Perdonami,
Eloise
L’ennesimo
sospiro, l’ennesimo dolore. Madame Giry saliva lentamente i gradini impolverati
di quell’antico mulino, nel ben mezzo della campagna parigina.
Aveva
detto al suo cocchiere di tornare in città: lei sarebbe rimasta lì per la notte
e lui sarebbe tornato a prenderla il mattino seguente.
Ogni
passo le provocava dolore, ma era necessario. Aprì la porta cigolante del
mulino e lo notò subito, seduto vicino la finestra su una sedia scricchiolante.
-
Erik – sussurrò debolmente, con voce tremante. Lentamente la figura affacciata
alla finestra si volse. Un uomo osservò madame Giry, ormai sessantenne.
Entrambi erano vittime della vecchiaia, del tempo, entrambi erano stufi. –
Eloise – sussurrò la voce melodica dell’uomo, che chinò appena il capo in segno
di saluto.
-
Perché non sei venuto domenica? Ti attendevamo – chiese con dolcezza la donna,
avvicinandosi lentamente all’uomo. Questi, oltre la maschera nera e consunta,
la osservò con i bellissimi e profondi occhi verdi.
-
Perdonami, ma non avevo la voglia né la forza…Sto morendo, Eloise, finalmente
la mia tortura è terminata. Dopo trenta anni di dolori, pianti e
sofferenze…finalmente sono libero – sussurrò Erik socchiudendo gli occhi e
lasciando uscire dalla labbra un sospiro di sollievo.
Madame Giry si tolse il cappello
piumato, lasciandolo cadere a terra; si sciolse la lunga treccia bianca; si
tolse il lungo mantello e inspirò a fondo l’aria fresca e leggera della
campagna.
-
Che meraviglia, Erik. Hai scelto un bel posto…sapevo di trovarti qui, sai?
Avevo come un presentimento…- sussurrò la donna, dolcemente, mentre osservava
il cielo. Un delicato silenzio s’impadronì del tempo, annullandolo. I due
vecchi amici rimasero ad osservare la natura, lontani dal fumo della città, dal
grigio del cemento, dalla sporcizia dei quartieri bassi e dalla lussuria dei
quartieri alti. Rimasero sospesi nel tempo e nello spazio. Poi Erik ruppe il
silenzio, con la sua voce melodica e lieve: - Da quanto tempo ci conosciamo,
mia cara Eloise? – . Madame Giry sorrise nel sentirsi chiamare “cara”, un
appellativo che il suo amico non le rivolgeva da tantissimi anni.
-
Da circa quaranta anni, caro Erik – rispose la donna, cortesemente. Erik la
osservò e le sorrise, in un modo che non faceva da chissà quanto tempo.
–
Quaranta anni…quanto tempo, Eloise. E tu sei sempre stata la mia voce: facevi
ciò che io non potevo. Tu mi hai sempre seguito, mi hai sempre rispettato, mi
sei sempre stata vicina…ed io non ti ho mai ringraziata, accecato dall’amore di
una ingenua ballerina, di una splendida cantante, di
un angelo divenuto demone…Potrai mai perdonarmi, Eloise? – disse con voce lieve ma ferma l’uomo, stringendole dolcemente la mano.
Madame Giry attendeva quelle parole da trenta anni…
-
Si dice che prima di morire, l’uomo si guardi indietro e chieda perdono per i
propri peccati, come tu ora stai facendo. Ti perdono,
Erik, ti ho perdonato fin dal primo giorno in cui hai avuto occhi solo per lei.
Il tuo amore, la tua devozione per lei ti divideva da me, dalla tua migliore
amica, da colei che ti aveva salvato, in parte. All’inizio ero arrabbiata e
gelosa, lo ammetto. Ma che potevo farci, Erik? All’amore non si comanda…dicono
– rispose con dolcezza la donna, per terminare poi con un altro sospiro.
Erik
annuì appena: - Ho
sbagliato, Eloise…-, cominciò poi alzandosi lentamente dalla sedia, - ho
sbagliato ad innamorarmi di Christine. Mi sarei dovuto innamorare di te,
sposarti ed andare a vivere in campagna. Mettere su famiglia con te, avere dei
figli e morire vicino a te, sul nostro letto, da soli…- spiegò poi, cingendola
in un affettuoso abbraccio. Eloise posò la testa sulla sua spalla, sul mantello
nero, respirando l’odore del teatro, della musica, del Fantasma dell’Opera.
-
Sei ancora in tempo, Erik. Ho atteso per quaranta anni…qualche minuto in più
non mi ucciderà– rispose osservandolo negli occhi.
L’uomo la osservò, stupito e meravigliato: - Tu hai atteso…? – chiese senza
terminare la frase, incredulo quasi. La donna annuì appena, sorridendo: - Sì,
Erik, ti ho atteso per quaranta anni, pregando Dio che ti accorgessi
di me, prima o poi. Non potevo odiare Christine, era la mia figlia adottiva,
era la mia protetta, era il tuo angelo. Ciò che tu amavi, amavo anche io. Non
te l’ho mai detto perché sarebbe stato inutile, Erik, inutile fin quando tu l’avresti dimenticata. Probabilmente mi
avresti allontana, pazzo per Christine, non vedevi altri che lei e solo lei.
Così ho pazientato, ho atteso, pregando per questo momento. Dio mi ha
ascoltato…- spiegò dolcemente Eloise.
Erik
ascoltò la verità, ascoltò ciò che lui mai aveva visto in quella donna, che
stava scoprendo solo ora. Quando lei terminò, la strinse di nuovo a sé,
dolcemente, sospirando: - La mia vita è stato tutto un grande, terribile
errore. Che cosa ho fatto…Perdonami, Eloise- sussurrò, ora posando lui la testa
sulla spalla della donna. Questa, accarezzandogli i capelli albini, schiuse
appena le labbra e lasciò scivolare poche parole da essa:
“Dimmi che tu mi amerai
per sempre…
Dimmi che mai più mi
lascerai…
Se tu colmi il vuoto mio
d’incanto…”
Erik
ascoltò la voce dolce e melodica di Eloise, ascoltò le sue parole, le stesse
che aveva detto a Christine, alla fine del “Don Juan”. Ma lei lo aveva
rinnegato, per sempre, andando via dalla sua vita. L’uomo scostò il viso,
osservando negli occhi la donna davanti a sé. Non aveva più cantato da quella
terribile sera, ma in quel momento, alla fine di tutto, sentiva un tal bisogno
di cantare che la sua voce esplose nel mulino, potente e affascinante come un
tempo:
Dove andrò io voglio ci
sia tu!!
Eloise, nient’altro
chiedo più!!
La
sua voce ridusse in cenere le mura del mulino ed il sole inondò la scalinata
sopra cui si ergeva il pavimento, la sedia e quelle
due anziane ed innamorate figure. Eloise sorrise felice e abbracciò Erik,
mentre calde lacrime le rigavano il volto rugoso e stanco.
-
E’ ora di andare, mio caro. Ci stanno attendendo…odi? Odi i loro canti felici?
Odi i loro strumenti? Vieni, andiamo…- sussurrò dolcemente Eloise, prendendo
per mano Erik che si fermò, scuotendo il capo.
-
No, chiamano te, Eloise. Io non posso andare dove tu hai dimora. Io appartengo
al Diavolo, all’Inferno…io sono…- sussurrò l’uomo, ma
Eloise gli si avvicinò e gli sfiorò una guancia con una carezza.
-
Cosa? Un mostro? Brutto? pauroso? Secondo te è così,
Erik. Secondo me sei un genio, un uomo che ha sofferto
molto e che ha bisogno di riscattare i suoi peccati. Senti? Chiamano anche te…
- rispose dolcemente. Erik tese l’orecchio ed effettivamente sentì loro
chiamarlo. Sorrise felice, quindi si tolse la maschera che lasciò cadere a
terra.
-
Possiamo andare ora, cara…- sussurrò ed entrambi, avvolti dalla luce del sole,
si avvicinarono alla loro fine e al loro inizio, alla loro morte e alla loro
vita…
Il
giorno dopo, la carrozza di Madame Giry giunse davanti il mulino. Il cocchiere
osservò stupefatto i gradini e il pavimento dell’edificio intatti,
ma mura e tetto erano scomparsi del tutto, come per magia. Salì la scala
e sempre più incredulo vide che di Madame Giry non v’era più traccia.
L’uomo
si chinò e vide per terra il mantello, il cappello e il nastro per capelli
della direttrice del teatro…accanto, una mezza maschera bianca. Sollevò gli
occhi al cielo…
E
capì.