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Autore: HarryJo    18/10/2012    8 recensioni
Le ragazze non possono fare a meno di pensare a quanto sarebbe bello dimagrire un po’. Anche chi è in forma, ha un fisico perfetto e non dovrebbe godere di certi problemi, si ritrova a dire spesso: “Devo mettermi a dieta, maledizione!”, ignorando quale sia, la vera maledizione.
Perché avere qualche chilo in più può sembrare una disgrazia, qualche volta. È una tortura mangiare quel poco che serve e vedersi ingrassare sempre di più.
Ma nessuno pensa che può esserci un altro male, molto ben più grave.

Ci sono poche cose di cui Arianna è realmente fiera nella sua vita; una di queste è l'avere un fisico perfetto nonostante si abbuffi a tutte le ore.
È motivo di vanto fino a quando un giorno, con orrore, verrà a sapere che, anche se mangiasse senza sosta, continuerà a dimagrire.
Fino a sparire, inesorabilmente.
Che ne dite di ritornare sul vostro mondo? Qualche chilo in più non sembra così male ora, non è vero?
Oppure continuate a leggere. Perché questa è la storia di una diagnosi riservata. Il verme solitario ha paura di questo romanzo, e ne avrà anche la vostra bilancia.
Siete ancora in tempo per tornarvene nel vostro mondo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Diagnosi: riservata.

 
 

∞ Advisory ∞

 

Le ragazze non possono fare a meno di pensare a quanto sarebbe bello dimagrire un po’. Anche chi è in forma, ha un fisico perfetto e non dovrebbe godere di certi problemi, si ritrova a dire spesso: “Devo mettermi a dieta, maledizione!”, ignorando quale sia, la vera maledizione.
Perché avere qualche chilo in più può sembrare una disgrazia, qualche volta. È una tortura mangiare quel poco che serve e vedersi ingrassare sempre di più.
Ma nessuno pensa che può esserci un altro male, molto ben più grave.
Immaginate, per un momento, di avere un fisico perfetto. Di essere magre al punto giusto, proprio come vorreste essere quando pensate di avere qualche chilo di troppo. E fantasticate anche sul fatto che Dio, o il Destino, o qualsiasi entità che si annida nei meandri dell’universo, vi abbia fatto dono di un regalo prezioso: potete mangiare quanto vi pare e piace senza mettere su nemmeno un etto. Sarebbe bellissimo, non è vero?
Bene, continuate ad usare la vostra mente e a focalizzarvi con questo essere perfetto. Siete voi, quella ragazza lì. Mangiate tantissimo, il doppio di quanto avete mai sognato di fare, di ogni squisita pietanza. Vi abbuffate a tutte le ore, come se niente fosse, perché non dovete più preoccuparvi della vostra dieta, finalmente.
Poi un giorno vi andate a pesare. Per sfizio, sì, tanto sapete che non dovrete storcere il naso per una volta tanto vedendo il numero sulla bilancia.
E invece infatti, vi si ritorcono le budella.
Siete dimagrite.
La cosa vi sembra talmente strana che non potete fare a meno di andare a mangiare, ancora e ancora, e poi di andare a pesarvi, ancora e ancora, ma continuate a perdere peso.
Che ne dite di ritornare sul vostro mondo? Qualche chilo in più non sembra così male ora, non è vero?
Oppure continuate a leggere. Perché questa è la storia di una diagnosi riservata. Il verme solitario ha paura di questo romanzo, e ne avrà anche la vostra bilancia.
Siete ancora in tempo per tornarvene nel vostro mondo.

 

 

∞ Prologo ∞
 
I’M LOST AND I’M FOUND,
AND I’M HUNGRY LIKE THE WOLF.
“Hungry like the wolf”, Duran Duran, Rio, 1982.

 
 

E

 
ra normale per me svegliarmi con due occhiaie enormi sotto agli occhi, alla mattina, e infatti perdevo la maggior parte del tempo che avevo prima di prendere l’autobus proprio per nascondere le imperfezioni con un po’ di fondotinta e fard. Il trucco salvava ogni giorno della mia vita da quando soffrivo d’insonnia, cioè, praticamente da sempre. Per me era difficilissimo riuscire ad addormentarmi alla sera, ma la sveglia, purtroppo, suonava inesorabile alla mattina presto e quindi dovevo per forza di cose alzarmi dal letto per dirigermi a scuola, anche se avevo dormito solo poche ore. La media era di quattro, cinque al massimo a notte e per la prima e la seconda ora non riuscivo mai a tenere gli occhi aperti, le palpebre erano pesanti e le parole dei professori non passavano nemmeno per l’anticamera del cervello.
Non mi ero mai preoccupata di questo, talmente abituata a viverlo come se fosse normale da non vederci nulla di strano. La mia preoccupazione, invece, stava nel non riuscire a ricordare proprio nulla di quello che spiegavano in quelle ore a scuola, perché la mia mente era completamente appannata dal sonno, e prendere appunti si rivelava un’impresa fin troppo difficile. Non che questo mi facesse stare male o sentire in colpa, tutt’altro, ma era il fatto che molte persone si accorgevano di quanto bisogno avevo di un cuscino in quei momenti, e poteva risultare scomodo. Una volta la professoressa mi aveva persino chiesto se c’era qualcosa che non andava. “Hai gli occhi di una che ha pianto per giorni,” mi aveva detto, “ti ha per caso lasciato il tuo ragazzo?” Io le avevo semplicemente risposto che sarebbe stato bello, ma ero completamente single da più di un anno, ormai.
Non avevo avuto molti ragazzi fino ad allora, cinque in tutto, due dei quali erano semplicemente i “morosetti” che ogni ragazza si trova alle elementari. Con Andrea, uno dei due, avevo addirittura inscenato un matrimonio, in cui avevamo mandato anche gli inviti. Ovviamente appena iniziate le scuole medie praticamente nemmeno ci parlavamo più. Mi ero sempre chiesta se l’annullamento della nostra unione fosse stata riconosciuta da tutti o se in un futuro prossimo avrei scoperto di dover convivere con quel ragazzo per tutto il resto della mia vita.
In quel momento ero da sola, ma questo non significava che non ero innamorata. Oh, sì, lo ero eccome, ormai da due anni. Avevo conosciuto Francesco ad una festa di una mia amica e subito mi ero trovata benissimo a parlare con lui; nel giro di qualche mese eravamo diventati inseparabili, migliori amici. Ma non c’era stata nessuna svolta di nessun tipo nel nostro rapporto: lui si era preso una decina di cotte in quegli anni, mentre io segretamente mi ostinavo sempre e solo su una persona. Su di lui.
Non che lui se ne accorgesse, chiaramente: come tutti gli esseri maschili esistenti in questo pianeta il suo unico interesse era rivolto lontano mille miglia dai miei occhi. Ero quasi giunta alla conclusione che lo facesse apposta ad innamorarsi di altre. Più io mi avvicinavo, più lui non mi vedeva. Ma non mi lamentavo troppo, a me andava bene anche solo stargli vicino. Per capriccio, sì.
Chiara, la mia migliore amica, non riusciva a fare a meno di dirmi che dovevo prendere tutto il coraggio che avevo in corpo e dichiararmi una volta per tutte: secondo lei saremmo stati perfetti insieme. Io tre volte su due la zittivo perché non volevo illudermi, le dicevo che non potevo piacergli. Dopotutto avevo un carattere abbastanza difficile e non ero nemmeno poi così bella. Quando glielo dicevo, lei mi rispondeva: “Scherzi? Ma ti sei vista? Guarda che fisico perfetto che hai! Io pagherei per averlo come il tuo.”
La odiavo. Quando faceva così la detestavo sul serio.
Era vero, non potevo lamentarmi di nulla. Il mio fisico era magro e abbastanza slanciato, proprio quello che invidiavano tutti. Quando avevo quattordici anni tutti mi dicevano che sarei diventata una buona candidata per Miss Italia con quella silhouette, ma sinceramente a me non importava. Innanzitutto odiavo il programma e poi non mi ritenevo un granché. Anche se il fatto di poter mangiare quanto mi pareva non era una brutta cosa. Non avevo mai provato una dieta in vita mia, e mangiavo tantissimo, il doppio di quello che facevano gli altri. Mi abbuffavo, letteralmente, e mi sentivo anche sempre e costantemente a stomaco vuoto. Le mie amiche continuavano a dirmi che non era giusto, che anche loro avrebbero voluto essere così, ma le liquidavo sempre con un timido sorriso.
In realtà ne ero assai contenta. Era una delle poche cose che mi andavano a genio del mio essere, il fatto che ogni cosa che facessi non influisse sulla mia corporatura. I ragazzi non mi guardavano, ma mi ammiravano, lo vedevo. Era una bella sensazione, anche perché il mio volto era anche guardabile, quindi tutto sommato mi ritenevo una ragazza carina, molto di più di tante mie amiche.
Stavo bene col mio corpo, sì. Fino a quel giorno.
Non credo che ci fossero altre cose che mi dessero più fastidio del sentirmi rivolta la fatidica domanda: “Ma sei dimagrita?”, o peggio ancora: “Sei anoressica?” – ovviamente chi mi chiedeva quest’ultima cosa non mi aveva mai vista mangiare, altrimenti non gli sarebbe mai nemmeno passato per la mente di chiedermelo. Io rispondevo sempre con tono distaccato: “No, sono sempre stata così – No, mangio un sacco e non ingrasso”, con una punta di risentimento nella voce. Quando mi domandavano quelle cose mi sentivo male perché intaccavano il mio corpo, quello che probabilmente era la mia unica soddisfazione. Ci tenevo, per me era impensabile lasciare che gli altri si permettessero di insultarlo in quel modo, anche volontariamente.
Quel giorno – il giorno in cui tutto cambiò, il giorno che segnò la mia vita, il giorno che rovinò ogni cosa – non pensavo che sarebbe andata a finire così.
Ero con mio padre, in cucina, che stavo mangiando il dolce. Il mio pranzo aveva previsto i soliti 150 grammi di pasta al salmone, un hamburger con patatine, una banana e una fetta di tiramisù.
“Arianna,” mi disse mio padre. Alzai lo sguardo verso di lui e vidi che mi stava squadrando male, come se stesse cercando di mettere a fuoco qualcosa senza gli occhiali.
“Sei dimagrita,” disse pacato. Non era una domanda, era un’affermazione. Mia madre subito posò la forchetta nel piatto e tutti puntarono gli occhi sul mio volto, mio fratello compreso.
Mi sentii davvero male in quel momento perché nessuno della mia famiglia mi aveva mai detto nulla del genere. Subito mi misi sulla difensiva, senza dar modo loro di parlare o di ribattere.
“Sono sempre stata così, smettila.”
“No,” insistette lui. “Sei dimagrita, vai a pesarti.”
Lasciai la fetta di tiramisù sul piatto, arrabbiata, e mi diressi verso il seminterrato. Lì la luce era fioca e ci misi un bel pezzo a trovare quella maledetta bilancia, che era stata coperta da svariati scatoloni. Si vedeva che nessuno l’aveva più usata da un bel pezzo semplicemente dal fatto che molta polvere ne ricopriva la superficie. Su un lato di un muro era appeso un foglio con scritte tutte le misurazioni che avevamo fatto, soprattutto per tenere sotto controllo il peso di mio padre, che doveva dimagrire di almeno una decina di chili. L’unica che per più di tre anni aveva sempre il peso invariato ero rimasta io, che riportavo sempre il numero 45 svogliatamente da quando avevo dodici anni. L’ultimo numero risaliva a sei mesi prima.
Accesi la bilancia e mi misi sopra, già pronta a scendere per segnare l’ennesimo 45 all’elenco, ma dovetti aspettare un bel pezzo prima di riuscire a prendere un pennarello per segnare i miei chili.
Perché non erano più quarantacinque.
La bilancia doveva sbagliarsi, per forza. Non poteva essere vero, tutto quello non aveva benché il minimo senso.
Eppure il numero era lì, incontestabile, chiaro e preciso nel display.
 
42,50.





{ Spazio HarryJo.

Buonsalve a tutti, come state?
Lo so, vi sono mancata. *passano palle di fieno*
No, okay, non è vero, ma a me invece siete mancati tutti voi, dal primo all'ultimo, perciò sono tornata a infestare EFP con i miei bellissimi racconti allegri. *passano altre palle di fieno*
Quiiiindi, spiegazioni: Diagnosi: riservata nasce da un mio incubo ricorrente. Sì, siete stufi marci del mio self-insert, e lo capisco, ma a parte il fatto che Arianna è magra e che è innamorata del suo migliore amico vi posso giurare che in questa storia non troverete altro di me in lei. Promesso. In caso sapete che potete uccidermi.
Come potete vedere ho recuperato la voglia di usare testi di musica anni 70/80 per iniziare i capitoli, così spero anche di trasmettervi un po' d'amore per questa musica.
Per chi si sta domandando che ci faccio io a iniziare una nuova long originale con in sospeso Nient'altro importa... eh, dovete sapere che Nient'altro importa si è rivelata molto difficile da proseguire, per una serie di motivi che non vorrei elencarvi sennò vi annoierei. Pertanto, ora come ora è TEMPORANEAMENTE SOSPESA. Tornerò a dedicarmici quando riuscirò ad essere più libera da tante altre cose. In questo momento rituffarmi nei ricordi di un incendio non sarebbe molto utile per me.
Tornando a parlare di questa nuova long, è nata come idea per un libro ma poi, a causa dei vari impegni e altri progetti in corso (sto scrivendo già un libro abbastanza impegnativo e prendo costantemente appunti per un altro) ho deciso di non buttarla via e di pubblicarla qui su EFP. Gli aggiornamenti saranno regolari, ogni giovedì salvo imprevisti, ma non la abbandonerò dato che è quasi completamente già tutta scritta.
Bene, credo d'aver finito, potete tornare a fare tutto quello che stavate facendo prima di incappare qui. Vi ricordo solo che sono contattabile (per qualsiasi insulto o domanda) qui:
Facebook | Twitter | Ask.fm | Blog Erica Gatti | Blog Echi di musica | Tumblr | olly.94.hp@live.it 
A presto belli. Se avete il coraggio di lasciarmela, una recensioncina è più che gradita da parte mia.
Ci sentiamo il prossimo giovedì con il primo capitolo.

Erica

   
 
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