madre, al San Mungo, e prenderle l’anello della famiglia Malfoy che era stato di mio padre. Quello che lei conservava come una reliquia, ma che a me serviva per reclamare la mia eredità. Ginny mercoledì mandò un gufo ad Hermione Granger e venerdì s’incontrarono. Lei, Professore, venne da me quello stesso giorno per portarmi quello che le avevo chiesto e fu allora che le promisi che prima o poi le avrei spiegato tutto.
Si ricorda come titolava la Gazzetta il giorno dopo? “Scomparsa la figlia del Primo Ministro della Magia”. Mi venne quasi da ridere quando lessi quell’articolo. Soprattutto perché a me bastava allungare una mano per sfiorare Ginny. Ma questa è un’altra parte della storia che lei non conosce, Professore.
Intorno alle cinque di quel venerdì, Ginny arrivò da me. Era sconvolta. Mi disse che avevo ragione, che la Granger aveva negato tutto, a partire dalla relazione con Potter fino alla possibilità che lui fosse il padre del bambino che aspettava. Scoppiò a piangere tremando in maniera incontrollabile. Io feci l’unica cosa che potevo fare in quel momento. L’abbracciai. Lei pianse ancora più forte, poi sembrò placarsi lentamente.
Professore, lei mi conosce, sa che genere di persona sono. Di grandi sentimenti non ne ho mai veramente avuti. Ma in quel momento, Professore, anche se non avevo mai saputo cosa fossero l’altezza e la profondità del sentire, ero felice di una felicità che anch’io potevo comprendere.
Il mio piano, a quel punto, imboccava la curva più pericolosa. Nei miei progetti tutto quello che dovevo e potevo fare era chiedere a Ginny di lasciare tutto e venire via con me. Quello a cui mi aggrappavo era la speranza di un impossibile sì. Ma Ginny si scostò da me e mi sorprese. Mi fissò negli occhi (e ancora adesso li ricordo incredibilmente grandi) e cominciò a parlare. Mi disse che sapeva che non eravamo amici, sapeva che era ancora troppo presto, ma mi pregava lo stesso, sperando che volessi darle una mano comunque. Voglio dimenticare, disse. Cancella tutto.
Sulle prime credetti di aver capito male. La fissai e mi sembrò disperatamente lucida, se esiste qualcosa del genere. Poi lo ripeté, mi afferrò per le braccia e lo ripeté. E io non le dissi di no. Cancellai. E, Professore, cancellai con gioia.
Non esisteva più Potter, per lei, e nemmeno io. Le lasciai giusto il ricordo di alcune lunghe chiacchierate appoggiata ad una finestra piena di sole e di una camminata in un bosco, sempre in compagnia della vaga figura di un ragazzo dai capelli chiari. Potevo farle credere quello che volevo e fu quello che feci.
Il sabato dopo la “sparizione” di Ginny l’Ispettore Knightley venne da me a chiedere informazioni, come lei, Professore, mi aveva avvisato che avrebbe probabilmente fatto. Chiacchierai tranquillamente con lui e il suo assistente, fingendo di non sapere nulla. Feci cadere nella conversazione qualche riferimento alla relazione tra la Granger e Potter e l’Ispettore sembrò interessato a scoprirne di più. Di certo non poteva immaginare che per tutto il tempo che si era trattenuto nel mio appartamento, Ginny dormiva tranquilla nella camera da letto, a due passi da dove stavamo noi.
Le avevo dato una pozione per farla riposare e lei l’aveva presa volentieri. Era dal giorno prima, da quando le avevo fatto l’incantesimo, che si sentiva stanca e confusa. Le avevo raccontato che aveva avuto un incidente ed era stata da poco dimessa dal San Mungo perché potessi prendermi cura io di lei, durante la convalescenza. Mi guardava spaesata e un po’ a disagio, sforzandosi di ricordare qualcosa di quello che le avevo detto, qualsiasi cosa. Però lo capivo, Professore, che in qualche modo sentiva di conoscermi. Che sapeva che il ragazzo dai capelli chiari che compariva nei suoi pochi ricordi ero io. Che sentiva che c’era stato un legame tra noi due, da qualche parte nel suo passato, solo non riusciva a definire di che natura. Ma non le dissi mai “sono il tuo ragazzo” o “stiamo insieme”. Quella fu la naturale deduzione di Ginny di fronte alla realtà in cui si era trovata. E fu lei a decidere che era possibile, credibile. Fu lei ad accettarmi.
Domenica e lunedì li spesi negli ultimi preparativi prima della partenza. Convinsi Ginny che era troppo stanca per uscire, che avrebbe fatto meglio a stare a casa e conservare le forze per il lungo viaggio che ci aspettava. Partimmo martedì molto presto. Lasciammo il mio appartamento quando il sole non era ancora spuntato. Avvolti da abiti scuri fu facile passare inosservati tra le poche persone che giravano per Diagon Alley a quell’ora. Quando ci ritrovammo su Charing Cross Road, prendemmo un taxi e andammo all’aeroporto di Heathrow, dove c’imbarcammo sul nostro volo per New York. Arrivati, ci spostammo subito altrove. Volevo ridurre al minimo le possibilità di rintracciarci. Continuammo a visitare il paese per qualche tempo, senza fermarci mai troppo in un posto solo. Poi arrivammo nel luogo dove abitiamo adesso e a Ginny piacque così tanto che non me la sentii di dirle di no, quando mi chiese se potevamo rimanere qui.
Professore, io non so se quello che ho fatto è giusto o è sbagliato. Neanche m’interessa scoprirlo, francamente. Mi basta sapere che è quello che volevo fare e che siamo felici. Forse avrei dovuto rifiutarmi, quando Ginny mi chiese di cancellarle i ricordi. Forse avrei dovuto dirle che non era la risposta ai suoi problemi. Ma vede Professore, come diceva lei, non per tutti i problemi esiste una sola soluzione corretta. Ginny voleva dimenticare, io volevo stare al suo fianco. Questa era una delle possibili soluzioni.
Dunque, ecco la spiegazione che le promisi. Mi scusi se l’ho fatta attendere tanto e la prego di bruciare questa lettera, dopo che avrà finito di leggerla. Me lo insegnò lei che la prudenza non è tutto, ma è molto.

Sperando di poterla rivedere, un giorno.

DM

*

Severus Piton osservò i fogli che teneva in mano. Rilesse alcuni passaggi, li confrontò con quello che sapeva e quello che ricordava. Poi, lentamente, fece cadere nelle fiamme morenti del caminetto tutte le pagine della lettera, una pagina per volta. Il fuoco si riprese un po’, brillando per qualche istante con più forza. Allora Severus si appoggiò allo schienale della poltrona e osservò il focolare, tornando a riflettere su quello che aveva appena letto. Sospirò.
Ancora una volta la vita gli dimostrava come ben poche cose erano facilmente classificabili tra bene o male. Tra bianco o nero. Solo gli sciocchi credevano il contrario, senza rendersi conto della realtà, dove la maggior parte delle persone si contendono, piuttosto, uno spazio in un’ampia zona grigia dai contorni imprecisi. Dove giusto e sbagliato sono solo questione di scelte. E di fortuna.

Fin.




Ma come, tutto qui? Sì, tutto qui. Tanto rumore per nulla, direbbe Shakespeare, dato che la soluzione del "mistero" della scomparsa di Ginny è così... così. A me piaceva quest'idea semplice, ma capisco che voi potevate aspettarvi qualcosa di più. Spero di non avervi deluso troppo.

• La frase qui sopra fa parte di un componimento più ampio di cui, secondo alcuni, sarebbe autore Pablo Neruda. Bugia!, dice la Fondazione Pablo Neruda, che ha più volte negato la cosa. Quindi l'autore rimane anonimo. Ma ciò non toglie che sia una bella frase. E che riassume, poi, quello che volevo raccontarvi io.
Complimenti a quanti hanno capito il "gioco" dei bigliettini e l'hanno riconosciuta!

• Ringrazio di cuore, per la gentilezza dimostrata e l’allegria che mi hanno trasmesso, de_pi (sperando che non se la prenda perché ho aggiornato), PlatinumDragon (che spero non sia deluso dal finale), Aurora (sperando che la soluzione a cui sei arrivata tu fosse quella giusta), Hysteria (grazie mille per aver trovato il tempo), agatha (applausi a te perché, come avrai notato, hai visto giusto), fiubi (grazie mille per aver letto e complimenti per aver scovato la frase), lasagne80 (e io credo che tu abbia ragione sui bigliettini e su Ginny), ginny89potter (sperando di non averti rattristato troppo) e cl33 (non proprio i Tropici, ma comunque loro due insieme).
Un grazie di cuore anche a tutte le persone che si sono fermate con pazienza su questa storia, togliendo un po’ del loro tempo ad altre cose.
Grazie a tutti, davvero.

Ultima cosa, per me importante, sono i perché di questa storia, che sono soprattutto tre.
• Prima di tutto, sono sempre stata una fan di Cluedo (il gioco dello "scopri chi ha fatto cosa a chi, dove e come e possibilmente prima di tutti").
• Secondo, mi era capitato sotto gli occhi un articolo che parlava di una persona scomparsa che era stata ritrovata, dopo qualche tempo, vicino alla sua abitazione. La cosa incredibile era che per tutto il periodo della sua sparizione, era stata nascosta a qualche centinaio di metri da casa sua. Pensai che se non si sa dove cercare, è difficile trovare qualcuno. Ed è facile sparire.
• In ultimo, il più importante, parlavo con un’amica, un po’ di tempo fa, e il discorso cadde su quali fossero gli incantesimi più utili, tra quelli citati in Harry Potter. Lei disse che, senza ombra di dubbio, l’incantesimo di memoria (Oblivion) si piazzava tra i primi tre. Disse (e cito), «Pensa, vai da una tua amica e le dici “quel cretino del mio ex ed io ci siamo lasciati. Per favore, eliminalo dalla mia testa.”»
Io risi.
Poi mi venne in mente questa storia.

Di nuovo, grazie a tutti.

  
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