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Autore: Infinitefirefly    01/05/2007    4 recensioni
Temari viene informata della presenza nei pressi del confine di Suna di un tizio sospetto che si sta facendo il bagno nelle gelide acque dell'oasi...per Temari, sarà l'inizio di un lungo travaglio nei confronti di un uomo che odia ma che, suo malgrado, la metterà in crisi "sentimentale".
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hidan, Temari
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Un colpo nella notte

Come ho anticipato nell’introduzione, mi accingo a tradurre un po’ di fanfiction di Henna (alias infinitefirefly) dall’inglese, perché è un’autrice davvero di talento ed è in grado come pochi di tenere i personaggi tremendamente IC, rendendoli se possibile anche più interessanti. E gloriose sono le sue fic demenziali sull’Akatsuki, con le quali presto vi delizierò J

Comunque, ogni commento alla storia sarà rigirato all’autrice, che già ringrazia in anticipo tutti coloro che recensiranno.

Questa storia? È semplicemente geniale, secondo me, soprattutto per via del pairing. La fic è tuttora in corso, perciò io sto traducendo i capitolo già pubblicati da lei sul suo livejournal, che sono tre. Quindi per ora ho messo un rating medio, poi si vedrà.

In attesa che mi passi il blocco dello scrittore, così potrò continuare le mie storie, vi propongo queste, che sono davvero degne di nota. (in lingua originale, soprattutto).

Buona lettura a tutti!

 

Feda

 

 

 

Un colpo nella notte

 

Tra il calore delle torce, le dune di sabbia si estendevano per miglia e miglia nel panorama, come piccole candele sull’arido suolo e la scarsa vegetazione della periferia del paese dell’Acqua. Colline di sabbia, ingannevolmente lisce e immobili, ardevano di una fioca luminescenza blu sotto la luna, miliardi di frammenti di vetro e di pietre luccicanti come degli occhi nella fredda oscurità.

 

Un fresco venticello soffiava da nord e faceva sporadicamente tremolare le torce, le ombre che danzavano sulla circostante sabbia fiammeggiante. Una fiamma divampò verso il cielo con violenta intensità prima di estinguersi nel vento, la sua ombra scomparsa rivelò gli scorpioni che si mossero spaventati per la perdita di calore.

 

Temari li fissò, i suoi occhi di un blu liquido e accesso nel riflesso delle fiamme. Danzavano sulla sabbia, le code velenose vibravano e le chele facevano rumore quando cozzavano violentemente gli uni con gli altri, vagando a caso nella sabbia.

 

Un jounin della squadra si avvicinò con dell’olio e un accendino, e gli scorpioni balzarono quando la torcia si ravvivò di nuovo con un debole ruggito, bagnando d’olio la sabbia sottostante.

Temari annuì alla presenza del giovane, stringendosi di più nel suo cappotto prima di fare cambio di posto con lui. Camminava a fatica nella sabbia, sentendo freddo alle caviglie nonostante lo spesso rivestimento dei suoi sandali.

Stringendo i denti per fermare i brividi, Temari camminava vicino alle torce, zigzagando tra di esse in modo da avere entrambi i lati del corpo riscaldati dal calore del fuoco.

 

Dopo pochi minuti arrivò alla sua nuova postazione, guardandosi trucemente intorno fino all’oscuro orizzonte, con le dita intorpidite che afferravano la stoffa interna delle sue tasche.

 

Erano le 2:45 del mattino.

 

Questo dimostrava che il Kazekage non faceva favoritismi—assegnare a sua sorella il cambio di guardia al confine. Temari non era solita lamentarsi, ma erano passate tre settimane da quando aveva iniziato il turno (da mezzanotte alle cinque), e almeno un paio di volte aveva rischiato di rimanere assiderata.

 

Stringendo di nuovo i denti, pregò perché la costruzione delle barricate accelerasse, fissando con astio i disordinati pezzi di metallo e lamiera a qualche duna di distanza.

Rinforzare manualmente il confine di Suna era esaustivo e costoso, ma da dopo il rapimento di Gaara, il consiglio era stato irremovibile. I ninja responsabili del rapimento erano entrati proprio dal confine con il paese dell’Acqua, dopotutto.

 

E sfortunatamente, fino a quando gli ingegneri non fossero riusciti a progettare una barriera che non affondasse nella sabbia, era costretta a controllare la costruzione ogni notte.

Rabbrividì, trattenendo uno sbadiglio e facendo una smorfia quando i suoi occhi si inumidirono. Più che il freddo, era la natura tediosa di quel lavoro che la seccava.

Cammina, controlla, cammina, controlla, controlla ancora, cammina ancora un po’ ecc. parlare alle altre guardie era proibito, dato che l’avrebbe distratta dal suo compito.

 

Temari provava una forte avversione per i vecchi coglioni responsabili di quel suo ridicolo ruolo, dato che non c’era stata alcuna attività sospetta per tutte le tre settimane che lei era stata lì. Il suo unico conforto era la pausa di quindici minuti tra i turni, dato che le dava l’opportunità—nonostante fosse così breve—di riattivare un po’ la circolazione nelle sue membra intorpidite.

 

Il tempo passava con una lentezza angosciante, e le sue ossa dolevano sotto il soffio gelido del vento che strisciava sulle sue gambe. Tirò fuori le mani dalle tasche del cappotto abbastanza a lungo per sistemare lo scialle intorno alla testa e aggiustare la ricetrasmittente, e le sue dita si allentarono con sollievo quando il suo orologio suonò.

Dando le spalle alla torcia,  abbassò l’indumento che le copriva la bocca e fece un cenno ad un chuunin che arrivò correndo verso di lei.

Si fece immediatamente prudente, preoccupata dai suoi occhi strabuzzati e la mancanza di fiato.

- Che succede?- domandò Temari.

- Abbiamo trovato un sospetto poco più a sud di qui.- ansimò, il suo respiro formava nuvolette  nell’aria.- All’oasi.-

- Sta cercando di oltrepassare la barriera?-

- No, Temari-san. È semplicemente…seduto.-

Temari inarcò un sopracciglio.

- Siete sicuri che non sia un animale o dei detriti? È buio.-

Il chuunin scosse la testa, sembrando vagamente a disagio mentre guardava alle sue spalle verso il punto da cui era venuto.

- Siamo sicuri che sia un uomo. Ci ha…uh…ci ha parlato.- balbettò, grattandosi la testa.

- Cos’ha detto?-

- Beh, uh, Sugimura gli ha detto di andarsene e lui…uh…preferirei non ripeterlo, Temari-san.-

Temari alzò gli occhi al cielo, seccata, stringendosi di più nel suo cappotto e lanciando uno sguardo furioso al chuunin.

- Probabilmente è soltanto un vagabondo. Se il freddo non lo uccide, lo faremo noi. Nessuno può passare il confine senza documenti.-

Sembrando più tranquillo, il chuunin annuì e fece cambio di guardia con lei. Temari si portò lo scialle al viso mentre camminava verso la prossima postazione oltrepassando le fiamme delle torce in direzione del debole luccichio dell’acqua all’orizzonte. Da dove si trovava, l’oasi non era altro che una pozza luccicante sulla distesa opaca della sabbia sotto la fioca luce della luna.

 

Si fermò alla nuova postazione dopo pochi minuti. L’oasi continuava a brillare, catturando la sua attenzione. Quando distolse lo sguardo abbastanza a lungo per osservare più lontano la linea di guardia e la prossima postazione, Temari mise a fuoco la figura di un suo compagno di squadra, una piccola macchia nera all’ombra delle fiamme delle torce, che fissava attentamente l’oasi con la sua stessa fermezza.

 

Erano le 4:17 quando finalmente arrivò abbastanza vicino da scorgere i confini dell’oasi. Appena distinguibile contro il drappo blu del cielo si stagliava una forma nera come la pece, accovacciata al bordo dell’oasi a solo una quindicina di metri di distanza dalla torcia più vicina e dal suo rispettivo guardiano.

Temari lo fissò a lungo, domandandosi se fosse vivo o se fosse morto di broncopolmonite durante la notte.

Immobile, rimase in piedi in attesa di un suono nel silenzio dell’ambiente circostante. Ci fu solo un’estenuante silenzio per quindici minuti—niente vento, niente uccelli e niente voci. La sabbia giaceva docile ai suoi piedi, quieta per la mancanza di vento.

 

Il cielo si illuminò di un freddo blu metallico striato di rosso, un’atmosfera etera su quell’oscuro panorama, e appena la figura nera divenne riconoscibile come un uomo, si mosse. Temari fece lo stesso, procedendo in avanti appena la figura si alzò, stiracchiando le braccia verso quel cielo metallico.

Qualcosa di enorme e ricurvo era distinguibile con la silhouette dell’uomo; faceva capolino dalla sua spalla.

Temari si avvicinò ancora, le sue dita intorpidite scorrevano lungo il manico del ventaglio mentre la figura stava lì, immobile. Poi, quando il cielo rosseggiante si sciolse in un arancio luminoso, l’uomo si voltò in direzione del paese dell’Acqua e se ne andò.

Le guardie osservavano in silenzio la sua figura allontanarsi, scambiandosi sguardi confusi. Pochi minuti dopo, i loro orologi suonarono in contemporanea.

 

Le cinque.

 

Il loro turno era finito.

 

 

- Che cosa stava facendo?-

- Non lo so, era troppo buio per vedere.-

- Si stava facendo il bagno. Ho sentito il rumore dell’acqua.-

- Non essere ridicolo, la temperatura dell’acqua è gelida.-

- Hai sentito quello che ha detto a Sugimura? Ahah…-

Temari ascoltava passivamente i dialoghi dei suoi compagni, mentre si dirigevano al villaggio allentando la stretta degli scialle e dei cappotti mentre il sorgere del sole scaldava le loro schiene con i primi raggi.

 

Le guardie del turno di giorno li incrociarono, portandosi dietro damigiane d’acqua e avvolgendo bianchi turbanti intorno alle loro teste, mentre camminavano vestiti di freschi abiti di lino per combattere come potevano il terribile calore del sole del deserto. Temari li fissò cupamente.

 

Decisamente lei preferiva il caldo al freddo, e decise di parlare con Gaara per accordarsi su un cambio di turni.

 

Kankuro stava ancora dormendo, quando lei entrò in casa, il suo russare smorzato e calmo era stranamente confortevole nel fresco e quieto corridoio del secondo piano.

Calciando via le scarpe piene di sabbia e abbandonando scialle e cappotto sul pavimento, Temari si buttò sul letto e si addormentò nel preciso istante in cui la sua testa toccò il cuscino.

 

Non si sarebbe ricordata del suo vago sogno di una nera figura nella notte fino al suo prossimo turno di guardia.

 

 

 

La notte seguente era leggermente più calda di quella prima, e di questo Temari ne fu immensamente grata, allentando lo scialle mentre si guardava intorno dalla sua postazione. Un paio d’ore erano volate nel più totale silenzio, l’aria così fredda che il vento sembrava di ghiaccio, pietrificato nella sua durezza. L’unico cambiamento nell’atmosfera era il suo lento respiro che si condensava nell’aria.

 

Erano da poco passate le due, e i sussurri cominciarono ancora.

 

Lo stesso chuunin della notte prima corse verso di lei per cambiare posto, la sua nuova postazione molto più vicina all’oasi di quella precedente.

- È tornato?- chiese atona Temari, quando il chuunin con gli occhi sgranati gesticolò in direzione dell’oasi.

Lui annuì energicamente, sembrando palesemente nervoso mentre si cambiavano di posto e lei iniziò a camminare a grandi falcate verso l’oasi. Quando arrivò alla postazione, le fiamme del fuoco divamparono con il violento soffiare del vento, riempiendole le orecchie del ruggito del fuoco e del crepitio della sabbia.

 

Quando la raffica terminò, il circondario tornò mite e silenzioso e l’unica parte dell’oasi che poteva scorgere era la leggermente luccicante superficie dell’acqua. Il fuoco si rifletteva sulla nera superficie mentre come increspature macchiate di arancione, e non sentì il suono finché non realizzò che la superficie dell’acqua era disturbata da qualcosa.

 

Udì l’acqua schizzare.

 

I suoi occhi si spalancarono, le labbra si aprirono in un moto di incredulità. La temperatura dell’acqua doveva essere vicina alla glaciazione.

Continuò ad ascoltare, sentendo il distinto e gentile gocciolare dell’acqua sulla sabbia. La superficie dell’acqua si immobilizzò nuovamente, riassettandosi come un nero e liscio disco macchiato di arancio.

Quest’immagine si infranse all’improvviso con un udibile splash che distorse il riflesso delle fiamme in danzanti linee arancioni sulla sua superficie increspata.

Temari la fissò, ascoltando e respirando, le mani immobili lungo i fianchi. Lentamente, appena le ondeggianti fiammelle arancioni ripristinarono il loro riflesso sull’acqua, ricordi della sua infanzia e del sogno della notte prima le arrivarono frammentari alla mente.

 

Uno storno di corvi migranti, una spessa e caotica nuvola di piume e di oscurità gracchiante era scesa su Suna quando Temari aveva circa otto anni. Non aveva mai visto prima così tante creature nello stesso posto, nere come la pece e dal verso così acuto da indurla a nascondersi sotto il letto. Erano scesi sulla casa e si erano piazzati sul davanzale della finestra svolazzando intorno ad essa e picchiando sul vetro con i loro becchi neri.

Lo ricordava bene, sdraiata sul letto con Kankuro fissare ad occhi sbarrati l’enorme cadavere di un corvo sul davanzale. Girò la testa e lei vide il suo becco, lungo e nero e leggermente ricurvo. C’era qualcosa di rosso e scintillante che pendeva da lì.

Cos’è? ricordò di essersi chiesta. Dove l’ha preso?

Allora il corvo aveva inclinato la testa e l’aveva ingoiato. Temari ricordò di aver urlato fino allo svenimento, quando successe.

 

Nel suo sogno, la figura nera era un corvo. Il qualcosa lungo, nero e curvo che faceva capolino—nel suo sogno si trattava del becco.

Quando richiamò alla sua mente la surreale e distorta immagine, essa arrivò con un vago sentore di premonizione.

I corvi significano qualcosa. Qualcosa di estraneo. Qualcosa di particolare.

 

- Qualcosa di male.- aveva mormorato svegliandosi quel pomeriggio, incapace di spiegarsi perché l’avesse detto, fino ad ora.

Lei non credeva ai segni premonitori, ma aveva detto la stessa cosa quando Gaara era stato rapito.

Innervosita da quel ricordo, scosse la testa e si strofinò gli occhi, respirando profondamente prima di guardare ancora verso l’oasi. L’acqua era finalmente calma, e tutto era in silenzio.

 

Le successive due ore passarono in agonizzante lentezza senza alcun tipo di suono o rumore, e Temari continuava a strizzare gli occhi, avvicinandosi sempre di più con ogni cambiamento di turno.

Era arrivata vicino ai confini quando i primi cenni di pallida luce bluastra apparvero il cielo. Esili strisce di nuvole uscirono dai loro nascondigli, e lei continuò a tenere gli occhi fastidiosamente incollati alla superficie dell’acqua, aspettando l’emergere della figura, l’emergere del qualcosa ricurvo attaccato ad essa.

 

L’alba arrivò nuovamente, e i confini dell’oasi si fecero nettamente visibili.

Controllò l’orologio.

4:17.

Il suo respiro smise di condensarsi nell’aria, e fece cadere lo scialle dal viso alle spalle, mugugnando alla sensazione di freddo che il soffio del vento alitò sulle sue guance umide. Altri sette minuti passarono, e poi lo vide.

Era accovacciato al confine, come la notte precedente. Temari sgranò gli occhi.

La cosa ricurva era sparita.

Inconsciamente, rilasciò il respiro che aveva trattenuto.

 

La figura si alzò e lo stomaco di Temari ebbe una contrazione quando lui si inginocchiò e sollevò un  grande oggetto che giaceva accanto a lui. Nel breve momento che lo tenne ben visibile, lei fu in grado di capire cosa fosse.

 

Una falce. La sua silhouette nero pece si stagliava contro il blu elettrico del cielo, alta quasi più della figura che la teneva in mano, fornita di tre lame affilate e ricurve.

Il sollievo avrebbe dovuto essere l’ultima cosa che lei avrebbe dovuto provare, ma le sue spalle si rilassarono quando lui la attaccò alla schiena e si girò per andarsene di nuovo, giusto quando le prime tinte arancioni  iniziavano ad illuminare il cielo.

 

Mezz’ora più tardi, finì il suo turno.

 

 

- Voglio uccidere quel bastardo.-

- Che ti ha detto stavolta, Sugimura?-

- Non hai visto quell’arma? Forse dovremmo avvertire Kazekage-sama…-

- No.- rispose secca Temari, girandosi a guardare in viso il jounin allarmato, fermandosi nel mezzo del loro cammino verso il villaggio.

- Kazekage-sama ha già abbastanza cose di cui preoccuparsi, al momento. Se succede qualcosa, ce la sbrigheremo da soli. Capito?-

- Sissignora.-

Temari si rivolse al jounin conosciuto come Sugimura. Sembrava infuriato.

- Problemi?- chiese lei, alzando un sopracciglio.

- Lo straniero gli ha detto qualcosa.- rispose un amico del jounin, con un ampio ghigno.

- Cosa ti ha detto?-

Il viso di Sugimura si colorò di un rosso intenso.

- Preferirei non…-

- Insomma, non ho dodici anni.- disse Temari con impazienza.- Qualunque cosa sia, non morirò per averlo sentito. Sputa il rospo.-

- Gli ho detto di andarsene via…e…”- Sugimura si bloccò, il viso ulteriormente arrossato. Il suo amico allargò il sorriso e gli mise una mano sulla spalla.

- Lo straniero gli ha detto di andare da qualche parte a incularsi un cammello, Temari-san.-

L’intero gruppo di guardie scoppiò in una fragorosa risata.

Temari si limitò a fissarli incredula.

 

Il giorno passò velocemente. Temari si svegliò alle quattro del pomeriggio, e con tutto il tempo che ci mise a svolgere le sue faccende e a partecipare agli incontri si fecero le nove.

Aspetto la mezzanotte a casa, sfogliando le pagine di un libro mentre la sua cena si scaldava in forno. Kankuro sedeva al tavolo in cucina, collezionando sguardi omicidi ogni volta che la importunava innocentemente con le sue marionette.

 

Alle 11:30 si mise in cammino verso il confine, saltando di tetto in tetto. Appena le case terminarono e arrivò in periferia, Temari aprì il suo ventaglio e colse la più forte folata di vento, aggiustando il suo mezzo su di essa e cavalcandola fin dove doveva arrivare.

La raffica la portò a destinazione in mezz’ora, e seguì il percorso illuminato dalle torce finché esse si divisero in due linee divergenti, una a destra e una a sinistra. Atterrando sulla sabbia, scambiò uno sguardo con la guardia che era rimasta lì dalle sette del mattino.

Questo mormorò distrattamente un ringraziamento mentre lei gli dava il cambio, e iniziò a incamminarsi verso sud, calpestando la sabbia smossa dal vento verso la sua postazione.

 

Quando arrivò, notò con piacere che l’oasi era meglio illuminata degli altri giorni, la luna si rifletteva nitidamente nello specchio d’acqua.

Sbottonando il contenitore del ventaglio dietro la sua schiena, Temari estrasse la sua arma e con un movimento di polso estinse tutte le fiamme delle torce. Il fumo salì verso il cielo in pigre spirali d’argento; le ceneri ardenti brillavano d’arancio e tenue cremisi ad intervalli, riempiendo l’aria fredda del dolceamaro aroma di legno bruciato.

 

Le ceneri si erano fatte nere e fredde quando lei si sedette vicino alla torcia ad aspettare.

Pochi minuti dopo, udì un debole splash.

 

Colta di sorpresa, gettò uno sguardo in direzione dell’acqua, notando le increspature in superficie.

Aspettò altri tre splash, strisciando in direzione del rumore e alzandosi gradualmente in piedi. La velocità era cruciale nell’accertare l’identità della figura.

Infilò una mano nello zaino che aveva in spalla e ne estrasse un paio di piccole bombe luminose. Una volta strappata la sicura, le avrebbe lanciate in direzione dei confini dell’oasi: nessuna pausa. Velocità.  Il solo sibilo dell’accensione sarebbe bastato a farlo scappare allarmato.

 

Mordendosi il labbro, contò fino a dieci nella sua mente, infilando il dito nella sicura ancora attaccata alla bomba.

 

…9….10.

 

La bomba iniziò a sibilare nell’istante in cui tolse la sicura, e nel momento in cui vide una luce rossa, Temari la lanciò più forte che poteva. Si mosse a spirale nell’aria, e atterrò illuminando l’area sabbiosa dove ora si trovava: una grande porzione di oasi divenne improvvisamente visibile, l’acqua brillava di un color rosso sangue. Ci fu un gridolino sorpreso, seguito da un forte rumore di acqua.

Temari fece appena in tempo ad accorgersi della figura mezza nuda che era caduta per metà in acqua che quello subito si portò nel lato oscuro dell’oasi, fuori dal cerchio di luce.

Temari ghignò e lanciò la seconda bomba luminosa.

Questa atterrò accanto a lui, che bestemmiò mentre si allontanava dalla luce. Nell’accecante bagliore dei due cerchi di luce, Temari potè distinguere la falce e accanto ad essa il cappotto dell’uomo, di stoffa nera.

 

Temari inspirò e il suo ghignò sparì quando le forme sul cappotto divennero nettamente visibili.

Nuvole rosse.

 

Corvi. Oscuri presagi. Qualcosa di male.

 

Il suo dito si mosse sulla ricetrasmittente.

- Non muovetevi!- gridò, il suo ordine perentorio diretto ai suoi compagni di guardia.- Me ne occupo io.-

La sicurezza con cui li aveva avvertiti non fece trapelare nulla della paura che le attanagliava le viscere.

Conosceva quei cappotti. Ricordava che i proprietari di quei cappotti erano quasi stati responsabili della morte dei suoi fratelli.

Ci volle ogni singola goccia del suo autocontrollo per impedirle di aprire il ventaglio e lanciarsi furiosamente contro quell’uomo.

Si accorse si avere il respiro tremante, e si costrinse a restare calma, chiudendo le dita in stretti e dolorosi pugni.

La figura era appunto di un uomo, a torso nudo e fradicio dov’era caduto nell’acqua. Sedeva sulla sabbia e aveva una mano alla tempia, giusto sul sopracciglio; alzò lo sguardo nella sua direzione.

- E quello che cazzo era?- gridò, sembrando furioso.- State cercando di darmi fuoco, brutte teste di cazzo di Suna?-

- Zitto!- gridò Temari in risposta, scioccata dal modo in cui la sua voce sembrava sull’orlo del panico.- Tornatene da dove sei venuto!-

- Cara la mia stronza,- ribattè arrabbiato, alzandosi in piedi con le braccia lungo i fianchi.- sei cieca, per caso? Sono ancora nel paese dell’Acqua!-

- Vattene!- gridò violentemente Temari, la furia palese nella sua voce.- Fuori di qui!-.

- Provaci.-  rispose, zittendola.

 

L’impulso di sfoderare il suo ventaglio e trafiggere quell’uomo con migliaia di kunai era quasi irrefrenabile. Non credeva umanamente possibile raggiungere livelli di repulsione talmente alti, e nemmeno provare un tale desiderio di provocare quanto più dolore possibile a qualcuno.

Digrignando i denti, seppellì le caviglie nella sabbia e afferrò il bastone della torcia dalla fiamma ormai estinta. Il legno di scheggiò per l’intensità della sua stretta.

Si forzò a normalizzare il respiro, e quando parlò di nuovo la sua voce suonava più calma.

- Perché sei qui?- chiese,  rendendo la sua voce il più autorevole possibile.- Rispondi!-

- Questi non sono per un cazzo affari tuoi, o sbaglio?- replicò aspramente, togliendosi di dosso i residui di sabbia umida.

La sua stretta intorno alla torcia aumentò, le sue dita dolevano per lo sforzo. Mordendosi il labbro, Temari lo fissava intensamente con odio, mentre si accovacciava vicino al margine dell’oasi, sussurrando maledizioni e gettando acqua sul suo braccio sporco di sabbia.

 

Se Temari fosse stata di umore più calmo, magari si sarebbe meravigliata di come lui fosse in grado di sopportare il soffio gelido del vento e l’acqua gelata sulla pelle nuda. Ma ora ogni vestigia di coerenza era sparita dalla sua mente, rimpiazzata da odio e disgusto.

 

Lo voleva morto. Morto e sepolto nella sabbia sotto i suoi piedi.

Strinse nuovamente i pugni.

- Vattene ora.- gli ordinò, la sua voce chiara e forte nell’aria immobile.- Questo è l’ultimo avvertimento.-

- Ah sì?- la sfidò, alzandosi in piedi e guardando nella sua direzione, pur senza vederla.- Altrimenti? Mi piacerebbe proprio vederti varcare per prima il confine, stronza.-

- Se mi darai un’altra ragione per farlo, lo farò.- disse freddamente.-

- Un’altra ragione? Cazzo, sono seduto qua a farmi gli affari miei e tu cerchi di darmi fuoco!- gridò, sembrando parecchio indignato.- Merda, Deidara aveva ragione. Vuoi ninja di suna siete dei fottutissimi pazzi.-

- Conosco l’organizzazione di cui fai parte.- disse Temari, senza sapere se lui la stesse sentendo o meno.- So che tipo di gente siete.-

- Se è così allora saresti un’idiota se attraversassi per prima il confine.- disse lui, il ghigno palese nel suo tono di voce.

- Se continuerai a darmi ragioni per…-

- Non sto facendo niente!- ruggì, calciando un mucchietto di sabbia.- Porca puttana, sono ancora nel fottuto paese dell’Acqua!-

- Sei membro di un’organizzazione criminale. Vattene.-

- Come se prendessi ordini da te. Non vado proprio da nessuna parte.-

- Vattene.-

- Vieni qui e provaci.-

- Vattene.-

-Vaffanculo!-

 

Temari strinse i denti, guardando furiosamente l’uomo che stava ostinatamente nel mezzo dei cerchi di luce rosa, il suo corpo baciato dai riflessi cremisi.

Strinse la torcia con più forza per evitare di procedere verso di lui, ricordando a se stessa che era un ninja di livello S con abilità sconosciute, ricordando a se stessa che sarebbe stato un suicidio attaccare per prima.

Incapace di pensare a una risposta, rimase in silenzio. Lui era ancora lì che fissava nella sua direzione, ma non riusciva a vedere la sua silhouette nell’oscurità. Pochi minuti dopo, lui si girò e si diresse dove aveva lasciato il suo cappotto, sedendosi sulla sabbia accanto ad esso.

Non si fece problemi a spostarsi dall’area illuminata. Lei lo guardava, vagamente turbata dalla sua immobilità e dal suo silenzio. A un certo punto, si aspettava una qualche arma comparire all’improvviso dalla sabbia, o una sua qualsiasi mossa, qualsiasi, anche solo lontanamente provocatoria.

Ma lui si limitava a stare seduto lì, ancora a torso nudo nel freddo pungente.

Ora capiva perché le altre guardie avessero trovato la sua presenza così snervante.

 

- Cosa stai facendo?- domandò alla fine.

Lui non rispose.

La voce di Temari salì di un’ottava.

- Ehi, ti ho chiesto…-

- Vuoi stare zitta?- ribattè improvvisamente.- Cazzo, sto cercando di pregare!-

Temari era sicura di aver capito male.

- Tu cosa?-

- Ok, seriamente, mi stai rompendo i coglioni. Jashin-sama non riesce a sentirmi con te che spari cazzate, quindi stai zita.-

Di nuovo non riuscì a credere alle sue orecchie, ma era troppo infuriata dal suo fare sprezzante per chiederglielo di nuovo.

- Senti, testa di cazzo. Se le mie cazzate servono a farti sloggiare, allora non ho nessuna intenzione di smettere.-

- Se non la smetti, ti darò un valido motivo per oltrepassare il confine e ti zittirò personalmente.-

- Non aspetto altro, bastardo. Dammi solo un motivo.-

- No, seriamente, hai dei problemi? Lasciami in pace!!-

- I problemi li avrai tu, semmai! Perché non te ne vai e la facciamo finita?-

- Ma perché cazzo dovrei obbedirti?-

- Va bene, non ascoltare. Continuerò a dire cazzate, allora.-

- Quando avrò finito di pregare, ti giuro, Jashin-sama ti manderà una di quelle punizioni che nemmeno riesci a immaginare.-

 

Temari lo fissò senza replicare, finalmente accettando il fatto che le sue orecchie non la stavano ingannando.

Era lì per pregare? Un membro dell’Akatsuki era nel mezzo del deserto alle fotuttissime due del mattino per pregare?

- Tu sei pazzo.- constatò Temari.- o stai mentendo. O entrambe le cose.-

- Di cosa cazzo stai parlando, blasfema? Ti ho detto che non sto facendo un fottuto cazzo.-

Temari fissò criticamente la sua figura bordata di luce rossa che sedeva a gambe incrociate sulla sabbia.

Ad essere onesta,m doveva riconoscere che quell’uomo non aveva fatto nulla di neanche lontanamente sospetto, a parte  trovarsi lì. Non solo, insisteva anche di trovarsi lì per pregare, e sarebbe stato da stupidi provocarlo ad attaccare senza sapere quali fossero le sue abilità.

Sconfitta, Temari rimase in silenzio continuando a guardarlo. Aveva riabbassato la testa per ricominciare con le sue preghiere.

 

Quindici minuti dopo, quando il suo orologio squillò, Temari rimase seduta. Schiacciò un bottone sul display e informò gli altri di mantenere le proprie posizioni fino a quando non fossero giunti i loro sostituti. Il suo gelido tono perentorio li fece desistere dal porre una qualsiasi domanda.

Non c’era più la sensazione di freddo. Temari non sentiva nulla, mentre lo osservava da dove era seduta, dimenticandosi di rabbrividire o di sbattere le palpebre, catturata dalla sua figura. Tutto ciò che percepiva era una leggera consapevolezza del momento presente.

Probabilmente stava stringendo qualcosa tra le mani, ma da dove si trovava per lei era impossibile capire di cosa si trattasse. E in più una delle fiamme di luce rossa si era spenta, l’altra prossima a seguire la compagna. La sua debole luce cremisi brillava sporadicamente, allungando e distorcendo la sua ombra sulla sabbia rossa.

Temari si morse un labbro e lanciò un’altra bomba luminosa.

Non aveva nessuna intenzione di perderlo di vista, specialmente non ora che sapeva, all’incirca, chi fosse.

- Ehi tu.- lo chiamò, quindi accese una terza fiamma e la lanciò.

Lui alzò la testa solo quando questa atterrò…sul suo cappotto.

- Porca puttana!-

Temari sentì un vago senso di soddisfazione quando la sua manica prese fuoco e lui iniziò a raccogliere manciate di sabbia da buttare sull’indumento per estinguere le fiamme.

Dopo aver praticamente sepolto il cappotto nella sabbia e aver spento il fuoco, si alzò di nuovo in piedi e fece qualche passo avanti, fermandosi proprio sul confine sabbioso.

Lei sogghignò.

- Ok, ora stai davvero esagerando!- gridò furiosamente.- Provaci un’altra volta e io…-

- Zitto.- ordinò Temari, soddisfatta del tono di freddo distaccamento che aveva assunto la sua voce.- Finché sei qui, non posso permettermi di perderti di vista.-

 

Si aspettava che lui iniziasse a lanciare maledizioni e a gridare più forte. Quello che non si aspettava, era che lui raccogliesse la seconda fiamma che si stava spegnendo e la lanciasse con violenza verso di lei.

Trattenendo il respiro, si lanciò di lato nella sabbia, evitando di poco la fiamma che si infranse contro la torcia dove lei era appoggiata. La collisione del metallo della bomba luminosa con il legno rimbombò nel silenzio del deserto, e una doccia si lucenti scintille piovve su di lei, illuminando la zona.

La fiamma si spense quasi subito, ma il danno era stato fatto.

 

- Ha! Ti vedo, stronza!- gridò trionfante.- Avresti dovuto tenere chiusa la tua fottuta bocca!-

Momentaneamente stupita, Temari continuò a stare sdraiata nella sabbia, chiedendosi come diavolo avesse fatto a lanciare la bomba luminosa con tale precisione. non riusciva a vederla dalla sua posizione, quindi l’unica cosa su cui avrebbe potuto basarsi era il suono della sua voce.

La sua gola si strinse in un moto di rabbia e di ansia.

Non solo gli aveva rivelato la sua posizione, ma l’aveva anche sottovalutato.

Il suo lancio perfetto avrebbe anche potuto essere un colpo di fortuna, ma se lei fosse stata di un solo secondo più lenta nei movimenti, la bomba le avrebbe fracassato il cranio.

 

- Tch, mancata.- mormorò, prima di girarsi e tornare dove si trovava prima.

Temari si mise lentamente a sedere, lo shock che si trasformava nuovamente in rabbia.

- Per tua fortuna mi hai mancata.- disse in tono aspro.- Altrimenti avremmo un valido motivo per ucciderti.-

- Ehi, ora te lo do il motivo. Potete venire tutti qui…e io vi sacrificherò al mio dio.-

Di nuovo Temari si zittì, straniata per le parole. L’idea che un uomo religioso facesse parte di un’organizzazione criminale era semplicemente assurda, ma comunque non aveva idea di che religione lui fosse discepolo.

E non voleva saperlo, si disse mentalmente. Voleva che se ne andasse.

 

Ma lui rimase lì, ostinato, vicino all’acqua; la sua arma riposava a pochi centimetri dalle dita.

Anche la terza fiammata si estinse come le altre due. L’unica reazione di Temari fu quella di accendere la penultima bomba luminosa e lanciarla, stavolta ben lontano da qualsiasi proprietà dell’estraneo.

Lui alzò lo sguardo per un attimo, ma non disse nulla.

Mezz’ora dopo, Temari lanciò l’ultima fiammata.

Si spense alle 4:15, giusto quando il cielo stava iniziando a schiarirsi. La luce cremisi si dissolse in un freddo blu metallico, facendo apparire quell’uomo quasi statuario.

Non si era mosso per un’ora e mezza.

Ma non appena la prima tinta di azzurro si fece strada nel cielo lievemente rischiarato, si alzò.

 

Temari lo osservò prendere il cappotto e indossarlo, lo osservò anche afferrare la sua falce. Ci fu un momento di silenzio in cui si voltò verso di lei, e Temari ebbe una sensazione di freddo, la pelle d’oca sulle braccia e sulle gambe, nella consapevolezza che lui riusciva a scorgere il suo profilo stagliato contro il blu del cielo che si andava illuminando.

 

Fu lei a rompere il silenzio, con la voce calma.

- Non tornare.-

Lei non riusciva a vedere il suo volto, da dov’era seduta, ma era sicura che stesse sogghignando quando rispose:

- Solo perché mi hai detto questo, tornerò.-

Poi si girò e se ne andò.

Quaranta minuti dopo, il turno di Temari terminò.

 

 

Il cammino verso il villaggio fu silenzioso. Quando Temari tornò a casa e salì le scale per il secondo piano, si fermò nella stanza di Kankuro. Suo fratello dormiva rumorosamente, comodamente spaparanzato sul letto, la coperta un cumulo aggrovigliato sul pavimento.

 

Il suono dei suoi delicati e regolari respiri si infiltrò nel corridoio, in netto contrasto con la stridente cacofonia dei pensieri che le attraversavano la mente.

 

Temari guardò suo fratello, e di gettò il suo odio per l’Akatsuki proruppe con una tale intensità da farle quasi venire la nausea.

Le avevano quasi portato via Kankuro e Gaara, e uno di loro era adesso a un passo dalla linea di confine.

Soltanto guardando Kankuro dormire, le si affacciarono alla mente i vividi ricordi che lo vedevano giacere pallido e prossimo alla morta sul letto dell’ospedale, i suoi lineamenti contorti in un’atroce agonia. Si ricordò di come fosse così debole che non riscriva nemmeno a stringerle la mano e le si formò un nodo alla gola.

 

Chiudendo gentilmente la porta di Kankuro alle sue spalle, Temari fece un respiro profondo.

 

Quando pensava a lui, a quel recalcitrante soggetto scurrile vicino alla linea di confine, la sua mascella si serrava così tanto che le faceva male, lo sguardo si induriva e i pensieri diventavano velenosi.

Un motivo—era tutto ciò di cui aveva bisogno. Una legittima ragione, e lei avrebbe potuto staccargli la testa dal collo, e possibilmente spedirla in un pacco alla sua organizzazione.

Quando si risvegliò dalla fantasia e si sorprese a sogghignare, il pensiero di un eventuale scontro venne la riempì di timore e ilarità.

 

Alle sei del mattino, quando si gettò pigramente nel suo letto e affondò la testa nel cuscino, Temari non chiuse gli occhi, il rumore nella sua testa era insopportabile nel buio. Optò per fissare il soffitto, e le apparve una figura senza volto, ma con un grande ghigno.

Solo perché mi hai detto questo, tornerò.

Temari non chiuse occhio.

 

 

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