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Autore: Ari_92    21/10/2012    18 recensioni
L’ultimo anno di liceo è passato, e per molti è arrivato il momento di pensare al futuro.
Tutto è andato esattamente come sappiamo, se non per il fatto che Kurt non ha mai spiato i Warblers, e non ha mai conosciuto Blaine.
Rachel parte per New York e Kurt la segue: dopotutto non ha niente a trattenerlo a Lima.
Tra nuovi incontri e tentativi di lasciarsi il passato alle spalle, Kurt dovrà fare i conti con qualcuno che ha smesso di credere nell’amore, con chi ce l’ha sotto al naso ma non riesce a vederlo e con chi - forse - l’ha appena trovato.
Intanto, se Rachel prova a dimenticare Finn, di certo non dimentica il suo biglietto ferroviario per New Haven.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt, Quinn/Rachel
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti :)
Dopo quasi tre mesi che ci lavoro sopra, con un pizzico (anche più di un pizzico) di agitazione mi sono decisa a pubblicare il primo capitolo di questa long. È la terza che scrivo dopo Semplicemente, era destino e I’ll try to fix you con il suo sequel, e devo dire che mi mancava cimentarmi in qualcosa di completamente diverso visto che gira e rigira sui personaggi dell’ultima storia ci sono stata sopra più di un anno.
Quindi sì: storia nuova, e parecchia ansia u.u
Preferisco lasciarvi subito al primo capitolo e fare le dovute precisazioni in fondo alla pagina, quindi ci rivedremo sotto (sì, è una minaccia *mwahaha*)
 
Avvertimenti: li scrivo affinché non vi ritroviate a dover perdere tempo con una storia che non fa per voi.
Prima di tutto – come avrete potuto notare dalle informazioni generali della storia – non si tratterà solo ed esclusivamente di una Klaine, ma ci sarà anche un po’ di Faberry, e un’altra coppia che verrà fuori più avanti, anche se meno rilevante. Di conseguenza se siete fan sfegatati della Finchel, questo non è il vostro posto.
Altra cosa: mi rendo conto che ci sono persone che preferiscono leggere fanfiction in cui la trama si sviluppa velocemente. Se cercate questo, di nuovo, fuggite: l’evoluzione di questa storia – lo dico da subito –  non sarà immediata e circoscritta a pochi capitoli... Sono una lagna, lo so *sguardo addolorato*
Ecco. Queste erano essenzialmente le due cose fondamentali che volevo dire prima di lasciarvi alla lettura, per il resto vi rimando in fondo :) Oh! E non odiate indiscriminatamente un personaggio in particolare già dal primo capitolo... Capirete <3
...*prende un profondo respiro*

 
 
 
 
 
 
 
 

Capitolo 1

“Il destino, te ne accorgi che c’è quando guardi indietro, mai quando guardi avanti.”
 _G. Cercasi

 
 
 
 
 
Quella mattina, Kurt aprì gli occhi consapevole di ciò che lo attendeva.
Non gli fu nemmeno necessario un piccolo istante per prendere coscienza di sé, per ricollegare il cervello: non era il genere di cose che necessitano funzionalità neuronali attive per essere ricordate. Si era svegliato con il cuore pesante, e sapeva il perché senza bisogno di pensarci.
Si mise lentamente a sedere sul letto e allungò una mano verso sinistra: come immaginava, l’altra metà del materasso era vuota.
 
<< Rachel? >> Chiamò, con la voce vigile di chi ha passato buona parte della notte a fissare il soffitto. O ad ascoltare le turbe psichiche della propria coinquilina, in alternativa.
Un fruscio di fogli lo raggiunse dal salotto, seguito dal tonfo di qualcosa di pesante che cadeva a terra. Kurt sbuffò e si passò una mano tra i capelli arruffati. Doveva aspettarselo: Rachel era troppo nervosa anche solo per rispondergli.
 
Non poteva biasimarla, dopotutto anche lui si sarebbe sentito ugualmente eccitato se quello fosse stato il suo primo giorno alla NYADA. Non che non fosse felice per lei, lo era: le voleva bene e sapeva che quel college era il suo destino, il suo posto nel mondo. Se avesse dovuto dipingere un quadro raffigurante la NYADA davanti all’ingresso ci sarebbe stata Rachel Berry. Il lato negativo stava nel fatto che, nonostante tutte quelle settimane passate a cercare di assimilare la cosa, continuava a non riuscire ad accettare di aver dovuto cancellare se stesso, da quella riproduzione ideale.
 
Certo, ora era a New York, avrebbe preso qualche lezione di canto, studiato minuziosamente gli spartiti di Rachel e ritentato l’ammissione l’anno successivo, ma sarebbe stato stupido fingere che fosse la stessa cosa.
 
Scansò le coperte in cui era avvolto e scese dal letto, imprecando mentalmente quando colpì la abat-jour sul comodino con il gomito, rischiando di farla cadere. Vivevano in quell’appartamento da più di un mese, eppure continuava a dimenticare quanto fosse piccolo, in particolare al buio.
 
Si trovava in una vecchia palazzina non lontana dalla NYADA, abbastanza incassata da non essere particolarmente appetibile e di conseguenza costosa. Buona parte degli inquilini del palazzo erano studenti, il che poteva anche essere un bene per la compagnia, ma decisamente un male per tutte le ore di sonno perse a sentire i gorgheggi della ragazza che abitava sopra di loro, le litigate dei due fratelli dall’altra parte del pianerottolo e le performance sessuali del tizio il cui muro confinava direttamente con quello della loro camera.
Kurt a volte si riproponeva di andare a lamentarsi, ma in tutta probabilità l’avrebbero solo preso per il rompiscatole di turno, e francamente non aveva idea di come presentarsi dal loro vicino – Jacob, se non ricordava male – e chiedergli di essere più silenzioso mentre faceva sesso senza sembrare un maniaco.
 
Ad ogni modo, il loro appartamento era uno dei meglio arredati del palazzo; non che Kurt ne avesse mai visti altri, ma dopotutto era stato lui a scegliere i mobili.
 
Quando lui e Rachel erano entrati per la prima volta era stato come ricevere un pugno nello stomaco. Entrambi si erano guardati sforzandosi di apparire entusiasti, fino a quando lei non aveva detto qualcosa come << Fa schifo, non è vero? >>; il che aveva portato Kurt a chiedere all’affittuario di poter riverniciare, oltre ad inserire nuovi pezzi di arredamento.
Quando acconsentì, nessuno di loro era stupito: il marrone scuro – scrostato, tra l’altro – non è esattamente il colore più indicato al muro dell’appartamento di due diciottenni. Non è un colore adatto a un muro e basta.
Lui e Rachel si erano anche divertiti, le prime settimane: avevano tappezzato il pavimento dell’ingresso di vecchi quotidiani e dato due passate di vernice azzurrino chiaro su pareti e soffitto.
 
L’ingresso dava subito sul soggiorno: a destra c’era un divano grigio già presente prima del loro arrivo ed addossata al muro una piccola libreria. Di fronte al divano il televisore, qualche mensola e, a sinistra dell’ingresso, il tavolo da pranzo. Kurt aveva insistito per mettere un tappeto al centro del salotto, al che Rachel aveva iniziato a parlargli di qualcosa di rosa, morbido e cosparso di stelline dorate. Dopotutto, cosa se ne facevano di un tappeto?
La cucina era minuscola – riuscivano a malapena ad entrarci in due – ed era collegata alla sala da una porta vicina alla libreria. Di fronte al tavolo da pranzo c’era un’altra porta che dava su un piccolo corridoio: la soglia a sinistra portava alla camera di Rachel e Kurt, quella frontale al bagno e quella a destra ad una stanza che era per il momento il ricettacolo del resto delle loro valigie e dei mobili che avevano eliminato dall’arredo originario.
 
Kurt non poteva ancora dirsi completamente soddisfatto del risultato, ma considerava già una vittoria aver impedito a Rachel di riempire tutto lo spazio disponibile di rosa: era stato più volte nelle sua stanza ai tempi del liceo, sapeva il pericolo che correva.
 
<< Rachel? >> Ripeté ancora una volta, uscendo dalla loro stanza e percorrendo a passi strascicati il corridoio. Come si aspettava, Rachel stava mettendo sotto sopra l’intero salotto, in un uragano di spartiti, fogli, matite e quaderni.
 
Aveva tutto perfettamente sotto controllo, o almeno era quanto stava ripetendo a se stessa da più di una settimana. Dopotutto era Rachel Berry, nessuna competizione artistica era in grado di spaventarla o metterla in difficoltà, nemmeno se questa si presentava sotto forma di primo giorno di college alla NYADA.
Si sistemò i capelli dietro le orecchie e si ancorò alla spalla la cartella scura che le aveva consigliato Kurt, pronta per uscire. Per sicurezza controllò un’ultima volta l’elastico dei suoi calzettoni, assicurandosi che fossero entrambi alla stessa altezza.
 
Per un momento desiderò che Finn fosse lì con lei a farle i complimenti e a dirle una delle sue battute stupide, per poi ricordare che a quel punto lui doveva già essere in Georgia da quel pezzo, e ancora non le aveva chiesto scusa per quella sottospecie di rottura che avevano avuto il giorno della sua partenza per New York. Si rifiutava di credere che Finn intendesse davvero quello che aveva detto. Assorta in quelle ultime considerazioni, non fece il minimo caso alla figura che aveva appena fatto capolino dal corridoio.
 
<< Perciò? Volevi andartene senza salutare? >> Rachel sussultò, voltandosi finalmente verso Kurt che la osservava sorridendo, con la spalla appoggiata allo stipite della porta. Aveva impiegato più di due settimane a convincerlo che poteva benissimo farsi vedere in giro anche prima di essersi vestito, pettinato e incremato: finalmente sembrava aver afferrato il concetto.
<< Naturalmente ti avrei svegliato prima di uscire, volevo solo lasciarti dormire un po’. >> Il ragazzo evitò di farle presente che sarebbe stato comunque impossibile con lei che dichiarava guerra ai suoi spartiti, ma decise di evitare di infierire: dopotutto il primo giorno alla NYADA capita una sola volta nella vita.
 
<< Non ti vesti? >> Le chiese piuttosto, adocchiando con aria critica i suoi calzettoni. Rachel abbassò la testa e sistemò con attenzione l’orlo della gonna che indossava.
<< Sono vestita, Kurt. >>
<< ...Dimmi che è uno scherzo. Non intenderai davvero affrontare il tuo primo giorno vestita in quel modo! >>
<< Cosa? Ma- >>
<< Non ti faranno neanche entrare, Rachel! >> Lei sbiancò completamente, presa alla più totale sprovvista. Kurt scosse la testa, indicando con il pollice la porta della loro camera da letto.
<< Fortunatamente avevo messo in previsione questa eventualità, così mi sono preso la libertà di mettere insieme un outfit alternativo. >> Rachel non fece nemmeno in tempo ad aprire bocca.
<< Appeso in basso a destra, nella tua parte di armadio. >>
 
Kurt si godette l’aria riconoscente della sua coinquilina, mentre portava i suoi inguardabili calzettoni e il suo imbarazzante cerchietto nell’altra stanza, esattamente dove sarebbero rimasti. La ragazza sparì oltre la porta della loro camera e lui appoggiò le spalle al muro, approfittando del momento per condividere con Rachel i piani del giorno: sapeva benissimo che ora come ora non le sarebbe potuto importare di meno, ma doveva pur tenersi la mente occupata in qualche modo. Ne aveva bisogno, perché una notte insonne era bastata a farlo crogiolare nella sua stupida disperazione da inutile fallito.
 
<< Tu... Tu prenditi pure il tuo tempo oggi, vado io a fare la spesa. >>
<< Kurt- Umph, >> Rachel infilò la testa nella maglietta chiara che Kurt aveva scelto per lei << te l’ho detto che il Market dove andavamo di solito per la tua enorme spesa mensile ha chiuso, vero? >>
<< Che cosa? >>
<< Ci sono passata davanti ieri mentre tornavo dalla NYADA, sai, per il mio giro di ispezione. Forse si sono trasferiti, non so... >>
<< Questa è una tragedia! Conoscevo quegli scaffali come le mie tasche- >>
<< Ci siamo stati due volte, Kurt. E comunque puoi sempre andare allo Store dietro l’angolo finché non troviamo un nuovo supermercato di fiducia. >>
Kurt sospirò silenziosamente. Probabilmente a Rachel sfuggiva il fatto che lui volesse distrarsi, e magari ragionare sulle offerte più vantaggiose in mezzo a una sconfinata miriade di mensole poteva rappresentare una valida alternativa al deprimersi per quanto stava succedendo nella sua vita. O meglio, per quanto non stava succedendo nella sua vita.
 
Aveva lasciato Lima convinto che il solo essere a New York sarebbe stato sufficiente a dare una sferzata al suo morale a pezzi eppure, se possibile, lì si sentiva anche peggio.
Certo, era il luogo che più adorava sulla faccia della terra, ma vegetarci mentre la sua migliore amica scalava tutti quei sogni che per lui erano ormai cocci irreparabili non sembrava essere d’aiuto.
Si sentiva inutile, sospeso, e anche in colpa per non riuscire ad essere felice per Rachel come avrebbe dovuto. Aveva il bisogno fisico di fare qualcosa, ad esempio contribuire al pagamento dell’affitto – Burt e i genitori di Rachel si erano offerti di finanziare i primi mesi, ma sia lui che la sua coinquilina desideravano sopprimere quel rituale il prima possibile.
 
Kurt era anche riuscito a trovarlo, un lavoro: dopo tanti viaggi a vuoto aveva rintracciato un posto disponibile in una gelateria. Peccato che la paga fosse talmente bassa e il negozio talmente lontano da casa che,basandosi sul costo dei trasporti e sul livello di fatica accumulato,finiva decisamente per rimetterci. Da quando era stato costretto a rinunciare, né lui né Rachel avevano trovato uno straccio di impiego disponibile,.
 
<< Io vado. Augurami buona fortuna. >> Kurt la abbracciò. Un po’ perché sapeva quanto Rachel fosse incoraggiata dal contatto fisico, un po’ perché temeva lo conoscesse troppo bene per non intercettare quella punta di infelicità che sapeva non sarebbe stato capace di mascherarle. Fece un sorriso triste, con la guancia premuta sulla testa di Rachel: avrebbe dovuto lavorare anche sulla recitazione, in quello schifosissimo anno di ferma.
 
Lei lo baciò sulla guancia e, quando si chiuse la porta di casa alle spalle, Kurt decise che poteva farcela.
 
Dopotutto era sopravvissuto quattro anni in una scuola pubblica dell’Ohio senza mai smettere di essere se stesso – piccola idiozia con Brittany a parte – perciò sì, avrebbe saputo rimettere insieme i suoi sogni, per quanto delusi e spezzati fossero adesso.
Dovevariuscirci: era impensabile che tutti quei voli nei cassonetti, gli spintoni e le costose camiciedi Marc Jacobs irrimediabilmente profanate dal colorante per granite fossero fini a loro stesse.
Le star più splendenti partono dal basso e preferibilmente sono anche maltrattate e incomprese, finché non entrano nella leggenda. E Kurt sapeva di essere una di quella stelle: doveva solo trovare il suo posto perché si sa, il cielo è immenso, non si può pretendere di appartenergli al primo sguardo.
 
Kurt sorrise: per la prima volta da quando era a New York quei dodici mesi di stallo non sembravano più una palla al piede, ma un’opportunità.
 
Poi, ragionando più a breve termine, si ricordò della spesa.
 
 

***

 
 
Neanche un’ora dopo la partenza di Rachel – e per Kurt fu un record riuscire a spalmarsi le sue creme e scegliere cosa indossare in così poco tempo – era già sul pianerottolo di casa, intento a dare tre mandate alla porta del loro appartamento.
Aveva solo bisogno di una boccata d’aria per riordinare le idee, tutto qui. Portò un’ultima volta la mano alla tasca dei pantaloni, per controllare che il portafoglio fosse ancora lì.
 
<< Vai da qualche parte? >>
Kurt si voltò istintivamente verso dove proveniva la voce: esattamente dietro di lui – con i fianchi appoggiati al corrimano delle scale e le braccia incrociate – c’era il tizio che Kurt riconobbe come il rumoroso amante della porta accanto, che puntualmente obbligava lui e Rachel ad involontarie quanto imbarazzanti sedute di ascolto.
 
Jacob – Josh, Jeremy? – non si fece alcuno scrupolo a squadrarlo dalla testa ai piedi, tanto che Kurt non ci pensò due volte a riservargli lo stesso trattamento, più per ripicca che per interesse vero e proprio.
Non era particolarmente alto, giusto quelle due o tre dita più di lui; aveva un fisico asciutto e sicuramente più atletico del suo, corti capelli castani sparati in aria e un paio di lucidi occhi neri. Nell’insieme, era davvero, davvero un bel ragazzo, se non fosse stato per il perenne ghignetto strafottente che aveva dipinto in faccia.
 
Kurt non sapeva se era per tutte le notti insonni che quel tipo gli aveva inconsciamente fatto passare o altro, fatto stava che non gli sembrava esattamente il prototipo della simpatia. Questo naturalmente non gli impediva di provare ad intrattenere una civile conversazione tra vicini di pianerottolo.
 
<< Niente di importante, faccio solo due passi. >> Lui annuì, accentuando il suo sorrisetto irritante. Beh, meraviglioso.
<< Tu sei Kurt, giusto? Condividi l’appartamento con quella ragazza carina... >>
<< Rachel Berry, sì. E tu sei Jacob, se non sbaglio? >> Il tizio che ci delizia a suon di orgasmi. Altro sorrisetto idiota e il ragazzo aveva fatto due passi in avanti, tendendogli la mano.
 
<< Jacob Hale. >> Kurt gliela strinse, semplicemente perché sarebbe stato fin troppo scortese lasciarla a mezz’aria.
<< Kurt Hummel e, giusto per la cronaca, la mia coinquilina carina è nel bel mezzo di una rottura con il suo ragazzo storico, quindi fossi in te non ci proverei. >>
Senza accorgersene, Kurt doveva aver detto qualcosa di molto divertente, perché Jacob Hale scoppiò a ridere.
 
Non poté davvero farne a meno, non dopo tutta l’ingenuità che quel ragazzino aveva dimostrato. Era così evidente che fosse appena arrivato da un paesino, uhm, dell’Indiana, probabilmente.
Gli tenne la mano solo un istante più a lungo del necessario e, quando Kurt ritrasse la sua, si premurò di passare casualmente il pollice su ognuna delle sue nocche. Jacob lo vide aprire la bocca per dire qualcosa, ma poi richiuderla, fissando il pavimento. Non poté evitarsi di sorridere nuovamente mentre Kurt proseguiva oltre di lui senza aggiungere una parola, diretto verso le scale.
 
<< Alla prossima, Kurt Hummel. >> Disse, senza curarsi davvero che lo sentisse: si trattava più di un appunto personale che di un saluto vero e proprio.
 
Lo guardò scendere le scale leccandosi le labbra.
 
 

***

 
 
Kurt avrebbe dovuto saperlo: vagare senza meta e sovrappensiero in una delle più grandi metropoli al mondo non è esattamente una buona idea, soprattutto quando sei dotato di un senso dell’orientamento imbarazzante. Fatto stava che era una buona mezz’ora che Kurt non aveva la più pallida idea di dove si trovava e non voleva nemmeno prendere la metro e tornare a casa, perché dopotutto quella parte di New York non era così male.
 
Decise deliberatamente di non pensare alla figuraccia che aveva fatto con il suo molesto vicino: non era da lui andarsene di punto in bianco e piantare le persone nel bel mezzo di una conversazione – non era sicuro che la loro avrebbe potuto definirsi tale, ma tant’è.
Era stato più forte di lui: Jacob l’aveva fatto sentire completamente a disagio, e qualcosa gli diceva che l’aveva fatto apposta. Inoltre, non gli piaceva per niente quel suo sorrisetto presuntuoso.
 
Kurt scosse la testa, ricordando a se stesso il significato del termine distrazione.
Percorse un ulteriore tratto di strada, sempre più stupito di non essere sballottato in ogni dove: probabilmente quella era la parte di New York meno affollata in cui fosse mai stato. Proseguì fino al primo angolo, dove svoltò a sinistra, affianco a un negozio di fiori.
La sua attenzione fu catturata da qualcosa dall’altro lato della strada. In particolare, una delle più brutte insegne per Minimarket che avesse mai visto. Pickle-mart, blu su uno sfondo marrone. Storta, tra l’altro.
 
Kurt scosse criticamente la testa e per curiosità abbassò lo sguardo fino a scorgere l’interno del negozio, completamente visibile dall’enorme vetrata posta sul davanti. Strinse gli occhi nel tentativo di cogliere, nonostante il riflesso del sole, i segni distintivi di quello che sembrava un litigio in piena regola.
Incuriosito da tutte quelle braccia che si alzavano e dai clienti che uscivano dal Market alla velocità della luce, si decise ad assecondare il suo istinto ed attraversare la strada per vedere più da vicino cosa stava succedendo. Distrarsi, sì, quello era un primo passo.
 
Meno di un minuto dopo era davanti all’ingresso ed evitò per un pelo una donna seccata che usciva dal negozio tirando per un braccio un bambino, che al contrario sembrava estremamente esaltato dal movimento all’interno del locale. Kurt decise di entrare: dopotutto doveva ancora comprare qualcosa per cena ed era anche abbastanza sicuro che avrebbe fatto un favore; un posto con un’insegna del genere non doveva fare grandi affari.
Non appena le porte automatiche gli si spalancarono davanti, fu immediatamente chiaro che gli strepitiprovenivano da una della dieci casse: gli bastò un passo in più per avere una perfetta visione della scena. A quanto pareva si trattava di un licenziamento particolarmente teatrale, o qualcosa del genere.
 
Un ragazzo biondo, con addosso lo stesso inguardabile grembiule verdognolo dei suoi colleghi, sembrava in procinto di fare una strage.
 
<< Io non resto in questo posto un minuto di più! >>
<< Matt! Lo capisci che c’è un contratto da rispett- >>
<< Fanculo il contratto! Io me ne vado! >>
In quell’esatto istante, un uomo visibilmente trafelato fece il suo ingresso nel Market, sorpassando Kurt senza nemmeno rendersi conto della sua presenza.
<< Si può sapere che diavolo sta succedendo nel mio negozio? >>
<< Niente Charlie, davvero, è solo- >>
<< Matt che a quanto pare non ha voglia di lavorare. >> Intervenne un tizio alto e robusto, interrompendo le spiegazioni della ragazza al suo fianco.
 
<< Io ho voglia di lavorare. Sono solo stanco di essere preso per il culo! >> Un altro commesso ridacchiò sommessamente, facendo infuriare Matt ancora di più.
<< Andate tutti a farvi fottere! >> E giù un’altra pioggia di risate. A quel punto intervenne l’uomo basso e tarchiato che era corso dentro poco prima.
<< Non vi sembra che i clienti siano già abbastanza pochi senza che vi ci mettiate anche voi?! Matt, sei licenziato. >>
<< No, me ne vado io. >> Si slacciò il grembiule con rabbia e lo appallottolò, gettandolo a terra. Dieci secondi dopo era fuori dal negozio e l’ingresso era calato in un silenzio glaciale.
Il proprietario era sconvolto, e la cosa sembrò peggiorare non appena fece finalmente caso a Kurt, a quanto pareva l’unico cliente rimasto.
 
<< Ci scusi, sono costernato. Lasci che le offra qualcosa, è il minimo che- >>
<< Non importa. >> Durante tutta la pittoresca evoluzione di quel piccolo dramma, Kurt aveva avuto modo di pensare.
 
Quel piccolo negozietto indipendente – per quanto aveva potuto immaginare dal suo pigro pellegrinaggio – non era lontano da casa; lui doveva pagare l’affitto e possibilmente qualche lezione di canto, un dipendente si era appena licenziato e – cosa più importante di tutte – il proprietario era in debito con lui.
Non poteva semplicemente ignorare un’opportunità del genere: era evidente che il destino l’avesse condotto lì in qualche modo, per servirgli quell’occasione su un piatto d’argento. E lui doveva credere nel destino, giusto? Tutte le grandi star ne hanno uno glorioso scritto apposta per loro. Rachel aveva ragione, qualche mese prima: una volta diventato famoso avrebbe potuto parlare con un pizzico di nostalgia di quei primi tempi passati a fare il commesso in un supermercato minuscolo con un’insegna storta. Come l’aveva chiamato, lei? Periodo dei cibi in scatola, forse.
 
Kurt non poteva ancora sapere che il destino, a volte, è scritto in un alfabeto difficile da decifrare.
 
<< Mi chiedevo... Ora avete un commesso in meno. Cercate per caso qualcuno che lo sostituisca...? >>
Il proprietario si dimostrò stupito solo per un attimo prima di aggrottare le sopracciglia, fissandolo con insistenza. Kurt dovette sforzarsi davvero, davvero tanto per non scoppiargli a ridere in faccia. Con i suoi baffetti sottili, i capelli radi e i vestiti palesemente troppo stretti per la sua taglia sembrava una caricatura.
Era perfettamente consapevole di avere gli occhi di tutti i commessi puntati addosso e avrebbe mentito dicendo di essere perfettamente a suo agio con la cosa, ma aveva bisogno di quel lavoro più di quanto non cercasse di dare a vedere.
 
<< ...E lei si starebbe proponendo come candidato? >> Proseguì dopo qualche istante, per niente sicuro di credere a quel ragazzino. Sembrava piuttosto giovane, e tutto ciò che voleva era evitarsi altri problemi simili a quelli che gli aveva procurato Matthew Burns. Sapeva fin troppo bene di cosa aveva bisogno il suo negozio: personale efficiente, una buona pubblicità e poche scenate da adolescenti; ne aveva già sentite abbastanza da bastargli fino alla pensione.
<< Sì, signore. Mi chiamo Kurt Hummel e lavoravo in una gelateria fino a poco tempo fa, quindi ho già esperienza nel contatto con i clienti. Non so fare solo quello, naturalmente! Posso occuparmi dell’inventario, rifornire gli scaffali, fare- >>
 
<< Sì, sì. Ho capito. Senti, un nuovo ragazzo mi serve. Non vedo cosa dovrebbe farmi preferire te a qualcun altro, Kurt Hummel. >> Continuò, curioso di cosa quel ragazzo – giovane, troppo giovane – avrebbe saputo inventarsi.
<< Perché, >> cominciò Kurt, ignorando i bisbigli dei commessi intorno a loro << con le persone ci so fare, lavoro senza lamentarmi e soprattutto non mollo buttando per terra il grembiule come un bambino dell’asilo. >> La risposta, in qualche modo, sembrò convincere il proprietario.
 
<< Okay, Kurt. Io sono Charlie Tomash e domani è il tuo giorno di prova. >> Kurt tirò un sospiro di sollevo tra sé e sé e strinse la mano al suo futuro capo, al che gli tornò in mente il comportamento discutibile di Jacob e per poco non riuscì a non reprimere un ghigno infastidito.
 
<< Per oggi fatti spiegare come funziona qui da Scarlett, di solito è lei che pensa ai nuovi arrivati. Domani definiremo con più calma- Ehi! Si può sapere cosa avete da guardare?! >> Tuonò, facendo animare all’istante tutti i dipendenti che tornarono alle loro funzioni abituali in un batter d’occhio.
Charlie si passò le mani tra i pochi capelli che gli erano rimasti e, senza aggiungere altro, sparì nel piccolo stanzino privato in fondo alla piccola fila di casse.
 
Kurt trattenne a stento un sorriso vittorioso: non credeva sarebbe stato così semplice.
I casi erano due: o lui era davvero un abilissimo persuasore, o il Pickle-mart era completamente alla frutta.
 
Basandosi sulle condizioni dell’insegna all’ingresso, la risposta era amaramente palese.
 
<< Ciao! E così hai appena deciso di imbarcarti in questo schifo, buon per te. >> Kurt si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con la ragazza che gli aveva appena dato due colpetti sulla spalla.
<< ...Scarlett? >>
<< In persona. E tu sei Kurt. Ti spiego in breve come funziona qui, al solito. >> Cominciò, sorridendogli allegramente – fin troppo considerando quanto sembrava detestare il suo lavoro. Kurt l’avrebbe definita una ragazza singolare: aveva un ciuffo arruffato sulla fonte, il resto dei capelli erano tenuti insieme da un grosso fermaglio; i colori in cui spaziavano andavanodall’arancione brillante al fucsia, con punte viola intenso. Aveva un piercing al labbro – che non faceva altro che muovere con la lingua – e almeno due spesse passate di matita nera sugli occhi; dal bordo sfilacciato della maglietta che fuoriusciva dal grembiule verdognolo facevano capolino quelli che sembravano i prolungamenti di un tatuaggio piuttosto vistoso.
Kurt piegò la testa da un lato, osservandola meglio: nonostante tutto l’armamentario di prodotti da cui era coperto, il suo volto sembrava quello di una ragazzina. Cresciuta troppo in fretta, forse.
 
<< Dunque, prima di tutto le tre regole sacre da rispettare qui dentro. Uno: non si ruba dalla cassa. Due: i clienti vanno sempre trattati bene. Tre: non si fa sesso con i colleghi. Questa non è una delle regole di Charlie ma fidati, bisogna rispettarla; se Matt l’avesse fatto sarebbe ancora dei nostri. >> Continuò, facendogli l’occhiolino. Kurt arrossì, borbottando qualcosa a proposito del fatto che non aveva nemmeno bisogno di dirglielo.
 
<< Qui siamo in venti. Servirebbe più personale, ma Charlie è un po’ al verde, quindi ci si arrangia. Dieci sono fissi alle casse – più qualche idiota a caso che da il cambio ogni tanto, ma gli unici con il contratto regolare sono loro. Io, Megan e Alexis ci occupiamo della pubblicità, gli altri servono i clienti, riempiono gli scaffali e fanno l’inventario. >> Spiegò, indicando le varie persone che nominava.
<< Tu naturalmente partirai dal basso, il rifornimento scaffali dovrebbe andare bene. Ora se permetti io torno ai miei volantini, ti chiamo l’altro nuovo tizio così ti fa vedere come si fa, aspetta. >> Scarlett se ne andò tanto velocemente quanto era arrivata, congedandosi da lui con una pacca sulla spalla. Kurt la guardò allontanarsi un tantino frastornato, mentre gli altri ragazzi riprendevano a fissarlo come se avesse sei gambe.
 
<< Ehi, numero venti! Ti rendi conto di esserti appena perso la sfuriata di Matt, vero? Muovi il culo e vieni a spiegare due cose al ragazzo nuovo. >> Kurt incrociò le braccia al petto, sempre più nervoso. Non che si fosse mai fatto particolari problemi ad essere al centro dell’attenzione, tuttavia non poteva negare di trovarsi leggermente a disagio in una situazione del genere.
Stava giusto valutando se la sua idea di proporsi subito come sostituto di quel Matthew non fosse stata eccessivamente avventata, quando il ragazzo di cui parlava Scarlett gli si presentò davanti.
 
La prima cosa che pensò fu di averlo già visto, da qualche parte.
 
La seconda, che dopotutto in quel posto assurdo c’era qualcuno di apparentemente normale. Niente capelli inquietanti, niente piercing, niente occhiate inquisitorie e niente strette di mano imbarazzanti.
 
E Kurt sapeva che era assurdo, eppure era come se quel momento, quel sorriso autentico e quel volto così stranamente familiare fossero le prime cose che sembravano giuste, da quando aveva messo piede a New York.
 
<< Ciao! Io sono Blaine. >>
 
<< ...Kurt. >>
 
 

***

 
 

 
 
 
 
 
*saluta timidamente con la manina* ...Guys? Ci siete ancora? *parte un NO collettivo*
Prima cosa: NON è un colpo di fulmine! Dico sul serio, vedrete.
Dunque, cosa dire di questo inizio? Prima di tutto che io faccio schifo con gli inizi. Sul serio: per entrare davvero nella storia bisogna aspettare qualche capitolo, perché io e gli incipit non andiamo proprio d’accordo -.-“
Detto questo... Beh, come avrete notato ci sarà qualche personaggio originale: non temete, non staranno troppo tra i piedi (per non dire altro). Oh! Non odiate Jacob, fidatevi di me, non sono infida come TrollMurphy.
 
Qualche piccola info generale.
Ho cercato di far rimanere i personaggi più IC possibile, anche se con Blaine da un certo punto in poi ci sarà un’inevitabile cambiamento dovuto all’AUità (??) della storia.
Il rating è arancione per alcune scene che ci saranno più avanti, non so se diventerà rosso... Non credo, ma comunque vi farò sapere :)
Per quanto riguarda la lunghezza della storia, sono un po’ in alto mare per dare risposte precise. Sono arrivata a scrivere fino al capitolo sette (3.000/4.000 parole a capitolo) e direi di essere ancora piuttosto indietro, quindi sicuramente almeno una ventina: anche in quel caso vi farò sapere :)!
Per quanto riguarda gli aggiornamenti per ora me li riservo settimanali, ogni domenica, almeno finché non avrò un margine di capitoli abbastanza consistente. A quel punto potranno tranquillamente diventare due alla settimana :)
...Bene. Mi sembra di aver detto più o meno tutto. Ora credo che ritornerò nel mio angolino a terrorizzarmi e inveire contro la mia incapacità di scrivere i prologhi. Grazie di cuore a chi è arrivato vivo fino a qui, e grazie alla mia meravigliosa beta (non avevo mai avuto una beta priama *-*) Giada <3
A domenica prossima <3 Ari
 
Per spoiler, curiosità e qualunque cosa mi trovate sempre qui: http://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
E se vi va di farmi qualche domanda (amo quel sito) anche su ask: http://ask.fm/Nonzy9
  
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