Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: __lesbianquinn    18/10/2012    2 recensioni
Una storia originale tutta inventata da me, ispirata da telefilm che trattano la famiglia, che purtroppo non fanno più telefilm del genere. Spero che possa piacere.
Dal primo capitolo: E' da anni che tutto accade così, all'improvviso. La separazione dei miei genitori e il cambiamento improvviso di mia madre; il litigio dei miei fratelli e il loro continuo chiedermi favori senza mai fare qualcosa per me; la grave malattia del nonno; il brutto rapporto che ho con la maggior parte dei membri della mia famiglia. E' stato tutto improvviso.
Dal quinto capitolo: Per quanto in questi anni ci sia successa una cosa brutta dopo l'altra, riusciamo sempre a dare una parvenza di normalità. Dan e Gabriel sono essenziali per me e papà [...] -- Sospiro pesantemente e porto la testa all'indietro, chiudendo gli occhi. «Cerchi l'ispirazione?» -- «Papà, lei mi ignora!» [...] «Vorrei poter fare lo stesso anche io», borbotta uno dei gemelli [...] «Chi ci vieta di farlo?» -- «Tu non potresti piacere mai ad un ragazzo, figuriamoci ad uno bello e popolare come lui»
Tutti i personaggi sono frutto della mia invenzione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
S u d d e n l y
 
1
E' così che accadono le cose. Improvvisamente. Niente è sicuro, bisogna essere sempre pronti al peggio, nella vita. Forse è un pensiero troppo pessimista, ma è l'unica cosa che riesco a pensare mentre mi trascino per i corridoi della scuola. Tutti gli sguardi sono puntati su di me, ma non come vorrei io. Le risatine fanno male, certo, ma quello che mi fa più male è vedere la pena e la pietà negli occhi di chi mi incontra. Le battute ironiche sono dolorose, ma è ancora più doloroso sentire quel "povera" sussurrato dalle labbra di chi mi guarda anche solo per caso. Raggiungo la mia aula preferita, quella dove i ragazzi che fanno il coro possono esercitarsi liberamente. Mi siedo sul piccolo sgabello nero e, dopo aver tolto lentamente la pezza verde che copriva i tasti leggermente ingialliti, inizio a suonare. Chiudo gli occhi, prendendo un respiro profondo e lasciando che le mie mani si muovano da sole, liberamente, senza pensare a nulla. La mia mente si svuota, ma senza riuscire a liberarsi del tutto, c'è ancora una parola che mi tormenta. Improvvisamente. E' da anni che tutto accade così, all'improvviso. La separazione dei miei genitori e il cambiamento improvviso di mia madre; il litigio dei miei fratelli e il loro continuo chiedermi favori senza mai fare qualcosa per me; la grave malattia del nonno; il brutto rapporto che ho con la maggior parte dei membri della mia famiglia. E' stato tutto improvviso. Ma io resisto, anche se non so come riesco ancora a sopportare tutto questo. Il suono della campanella mi fa smettere bruscamente di suonare, ma soprattutto di pensare. Apro gli occhi e mi volto verso la porta con il busto, puntando il mio sguardo sulla figura snella che si trova con la schiena appoggiata al muro. Mia sorella non è solita parlarmi a scuola, dice che si rovinerebbe la reputazione, eppure ogni giorno alla fine delle lezioni mi viene a recuperare, per poi tornare a casa insieme. Lei è alta, magra e fa il terzo anno; ha dei lunghi capelli lisci e su un biondo molto scuro, tendente al castano; i suoi occhi, contornati dalla matita nera, sono di un verde molto scuro; le sue labbra sono sottili e un po' più scure del solito grazie al rossetto non molto scuro che tanto ama. E' così diversa da me. Io, a parte il fatto che sono di un anno più piccola di lei, sono di poco più bassa di lei, ma lo stesso molto alta; i miei capelli sono corti fino a metà collo, mossi e di un castano molto scuro, quasi nero; anche io ho gli occhi verdi, ma, a differenza di quelli di mia sorella, i miei sono molto chiari, tanto che a volte, quando c'è bel tempo, diventano quasi azzurri. Mi alzo lentamente dallo sgabello, prendendo poi la mia borsa a tracolla e stringendola al petto; mi avvicino a mia sorella e, in silenzio, ce ne andiamo. Tutte le persone che incontriamo si fermano a salutare mia sorella, degnandomi di uno sguardo solo per poter ridere di me. «Katy, sbrigati», queste sono le uniche due parole che escono dalle mie labbra. Mia sorella, però, mi ignora completamente, ridendo divertita con le sue amiche e parlando di cose come vestiti alla moda e trucchi nuovi. Ecco cos'altro non abbiamo in comune. Lei è futile. E' bella e sa di esserlo, si vanta in continuazione e, cosa che mi fa imbestialire, le va sempre tutto bene. Mamma e papà la perdonano per tutto, a scuola anche se non studia riesce sempre a cavarsela e riesce ad ottenere quello che vuole solo con un sorriso e un paio di risatine. Vedo un altro gruppo avvicinarsi a noi e mi viene voglia di urlare, soprattutto nel notare che in quel gruppo c'è l'unico essere umano in grado di innervosirmi di più di mia sorella, Erik, un pomposo ragazzo di quarto. E' molto alto, muscoloso, anche se non troppo; ha i capelli mori, molto corti; gli occhi castani con delle sfumature verdi sono puntati su di mia sorella e sembra che le facciano i raggi x; le sue labbra sottili sono alzate in un piccolo sorriso malizioso. Sbuffo pesantemente e stringo con forza la tracolla della borsa nella mano sinistra, facendo sbiancare le nocche. «Io vado a casa», dico senza neanche provare a trattenere l'irritazione. Facendo così, purtroppo, attiro l'attenzione del ragazzo, il quale accenna un piccolo sogghigno. «Oh ragazzi, c'è la sorellina di Katy», dice lui con voce falsamente dolce. Stringo con più forza le mani a pugno, digrignando i denti. Accenno un sorriso ironico, puntando i miei occhi nei suoi. «Mi chiamo Eveline, ma tu puoi anche evitare di chiamarmi in qualsiasi modo. Sai, la mia vita non finisce qui solo perché un pomposo idiota del quarto non mi rivolge la parola». La mia voce è leggermente più forte del solito, come a sottolineare la mia sicurezza. Le persone mi conoscono solo come l'insicura e timida sorellina di Katy ed io odio quando mi chiamano così. Io non sono solo la sorella di Katy e la cosa che mi innervosisce è che nessuno tenta di capirlo. «Io vado a casa, Katherine, tu raggiungimi quando la finirai con ... un attimo, com'è che li chiami solitamente? Ah si, con l'inutile plebaglia», mi sono stufata di stare in silenzio e di non rispondere a tutti gli insulti. Sorrido falsamente a mia sorella, la quale mi guarda sbalordita, poi lancio uno sguardo ironico ad Erik, il quale mi guarda con un misto tra divertimento e irritazione. Ignoro gli altri, mi volto e me ne vado, passandomi una mano tra i capelli, in un gesto che faccio solo quando sono nervosa. Ecco che torna di nuovo quella parola. Improvvisamente. Perché si, il mio comportamento di poco prima è stato realmente improvviso, ho stupito anche me stessa. Sorrido compiaciuta e mi dirigo verso casa. Ci metto una decina di minuti, poi busso alla porta. Come al solito devo aspettare un po' prima che qualcuno si decida ad aprirmi. Alzo un sopracciglio nel vedere d'avanti a me la fidanzata di mio padre. Fannie è una donna giovanile, molto bassa e magra; lunghi capelli mori e mossi; due occhi castani e labbra sottili piegate in un sorriso cordiale. Dopo il primo momento di stupore le sorrido a mia volta, piegandomi di poco per poterle baciare una guancia. «Ciao Fannie, papà non c'è?» Chiedo sorridendo ancora, entrando in casa e guardandomi attorno, dopo aver posato la tracolla sulla piccola sedia collocata all'ingresso. «No Eve, Ryan è dovuto rimanere a lavoro, per questo sono qui. Mi ha chiesto di venire a farvi un po' di compagnia», la sua voce dolce mi da una risposta che non volevo avere. Sospiro e mi volto verso di lei, sorridendo ancora. In fondo non sono burbera come dicono i miei fratelli, anzi, mi piace essere cordiale e gentile con tutti ... con quelli che se lo meritano, almeno. Non faccio in tempo a dire nulla che dei passi che provengono dalle scale mi distraggono. Mi volto e, sospirando, punto il mio sguardo su due figure maschili. «Dovevo aspettarmelo che eravate voi, scendete le scale con la grazia di una mandria di bufali impazziti», saluto così due dei miei fratelli. Dan e Gabriel sono più grandi di me di due anni e, fortunatamente, non frequentano la mia stessa scuola. Sono gemelli e sono davvero insopportabili, sebbene con loro abbia un rapporto migliore di quello che ho con mia sorella. Sono alti quanto Katy e hanno un fisico asciutto; i loro capelli castani sono leggermente lunghi, niente di esagerato; hanno gli occhi di un castano molto caldo, quasi del colore del miele. Io adoro il loro sorriso, per quanto a volte può risultare fastidioso, è molto luminoso e contagioso, così come la loro risata. «Sempre dolce, sorellina», mi risponde Dan con un sorriso, avvicinandosi a me e stampandomi un sonoro bacio sulla guancia. So che è lui semplicemente perché, dei due, è quello più affettuoso. Gabriel si limita ad alzare un sopracciglio e accennare un sorriso ironico. «Perché tu non ti senti quando sali in camera? Sembri l'ippopotamo con il tutù della Disney», dice invece lui, senza trattenere il divertimento provocato dalla sua stessa battuta. Non ho il tempo di rispondere perché il rumore della porta che sbatte mi distrae. E' mia sorella. Butta a terra la cartella e punta i suoi occhi su di me, avanzando. Ha l'aria di qualcuno davvero infuriato. Alzo un sopracciglio, guardandola tranquillamente. In fondo lei se la prende sempre con me per qualsiasi cosa. «Sei per caso impazzita?» Mi domanda con la voce che è diventata improvvisamente più acuta. Alzo anche l'altro sopracciglio, sempre più sconvolta. «Come, scusa?» Chiedo a mia volta, cercando di capirla. «Non fare la finta tonta, Eveline! Mi hai umiliata d'avanti a tutti i miei amici», esclama con la voce sempre più acuta. Penso che si riferisca a quello che avevo detto prima. Sospiro e porto le mani sui fianchi, iniziando ad innervosirmi. «Ah, perché tu non mi umili tutti i giorni da quando andiamo a scuola insieme? E poi non ho fatto nulla che poteva umiliarti così tanto, ho solo risposto al tuo caro amico idiota», le rispondo a tono. Subito dopo c'è solo il silenzio. Katy mi guarda stupita, così come i due gemelli e Fannie, spettatrice silenziosa di quel teatrino. «Sono stufa di dover fare la parte dell'inutile sorellina di Katy la grande, sono stufa di essere presa in giro dai tuoi stupidi amici». Non so come mai, ma non riesco a controllarmi. In questo momento sento solo di doverle dire tutto quello che provo. Lei alza un sopracciglio e sorride ironica. «Sei solo invidiosa perché tu non hai amici». La sua voce è secca e velenosa. Mi colpisce forte, dritta al petto, come mille frecce appuntite. Deglutisco a vuoto e la guardo negli occhi, sentendo tante, troppe emozioni percorrermi il corpo. La cosa più brutta è che lei non sembra neanche dispiaciuta per quello che ha detto. Non rispondo più, le do le spalle e, velocemente, mi allontano, salendo le scale e andando a rifugiarmi in camera mia. Fortunatamente Dennis, mio fratello più grande, ha l'appartamento al college, quindi non sono costretta a dividere la camera con quella stupida viziata di Katherine. Mi butto sul letto e abbraccio il cuscino, chiudendo gli occhi e canticchiando a bassa voce. Non piango, non urlo, non rompo niente, non è da me farlo; me ne sto tranquilla a canticchiare con gli occhi chiusi, immaginando una vita migliore, un futuro più tranquillo, un futuro lontano da qui.

Spiegazioni:

Questa, come ho già detto, è una storia completamente inventata da me, che tratterà soprattutto i "problemi" in famiglia, tematiche familiari. E anche se qualcosa accadrà ad un singolo componente della famiglia, ci sarà sempre il legame familiare sottolineato in questa storia. Spero possa piacere.

Distinti Saluti:
 
LesbianQuinn
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: __lesbianquinn