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Autore: Eneri_Mess    06/05/2007    4 recensioni
Ora sapeva cosa provava suo padre quando si trovava davanti ad un intricato delitto. Era sicuro di sentire quello che anche lui sentiva. Non era più un gioco, il suo ruolo non era più quello di uno osservatore. Era diventato colui che reggeva la matassa ingarbugliata. Colui che avrebbe trovato il bandolo.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Yukiko Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: La storia, i personaggi, gli ambienti e tutto ciò che è relativo al manga o all’anime di Detective Conan non mi appartengono. Gli avvenimenti, i personaggi, gli ambienti e tutto ciò che non è relativo al manga o all’anime di Detective Conan sono di mia creazione.

Note per la lettura: i discorsi corsivi tra « e » sono in americano. Ho preferito così invece di scrivere interminabili frasi che, sinceramente, non sarei stata in grado di comporre XD Buona lettura!

La storia inizia subito dopo che Shinichi e Ran sono scampati al serial killer giapponese durante il loro soggiorno a New York. Buona lettura!

At the beginning

- Capitolo unico -

Il picchiettio della pioggia si era fatto più consistente, quasi assordante, e copriva ogni altro minimo rumore nei paraggi; di fastidiosamente udibile c’era solo il fruscio del traffico cittadino lontano.
Shinichi, con quel frastuono coronato dal rombare cupo dei tuoni, non riusciva neanche a sentire i propri passi sulle scalette metalliche; inoltre, ad intensificare la sua momentanea sordità, c’erano a riecheggiargli nelle orecchie i battiti del cuore, che sembravano indecisi se galoppare o meno.
L’adrenalina che scemava era una sensazione quasi rilassante, sebbene lasciasse il respiro pesante e l’impressione di aver corso per chilometri. Però, pensò, era tutto passato. Il reale pericolo, se non altro.
Perché c’era ancora Ran in ballo.
Si fermò, inclinando appena il capo per riuscire a vedere il suo volto ciondolante. Una sfumatura rossastra le attraversava le guance, spiccando sulla pelle pallida; le labbra erano socchiuse, secche, e un leggero rantolo affaticato le abbandonava a ritmo sostenuto. Sotto le dita, riusciva a percepire la sua pelle d’oca e si morse un labbro, sentendo la preoccupazione che vacillava in irritazione.
Era un’incosciente, la solita! Le aveva detto di chiudere il finestrino del taxi visto che non stava bene. Ma lei no, ovviamente. Chissà che le passava per la testa.
Arrabbiarsi però non serviva assolutamente a nulla. Non con la sua amica svenuta, infreddolita e febbricitante.
Se la strinse meglio addosso, avvicinandosi all’ingresso del magazzino, varcato poco prima, e dette un’occhiata fuori. Come immaginava, il taxi era sparito. Aveva sentito una violenta sgommata, ma non si chiese il perché se ne fosse andato. Per il resto, il vicolo era deserto, bagnato e fetido. Un posto migliore proprio non potevano sceglierlo.
Ritornò all’interno della vecchia struttura, guardandosi intorno senza sapere bene neanche lui cosa cercare. Doveva portare Ran al caldo, ma di posti accoglienti, lì in giro, nemmeno l’ombra.
Poi si ricordò. Aveva il cellulare con sé e lo avvertì nella tasca destra dei pantaloni. Senza troppi problemi aveva trovato un modo rapido e asciutto di chiedere aiuto: correre sotto quel diluvio non era certo un piano brillante.
Si riavvicinò alle scalette che aveva sceso poco prima e depositò con cura Ran sul primo gradinò. Le tenne le spalle per qualche secondo, accertandosi che restasse in equilibrio. Il respiro era irregolare e profondo e le prime gocce di sudore avevano cominciato ad imperlarle la fronte.
Brutta situazione, pensò, mentre si toglieva la giacca di jeans e gliela infilava alla meglio.
La ragazza sussultò, afferrandogli malamente un braccio per poi lasciare ricadere inerte la mano sulle gambe. Shinichi la fissò perplesso, continuando a reggerla e scostandole i capelli dalla fronte.
« Ran » chiamò, e lei aprì leggermente le palpebre. Le sembravano due macigni. Inoltre vedeva tutto sfuocato e la testa le girava come una trottola. Ma riconobbe la voce.
« Shi… Shinichi » rispose flebile, cercando di metterlo a fuoco. Credette di scorgere un sorriso, ma non ne fu sicura e richiuse gli occhi, sentendosi troppo stanca.
« Sta tranquilla, adesso ti porto in ospedale » le disse, spostandole ancora una volta la frangetta. Era bollente.
« Il fazzoletto… Sharon… » balbettò affaticata, cercandolo con la mano, ma il ragazzo, gentilmente, gliela adagiò in grembo.
« Stupida, l’ho già ritrovato quell’assurdo pezzo di stoffa » sbuffò lui, a metà tra l’ansia e il sollievo. Sentirla parlare era meglio di niente, dovette ammettere.
Non perse altro tempo, incalzato anche dal tuonare sempre più forte. Prese il cellulare dai pantaloni e compose il numero della madre, che ormai doveva essere alla centrale di polizia da un pezzo. Avvertendo lei di dove si trovavano, avrebbe dato anche le coordinate agli agenti per quel serial killer che stavano cercando.
Riflettendoci, guardò in alto, verso il soffitto cupo del magazzino. Nessun rumore, solo il temporale. Chissà dov’era finito quell’uomo, si chiese. Ma un attimo dopo, la voce squillante e totalmente fuori luogo di sua madre gli rimbombò nelle orecchie ed ebbe altro a cui pensare. Come, ad esempio, spiegare alla donna allarmata il perché si trovassero chi-sa-dove, perché Ran avesse un febbrone da record e perché avesse notizie su un pluriomicida.
Bel giorno avevano scelto per andare a New York.
Un giorno davvero indimenticabile.

***

« Shinchan, stai diventando come tuo padre! » se ne uscì Yukiko quando ebbe a portata d’orecchio quello sconsiderato che aveva per figlio, ora che si trovavano in una calda e asciutta volante della polizia. Il capitano Radish li aveva trattenuti per poco, giusto il tempo di sapere quel che Shinichi aveva scoperto del ricercato. Un momento dopo, vedendo le condizioni della ragazza, aveva offerto loro un passaggio.
Il suddetto tale padre alzò gli occhi al cielo, la sua tipica espressione annoiata sul viso.
« Che cosa ho fatto, stavolta? » domandò scocciato, appoggiando un gomito contro la portiera, sostenendosi il mento col palmo, senza neanche guardarla in faccia. Se l’avesse fatto sarebbe scoppiato a ridere, altroché. Sua madre aveva di nuovo gonfiato le guance senza rendersene conto. Ed era un vero spettacolo. Purtroppo, però, l’ultima volta che glielo aveva fatto notare ce ne aveva prese parecchie, quindi era consigliabile tenersi eventuali battutine per dopo.
« In soli due giorni sei rimasto invischiato in tre casi! » gli fece notare con voce lamentosa l’ex attrice nipponica, continuando a fissarlo con sguardo che verteva sul preoccupato. Ma anche su qualcosa che rassomigliava ad orgoglio. Il suo bambino monello e fanatico di Sherlock Holmes stava davvero crescendo tanto! Forse troppo in fretta. Aveva solo sedici anni, ma la testa era davvero tutta quella di Yusaku.
Un sospiro rassegnato abbandonò le sue labbra, attirando l’attenzione del giovane che corrugò la fronte. Non proferì però parola, colto dal panorama che si presentava al di là del parabrezza.
« Ehi! » esclamò, facendo capolino con la testa tra i due sedili anteriori, spaventando l’autista. « Perché siamo tornati in albergo!? » esclamò allarmato, fissando la donna come fosse stata una pazza.
« Dove dovevamo andare, scusa? » chiese lei perplessa, non capendo la ragione di quella reazione.
Lo sguardo di Shinichi si fece, se possibile, ancora più stralunato.
« In ospedale, ovvio! Ran avrà minimo quaranta di febbre! » sbottò, spaccando i timpani a tutti, ma ricevendo soltanto una sciocca risata che gli fece montare i nervi. Sua madre sapeva essere infantile nei momenti meno opportuni!
« Che drammatico che sei, Shinchan! Ran ha solo un forte raffreddore, una bella dormita e sarà a posto, vedrai » gli rispose tranquilla, con tono dolce. « Ti preoccupi troppo » aggiunse poi, vedendo l’espressione disgustata del figlio che si rimise a sedere di botto, incrociando le braccia al petto e guardando fuori dal finestrino, sibilando invettive tra i denti.

Al suo fianco, rannicchiata sul sedile e ancora avvolta nella giacca dell’amico, Ran sonnecchiava, benché non fosse un sonno proprio tranquillo. Non riusciva a capire cosa le succedesse attorno, ma più volte aveva sentito di essere presa in braccio. E più volte aveva riconosciuto quelle braccia come quelle di Shinichi, e allora si era lasciata andare stancamente, fiduciosa.
Di nuovo, per l’ennesima volta, avvertì il caldo respiro del ragazzo accarezzarle i capelli e si ritrovò ad appoggiare la testa pesante sulla sua spalla. Chissà dov’erano, si chiese. Non trovava la forza di aprire gli occhi, ogni fibra del corpo pulsava dolorosamente. Sentiva solo tante voci sconosciute e tante frasi insensate. Non era giapponese… dov’erano?
Qualche minuto dopo, che non fu in grado di quantizzare, percepì di essere adagiata su qualcosa di morbido, presumibilmente un letto. Ancora parole, questa volta comprensibili… ma non riusciva a seguirne il discorso e ci rinunciò.
Voleva solo dormire e stare meglio per rivedere Shinichi.
C’era qualcosa che sentiva di dovergli dire.

***

L’uomo si fece scudo dalla pioggia con la larga valigetta che portava con sé, riparandosi il capo. Purtroppo, però, le gocce non risparmiarono né la giacca né la camicia. Né tanto meno il mazzo di rose, ma per quello non c’era da preoccuparsi.
Proseguì nella corsa non rallentando di un passo e, qualche momento dopo, fu al riparo sotto una larga e lussuosa tettoia, piegato in due dallo sforzo e tenuto sottocchio da un portinaio in divisa che di amichevole nello sguardo aveva poco. Per farlo entrare ci vollero diversi battibecchi, ma alla fine Richard riuscì a spuntarla con un documento e un tesserino che ne accertavano del tutto l’identità.
Varcò il portone della fastosa hall dell’albergo che gli era stato indicato circa mezzora prima al telefono e, con un seducente sorriso, l’uomo, sulla soglia dei quaranta, si avvicinò alla reception, facendo sgocciolare le rose sui preziosi tappeti.
« Buonasera » salutò, rivolgendosi alla graziosa signorina dietro al bancone, che guardò perplessa la sua figura totalmente zuppa, ma allegra. « Ho un appuntamento con la cliente della stanza 402. Mi chiamo Richard Lewis » si presentò in un perfetto accento del sud, Miami sicuramente.
La giovane donna scartabellò per qualche secondo con alcune carte, per poi trovare quello che cercava.
« La signora Kudo? » domandò al signore, che con un sorriso smagliante annuì. « La aspetta nella camera 401 » gli disse e lui, sorpreso, alzò un sopracciglio biondo, per poi ringraziare la receptionist e congedarsi verso gli ascensori, fischiettando.

« Ricchan! ».
« Mon amour! ».
Yukiko, ancora con la mano sulla porta, non riuscì a scampare al caloroso abbracciò dell’uomo, che un attimo dopo le porse un enorme mazzo di rose rosse innaffiate di pioggia.
« Ah ah… » rise incerta la donna, fissando il bouquet sgocciolante. « Non cambi mai, Ricchan ».
« Anche tu sei sempre bellissima, chéri » replicò lui melenso, tentando di attirarla di nuovo tra le proprie braccia, ma l’ex attrice fu più scaltra e per poco Richard non perse l’equilibrio. Solo quello, però: il suo brio ed entusiasmo rimasero alti come il suo sfavillante sorriso candido.
Seguendo la sua ciliegina, entrò nella stanza in penombra, togliendosi nel frattempo la giacca bagnata. I capelli biondi, leggermente lunghi e ondulati, si erano appiccicati alla rosea fronte, ma non si preoccupò di scostarli. Sapeva che gli donavano un certo fascino.
« Yuki-chan, se mi hai invitato in tutta fretta deve essere davvero qualcosa di importante! » esclamò ad un tratto, mentre lei lo ignorava sistemando i fiori in un vaso di cristallo decorativo. « Non mi dire che finalmente ti sei tolta dai piedi quel giallista da strapazzo! » continuò con lo stesso tono gaio, avvicinandosi di nuovo.
Ma Yukiko si girò con un sorriso talmente falso che di rassicurante e cordiale aveva ben poco.
« Ricchan, anche io sono molto contenta di vederti! » affermò marcando il suo accento giapponese. « Cerca di moderarti però! Sempre con questa storia! E no, sono ancora f-e-l-i-c-e-m-e-n-t-e sposata con Yusaku » mise ben in chiaro, mani sui fianchi e una vena poco carina pulsante sulla tempia.
L’uomo si ritrasse alzando le mani, sul viso un’espressione tirata accompagnata da una risatina.
« Via via, Yuki-chan, quanto te la prendi! » celiò ridacchiando.
« Sei il solito dongiovanni, Ricchan » evidenziò lei, alzando in aria il suo delizioso nasino.
Fece per parlare di nuovo, sicuramente per tirare fuori nuovi appunti sul carattere sfacciato di lui, che qualcuno si schiarì la gola in modo molto poco silenzioso.
Quando la coppia di bambini cresciuti si voltò, l’espressione di Richard toccò lo stupore assoluto. La sua mascella delineata scivolò in basso, lasciando che la bocca formasse una ‘o’ perfetta. Ma il nuovo arrivato non gli diede tempo di parlare.
« Chi è questo tizio, mamma? » domandò con sguardo poco amichevole e indagatore Shinichi, le mani piantate in tasca e gli occhi assottigliati che non si scollavano dallo sconosciuto.
« Aah, Shinchan! » esclamò lei, rientrando impossesso della sua infantile allegria, accostandosi al figlio. « Lui è Richard Lewis, un amico di vecchia data » gli spiegò, mentre il suddetto si faceva avanti, squadrando il ragazzo da capo a piedi, ancora sbalordito.
« Yuki-chan, ma questo è una versione giovane di Yusaku! » affermò con voce melodrammatica, calandosi alla perfezione nella parte di chi scopre una verità sconvolgente. Gli occhi azzurri erano spalancati e le sopracciglia talmente inarcate da sparire sotto i ciuffi biondi.
« Non per niente è suo figlio, Ricchan. Si chiama Shinichi! E capisce molto bene l’inglese » spiegò tranquilla la donna, strizzandogli un occhio. Il segnale andò a segno perché l’uomo reinterpretò subito l’espressione del giovane. Ovviamente doveva aver sentito tutto il discorso, ma questo non parve scoraggiarlo, anzi.
« Shinichi… piacere di conoscerti » disse con un’inflessione alquanto occidentale, porgendogli una mano che il ragazzo valutò approfonditamente, prima di stringere con diffidenza. Quando un tipo non gli andava a genio, specialmente uno che ci provava spudoratamente con sua madre, non c’era verso di togliergli il sospetto di dosso.
« E ora che abbiamo fatto le presentazioni, passiamo alle cose serie » se ne uscì Yukiko, spezzando il silenzio che, almeno da parte del giovane, si stava creando.
I due, a quelle parole, si voltarono a guardarla con un sopracciglio inarcato. Lei continuò a sorridere furbetta.
« Vieni con me, Ricchan » disse, avviandosi verso la porta della camera da letto. La stanza d’albergo che aveva prenotato era una specie di appartamento ed era arredata come fosse stata di una regina. Shinichi non si era stupito quando vi aveva messo piede, conoscendo quella mania che in parte condivideva anche suo padre: Villa Kudo ne era la prova, con la sua sfarzosa architettura stile europeo realizzata appositamente.
L’ex talentuosa condusse i due in una camera quasi completamente al buio, fatta eccezione per un abatjour sul comodino. Sdraiata sotto le coperte del letto vicino, Ran aveva il capo affondato nel cuscino e le guance rossastre per l’alta temperatura.
Richard, senza attendere spiegazioni, si avvicinò alla ragazza, rimboccandosi le maniche umide e tastandole la fronte. Sempre in silenzio, recuperò la borsa che si era portato dietro, cominciando ad armeggiare con il contenuto alla ricerca di qualcosa.
Intanto, ancora fermi sulla soglia, madre e figlio – malfidato – assistevano al suo operato.
« Ehi » sibilò Shinichi all’orecchio della donna, distogliendo appena lo sguardo da Ran. « Chi accidenti è quel tizio? ».
Richard Lewis, come nome, non gli diceva assolutamente nulla. Eppure un ruolo doveva averlo, data la grande “amicizia” che dimostrava nei confronti di Yukiko.
Lei inclinò il viso verso di lui, facendogli l’occhiolino e alzando un indice.
« E’ un medico, uno dei più bravi che io conosca. Visto che aveva un congresso proprio qui a New York in questi giorni, ho pensato di chiamarlo per fargli visitare Ran. Così magari ti tranquillizzi un po’ » gli spiegò vivace, ma capì all’istante dal suo sguardo che non era quello che il suo perspicace ragazzino voleva sapere.
Sospirò, facendo spallucce e lanciando un’altra occhiata al medico.
« Io e Ricchan siamo amici da tanti anni ormai. L’ho conosciuto all’inizio della mia carriera di attrice… » iniziò, facendo affiorare alla mente uno dei periodi più belli ed entusiasmanti della sua vita. Sembravano cose così lontane, eppure le rivedeva nitidamente come fossero accadute il giorno prima. « Lui era una promettente star americana ed era stato invitato in Giappone per interpretare un ruolo in una fiction con la sottoscritta, al tempo acclamata idol » continuò pavoneggiandosi, e il suo tono si fece sempre più squillante, mettendo in allerta Shinichi, che corrugò la fronte. « Era un copione così appassionante! » sospirò malinconicamente, prima di voltarsi verso il figlio con un sorrisino finto e pericoloso. « Sai Shinchan, hai quasi rischiato di averlo per padre! » esclamò con un’euforia spiazzante, accennando col capo all’uomo, del tutto intento nel suo lavoro.
Il ragazzo ci mise più del previsto per registrare quelle parole. Il suo viso perse prima colore, per poi acquistare una violenta sfumatura rossiccia, accompagnata da un brivido lungo la schiena e un grido spaventato.
« CHE COSA!? » urlò, additando tremante la madre, che aveva portato una mano alla bocca ridendo e godendosi quella scenata. Richard si girò appena, attirato dagli schiamazzi. « Tu… Tu… quello… COSA!? » balbettò, mentre nella sua testa scorrevano immagini rielaborate sui film sdolcinati che Ran lo trascinava a vedere e che avevano per protagonisti sua madre e quell’uomo, che ormai non sapeva più in che modo considerare.
« Che sciocchino che sei, Shinchan! » continuò divertita l’ex attrice, senza preoccuparsi minimamente dei danni psicologici che stava recando al figlio. Era un tale spasso vederlo così agitato che non valeva la pena terminare quella storia: ossia come poi avesse conosciuto suo padre e della terribile cotta che si era presa per quel promettente scrittore.
Per Richard, invece, non c’era stata più partita, ma, a conti fatti, il futuro medico aveva preso abbastanza bene la faccenda, sebbene, ogni volta che si vedevano o si sentivano, lui continuasse a farle una corte insistente.
« Chéri? ».
Il biondo la riportò alla realtà da quella scenetta in cui si vedeva Shinichi rannicchiato da una parte a borbottare chissà cosa all’indirizzo della madre degenera.
« Mh? ».
« La febbre della ragazza si sta abbassando, non è niente di grave, deve solo farsi una bella dormita. E’ successo qualcosa di particolare oggi? » chiese, cercando fondamenta per la sua diagnosi, inarcando un sopracciglio.
Yukiko stese le labbra in un sorriso luminoso.
« Il mio Shinchan si sta facendo uomo! » rispose enigmatica, attaccando poi a ridere giuliva sotto lo sguardo scettico dell’amico che non capiva in che modo ricollegare quell’uscita alla propria domanda. Fece spallucce, infischiandosene.
« Che ne dici se ti offro qualcosa al bar di sotto? Non mi capita tutti i giorni di avere una donna bella come te a farmi compagnia! » propose con un’aria supplichevole che faceva venire in mente un bambino pronto a combinarne una. Ma l’ex attrice non vi badò, accettando di buon grado l’offerta.
In breve, la porta della suite 401 si richiuse, lasciando soli Ran, che pian piano stava riacquistando un colorito sano, e uno Shinichi che ancora si lambiccava in pensieri al limite dell’assurdo e del decente. Ben presto, però, quando il silenzio tornò padrone dell’atmosfera, la stanchezza gravò e il ragazzo crollò seduto sulla poltrona a fianco al letto in cui riposava l’amica, fissandola e cominciando a riavvolgere le ultime, intense, quarantott’ore.

Il giorno prima aveva capito. Aveva sperimentato sul campo. Aveva sentito la sensazione serpeggiare nelle vene e invadere tutto il corpo. Esteriormente era calmo, quasi rilassato, riflessivo, attento. Interiormente scoppiava, ogni fibra del corpo era in fibrillazione, ma niente interferiva con la mente, tesa ad assemblare il puzzle di indizi che lo avrebbe portato alla soluzione. Alla verità.
Una molla gli era scattata dentro, rimbalzando irrefrenabile.
Ora sapeva cosa provava suo padre quando si trovava davanti ad un intricato delitto. Era sicuro di sentire quello che anche lui sentiva. Non era più un gioco, il suo ruolo non era più quello di uno osservatore. Era diventato colui che reggeva la matassa ingarbugliata. Colui che avrebbe trovato il bandolo.
Ed era successo due volte. Sull’aereo e a teatro. Due casi, sue soluzioni. Come fosse stato un calcolo matematico. Due più due uguale quattro.
Eppure, quel che aveva avvertito dopo era stato qualcosa di diverso e nuovo. Aveva l’impressione di vedere il mondo da un’altra ottica, da una prospettiva in cui tutto gli saltava all’occhio, dove ogni cosa acquistava un determinato significato, ma che nell’insieme continuava a celare il mistero. Cominciava a credere, sorridendo, di avere avuto una specie di mutazione. Roba da cartoni animati. Ma l’emozione c’era. La sicurezza. Tutto si era fatto chiaro ed evidente.
A pensarci però, dopo quelle ultime esperienze, gli ipotetici cambiamenti e il resto, ogni cosa era tale e quale a prima. La preoccupazione non era passata, non era stata soppressa dalla nuova fermezza che aveva il sentore di aver acquisito. La preoccupazione non sarebbe mai scemata via.
Guardò Ran dormiente, sistemandosi un po’ più comodamente sulla poltrona.
Aveva sudato freddo. Aveva sentito il cuore rallentare, diventare una specie di timer. Aveva urlato, corso. E poi era successo quel che era successo. La ringhiera di metallo che si rompeva, quel serial killer che scivolava lentamente verso il vuoto, Ran che si gettava ad afferrarlo. Tutto in pochi battiti di ciglia. Prima a rallentatore e poi come un pugno allo stomaco.
E Ran aveva davvero salvato quel tipo. Non l’avrebbe mai detto. O meglio, sì, sapeva che era nell’indole di quell’incosciente preoccuparsi di tutti, ma in una situazione del genere…
… sì, anche lui avrebbe reagito in quel modo.
Mosso da quel dubbio che non riusciva a dipanare. Si era fatto quella domanda un miliardo di volte. Non ricordava neanche a quando risaliva il primo perché?
Perché una persona ne uccide un’altra. Più volte aveva tentato di rispondersi, valutando anche gli esempi che gli erano capitati sotto il naso dai casi del padre, ma non era giunto a niente. Non capiva. Non riusciva a calarsi nella parte, a pensare come l’assassino. Finché si trattava di ricostruire le mosse di un crimine sarebbe stato come bere un bicchiere d’acqua. Ma quel particolare, quella forza che muoveva la ruota, che portava a quel gesto privo di senso
Insondabile. Una zona d’ombra in cui era impossibile guardare, discernere qualsiasi cosa.
Odio? Follia? Dolore? Amore?
Un’accozzaglia di sentimenti che aveva scartato pian piano, non comprendendoli, non capacitandosi di come dar loro forma in un delitto.
Si scompiglio i capelli, cominciando ad avvertire i primi sintomi di un’incipiente emicrania. Non osò neanche guardare che ore fossero. Rimase piuttosto dov’era, troppo stanco per muoversi e con lo sguardo ancora fermo su Ran.
Un altro quesito, e anche piuttosto consistente. Ma non ebbe la forza di affrontarlo.
Le palpebre si chiusero lentamente e, senza che se ne rendesse conto, si addormentò dov’era.

***

C’era un piacevole silenzio che aleggiava per la stanza, la tipica tranquillità notturna. Aveva ripreso pian piano la cognizione del tempo e dello spazio, ma se ne restava sdraiata, in dormiveglia. Il senso di pesantezza e affaticamento si era attenuato e la mente ora era sgombra dai precedenti subbugli dovuti alla febbre.
Febbre… si era sentita male, ricordava di essere svenuta. Ma di quello che era successo, del perché all’improvviso fosse stata colta da quel giramento di capo, non riusciva a capirlo. Se ci pensava un po’ le doleva la testa, e non voleva perdere quel senso di quiete. Aveva l’impressione di non provarlo da un po’, così rilassò del tutto le membra.
Purtroppo, però, il sonno sembrava essersene andato con l’alta temperatura. Si rigirò più volte, senza trovare una posizione comoda, quando si accorse che ci doveva essere una qualche fonte di luce accesa.
Con un lieve mugolio socchiuse appena gli occhi, rischiarati da un tenue bagliore attraverso la patina sfuocata. Ci mise un po’ a mettere a fuoco il luogo dove riposava. Una stanza, ben arredata e sconosciuta. Prima che i dubbi le attanagliassero la mente già provata, però, riconobbe qualcosa di famigliare. Una figura.
Il suo sguardo stanco percorse dai piedi al volto la silhouette del ragazzo che si era assopito poco distante dal letto.
“Shinichi…”.
Il cuore le risuonò con un battito in più nelle orecchie.
Si immobilizzò, non riuscendo a distogliere gli occhi, il respiro involontariamente trattenuto. Non capì, eppure quel leggero trottare nel petto andò crescendo, aumentando. Le parve quasi di vibrare lei stessa.
Abbassò il viso, affondandolo nel cuscino, e vergognandosi. Per cosa, non lo sapeva, ma sentiva un sottile calore pervaderle le gote e non ci mise molto a realizzare di essere arrossita.
E tutto perché… aveva pensato al suo nome? Aveva pronunciato quel Shinichi tra sé. Semplice. Credeva di essere stupita di trovarlo lì… tuttavia… ne aveva quasi il sentore. Lui era l’unica cosa che si ricordava di ciò che era successo. Rammentava solo che lui era sempre rimasto al suo fianco. Che si era preso cura di lei. Che c’era stato. Sempre.
Timida, gli rivolse un’altra occhiata, più per accertarsi che stesse realmente dormendo. Così era. Se avesse finto, Ran sarebbe davvero morta di imbarazzo.
Ma ancora non ne afferrava la ragione. Come diceva lui, c’è sempre una risposta a tutto, ma stranamente a lei quel comportamento sembrava del tutto fuori luogo e incomprensibile.
Si trattava del suo amico d’infanzia, il ragazzo che conosceva da una vita. Che ci doveva essere di strano nel fissarlo? E nel fatto che le fosse stato accanto? Era così da neanche ricordava quanto, dov’era la stonatura?
Piacere. Le faceva piacere, realizzò. Non come fino a quel momento però. Era una sensazione più… profonda? Possibile?
Lo guardò ancora, di nuovo, di sottecchi, temendo che quei fini lineamenti addormentanti tornassero vigili, attenti. E pensarla in quella maniera, le fece battere il cuore un po’ di più. Un ricordo le affiorò dal buio che aveva di quelle lunghe ore e si sviluppò con lenta cadenza, sincronizzato col suo petto.
Era Shinichi… sull’aereo… quando aveva iniziato ad… indagare? Sì, aveva risolto un caso… aveva fatto tutto da solo, come un burattinaio che sa quali fili muovere per animare le proprie marionette. Aveva cercato la verità, deducendola, osservandola attraverso il velo di mistero che la celava. L’aveva scoperta, rivelata. Aveva fatto giustizia nei confronti di qualcuno che non conosceva, smascherando un assassino.
Adesso cominciava a intuire. Cominciava a capire, sentendo qualcosa nascerle dentro. Una sensazione appagante, un po’ timorosa, ma che la fece sorridere.
Benché le guance le tornassero rosate, non si scostò dal fissarlo, dall’ammirarlo.
Dall’…

Un tonfo attutito la distrasse e guardò in direzione della porta. Era stato un suono lontano, ma fu seguito da una risata profonda, di un uomo certamente.
Rimase in silenzio, guardinga nell’essere stata interrotta in quel modo. Ma sulle gote aveva ancora i segni del rossore per quei pensieri sconclusionati che le erano passati per la mente.
Un’esclamazione, questa volta più acuta, richiamò la sua attenzione e l’immagine di una persona le balenò davanti. La madre di Shinichi…
Non seppe spiegarsi il perché, ma non voleva essere colta a spiare il suo amico dormiente in quel modo. Optò quindi per la soluzione più semplice. Si rigirò nel letto con un lieve fruscio di lenzuola, dandogli le spalle e chiudendo gli occhi.
La confusione che aveva in testa era troppa da riordinare in quel momento. E soprattutto, dare un nome all’emozione che le agitava il cuore era… difficile, si disse, svicolando. Non era urgente.
Shinichi sarebbe rimasto accanto a lei, no?

***

« Oooh! Ricchan, stai più attento! » sospirò Yukiko, cercando di reggere al meglio l’uomo barcollante.
Quello, non riuscendo ad articolare una risposta che non fosse spezzettata di “hic”, alzò semplicemente il pollice, lasciando intendere che… andava tutto bene.
« Sì, come no! » sbuffò lei e in quella frazione di secondo in cui si distrasse, il dottor Lewis ebbe la brillante idea di testare il proprio equilibrio, staccandosi dalla donna. La dimostrazione fu breve e alquanto scadente, dato che l’uomo grande e grosso rovinò sulla moquette del corridoio del quarto piano, evitando per un soffio il muro.
« Ricchan! » esclamò allarmata Yukiko, affiancandosi a lui, che fece un gesto non curante con la mano, scoppiando a ridere per un motivo divertente che capiva solo lui.
« Tutto a posto, chéri! » affermò alticcio, senza smettere di ridacchiare. « Lo sai – singhiozzò – che ti amo, vero piccola? » continuò con lo stesso tono, sistemandosi a sedere alla stregua di un vecchio che sta per raccontare una storia, alzando in aria un indice. « Da prima di quel… di quel… come si chiama tuo marito? » e si accasciò definitivamente contro il muro, iniziando a russare forte.
Yukiko rimase in piede dov’era, un sopracciglio inarcato e la tipica espressione a palpebre mezze calate che aveva ereditato suo figlio.
Alla fine fece spallucce, sorpassando l’amico e ripescando la chiave della sua camera dalla tasca dei pantaloni.
Per quella notte, lei non conosceva nessun Richard Lewis.

The End

Note dell'autrice: *anf anf* E' stata una faticaccia, non riuscivo a finirla! Sinceramente (Haro non guardarmi male!) non mi soddisfa del tutto questo one-shot, forse perché è troppo semplice, forse perché non sono riuscita a dare il giusto spessore a Ricchan... bho! Però non ho fatto a meno di scriverla XD Mi piace molto il pezzo di Shinichi... spero che rispecchi abbastanza il nostro paladino! (Grazie Cavy :*)
Il titolo l'ho preso dalla canzone "At the beginning" perché all'inizio volevo scriverla proprio su quella la storia, ma poi alla fine niente XD Però mi ha accompagnata nella stesura! XD Il personaggio di Richard Lewis è un incrocio tra il nome del cantante della canzone (Richard Marx) e del cognome della cantante (Donna Lewis) XD Giusto per rimanere in tema...
Altre annotazioni non mi vengono in mente... (d'altronde, ogni volta che sono alle note mi scordo di tutto quello che dovevo scrivere...)
Spero solamente in qualche commento positivo ;)

A presto,
Eneri

PS: per chi fosse interessato, ho aperto uno spazio mio dove raccolgo tutte le mie fafiction su Detective Conan più qualche aggiunta ;) Trovate il link nel profilo ^^

   
 
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