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Autore: AxXx    20/10/2012    5 recensioni
Anno 1918. Dopo la fine della prima guerra mondiale le forze Bolschviche di Lenin stanno affrontando una guerra incredibilmente violenta per affermare la loro ideologia.
Gli assassini hanno una missione da compiere in questo pericoloso territorio.
Con i templari da una parte e un gruppo di assassini traditori dall'altra, un giovane assassino discendente di Ezio Auditore si dovrà confrontare con le forze in campo e soprattutto con il suo stesso credo per portare in salvo l'ultima discendente dei Romanov.
Questa è la mia prima storia unicamente di Assassin's creed. Non mi aspetto un capolavoro, ma vorrei davvero avere delle recensioni che mi permettano di migliorare, grazie a chi leggerà e dirà la sua anche se è una rcensione negativa.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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          Prologo: La Morte dello Zar
 
 
 
 
Salve gente, dopo una prima ff su Assassin’s Creed che ho abbandonato temporaneamente per motivi logistici e personali, tra le quali una mancanza di ispirazione torno su questa categoria con questa nuova storia incentrata su un altro antenato di Desmond che combatté un gruppo di Assassini traditori in Russia nel periodo del 1918, durante la guerra civile Russa.
Le armi qui descritte sono un  misto di armi dell’epoca (revolver, baionette e mitragliatrici) con alcune armi assassine classiche, che verranno descritte in questo capitolo ed in altri. (Lama celata, spada, balestra, pugnali da lancio)
Inoltre, nonostante l’avanzamento tecnologico, gli assassini opteranno per un stile da assassini stile Ezio Auditore, ma senza cappa.  
   
 

 
 
 
 
 
 
Il mio nome è Nathan Miles, ho diciotto anni e sono nato il tredici maggio del 1900.
Ho i capelli neri come le ali di un corvo, i miei occhi sono, paradossalmente, di un azzurro così chiaro che, dicono, sembrino risplendere di luce propria.
Il mio volto è leggermente squadrato, ma comunque dai lineamenti abbastanza morbidi.
I miei capelli sono lisci, e mi arriverebbero alle spalle se non fosse per la coda con cui li tengo legati e che mi fa sembrare un pirata.
Mio padre discende da una delle più famose stirpi degli assassini  che sia mai esistita, che si dice affondi le proprie radici in alcuni degli assassini più famosi della storia: Ezio, Connor, Altair.
I loro nomi non li impari nei libri di storia, ma un assassino li conosce, perché noi non perdiamo MAI la memoria di coloro che hanno combattuto per la nostra causa.
La libertà è ciò a cui noi miriamo, una libertà che permetta alle persone di decidere per se stesse e non guidate da despoti e populisti che cercano di portare le masse dalla loro parte per i propri interessi.
Ecco perché ero là.
 
 
 
 
La Russia era un paese orribile. Oserei dire di merda, proprio.
Ma dovevamo compiere una missione.
Una missione importante.
“Stai sveglio, Nathan. Mantieni vigili i sensi.” Mi ordinò mio fratello maggiore.
Eravamo tre in tutto.
Io ero passato dal grado di adepto al grado di assassino da poche settimane.
Mio fratello maggiore, Alex Miles, aveva ventotto anni ed era un maestro da tre.
Era più alto di me, ma di poco.
I suoi capelli erano corti ed i suoi lineamenti, più marcati dei miei.
Per il resto ci somigliavamo parecchio.
“Scusa, non ho dormito bene ieri.” Dissi mentre bevevo un forte liquore locale che mi bruciò la gola.
Il freddo pungente di quel posto si sentiva anche a luglio, e la notte non migliorava certo le cose.
Ekaterinburg era una città molto in profondità nel territorio russo.
E non era una zona molto favorevole.
I Bolscevichi, detti i rossi, occupavano la città, ma a giorno fatto, sarebbero arrivate le armate Zariste dei bianche e noi avevamo una missione: Dovevamo prendere in custodia lo Zar Nicola II e porlo sotto la protezione dell’intesa che aveva una base a Rostov.
Non era facile.
Sapevamo di alcuni soldati rossi inviati ad uccidere l’imperatore e noi dovevamo evitarlo.
Di regola, avremmo ucciso volentieri noi, un ex-templare, ma con il traditore Lenin in circolazione, bisognava ponderare bene ogni mossa.
La luna brillava alta nel cielo e si rifletteva argentea sulla neve che in quei luoghi era perenne.
Eravamo accucciati su un tetto di una casa a tre piani, pronti a scattare sui tetti vicini o a sparare con i nostri revolver contro qualunque nemico.
Dall’ombra apparve, però, Sue, la nostra terza compagna.
Era una donna di trent’anni dai capelli biondi, magra ed allenata, non particolarmente formosa, ma bella.
Il viso era morbido e gentile, senza spigolosità a durezza.
Sembrava impossibile identificarla come un’assassina; almeno finché non ti ritrovavi con un suo pugnale nella schiena, ma a quel punto era un po’ tardi.
“maestro! I rossi sono arrivarti in anticipo! Dobbiamo sbrigarci!” Disse con il fiatone.
Partimmo tutti e tre una frazione di secondi dopo.
“Dannazione! Non dobbiamo perdere tempo!” Disse mio fratello mentre saltava agilmente come un gatto tra i bassi edifici della città.
Ci mettemmo pochi minuti per giungere alla residenza Romanov: un alto edificio a due piani di un vago stile barocco, circondato da un giardino molto grande.
“Per dei prigionieri, sono trattati bene.” Sussurrai ironico io mentre osservavo undici uomini armati che scendevano da due camionette parcheggiate su uno spiazzo sterrato appena oltre la porta principale.
Scendemmo senza farci vedere e superammo la recinzione in ferro che circonda la dimora.
Grazie ai mantelli bianche ed i cappucci, riuscimmo a mimetizzarci bene con il candido ambiente innevato e nessuno ci vide entrare.
All’interno prendemmo strade diverse senza dire una parola.
Sapevamo che c’eran sempre dieci guardie sul davanti del cortile ed altre cinque sul retro.
Non c’era tempo per aggirarle, quindi le avremmo superate in un modo o nell’altro.
 Avevo appena fatto una dozzina di passi che iniziai a sentire gli stivali di una persona sbattere sulla neve.
Mi mossi con la leggerezza di un colibrì e mi nascosi tra alcuni cespugli facendoli frusciare appena.
Pochi secondi dopo da dietro un albero comparve un uomo armato con una baionetta e vestito con un uniforme rossa.
Il soldato si fermò davanti al mio nascondiglio ed io imprecai a bassa voce.
‘Non posso stare ad aspettare che si muova.’ Pensai mentre feci scattare silenziosamente la lama celata.
Mi alzai di scatto e, con una rapida mossa del braccio, gli piantai la lama nella gola ancora prima di avergli chiuso la bocca con la mano destra.
L’uomo rantolò terrorizzato per un attimo mentre il sangue schizza fuori dalla giugulare.
Poi i suoi occhi si fecero vitrei e spirò senza un lamento.
Feci ricadere il corpo tra i cespugli dove prima mi nascondevo io e poi ripartii per raggiungere il retro della villa dove dovevo incontrare i miei compagni.
Ci misi un minuto a percorrere trecento metri di cortile, per evitare un altro paio di guardie che avevo incrociato, senza però fermarsi, il che mi evitò altre perdite di tempo nell’occultamento di cadaveri.
Raggiunsi il retro dell’edificio ed intravidi una porta posteriore, probabilmente adibita per la servitù, sorvegliata da una guardia rossa.
Stavo per colpire quando un dardo di balestra raggiunge l’uomo al collo uccidendolo.
“Sei un po’ lento.” Mi sussurrò Sue con in braccio l’arma.
Anche mio fratello ci raggiunse subito e ci appostammo davanti alla porta sul retro.
“Ok, entriamo.” Disse dopo aver forzato la porta mentre io e la nostra consorella lo coprivamo.
Fu appena mosse i primi passi all’interno dello stretto corridoio in legno che si udirono i primi spari.
“Dannazione.” Fece mio fratello iniziando a correre verso il salotto.
Ci muovemmo rapidi ed io faccio il giro per poter entrare da un’altra porta.
Ci misi circa tre secondi e faccio irruzione nel salotto.
La scena che ebbi davanti fu orribile.
Un gruppo di undici uomini stava sparando contro alcune persone in fila contro il muro, tra le quali alcuni servi fidati della famiglia imperiale.
Per alcuni secondi le armi si acquietarono, il che mi permise di estrarre il mio revolver.
Sparai contro quello che si era voltato per primo verso di me e lo uccisi sul colpo.
Un uomo urlò qualcosa in russo, che io non capii e gli altri tornarono a sparare, ma alcuni lo fecero nella mia direzione.
Ebbi appena il tempo di sparare un altro colpo prima di dovermi riparare dietro lo stipite della porta.
Le urla della famiglia imperiale si fecero più intense ed io mi affacciai di nuovo sparando tre colpi.
Nello stesso istante Sue e Alex fecero irruzione dalla porta sull’altro lato uccidendo almeno quattro persone.
Un uomo che si reggeva a malapena in piedi tra gli imperiali si avventò su uno dei soldati, ma quello gli sparò al petto a bruciapelo facendolo cadere a terra in una pozza di sangue.
Io uscii dal riparo e sparai con precisione uccidendo un altro soldato.
Un dardo di balestra colpì il capitano delle truppe di esecuzione nell’occhio facendolo morire tra atroci sofferenze mentre sangue e materia grigia del bulbo oculare si mescolavano a terra.
Gli ultimi due, probabilmente rendendosi conto che non avrebbero potuto ucciderci, decisero di concentrarsi sulla famiglia imperiale.  
Uno sparò ad una ragazza che doveva avere più di vent’anni, mentre il secondo freddò il figlio maschio dello Zar con un colpo alla fronte.
Alla vista di quella carneficina mi salì il sangue al cervello e con un agile scatto lascio perdere la pistola ed affondo la lama celata nel collo del sodato più vicino con furia ceca.
L’altro mi osservò per un attimo, ma non ebbe il tempo di alzare un dito, dato che Sue gli aveva piantato un coltello nella schiena.
Mio fratello, intanto si era accovacciato accanto all’uomo che si era avventato contro i soldati.
Solo ora lo riconobbi come il sovrano: Nicola II, Zar di Russia.
Indossava un uniforme da ufficiale bianca con una specie di fascia sulla spalla che raffigurava la bandiera russa ed aveva appuntate sul petto varie medaglie che raffiguravano un grado militare datogli in quanto sovrano.
“Avanti, Zar, resistete, vi cureremo.” Lo incitò Alex con delle leggere scosse alla spalla.
Quello però si limitò a scuotere la testa. “Che c’è assassino? Non... mi... uccidi?” Chiese mentre la bocca si riempiva di sangue.
Sembrava sforzarsi di rimanere cosciente.
“Non oggi, siamo qui per portarla al sicuro.” Rispose mio fratello cercando di tamponare le ferite al petto del sovrano.
“I... miei... figli... Dove sono... i miei...figli...?” La voce del sovrano sembrava provenire direttamente dall’aldilà, mentre i suoi occhi scivolavano su mio fratello senza vederlo.
“Fate presto!” Ci incita Sue sotto voce mentre faceva da palo sulla porta che dava sul salone principale della villa.
Io mi accostai al mucchio di cadaveri.
Indossavano tutti le vesti eleganti, dei nobili di alto grado: bianche e candide, ma ormai coperte di sangue rosso.
Non notai segni evidenti di vita.
La moglie dello Zar giaceva a terra in un lago di sangue con vari proiettili che le perforano il torace.
Due ragazze erano rannicchiate abbracciate in un angolo della stanza. Provai a controllare se ci sono segni di vita, ma entrambe erano morte.
Mentre mi chinavo sui cadaveri chiudevo loro gli occhi per pietà e per non vedere quello sguardo di orrore e paura con la consueta formula che usiamo noi Assassini: “Requiescat in pace.”
Dovetti farmi forza per non vomitare.
Mi spostai, infine, verso il centro del gruppo e controllai.
Incredibilmente, sotto il cadavere di un servitore, probabilmente morto per fare da scudo umano, vidi una ragazza.
A giudicare dai tratti aveva la mia età.
Aveva i capelli chiari ramati ed un paio di occhi verde smeraldo.
I tratti erano gentili ed aggraziati, turbati da tanta violenza.
Lo sguardo era vuoto e gli occhi lucidi, tanto che sembrava in trance.
Provai a scuoterla, ma non ci furono reazioni di sorta.
“Portate... via... mia... figlia. Non... chiedo... altro.” Rantolò Nicola secondo prima di spirare completamente.
“Requiescat in pace.” Disse mio fratello chiudendogli gli occhi.
“Andiamo via!” Disse Sue mentre i mi caricavo in braccio la ragazza cercando di non aggravare le sue condizioni.
Un colpo di pistola rimbombò nell’aria e la nostra consorella cadde riversa in un lago di sangue, mentre sulla porta si stagliava la figura incappucciata di un uomo vestito come un assassino.
“Dimitri! Il traditore!” Urlò mio fratello gettandosi su di lui ordinandomi di fuggire.
Io mi misi a correre mentre decine di guardie rosse, allertate dall’assassino traditore invasero i corridoi iniziando a spararmi con le loro baionette.
Dal canto mio i miei spostamenti erano molto limitati dal peso della ragazza e dal mio personale desiderio di non aggravare il suo stato di Shock.
Io stesso non era certo della mia salute mentale: da adepto avevo assistito ad un numero sufficiente di morti atroci, ma tanta crudeltà perpetrata su civili innocenti avrebbe segnato chiunque ed io non facevo certo eccezione.
Tentai di raggiungere la porta posteriore, dalla quale eravamo entrati, ma lì c’erano appostate tre guardie rosse che, appena mi videro, aprirono il fuoco.
Riuscii a malapena ad evitare i proiettili e mi rifugiai in una stanza chiudendomi la porta alle spalle.
La ragazza sembrava essersi ripresa un po’ ma era nel panico e si guardava freneticamente intorno.
Il mio addestramento mi permise di mantenere la mente lucida e mi gettai senza troppe esitazione contro la finestra usando il cappuccio per proteggermi dalle schegge di vetro.
Lei urlò per la paura, ma io non ci badai e mi misi a correre verso la recinzione sul retro della villa.
La neve crepitava sotto il nostro peso ed io avevo non poche difficoltà a muovermi, mentre il rumore di pesanti scarponi sul candido terreno mi avvertivano che alcuni soldati mi stavano inseguendo.
Affrettai il passo più che potei e sentii la fatica penetrarmi le membra.
Strinsi i denti pensando al fatto che mio fratello mi avrebbe raggiunto.
La recinzione era stata abbattuta ed appena oltre, legati ad un albero nascosto dietro ad una ricca vegetazione, c’erano tre cavalli bianchi.
Con le mi ultime energie mi issai a cavallo con in braccio la ragazza.
Mi voltai indietro ed osservai la casa e i soldati che avanzavano verso di me.
‘Mio fratello tornerà.’ Mi dissi fiducioso.
La verità era un’altra.
Mi stavo dando del codardo per essere fuggito abbandonandolo ad una lotta disperata.
Con queste parole cercavo di sopire il mio senso di colpa.
I soldati si stavano avvicinando, quindi, per non perdere altro tempo spronai il cavallo verso la boscaglia al galoppo, per distanziare i miei inseguitori.

  
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