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Autore: LaniePaciock    19/10/2012    5 recensioni
Non vi siete mai chiesti come sia nata la grande famiglia Castle, come ogni personaggio abbia trovato il suo attore perfetto? Non vi siete mai chiesti come tutto è iniziato?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'How it all began'
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Cap.1 Richard Castle


Infilai le chiavi nella toppa cercando di trattenere un enorme sbadiglio con scarso successo. Finalmente avrei potuto concedermi un po’ di meritato riposo. Chiusi al porta alle mie spalle e lasciai le chiavi sul tavolo vicino all’entrata. Tolsi la giacca e la buttai su una sedia. Era appena iniziato settembre, ma già iniziava a fare fresco. Alzai le braccia e mi stirai per bene. Stavo letteralmente collassando. Solitamente non mi affatico con facilità, ma arrivati a questo punto anche i più resistenti cedono. In un mese avevo girato come una trottola da un parte all’altra del paese. A fine luglio ero al ComiCon di San Diego, in California, per parlare del Dr. Horrible. Poi una serie di interviste a Los Angeles, il party per il finale di stagione di Desperate Housewife, un passaggio a Edmonton dai miei per qualche giorno e quindi a fine agosto al DragonCon di Atlanta, in Georgia, sull’altra sponda dell’America.
Ora ero finalmente rientrato nel mio appartamento di Los Angeles. Mi guardai attorno per un momento con un lieve sorriso. Mi erano mancate quelle quattro mura. Ero un tipo da compagnia, uno di quelli che tiene sempre viva la conversazione e scherza in continuazione, ma era già da un po’ che quell’appartamento era diventato il mio rifugio.
Mi passai una mano tra i capelli, soffocando un altro sbadiglio, e mi diressi in cucina. Nel tirare fuori una birra dal frigo, notai il vuoto che vi regnava. Probabilmente se avessi parlato avrei sentito l’eco. In fondo però era più di un mese che ero fuori. Mi segnai mentalmente di fare la spesa l’indomani mattina. Stappai la bottiglia e uscii dalla cucina per andarmi a buttare sul divano del salone. Presi un sorso di birra, quindi reclinai la testa all’indietro, la appoggiai alla spalliera e chiusi gli occhi. Rimasi in quella posizione per diversi secondi, semplicemente assaporando la tranquillità. Adoravo le feste e amavo i fan, ma diavolo se sapevano come farti sentire uno straccio dopo giorni di interviste, sorrisi, battute e autografi. Sorrisi appena. Avevo da lamentarmi forse? Ero un attore per lavoro e lo amavo. Ero affascinante, simpatico e avevo un sacco di fan che mi adoravano. Stavo più che bene economicamente, anche devolvendo buona parte del mio stipendio in beneficenza, attiravo ragazze come mosche al miele e, soprattutto, avevo la possibilità di baciare alcune tra più belle attrici. Sospirai compiaciuto.
Quando riaprii gli occhi qualche minuto dopo, girai la testa alla ricerca del telecomando. Avevo voglia di un po’ di tv prima di andare a dormire, nonostante fosse già sera inoltrata. L’occhio mi cadde sul tavolino accanto al divano dove un plico di fogli mi aspettava impaziente. Sbuffai appena. Avevo un contratto particolare con la ABC. Loro mi mettevano davanti un po’ di parti che avrei potuto interpretare e io decidevo quali. Mi piaceva come cosa. Potevo scegliere di fare quello che volevo. Solo che negli ultimi tempi avevo sempre interpretato ruoli che non mi soddisfacevano del tutto. Oddio, fare il ginecologo per due volte di fila prima in Waitress e poi in Desperate Housewife non è che mi fosse dispiaciuto in realtà così tanto. Solo che mi mancava Firefly. Avevo amato il personaggio di Malcolm Reynolds dal primo momento in cui me lo avevano descritto. Inoltre era un cowboy spaziale! A chi non sarebbe piaciuto interpretare il cowboy sparatutto a capo di un’astronave?? Insomma in un solo episodio avevo sparato, ero andato a cavallo ed ero salito su una navetta spaziale!! Ok, era finzione, ma diavolo!! Inoltre non avevo mai avuto tanto affiatamento con il resto del cast e la troupe. Mi è dispiaciuto tantissimo quando hanno annullato la serie. Solo dopo la Fox si è accorta di quello che si era lasciata sfuggire. Basta pensare che dopo due anni della chiusura della serie, ci hanno fatto girare un film conclusivo, Serenity. Senza contare che ancora una volta al DragonCon di quest’anno avevamo avuto un panel tutto per noi. Sorrisi malinconico e il mio sguardo si perse ripensando ai tanti momenti che avevo passato con quel cast.
Dopo qualche secondo scossi la testa, scacciando quei pensieri. Quel periodo era finito purtroppo. Trovai il telecomando sotto un cuscino e accesi la televisione. Feci un po’ di zapping cercando qualcosa di interessante. Era passato qualche minuto quando mi squillò il cellulare. Lo tirai fuori dalla tasca dei pantaloni e sorrisi nel vedere il disegnino della casetta che avevo messo come immagine per le chiamate dai miei genitori. Schiacciai senza esitazione il pulsante verde.
“Pronto?”
“Ehi, ragazzo!” Sorrisi. Solo mio padre ormai, all’alba dei miei 37 anni, mi chiamava ancora ‘ragazzo’. “Come stai? È andato bene il viaggio?”
“Ciao papà!” risposi allegro. Ero sempre felice di sentirlo visto che lo vedevo poco. “Tutto bene. Il viaggio è stato tranquillo per fortuna, anche se lungo.”
“Vorrei ben vedere!” esclamò mio padre. “Da Atlanta a Los Angeles non è una passeggiata. E invece il Drag-come-si-chiama come è andato?” Non riuscii a non ridacchiare.
“Si chiama DragonCon, papà, ed è andato bene. Abbiamo parlato di Firefly e un sacco di gente ci ha chiesto ancora una volta perché lo hanno cancellato…” Il mio tono si intristì nonostante cercassi di non darlo a vedere. Ma era mio padre. Mi conosceva bene. Lo sentì sospirare.
“Mi dispiace per quella serie, ragazzo” disse piano. “Anche a me piaceva. Però vedi il lato positivo. Magari troverai qualcos’altro di altrettanto bello…”
“Ne dubito” mormorai sconsolato. Poi presi un respiro e tornai a sorridere. In fondo ero un attore, no? “Ehi, ma lì come sta andando? Non dovevano venire Jeff e famiglia oggi?”
“Sì, infatti sono qui” rispose felice. “Solo che volevamo sapere come era andat…”
“BOB!!” Il richiamo di mia madre sovrastò la voce di mio padre nonostante la lontananza dal telefono. “Ancora non hai finito?? Quando hai intenzione di farmi sentire il mio Nate??”
“Ma ci siamo a malapena scambiati due parole!” replicò mio padre con tono offeso. “Dammi un momento con mio figlio, donna!” Ops. Pessima scelta di parole papà. Cercai di non scoppiare a ridere. Sapevo chi portava realmente i pantaloni a casa. Mamma non avrebbe mai accettato l’appellativo di ‘donna’. Potevo quasi immaginarmi il dramma che si stava svolgendo all’altro capo del telefono: mamma con le mani sui fianchi che guardava male mio padre e papà che pian piano capiva le sue stesse parole e si faceva piccolo sotto lo sguardo assassino di mia madre.
“Robert Fillion” iniziò mia madre con tono minaccioso. “Azzardati di nuovo a chiamarmi ‘donna’ e ti farò vedere io chi è la donna!”                                                                                         
“Ehm… andiamo, Cookie, tesoro, mi è scappato” replicò mio padre velocemente con tono di scuse. “Non volevo lo sai…”
“Ora saluta nostro figlio e passamelo, su” continuò mia madre sbrigativa. Potevo quasi vederla che allungava la mano verso papà per avere il telefono. Sentii mio padre sospirare rassegnato. Amavo il loro modo di interagire. Si battibeccavano sempre e mio padre tutt’ora non sapeva resistere a mia madre. Eppure a quanto ne sapevo nessuno dei due prevaleva realmente sull’altro. Inoltre si amavano come il primo giorno. Mi chiesi se anche io avrei mai avuto una tale fortuna prima o poi.
“Ragazzo, ti saluto” dichiarò mio padre sconsolato. “Qui c’è qualcuno di piuttosto pressante che ti cerca”
“D’accordo, papà” risposi cercando di mascherare meglio che potevo una risata. “Ci sentiamo.” Mi salutò un’ultima volta e passò il telefono a mia madre.
“Nate?” la sentì chiamarmi dopo qualche secondo. “Tesoro, come stai? Come è andato il viaggio?”
“Ciao mamma! Tranquilla tutto bene, sia io che il viaggio” risposi.
“Sarai arrivato ora a casa, tesoro. Immagino sarai stanco…” Risposi affermativamente, cercando di reprimere un nuovo sbadiglio che proprio in quel momento aveva deciso di fare la sua comparsa. “Sei riuscito a mangiare qualcosa almeno?” Scossi la testa divertito. Quando ero via era sempre una delle prime domande che mi faceva.
“Sì, mamma, ho mangiato” risposi appena esasperato. “Non ho più quattro anni, so badare a me stesso.” Tralasciai il fatto che mi ero cibato a malapena di un panino appena prima di partire con l’aereo e che ora mi sostentavo con la birra. Non volevo certo darle man forte.
“Mah…” commentò poco convinta. “Ti ho visto dimagrito quando sei venuto.” Cercai di reprimere un sospiro. Lei mi vedeva sempre dimagrito.
“Ehi, c’è il mio caro fratellino al telefono?” sentì dire in lontananza. Ridacchiai. Avevo 37 anni. Mio padre mi chiamava ancora ‘ragazzo’ e mio fratello ‘fratellino’. Ci mancava solo che mamma cominciasse a chiamarmi Naty come quando ero bambino e avrei fatto tris.
Sentì mia madre rispondere affermativamente a Jeff.
“Naty, caro” Cercai di reprimere un sospiro sconfortato. Ti pareva. Avevo parlato troppo presto. “Ti passo tuo fratello qui che non vede l’ora di sentirti. Io non sono come certa gente che non fa mai parlare gli altri al telefono…” Scoppiai a ridere. Ero quasi certo che papà fosse a portata d’orecchio. Potevo quasi vedere mamma che gli lanciava un’occhiataccia, mentre lui faceva ostinatamente finta di niente. Dopo qualche secondo mi passarono mio fratello.
“Ehi, Jeff, come te la passi?” chiesi allegro. Non ero riuscito a vederlo la settimana prima purtroppo e mi era mancato scherzare con lui. Quest’anno non eravamo neanche riusciti a farci la nostra solita settimana di vacanza insieme. “Quanti bambini ti sei mangiato nell’ultima settimana?” domandai divertito.
“Ah, ah” rispose lui ironico. “Io sto bene, fratellino, e anche i bambini. Sono un preside, non l’uomo nero!” Ridacchiai. “Tu invece che mi racconti? Oh, aspetta! C’è qualcuno qui che è impaziente di salutarti!” Attesi qualche secondo e, dopo un lieve tramestio dall’altra parte del telefono, fui ricompensato da una vocetta squillante.
“Ciao zio Nath!” Non potei fare a meno di sorridere da orecchio a orecchio. Adoravo i bambini. Ma il mio nipotino era il bimbo che preferivo in assoluto.
“Ehilà, campione!” risposi felice. “Come stai? Stai facendo il bravo?”
“Sto bene e sono bravo, zio, lo sai bene!” Ridacchiai. A 7 anni aveva una linguetta che faceva invidia a molti bambini della sua età. “Quando ci vieni a trovare?” domandò poi spiazzandomi. “Non ci siamo visti settimana scorsa… Ti ricordi che devi insegnarmi a giocare a poker, vero?” continuò speranzoso. Sospirai. Non avevo molto tempo da passare con lui purtroppo.
“Mi spiace, campione, ci vorrà un po’ prima che possa tornare di nuovo…” Potevo quasi vederlo che metteva su quel suo broncino che mi faceva capitolare ogni volta. “Ma ti prometto che poi quando vengo ti insegno tutto, così stracciamo il tuo papà!” Lo sentì gioire dall’altra parte del telefono e io sorrisi. Quindi udì Jeff dirgli di non tenermi troppo al telefono. Ci salutammo e il piccolo mi ripassò mio fratello.
“Cos’è questa storia del poker?” domandò sospettoso. “Non vi posso lasciare un secondo da soli che già tramate alle mie spalle…” Io ridacchiai.
“Ehi, lo sai che io e tuo figlio siamo dei geni del male quando ci mettiamo d’impegno!” risposi divertito. Sospirò.
“E io che pensavo che tu fossi Capitan Hammer! Evidentemente sei più simile al Dr. Horrible di quanto crediamo...” A quelle parole io mi lanciai in una risata malvagia proprio in stile Dr. Horrible. Avrei potuto fare concorrenza a Neil Patrick Harris. Appena finii, ci fu un secondo di silenzio. Quindi scoppiammo a ridere.
“Allora, Nath, hai già trovato qualche altra cosa da fare?” mi domandò quando finalmente ci fummo calmati. “Magari stavolta qualche ingaggio che non comporti il porno, così almeno posso farlo vedere anche a tuo nipote!”
“Ehi, è successo una volta sola!” risposi offeso. “E non era neanche propriamente porno! Provocante certo, io e la ragazza ci siamo anche baciati, ma immagino ricordi come andava a finire!!” Sentii Jeff ridacchiare dall’altra parte del telefono.
“Sì, sì lo ricordo, te lo concedo!” replicò divertito. “Quindi hai già trovato qualche altra parte da interpretare? Altri cowboy spaziali, autisti in cerca della moglie rapita, supereroi o ginecologi?” Sospirai. Aveva toccato un tasto dolente.
“In realtà sto ancora guardando…” dissi atono facendomi coraggio e recuperando quel malloppo di carte sul tavolino per portarle accanto a me sul divano. C’erano diversi copioni ammucchiati. Un paio riguardavano film, gli altri serie tv e piccoli sketch. Li sfogliavo e intanto commentavo i titoli o qualche introduzione a Jeff. Dopo pochi minuti arrivai all’ultimo copione senza aver trovato niente che mi piacesse davvero. Presi quell’ultimo e gli lanciai un’occhiata distratta. Il titolo mi incuriosì. Castle. Era forse un film sui cavalieri medievali? Lessi la spiegazione appena sotto il titolo. Non erano cavalieri e non era neppure un film. Era un nuovo telefilm ed era incentrato su uno scrittore. Un famoso scrittore di gialli, per la precisione, che inizia a seguire una detective della Omicidi di New York per farne la sua nuova musa.
Quella storia mi interessava. Ricordava molto la serie “Murder, She Wrote”, ma al maschile. Avevo visto tutti gli episodi. Aprii copione e iniziai a leggere le prime battute. Ero talmente concentrato che non mi ero neanche accorto che era già più di un minuto che non dicevo nulla. Quando tornai alla realtà il tono di mio fratello era preoccupato. Doveva avermi già chiamato diverse volte.
“NATHAN!”
“Uh, cosa? Come?” mormorai confuso. Scossi al testa per riprendermi. “Scusa Jeff avevo la mente altrove… Senti devo andare, ti richiamo poi io. Forse ho trovato qualcosa. Salutami tutti!” Riagganciai senza dargli il tempo di rispondere. La mia stanchezza era sparita. La storia su quelle pagine mi interessava e la descrizione del personaggio anche di più. Lo scrittore era ironico, affascinante, arrogante, sbruffone, pieno di belle donne, con una figlia quindicenne e giudiziosa e una madre attrice ed esuberante al seguito. Più leggevo il copione e più me ne innamoravo. Quel personaggio era fatto per me. E il fatto che tra scrittore e detective ci fossero fin da subito scintille mi intrigava. Come anche la storia di lei. Sembrava che ci fosse molto di più sotto quella scorza dura. Non potevo assolutamente lasciare andare un ruolo del genere. Doveva essere mio. Ero impaziente. Era da molto che non mi sentivo più così.
Non preoccupandomi dell’orario, chiamai il mio agente, George Flynn. Mi rispose al quarto squillo.
“Pro…pronto?” rispose sbadigliando sonoramente.
“George, sono io, Nathan” replicai.
“Nathan??” esclamò sorpreso. “È successo qualcosa?” domandò allarmato.
“No, niente di preoccupante tranquillo” risposi. Lo sentii sbuffare.
“E allora perché diavolo mi chiami a… Mezzanotte e mezza?? Ma ti sembra normale??” mi chiese come se fossi impazzito all’improvviso.
“No, scusami, non è normale, ma ho bisogno di un favore” replicai subito con tono di scuse, ma allo stesso tempo impaziente. “Puoi farmi avere il prima possibile un colloquio con…” cercai velocemente il nome sul davanti del copione “Andrew Marlowe?”
“Il creatore di Castle?” mi domandò perplesso. Mi zittii per un attimo, la bocca aperta. Rimanevo sempre stupito dalle sue capacità di memoria. Avevo davanti qualcosa come dieci copioni differenti e lui ricordava ognuno dei registi, la storia o a che punto erano con la serie.
“Sì, lui” risposi finalmente. “Ho appena finito di leggere il copione e vorrei provare a ottenere la parte. È il ruolo per me, me lo sento!”
“Lo so” replicò George misterioso. Dovette capire la mia confusione perché mi spiegò le sue parole. “Ho letto quel copione e la descrizione dello scrittore e anche io ho pensato ti stesse a pennello. Ok, dai, domattina la prima cosa che farò sarà chiamare Marlowe.” Io sorrisi felice.
“Grazie, George! Ti devo un favore” Ridacchiò.
“Ovviamente. È il minimo per avermi svegliato a quest’ora! Ora posso tornare a dormire?” domandò infine con un sospiro.
“Certo! Scusami ancora e grazie!” replicai. Mi salutò e mise giù. A quel punto riposizionai tutte le carte sul tavolino, spensi la tv e spostai il telecomando dal divano. Quindi mi stesi e ripresi il copione del primo episodio di Castle per rileggerlo una seconda volta. Volevo imprimermi nella mente quell’uomo. Non che fosse così difficile viste le somiglianze. Non ero più stanco ora. Ero elettrizzato.
 
Nonostante tutto riuscii a dormire per qualche ora. O per meglio dire, crollai addormentato verso le tre del mattino. Alle nove George mi richiamò e mi disse che era riuscito a fissare un appuntamento per l’indomani pomeriggio. Avrei dovuto presentarmi alle cinque all’ufficio di Andrew Marlowe in uno degli edifici interni degli studios della ABC.
“Ok, tutto chiaro!” confermai eccitato. “Sarò puntuale!”
“Ne sono certo” dichiarò George ridacchiando. “Anche perché sarai già lì praticamente.” Io aggrottai le sopracciglia perplesso.
“In che senso?” domandai dopo qualche secondo. Sentii un sospiro esasperato provenire dall’altra parte del telefono.
“Nathan, ti ricordi vero che domani mattina devi essere sul set di Desperate Housewife per girare un ricordo della protagonista con te, vero?” Silenzio.
“Ehm…” Altro sospiro.
“Nath, sono due settimane che ti ho avvisato!” mi riproverò.
“Sì, sì, certo, George, tranquillo!” replicai immediatamente. “Me lo ricordavo!” Palla immensa. L’avevo completamente rimosso dalla mia memoria.
“E ricordi anche a che ora?” domandò sospettoso. Cazzo.
“Uhm… ehm… le dieci?”
“Otto e mezza, Nathan” dichiarò il mio agente rassegnato. Gli dissi che, ovviamente, lo ricordavo e avevo solo avuto una svista. Quindi lo salutai e riattaccai. Sbuffai e mi stesi di nuovo sul divano sul quale mi ero addormentato e da cui mi ero alzato mezz’ora prima per rispondere al telefono. Ripresi in mano la copia di Castle che avevo lasciato sul pavimento e la guardai con un mezzo sorriso. Avevo come il sospetto che l’indomani la mia testa sarebbe stata ben lontana dai problemi di quelle casalinghe disperate. La cosa buona era che il set in cui avrei girato la mattina era poco lontano dall’edificio in cui mi sarei dovuto recare nel pomeriggio. O per lo meno il tutto era nella stessa zona, anche se non sapevo esattamente dove. Se fosse andato tutto bene, domattina avrei interpretato la parte del dr. Adam Mayfair per l’ultima volta.
 
Ovviamente non andò tutto bene. Arrivai puntuale, ma scoprii che avevano avuto problemi con un ciack e che prima di mettere in scena me dovevano sistemarlo. Con tutta la calma che riuscì a racimolare, mi diressi in quello che era stato il mio camerino. Non avevano ancora sostituito il nome alla porta sapendo che sarei dovuto venire ancora una volta. Mi cambia e indossai uno dei più classici abiti del dr. Mayfair preparati per me: polo azzurra e pantaloni color cachi chiaro. Pochi minuti dopo arrivarono la truccatrice e la parrucchiera. Entrambe ebbero da lamentarsi, una per le mie occhiaie e l’altra per i miei capelli sparati in ogni direzione. Strinsi la mascella e mi trattenei dallo sbuffare. Che ci provassero loro a rimanere in stato di agitazione perenne per un giorno e due notti, compresi di stanchezza precedente, tentando di tanto in tanto di dormire con scarso successo. Avevo riletto il copione nemmeno io so quante volte. Ancora un po’ e avrei saputo a memoria non solo le mie parti, ma anche quelle di tutto il resto del cast.
All’alba delle undici finalmente mi dissero che giravano il ricordo con me dentro. Salutai la protagonista e scambiai un paio di parole con lei appena prima che ci dessero il via. La scena purtroppo durava diversi minuti, il che voleva dire di solito qualche ora di ripresa tra cambiamenti di visuale di camera ed errori vari. Io inoltre, come già avevo previsto, ero molto più distratto del solito. Come se non fosse abbastanza, anche un set di luci decise di lasciarci con uno scoppio e tante scintille.
Finimmo di girare alle cinque meno dieci. Salutai velocemente tutti. In fondo mi ero già accommiatato come si deve al party per il finale dell’ultima stagione. Corsi fuori dal set e mi fiondai a cercare l’ufficio di Marlowe. Trovai finalmente una cartina vicino a uno degli ingressi. Fantastico. L’ufficio era in un edificio dall’altra parte degli studios. Stessa zona sì, ma altro che poco lontano! Scroccai un passaggio da un ragazzo che guidava una delle macchinette che giravano sempre lì intorno e portavano attrezzature o persone da un fabbricato all’altro. Alle cinque in punto arrivammo davanti all’edificio. Ringraziai frettolosamente il ragazzo e scesi dal mezzo. Il custode dello stabile mi indicò di salire al terzo piano e girare a destra nel corridoio. Feci come mi aveva detto e mi avviai. Quando arrivai davanti alla porta giusta, mi fermai un secondo prima di bussare. La targhetta Andrew W. Marlowe screenwriter spiccava dorata sulla porta scura. Deglutì. Non ero mai stato tanto nervoso e insieme tanto sicuro per una parte. Feci un respiro profondo per calmarmi e bussai. Una voce all’interno mi invitò a entrare. Girai la maniglia e aprii la porta. La stanza non era molto grande. Al centro c’era un largo tavolo con diverse sedie attorno. Alcuni schedari erano addossati alle pareti, mentre c’erano almeno tre lavagne bianche appese ai muri, più o meno riempite con scritte colorate che dedussi fossero parti di dialoghi e indicazioni per location particolari. Al tavolo erano seduti due uomini con davanti sparsi diversi fogli.
Uno dei due mi sorrise affabile da sotto la folta barbetta e gli occhiali che gli coprivano la faccia. Si alzò subito e mi venne incontro, allungandomi la mano.
“Nathan Fillion, vero?” mi chiese allegro. Io sorrisi a mia volta, anche se ancora un po’ incerto, gli strinsi la mano e annuì. Lanciò un’occhiata ai miei vestiti. Nella fretta mi ero dimenticato di cambiarmi e indossavo ancora la polo e i pantaloni color cachi del dottore.
“In persona!” risposi, cercando di mascherare l’ansia dietro allo scherzo come ero solito fare. “Andrew Marlowe dico bene? Il creatore di Castle!” esclamai eccitato. L’altro uomo, con un paio di baffetti scuri, pizzetto e corti capelli neri, ancora seduto alla scrivania scoppiò a ridere.
“Andrew, direi che hai già il tuo primo fan!” esclamò divertito scuotendo la testa. Quindi si alzò e si presentò anche lui venendomi incontro. “Rob Bowman, sono il produttore. Piacere di conoscerti, Mr. Fillion.” Io feci una smorfia.
“Parte o meno” dissi in tono di supplica, ma scherzoso. “Per favore chiamatemi solo Nathan! O mi sembrerà ogni volta di avere a che fare con mio padre…” I due risero e annuirono. Mi chiesero anche loro di chiamarli per nome e mi invitarono a sedermi al tavolo. I due ripresero le loro posizioni e io presi posto di fronte a loro.
“Allora Nathan” cominciò Andrew spostando di lato i fogli pieni di annotazioni sui quali stavano lavorando e incrociando le mani davanti a sé. “Il tuo agente ci ha chiamato ieri per dirci che volevi un colloquio per Castle…”
“Smettete di cercare” dichiarai all’improvviso serio, spiazzandoli. I due si lanciarono un’occhiata perplessa.
“Come scusa?” riuscì a domandare dopo qualche secondo Andrew. Non era arrabbiato, per fortuna. Sembrava solo sorpreso e curioso. Quel comportamento mi diede in qualche modo più fiducia. Non mi era mai accaduto di essere tanto diretto per una parte, quindi non sapevo l’effetto che avrei provocato. E sinceramente non ero neanche tanto sicuro dell’effetto su me stesso.
“Smettete di cercare” ripetei. “Io sono il vostro uomo. Sono l’uomo che fa per voi per la parte di Richard Castle” affermai convinto, pregando internamente. Vidi Andrew e Rob scambiarsi un’occhiata.
“Beh” cominciò Andrew. “Devo ammettere che tu eri nella rosa dei candidati che avevamo in mente per la parte di Rick. Aspettavamo solo che tu leggessi il copione per parlarti…”
“Però non sei l’unico” continuò Rob, interrompendolo. “Abbiamo già sentito qualche altro attore. Sembri deciso, ma se permetti vorrei farti una domanda prima di farti provare una scena.” Io lo guardai curioso e ansioso, ma annuii senza esitazione. “Bene. Ecco la mia domanda: cosa ti fa pensare di essere adatto a questo ruolo?” Fui io quello che rimase spiazzato questa volta. Restai qualche secondo in silenzio e loro mi lasciarono fare. Cerai di tirare fuori una frase di senso compiuto che avesse un certo effetto, qualcosa che li stupisse, che li facesse convincere che ero io quello giusto. Ma ripensandoci, le frasi che avevo in mente erano tutte troppo stupide, pompose o arroganti. Decisi di stravolgere la mia stessa decisione. Niente di complicato o a effetto. Solo la verità. Presi un respiro profondo.
“Sinceramente?” chiesi con un mezzo sorriso. “Non ne ho idea.” I due sgranarono gli occhi e la bocca gli si aprì in parte. Credo che, vista la mia decisione di poco prima, non si aspettassero affatto questo tipo di risposta. Mi passai una mano nei capelli cercando le parole giuste. “La verità è che dal primo momento in cui ho letto il copione me ne sono innamorato. I personaggi, la storia, le indagini, tutto! So di aver letto solo il primo episodio, ma sono sicuro che ci sia molto altro in quei personaggi, forse più di quanto loro stessi sappiano… Non so esattamente cosa mi abbia fatto rimanere sveglio per due notti a leggere e rileggere quel singolo copione, ma so che è una cosa che rifarei mille volte. Forse perché in parte mi sono rispecchiato in parte in Richard Castle. Forse perché vorrei conoscere più a fondo la storia della detective Kate Beckett. O forse solo perché vorrei vedere in prima persona fino a che punto crescerà la tensione fra questi due… perché se il ritmo è quello della prima puntata, signori miei, qui si preannunciano molti momenti ‘caldi’” continuai ridacchiando. Poi tornai più serio. “Non lo so cosa mi abbia dato il coraggio di dirvi che io ero l’uomo giusto per voi. Non l’avevo mai fatto prima d’ora, ma sentivo di dover provare. Era da Firefly che non mi sentivo più così preso per una parte… E poi andiamo, dove lo trovate uno più affascinante di me?” conclusi con un mezzo sorriso per alleggerire l’atmosfera. Andrew e Rob mi fissarono per un momento immobili, senza lasciar trasparire emozioni. Quindi si scambiarono uno sguardo e sorrisero. Andrew scosse la testa divertito.
“Ok, Nathan” disse Rob allungandosi per recuperare un paio di fogli tra quelli sparsi sul tavolo. “Che ne dici di farci vedere come te la cavi nei panni di Castle?” Mi accorsi in quel momento che stavo trattenendo il fiato. Buttai fuori l’aria e ripresi a respirare.
“Certo” replicai. A quel punto Andrew si alzò e sparì dietro la porta dell’ufficio. Riapparve nemmeno un minuto dopo seguito da un ragazza. Era carina. Magra, capelli lunghi scuri e riccioluti, occhi neri, probabilmente sui venticinque anni.
“Nathan, ti presento Isabel” disse Andrew. Io mi alzai subito e le strinsi la mano sorridendo. “È una della mie assistenti e sarà la nostra detective Beckett del momento. Scusa, ma né io né Rob ci teniamo particolarmente a venire affascinati da te” continuò ridacchiando.
Provammo la scena. La ragazza era brava e conosceva bene la parte, ma ovviamente non era un’attrice. Continuava infatti ad arrossire ad ogni battutina del copione e teneva gli occhi bassi, quasi non avesse il coraggio di guardarmi. Io cercai di dare il meglio di me. Cercai di recitare pensando quello che avrebbe pensato Castle, immaginando quello che avrebbe immaginato lui (anche riguardo alle fantasie su Beckett, devo ammetterlo, nonostante non avesse ancora una faccia nella mia testa), lanciando sguardi maliziosi e facendo facce buffe o serie quando necessarie.
Finimmo il tutto venti minuti dopo. Ringraziai Andrew e Rob per il tempo che gli avevo rubato e per l’opportunità che mi avevano dato. Mi assicurarono che in qualche giorno avrei avuto la risposta e ci salutammo.
Quando tornai a casa erano quasi le otto. Ero stanco, ma felice. Ora sarebbe arrivata la parte più difficile: aspettare. Ma almeno il colloquio era andato bene, o almeno così speravo. Tirai fuori il cellulare e mi accorsi che spento. Lo avevo disattivato in mattinata appena arrivato sul set e non l’avevo più riacceso. Neanche il tempo di riattivarlo che subito iniziò a squillare a causa dei diversi messaggi da parte dei miei, di mio fratello e anche del mio agente. Quelli più vecchi, mandati durante la mattina, mi facevano gli auguri per il colloquio. Quelli più recenti invece, più numerosi, mi chiedevano come era andato. Mi preparai velocemente qualcosa da mangiare, quindi mi sedetti sul divano e iniziai a richiamarli e a raccontare loro cosa era successo.
 
La risposta arrivò quattro giorni dopo via lettera. Erano state 96 ore di agitazione. Non avevo idea di come sarebbe arrivato il responso, perciò avevo cercato di tenere il telefono il più libero possibile, ogni dieci minuti ero davanti al computer a controllare le e-mail e ogni mattina aspettavo il postino (e quasi lo aggredivo peggio di un cane) per chiedergli se avesse qualcosa per me.
Deglutii quando lessi che il mittente della lettera appena recapitata era Andrew Marlowe. Presi un respiro profondo per calmarmi e aprii la busta con mani tremanti. Lessi le poche righe del foglio all’interno e rimasi paralizzato, la bocca aperta. Quindi lanciai un urlo di gioia, che credo sentì tutto il palazzo. Ero stato preso. Ora ero ufficialmente il famoso scrittore del crimine Richard Castle.

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Xiao a tutti!! :D
Ebbene sì, sono venuta a imperversare anche da queste parti! ù.ù
Come avete potuto vedere questa raccolta è un po' diversa dal solito... In pratica sono i racconti di come ogni attore ha avuto la parte! X) Non prendete quello che scriverò come oro colato! Qualcuno sarà ispirato a fatti narrati dagli attori stessi (vedi Nathan, Stana e Susan), per gli altri... beh inventerò! X)
Spero vi possa piacere! :) Se vi fa schifo ditelo pure, non mi offendo! XD Se invece avete una parolina carina, sono più che contenta! XD
A presto! :)
Lanie
  
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