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Autore: Duca di Curadore    22/10/2012    0 recensioni
''Le generazioni passano come stagioni qui nel Villaggio, ma quella vecchia torre campanaria rimane li dove stava. Ne ha visto di eventi, di volti, di temporali e di secche; e quella luce giallo candela notturna facente sfondo all'orologio mi è sempre familiare. Penso alla sua sommità luminosa nelle fresche notti di fine ottobre, e penso a mille altre cose legate, una storia su tutte mi rimane più lucida delle altre.''
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Le generazioni passano come stagioni qui nel Villaggio, ma quella vecchia torre campanaria rimane li dove stava. Ne ha visto di eventi, di volti, di temporali e di secche; e quella luce giallo candela notturna facente sfondo all'orologio mi è sempre familiare. Penso alla sua sommità luminosa nelle fresche notti di fine ottobre, e penso a mille altre cose legate, una storia su tutte mi rimane più lucida delle altre.

 

Amos, a differenza di molte altre storie simili, non era orfano. Aveva i genitori, con cui va detto non aveva un rapporto propriamente roseo.

Erano pure loro gente del Villaggio, non poveri ma nemmeno ricchi, sebbene gente che noi qui potremmo definire coi piedi per terra e ponderata, pratica e senza fronzoli per la testa.

Una famiglia tutta così, o quasi, perchè tra tutta questa gente, compesani, genitori e parenti, Amos, i fronzoli ci li aveva eccome.

 

Una mente costantemente impregnata di poesia, e non quella scritta, quella che si vive, che si vede, si tocca, si sente e avverte in tutto.

 

In ogni muro vecchio e muschioso, in ogni strada di campagna abbandonata, in ogni nebbia che scendeva fitta sulla valle negli autunni del villaggio. Osservava e viveva ogni ciglio della natura, in sintesi faceva quello che la gente normale chiamava perder tempo.

Agli occhi dei suoi questa prerogativa appariva come previsione di un futuro senza certezze ed inconcludente. Non di meno aizzato dal vociare di vicini e parenti che si riferivano al giovane con epiteti come ''sognapigrizia'' o ''il fannullone volante''. Gli anni passavano, e il Villaggio veniva visto sempre più come una prigione per Amos, e da un pò di tempo aveva cominciato ad effettuare qua e là lavori saltuari, allo scopo di racimolare qualcosa che un giorno avrebbe potuto permettergli una fuga da quel luogo fatto di grette e materialistiche mentalità.

 

Per la stragrande maggioranza dei casi però non gli erano nè noiosi nè pesanti. Li prendeva come se fossero le più passionali ed eccitanti delle avventure.

 

Così quando gli proposero la pulizia delle scale sulla vecchia torre campanaria non ci pensò due volte ad accettare, manco gli avessero dato le chiavi del palazzo del Kublai Khan nella sua immaginazione.

 

E cominciò subito in giornata ad mettersi all'opera, col rischio di far tardi davvero quella sera, ma prima che suonasse la settima ora serale aveva già messo a posto le scale dei primi due livelli, e quella torre luminosa era li a pochi metri da lui con suo ingresso dalla serratura in ferro.

 

La luce del candelabro interno filtrava da sotto l'uscio, e l'alone di luce che colpiva i muri pareva mostrare un teatro d'ombre danzanti. I cigolii e i rumori deboli provenienti oltre la serratura contribuivano a nutrire la fantasia del giovane. Si figurò subito qualcosa di animato nella sua testa.

 

La mente vagò a lungo. Da spiritelli delle torri a fantasmi, a lari dei campanili a reclusi di antiche inquisizioni lasciati li a marcire..finchè una voce dal basso

non ne interruppe la cerca mentale:

''Amos! Maledizione! Muoviamoci non ho voglia di far un sol minuto in più qua dentro! Non lo sai che dopo il tramonto in chiesa ci stanno solo morti o prelati? Pessima compagnia in entrambi i casi.''

 

Tuonò così simpaticamente il Vecchio Jeoffrey. Era uno in genere sempre allegro e dalla battuta facile, sebbene la vita non gli avesse giocato scherzi di gran gusto. Abbandonato in tenera età, meningite da bambino, viso mezzo paralizzato e non una cima d'ingegno secondo l'opinione della maggior parte del Villaggio. Niente famiglia, solo la miseria gli faceva compagnia, assieme ad un vecchio piccolo podere lasciatogli da un misterioso benefattore molto tempo addietro, di cui non ne volle mai parlare.

 

Compreso al podere vi era un piccolo bosco di querce; Jeoffrey era attaccato a questo in maniera quasi maniacale, lo amava più di qualsiasi altra cosa su questa terra, credo fosse una specie di vera e propria famiglia per lui.

 

Amos ci andava d'accordo, perchè il vecchio era uno che non liquidava sempre a prescindere le fantasie poetiche del giovane, anzi, spesso sembrava prenderle molto seriamente. E il ragazzo poteva parlarne con lui liberamente, senza esser pregiudicato come un distratto perditempo, e trovava in Jeoffrey un valido interlocutore; quasi come se fosse possessore di una cultura arcana, non assorbita su banchi o scranni, ma un erudizione congenita, impressa dalla natura e dalle cose attorno a sè.

 

Avrebbero ripreso il giorno successivo i lavori, e sul ritorno salutarono via via gente conosciuta intenta a svuotare grandi zucche e ricavarci sopra quei volti arcigni, pronti per l'Halloween imminente. La sera seguente molti ragazzini si sarebbero divertiti, non Amos e Jeoffrey forse, loro l'avrebbero passata a sudor di schiena quella sera magica. Il vecchio non sembrava però affranto, diceva che di zucche vuote il Villaggio era pieno tutto l'anno, e abbondantemente, senza bisogno di aspettare l'ultimo di Ottobre.

 

E ci si misero di buona lena il giorno dopo. Ma la sistemazione degli ambienti bassi prese più tempo del previsto; le vecchie chiese, anche quelle dei piccoli villaggi, sono dei labirinti in miniatura ed un susseguirsi di pertugi ed anfratti.

 

Fatto sta che alla solita ora Jeoffrey volle staccare, ma Amos voleva tirarla più a lungo quella sera e chiese di chiudere lui; sarebbe rimasto solo qualche oretta in più per finire di sistemare alcune cose.

 

-Come vuoi ragazzo, ma fai attenzione ad ogni modo, e non solo ai ''dolcetto o scherzetto'' mascherati stasera, mi raccomando..in gamba eh!- Il vecchio si congedò così e uscì, bonaccione come sempre ma con un velo di preoccupazione sul sulla sua espressione. O così almeno era sulla parte del volto non paralizzato. Jeoffrey ci scherzava sempre su quello :

''Metà della mia faccia ogni mattina può fottersene altamente di apparir triste o allegro per far contenti gli altri.''

 

Amos continuò il suo lavoro per un pò. Sfaticando un pò e prendendosela con calma a dire il vero, e quando suonò l'ora undicesima nella sua mente apparve un solo desiderio: le buie scale della torre campanaria.

 

Non dovette farsi coraggio, tutto preso dalla curiosità che può avere un giovane sognatore, e lampada in mano affrontò i primi gradini, adiacenti alla porta dove il giorno prima dovette desistere.

 

Era in legno e metallo, con un grosso passante ma senza chiave o serratura. Il vecchio campanaro non doveva far altro che sollevarlo e ne avrebbe avuto accesso. Peccato che avesse abbandonato il suo vecchio lavoro da anni, a seguito di un brutto incidente si diceva, ritirandosi a vita privata in un podere non lontano da quello di Jeoffrey.

Non andavano per niente d'accordo.

Jim Gordon, a dispetto della fama d'una nobile origine, era un villano dal pessimo carattere, che al mantenimento d'un titolo una volta blasonato aveva scelto la solitudine della torre campanaria. Fino al giorno in cui un brutto incidente lo fece schiodare via. Un giorno o l'altro mi farò raccontare la storia per bene da Jeoffrey, pensò Amos mentre sollevava il passante. Il vecchio era inoltre solito dire che le ore suonate da quello li erano sempre odiose, anche a festa o per matrimonio parevano sempre rintocchi da morto, molto meglio ora dalla campana della torre municipale.

 

Quella torre gotica ormai era solo una piccola stanza illuminata da una debole luce, piccolo faro nella notte del Villaggio, e orologio ormai fermo alle tre e mezzo; che il suo ultimo minuto fosse stato diurno o notturno, ad Amos non era dato sapere.

Era invece sempre più curioso gradino dopo gradino, mentre il passaggio si restringeva in salita. Fantasticava di mille cose sulla sommità, come era suo solito fare, troppe per esser qui elencate, ma della realtà circostante, una cosa lo colpì: non c'era alcun odore di vecchio o stantio per come se lo aspettasse.

Una brezza soffice e pulita, quasi un profumo da donna nell'aria che aumentava man mano assieme al bagliore della luce dall'alto. Un rumore brusco e rimbombante di un qualcosa metallico risuonò. Qualcosa si era mosso lassù, forse il vento dalle vetrate rotte, ma troppo frettoloso. E il vento crea suoni diversi, ma sicuri nel loro procedere, non suoni veloci e soprattutto spaventati.

 

Amos non si scompose e continuò la sua ascesa, tra rumori, ticchettiii e cigolii che ogni tanto parevano deboli singhiozzi. Non durò in eterno, l'entrata in breve, complici le giovani e veloci gambe del ragazzo, arrivò.

 

La fresca corrente proviente dai finestroni rotti l'accolse assieme alla luce vecchia e sopita. Ma alle spalle del vecchio orologio rotto, c'era un qualcosa che Amos non si sarebbe nemmeno immaginato nei suoi più lontani sogni. Rimase li a guardare, con occhi da bue e la bocca secca davanti a sè.

 

Lei era li, seduta sul davanzale, avvolta da stracci, sporca e dismessa, triste, ma soprattutto bellissima.

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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