– Jack! Per l'ennesima volta: metti
giù quel libro e porta fuori il cane!
Sua madre diceva per
l'ennesima, lui avrebbe scommesso che non gliel'aveva chiesto
nemmeno una volta. Si guardò attorno, in cerca di un segnalibro, poi
si rassegnò e piegò l'angolo della pagina, prima di chiudere il
volume.
– Allora, bello, vuoi uscire o no? – chiese, cercando
il guinzaglio nel cassetto. Il danese iniziò a scodinzolare,
allegro, ostruendogli la ricerca con il suo grosso muso, quasi
volesse aiutarlo. Jack sbuffò, rassegnato: li dipingevano tanto
intelligenti, quei bestioni, quando in realtà erano degli stupidoni.
Accarezzò la testa del cane, pretesto per spostarlo, e poi si
impegnò a mettergli il collare mentre lui, felice, si agitava.
–
Guarda che se continui a fare così non andiamo, hai capito? – lo
ammonì, ridendo.
Fecero un lungo giro intorno al quartiere,
godendosi il fresco di quella sera d'estate, e ritornati nei pressi
di casa Jack si accorse che nessuno dei due aveva particolare voglia di
tornarci: lui avrebbe dovuto riprendere a studiare, e il suo compagno
voleva rimanere ancora un po' all'aria aperta. Si allungò verso il
parchetto, si sedette sull'altalena e slegò il cane, in modo che
avrebbe potuto annusare qualsiasi cosa vedeva senza slogargli la
spalla con i suoi strattoni.
Notò la luce ancora accesa accanto
alla porta dei Granger: forse aspettavano qualcuno; strano, vista
l'ora.
Il cigolio dell'altalena ruppe il silenzio mentre iniziò a
dondolare, pensoso.
Forse aspettavano Hermione: da quanto tempo
non tornava a casa?
Hermione Granger, quando si diceva che il
destino delle persone era imprevedibile...
Come al solito, come
succedeva sempre quando ripensava a lei, uno strano fastidio gli
prese la bocca dello stomaco: si era aspettato tante cose da
Hermione, e invece non aveva capito niente.
I ricordi d'infanzia
erano puntellati dalla sua presenza: dai tempi dell'asilo, quando si
ritrovavano a giocare nei rispettivi giardini con la parità che solo
l'innocenza di due bambini poteva dare; un giorno a bambole e un
giorno agli indiani, per loro era uguale. Poi con le elementari la
situazione era leggermente cambiata: lui era diventato il suo mito,
Jack lo percepiva e ne era segretamente fiero, nonostante continuasse
a ostentare fastidio per il fatto che Hermione lo seguisse ovunque;
ma usciti da scuola, in quello stesso giardinetto, Hermia-la-secchia
tornava ad essere la sua compagna di giochi e lui molto
magnanimamente si faceva adorare in tutta tranquillità. Lì aveva
fatto l'errore di decidere come sarebbero andate le loro vite: a otto
anni aveva stabilito che una volta adulti l'avrebbe sposata. Non
glielo aveva mai detto (e poi come se la sarebbe staccata di dosso?)
e di certo non aveva impiegato gli anni successivi a pensarci; ma
quell'idea era diventata come una lontana convinzione, e per
quanto spesso non la sopportasse con la sua eccessiva petulanza non
aveva mai messo in dubbio che Hermione ci sarebbe sempre
stata.
Nemmeno quando, finita la scuola primaria, lei era partita
per il collegio. Nemmeno quando aveva iniziato a passare la maggior
parte delle vacanze dai suoi compagni, invece che a casa. Nemmeno
quando gli aveva raccontato dell'aitante Viktor, o come si
chiamava.
Quando l'aveva vista, quell'estate, il suo primo
pensiero era stato ricordare la promessa che si era fatto da bambino,
quella di sposarla; e aveva capito che poteva essere una buona idea.
Hermione stava spogliandosi lentamente dalle fattezze di bambina, e
poteva scommettere che un giorno sarebbe diventata una donna niente
male.
Ma a parte quello c'era dell'altro: nonostante i suoi
racconti fossero infarciti dei nomi di quei Ron e Harry, Jack teneva
ancora stretta la convinzione che in fondo loro due si appartenessero
come nessun altro al mondo. Per questo non si era preoccupato
eccessivamente quando lei, arrossendo, aveva nominato Viktor: era
solo una fase, Hermione sarebbe tornata da lui, era
matematico.
L'aspettativa e la sicurezza lo lasciarono, con il
passare degli anni, quando a poco a poco si accorse che in realtà
Hermione stava andando sempre più lontano da lui, e per lei Jack era
già diventato un ricordo d'infanzia.
L'idea di loro due insieme
gli era sempre piaciuta, ed era difficile lasciarla andare, così
ogni volta che si ritrovava a pensarla non poteva evitare di
chiedersi se avesse sbagliato qualcosa; ma in realtà per qualche
strano motivo Hermione e Jack erano semplicemente amici d'infanzia,
non anime gemelle.
Erano due anni che non la vedeva, i Granger si
erano trasferiti temporaneamente all'estero, ed erano tornati da
poco; ma di Hermione nessuna traccia.
Il cane aveva preso ad
abbaiare furiosamente, come a volerlo avvisare di un pericolo
imminente, Jack alzò la testa appena in tempo per vederlo correre
verso la villetta di fronte a loro, dove ora era parcheggiata una
vecchia macchina azzurra: quando era arrivata? Non aveva sentito
nessun rumore. Gli corse a dietro, raggiungendolo mentre due ragazzi
stavano scendendo dall'auto.
– Scusatemi, – disse,
agganciandogli il guinzaglio, – non so che cosa gli sia preso, in
genere non fa così...
– Jack Marshall?
Si girò in direzione
della portiera del passeggero, accanto alla quale c'era lei,
Hermione. I suoi pensieri gli avevano giocato un brutto scherzo, o
forse era la luce del lampione ad illuminarla così dolcemente, ma
improvvisamente si sentì la bocca secca.
– Hermione! – Cercò
di fingersi a suo agio, mentre barcamenandosi con il guinzaglio si
avvicinava a salutarla. Con la coda dell'occhio guardò il suo
accompagnatore, aspettandosi dai racconti della ragazza di trovarsi
un ragazzo moro con gli occhiali, e invece la chioma rossa gli tolse
qualunque sospetto: Ron, era chiaro, era con Ron.
Loro due erano
anime gemelle, loro due erano cresciuti insieme, non Hermione e
Jack.
– Allora, come va? Sono secoli che non ti si vede da
queste parti... – Provò a intavolare, ma l'attenzione di Hermione
fu immediatamente reclamata dalla porta di casa che si apriva, e dopo
un sorriso cordiale e impacciato rivolto a lui corse per il vialetto,
a salutare i suoi genitori. Jack era decisamente di troppo, ma non
riusciva a trovare una scusa per allontanarsi, così rimase accanto a
Ron, rivolgendogli un imbarazzato cenno di circostanza. Quando
Hermione e i Granger si avvicinarono fu spinto in avanti, cercando di
trattenere il suo fidato compagno che voleva partecipare ai
festeggiamenti.
– Oh, Ron, caro, a quest'ora non ho bocconcini
di carne per te. – esclamò la signora Granger, ridendo.
Jack
abbassò la testa, colpevole, mentre Hermione rimproverò la madre:
–
Mamma, ma cosa dici?
Dopo qualche attimo di silenzio la donna
rise, stringendo la mano al ragazzo di sua figlia,
– Perdonami,
mi ero scordata che anche tu ti chiami Ron: vedi, anche il cane del
nostro vicino di casa si chiama come te, che coincidenza!
Sentì
su di sé lo sguardo indagatore di Hermione, e si affrettò ad
andarsene.
– Vi lascio entrare in casa, noi adesso finiamo il
nostro giro. Hermione, è stato un piacere rivederti, ti trovo bene,
– le strinse goffamente la mano, – e... Ron, giusto? Piacere di
averti conosciuto.
Fortunatamente il Ron a quattro zampe
collaborò, iniziando a tirarlo verso la strada, salutò ancora con
un cenno della mano e si lasciò trascinare via, pieno di imbarazzo.
So hard to find my
way
Now that i'm all on my own.
I saw you just the other
day,
My, how you have grown!
Cast my memory back ther,
Lord,
Sometime I'm overcome thinking about
Making love in the
green grass
Behind the stadium
With ou, my brown–eyed
girl,
You, my brown–eyed girl.
(Van Morrison, Brown eyed
girl)*
Era uscito di casa che il sole non aveva ancora rischiarato il cielo,
quella mattina aveva voglia di pensare, così aveva lasciato Ron a
casa: una corsa con lui era tutto fuorché rilassante.
Il sangue
caldo che pompava nelle vene lo riscaldava, e l'aria fredda che gli
entrava nei polmoni era quasi dissetante; avrebbe potuto correre
all'infinito mentre i suoi pensieri si aggiustavano a poco a poco, e
capiva che fino alla sera prima era rimasto ad aspettarla. Darsi
dello stupido era riduttivo, calcolò.
Quando tornò nel quartiere
l'alba era appena iniziata, le strade erano ancora sgombre, il
silenzio rispettava il suo cambiamento e la sua crescita; arrancò
fino al parchetto lasciandosi cadere su un'altalena, chiedendosi se
al mondo potesse esistere qualcuno stupido tanto quanto lui: era
davvero rimasto convinto che prima o poi sarebbero finiti insieme, e
l'incantesimo si era rotto in quel sorriso di circostanza che
Hermione gli aveva rivolto, prima di andare ad abbracciare i suoi
genitori: erano solo due estranei, che cosa aveva pensato in tutti
quegli anni? Perché si era permesso di fantasticare così?
Quel
mattino sarebbe stato il giorno della sua rinascita, avrebbe
finalmente lasciato andare quei pensieri infantili.
Un cigolio
ruppe il silenzio, proveniva dall'altalena accanto alla sua.
– E
così... – Fu consolante immaginare che fosse Hermione, e
poi trovare conferma nella sua voce. Alzò la testa e si
voltò verso di lei,
ricambiando il suo sorriso. – Hai chiamato il tuo cane Ron?
Il
respiro non gli era ancora tornato normale dopo la corsa, tossicchiò
una risata:
– Eh già.
Rimasero qualche attimo zitti, il
silenzio rotto solo dai cigolii delle catene che dondolavano.
–
Sai, Hermione, – le confessò, poi, – da bambino ero convinto che
ci saremmo sposati.
Lei sorrise,
– Anche io l'ho creduto, per
tanto tempo.
– Non pensavo che saresti cresciuta così tanto, e
che saremmo diventati estranei.
Hermione strinse le spalle,
–
Jack, le nostre vite si sono separate, ma non siamo due estranei.
Credo che quando avrò dei nipotini, e loro mi chiederanno del mio
primo amore, penserò a te.
Il fiatone gli era passato, si lasciò
scappare uno sbuffo nostalgico.
– Idem,
Hermia-la-secchia.
Hermione iniziò a dondolare in obliquo,
arrivando a dargli uno spintone,
– Ehi, – si ribellò,
nascondendo una risata, – avevi detto che non mi avresti più
chiamato così!
Jack riempì la scodella con i cereali, e li
innaffiò con il latte. Guardò fuori dalla finestra, vedendo
Hermione e Ron che camminavano mano nella mano, chiacchierando, la
malinconia che lo colse non lo rimproverava più di aver sbagliato
qualcosa, era più simile a un tenero ricordo d'infanzia: per cinque
minuti erano tornati amici, giusto in tempo per dirsi addio.
Fine
*
Traduzione:
È
così difficile trovare la mia strada
Ora che sono rimasto
solo.
Ti ho vista l'altro giorno,
Tesoro, come sei
cresciuta!
Riporta i miei pensieri lì, Signore,
A volte sono
sopraffatto quando ci ripenso,
Facevamo l'amore sull'erba
verde
dietro lo stadio
Con te, mia ragazza dagli occhi
castani,
Tu, mia ragazza dagli occhi castani
Nda: Ed ecco che ritorno a pubblicare qualcosina, quanto tempo è passato? Mi sento strana :-(
Mi manca un sacco, spero che il lavoro mi lasci un po' più libera per riuscire a scrivere qualcosa di carino!
Partecipa al concorso 'Cos Everybody Loves Hermione e con mia grande felicità come vedete nel banner qui sopra è arrivata quarta.
In seguito al giudizio specifico una cosa, dato che ho capito non
essere chiarissima, ovvero il motivo per cui il cane si chiami Ron, e
il perché inizialmente Jack pensasse di trovarla con Harry:
ho
voluto dare a Jack le stesse aspettative da occhio esterno che hanno
avuto i fan della storia; ovvero in base ai racconti di Hermione
durante le estati, nonostante la storia si basi proprio sulle sue
aspettative sul futuro suo e di Hermione, si era fatto un film
preciso del possibile rapporto della ragazza con i suoi amici:
infatti quando la vede è praticamente sicuro che il ragazzo con lei
sia Harry. Ron è un po' l'amico fidato, il cane,
appunto; poi nel momento stesso in cui li vede insieme tutto acquista
senso e il suo subconscio più razionale capisce che non poteva
andare altrimenti che così.
Bene, è tutto, finalmente sono riuscita a postare l'ultima versione ^_^