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Autore: Frulli    28/04/2007    4 recensioni
Gli ultimi momenti di Erik, l'unica opportunità per il Fantasma dell'Opera di liberarsi dei suoi errori e dei suoi peccati. Per ricordarvi che l'amore esiste anche da anziani...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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L’ennesimo sospiro, l’ennesimo dolore

Perdonami, Eloise

 

L’ennesimo sospiro, l’ennesimo dolore. Madame Giry saliva lentamente i gradini impolverati di quell’antico mulino, nel ben mezzo della campagna parigina.

Aveva detto al suo cocchiere di tornare in città: lei sarebbe rimasta lì per la notte e lui sarebbe tornato a prenderla il mattino seguente.

Ogni passo le provocava dolore, ma era necessario. Aprì la porta cigolante del mulino e lo notò subito, seduto vicino la finestra su una sedia scricchiolante.

 

- Erik – sussurrò debolmente, con voce tremante. Lentamente la figura affacciata alla finestra si volse. Un uomo osservò madame Giry, ormai sessantenne. Entrambi erano vittime della vecchiaia, del tempo, entrambi erano stufi. – Eloise – sussurrò la voce melodica dell’uomo, che chinò appena il capo in segno di saluto.

- Perché non sei venuto domenica? Ti attendevamo – chiese con dolcezza la donna, avvicinandosi lentamente all’uomo. Questi, oltre la maschera nera e consunta, la osservò con i bellissimi e profondi occhi verdi.

- Perdonami, ma non avevo la voglia né la forza…Sto morendo, Eloise, finalmente la mia tortura è terminata. Dopo trenta anni di dolori, pianti e sofferenze…finalmente sono libero – sussurrò Erik socchiudendo gli occhi e lasciando uscire dalla labbra un sospiro di sollievo.

Madame Giry si tolse il cappello piumato, lasciandolo cadere a terra; si sciolse la lunga treccia bianca; si tolse il lungo mantello e inspirò a fondo l’aria fresca e leggera della campagna.

- Che meraviglia, Erik. Hai scelto un bel posto…sapevo di trovarti qui, sai? Avevo come un presentimento…- sussurrò la donna, dolcemente, mentre osservava il cielo. Un delicato silenzio s’impadronì del tempo, annullandolo. I due vecchi amici rimasero ad osservare la natura, lontani dal fumo della città, dal grigio del cemento, dalla sporcizia dei quartieri bassi e dalla lussuria dei quartieri alti. Rimasero sospesi nel tempo e nello spazio. Poi Erik ruppe il silenzio, con la sua voce melodica e lieve: - Da quanto tempo ci conosciamo, mia cara Eloise? – . Madame Giry sorrise nel sentirsi chiamare “cara”, un appellativo che il suo amico non le rivolgeva da tantissimi anni.

- Da circa quaranta anni, caro Erik – rispose la donna, cortesemente. Erik la osservò e le sorrise, in un modo che non faceva da chissà quanto tempo.

– Quaranta anni…quanto tempo, Eloise. E tu sei sempre stata la mia voce: facevi ciò che io non potevo. Tu mi hai sempre seguito, mi hai sempre rispettato, mi sei sempre stata vicina…ed io non ti ho mai ringraziata, accecato dall’amore di una ingenua ballerina, di una splendida cantante, di un angelo divenuto demone…Potrai mai perdonarmi, Eloise? – disse con voce lieve ma ferma l’uomo, stringendole dolcemente la mano. Madame Giry attendeva quelle parole da trenta anni…

- Si dice che prima di morire, l’uomo si guardi indietro e chieda perdono per i propri peccati, come tu ora stai facendo. Ti perdono, Erik, ti ho perdonato fin dal primo giorno in cui hai avuto occhi solo per lei. Il tuo amore, la tua devozione per lei ti divideva da me, dalla tua migliore amica, da colei che ti aveva salvato, in parte. All’inizio ero arrabbiata e gelosa, lo ammetto. Ma che potevo farci, Erik? All’amore non si comanda…dicono – rispose con dolcezza la donna, per terminare poi con un altro sospiro.

Erik annuì appena: -  Ho sbagliato, Eloise…-, cominciò poi alzandosi lentamente dalla sedia, - ho sbagliato ad innamorarmi di Christine. Mi sarei dovuto innamorare di te, sposarti ed andare a vivere in campagna. Mettere su famiglia con te, avere dei figli e morire vicino a te, sul nostro letto, da soli…- spiegò poi, cingendola in un affettuoso abbraccio. Eloise posò la testa sulla sua spalla, sul mantello nero, respirando l’odore del teatro, della musica, del Fantasma dell’Opera.

- Sei ancora in tempo, Erik. Ho atteso per quaranta anni…qualche minuto in più non mi ucciderà– rispose osservandolo negli occhi. L’uomo la osservò, stupito e meravigliato: - Tu hai atteso…? – chiese senza terminare la frase, incredulo quasi. La donna annuì appena, sorridendo: - Sì, Erik, ti ho atteso per quaranta anni, pregando Dio che ti accorgessi di me, prima o poi. Non potevo odiare Christine, era la mia figlia adottiva, era la mia protetta, era il tuo angelo. Ciò che tu amavi, amavo anche io. Non te l’ho mai detto perché sarebbe stato inutile, Erik, inutile fin quando tu l’avresti dimenticata. Probabilmente mi avresti allontana, pazzo per Christine, non vedevi altri che lei e solo lei. Così ho pazientato, ho atteso, pregando per questo momento. Dio mi ha ascoltato…- spiegò dolcemente Eloise.

Erik ascoltò la verità, ascoltò ciò che lui mai aveva visto in quella donna, che stava scoprendo solo ora. Quando lei terminò, la strinse di nuovo a sé, dolcemente, sospirando: - La mia vita è stato tutto un grande, terribile errore. Che cosa ho fatto…Perdonami, Eloise- sussurrò, ora posando lui la testa sulla spalla della donna. Questa, accarezzandogli i capelli albini, schiuse appena le labbra e lasciò scivolare poche parole da essa:

“Dimmi che tu mi amerai per sempre…

Dimmi che mai più mi lascerai…

Se tu colmi il vuoto mio d’incanto…”

Erik ascoltò la voce dolce e melodica di Eloise, ascoltò le sue parole, le stesse che aveva detto a Christine, alla fine del “Don Juan”. Ma lei lo aveva rinnegato, per sempre, andando via dalla sua vita. L’uomo scostò il viso, osservando negli occhi la donna davanti a sé. Non aveva più cantato da quella terribile sera, ma in quel momento, alla fine di tutto, sentiva un tal bisogno di cantare che la sua voce esplose nel mulino, potente e affascinante come un tempo:

Dove andrò io voglio ci sia tu!!

Eloise, nient’altro chiedo più!!

La sua voce ridusse in cenere le mura del mulino ed il sole inondò la scalinata sopra cui si ergeva il pavimento, la sedia e quelle due anziane ed innamorate figure. Eloise sorrise felice e abbracciò Erik, mentre calde lacrime le rigavano il volto rugoso e stanco.

- E’ ora di andare, mio caro. Ci stanno attendendo…odi? Odi i loro canti felici? Odi i loro strumenti? Vieni, andiamo…- sussurrò dolcemente Eloise, prendendo per mano Erik che si fermò, scuotendo il capo.

- No, chiamano te, Eloise. Io non posso andare dove tu hai dimora. Io appartengo al Diavolo, all’Inferno…io sono…- sussurrò l’uomo, ma Eloise gli si avvicinò e gli sfiorò una guancia con una carezza.

- Cosa? Un mostro? Brutto? pauroso? Secondo te è così, Erik. Secondo me sei un genio, un uomo che ha sofferto molto e che ha bisogno di riscattare i suoi peccati. Senti? Chiamano anche te… - rispose dolcemente. Erik tese l’orecchio ed effettivamente sentì loro chiamarlo. Sorrise felice, quindi si tolse la maschera che lasciò cadere a terra.

- Possiamo andare ora, cara…- sussurrò ed entrambi, avvolti dalla luce del sole, si avvicinarono alla loro fine e al loro inizio, alla loro morte e alla loro vita…

 

Il giorno dopo, la carrozza di Madame Giry giunse davanti il mulino. Il cocchiere osservò stupefatto i gradini e il pavimento dell’edificio intatti, ma mura e tetto erano scomparsi del tutto, come per magia. Salì la scala e sempre più incredulo vide che di Madame Giry non v’era più traccia.

L’uomo si chinò e vide per terra il mantello, il cappello e il nastro per capelli della direttrice del teatro…accanto, una mezza maschera bianca. Sollevò gli occhi al cielo…

E capì.

  
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